lunedì 20 febbraio 2012

La Cina e il capitalismo

Dall'Avvenire dei lavoratori nl del 19 febbraio 2012 pubblichiamo questo interessante articolo di Alfonso Siano:

La Cina e il capitalismo



La rottura dell’ordine post-bellico. In questi giorni si assiste ad un intenso dibattito sul futuro del Capitalismo. Ci si chiede se esso abbia o meno mutato anima.







Ultimamente anche l’Economist ha dedicato una copertina al Capitalismo di Stato, cioè a quella forma di capitalismo che si va affermando in primis in Cina.
    Si tratta di un modello che non consente un totale dispiegamento delle forze di mercato, tipico delle società aperte occidentali. Al contrario, la sua struttura favorisce posizioni di monopolio od oligopolio da parte di imprese pubbliche o di fondi sovrani, che si avvantaggiano della forza politica dei rispettivi Stati di provenienza per acquisire all’estero crescenti posizioni sui mercati internazionali.
    Lo Stato e le imprese pubbliche ad esso riconducibili, mettono dunque in campo, in modo sinergico, forza politica e forza economica al fine di perseguire l’obiettivo di una maggiore ricchezza nazionale per assicurare il benessere per i propri cittadini.
    In questo contesto, è di pochi giorni fa la notizia che il fondo sovrano cinese China Investment Corporation, con un esborso di circa 850 milioni di Euro, ha acquisito una quota di minoranza in Thames Water, il maggiore operatore idrico britannico. Tra i contributi recenti sull’argomento, molto interessante, al fine di inquadrare con puntualità e rigore il fenomeno in atto, è il libro di Nunziante Mastrolia “La grande transizione”, che affronta il tema della crisi del capitalismo, come si è venuto sviluppando negli ultimi decenni. Come ben argomentato da Mastrolia, il Capitalismo di Stato è una delle conseguenze del tentativo da parte delle potenze emergenti, come la Cina, di modificare l’ordine esistente nel mondo dalla fine della seconda guerra mondiale. In particolare, l’acquisizione di imprese ed infrastrutture europee rientrerebbe nella strategia del governo cinese di sfuggire non solo alla svalutazione del dollaro e dei Titoli di Stato americani, ma anche di accrescere la propria sfera di influenza nelle altre economie occidentali. La Cina si sgancerebbe così’ dal filo doppio che la tiene legata agli Stati Uniti attraverso il possesso di una enorme massa di Titoli del debito pubblico USA che, se svalutata, comporterebbe gravi ripercussioni sociali in Cina e, probabilmente, la caduta della classe dirigente.
    Come noto, negli ultimi anni, la Cina ha fatto credito agli USA, in misura veramente generosa, per favorire le esportazioni cinesi. Con l’obiettivo di conseguire un maggiore benessere all’interno e, per tale via, la legittimazione, sia pure non democratica , della classe dirigente cinese.
    La minaccia degli USA di onorare i propri debiti semplicemente stampando dollari, con la conseguente svalutazione dei titoli detenuti dai creditori, impone alla Cina di trovare alternative agli investimenti in dollari. Di qui la disponibilità del gigante asiatico ad acquistare titoli di Stato dei Paesi europei in temporanea difficoltà. Una politica di acquisizioni che in qualche misura risulta funzionale anche agli interessi economici tedeschi. Il soccorso asiatico ai Paesi europei, libera in qualche misura Berlino dall’onere di correre in aiuto dei Paesi dell’Unione che si trovano in situazioni finanziarie difficili, pur consentendo alla Germania di continuare a professare la sua ortodossia monetaria. Ma visto che, con la politic a monetaria recentemente inaugurata da Draghi, sono cresciute le aspettative di inflazione anche nell’Eurozona, la Cina ha rivolto la sua attenzione anche all’acquisizione di infrastrutture e di imprese europee, che mettono la sua economia maggiormente al riparo dalla svalutazione del cambio rispetto alla acquisizione dei titoli di Stato.
    Ma non solo. Infatti, con questa strategia la classe dirigente sembra voler dire all’Occidente: attenzione, se svalutate troppo le vostre valute e mettete in difficoltà la tenuta del fronte interno cinese, io a mia volta intervengo sulle vostre “utilities” dal momento che possiedo gli strumenti per esportare e introdurre il caos anche nella vostre società. Ad esempio rincarando i costi per l’energia e gli altri beni di prima necessità.

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