domenica 23 febbraio 2014

IL FUTURO è sulle spalle dei giovani di Ugo Arioti



IL FUTURO è sulle spalle dei giovani

Una volta si diceva”largo ai giovani sono il futuro della Nazione”. Oggi, in un Europa sempre più “vecchia”, con un debito pubblico che rasenta i 12 mila miliardi di Euro la parola d’ordine del Sistema capitalistico-finanziario globale è fate pagare ai giovani il debito pubblico. In Italia una famiglia oltre alle tasse che già paga dovrebbe aggiungere una rata di 550 euro al mese al tasso del 5% per cent’anni! E la Politica? In un sistema finto democratico, in realtà pilotato da una dittatura finanziaria, come si può far politica. Non ci sono spazi di manovra così compressi dal debito pubblico costruito ad arte dai Poteri forti per gestire il potere. Allora mi viene in mente quello che è successo in Islanda e che i nostri telegiornali, foraggiati dai Poteri Forti, si guardano bene dal raccontare. Stavo leggendo una rivista (GEO 05/2013), lasciata in un tavolino d’attesa e ricordavo di aver già scritto su questo blog qualcosa che riguarda la CRISI che l’Islanda ha affrontato per primo e dalla quale è uscito grazie alla capacità di reinventarsi uno scenario giusto mettendo al bando quelle che erano state le cause, prima del gonfiamento artificiale dell’economia islandese e poi della sua caduta verticale: LE BANCHE.
“ L’Islanda, la prima Nazione europea precipitata nella crisi finanziaria, è anche la prima a riprendersi grazie alla nuova generazione che si è rimboccata le maniche, ha ribaltato il Paese e cacciato l’elitè (in Italia leggi CASTA) dalle Istituzioni. L’ex Presidente del Consiglio è stato portato in tribunale, I DEBITI CANCELLATI ….
Guarda caso con la crisi un indice che stava, anche in quel Paese nordico, andando giù ha cominciato la sua risalita, INCREMENTO DELLE NASCITE, li chiamano Kreppa babies( bambini della crisi).
Cioè il fallimento del sistema capitalistico e la sua riduzione alla radice funzionale delle necessità dell’uomo porta al bene collettivo e ad una NUOVA NATURALITA’ della vita. Si è passati da un terziario inutile e dannoso ad un artigianato delle idee che ha fatto riscoprire il valore di antiche pratiche e mestieri utili all’uomo e non alla PRODUZIONE fine a se stessa e che ormai è sempre più in crisi perché scavalcata dalla SPECULAZIONE FINANZIARIA che uccide, solo per far denaro, più di centomila aziende all’anno nel vecchio continente. Ma scusate centomila aziende, mettiamo, per summa di ottimismo, con una cinquantina di addetti e un centinaio di altri operatori dell’indotto non sono 15 milioni di persone che debbono ricorrere al sostegno, quando c’è, dello Stato o sono sul lastrico? Ma questo può interessare a chi deve ACCUMULARE CAPITALI ( I banchieri ebreo-tedeschi e le Nazioni forti come la Cina o l’India)?
C’è un'altra cosa che dobbiamo valutare, è l’invecchiamento della popolazione che genera una (finta) pace sociale continua perché le società che invecchiano sono meno propense a mutamenti rivoluzionari, l’Europa è composta da 23 delle 25 nazioni più “vecchie” del Mondo. Capite bene che quello che ci sforziamo di dire sul fatto che abbiamo bisogno di giovani anche, forse soprattutto, di quelli che vengono da Nazioni povere, ACCOGLIERE E FORMARE GLI IMMIGRATI piuttosto che cercare di ricacciarli indietro, è una delle ricette possibili per un rinnovamento della popolazione e perché l’Italia possa avere un futuro multirazziale.
Insomma dobbiamo rifare un Paese di giovani e non di vecchi se vogliamo continuare ad esistere, vi sembra poco?
Continueremo ad analizzare nei Paesi del vecchio continente i movimenti giovanili che in spagna gridano di non volere pagare il debito che hanno messo sulle loro spalle mentre in Islanda hanno CANCELLATO, trasformando la Bankastaeti di Reykjavik ( la vecchia strada delle banche, ormai sparite) nella via delle boutique e delle librerie!


sabato 22 febbraio 2014

EPILOGO O PREFAZIONE?



Il giovane rottamatore è arrivato al quid! Con un fogliettino di nomi è salito al colle e ha cominciato il suo iter istituzionale  ... tutto, sembra, come sempre. Metà dell'età della media degli ultimi dieci governi, metà donne, e l'altra metà? Cosa ci racconterà adesso per farci scordare le bugie ( Berlusca docet) che ci ha raccontato per arrivare alla poltrona di SINDACO D'ITALIA.
Registriamo che la riduzione del numero delle poltrone dei ministri è già un piccolo risparmio se non sarà contrappassato da un nugolo di sottopoltrone, ma, al di là delle parole, siamo, ora, alla prova dei fatti e dopo la sceneggiata delle consultazioni e dopo aver assistito all'imposizione di posizioni chiave fatta da parte dei "SOLITI POTERI FORTI DELLA FINANZA", ci aspettiamo un cambio di passo che a molti appare quasi impossibile con questa squadra, ma allo stesso modo, ci auguriamo per il Popolo Italiano che questo Sindaco d'Italia sia veramente uno che mette insieme, nell'agenda di governo, l'Italia che LAVORA PER VIVERE e quella che VIVE SUL LAVORO DEGLI ALTRI.
Se sarà un epilogo o una prefazione questo lo vedremo presto, ma speriamo che con un "Sindaco" la Piazza sia entrata a Montecitorio, veramente e non solo per far da massa critica e da materia di lavoro per talk show televisivi!
W l'Italia e W Verdi!
Ugo Arioti

giovedì 20 febbraio 2014

Il nuovo vecchio premier del Partito delle Banche e della Finanza





La diretta streaming Grillo - Renzi catalizza il dialogo sul niente che viene in maniera ossessiva ripetuto in tutti i TG e talk show televisivi sulla politica, quella con la “p” minuscola. Si formano i due settori del campo, ma alla fine nessuno cerca di spiegare le verità che sono emerse da questa sceneggiata i cui contendenti sapevano già come sarebbe cominciata e come sarebbe finita. Ma c’e un altro attore che, pur non andando in streaming, ha recuperato il suo colorito e il vecchio smalto: Berlusconi.
Tre attori, nessuno dei quali legittimato dalle leggi e dalla Costituzione della martoriata Repubblica Italiana, hanno mandato in onda la sceneggiata del potere che cerca di darsi un volto accettabile e telegenico. Ma era tutto già stabilito. Berlusconi appoggerà Renzi per far fuori i suoi “inutili idioti ex alleati” e ricondurre il gioco alle sue regole, quelle del Capitale e della logica imperante la Dittatura mediatica. Renzi voleva far vedere a quelli che dentro il suo partito ancora hanno una radice ideologica e democratica che non si sottrae al confronto, ma allo stesso tempo, gli serviva il teatrino con Beppe per lanciare a quei Poteri Forti ( le Banche e la Finanza, i veri padroni) il recepimento della direttiva, messa a memoria, che non ha nessun interesse a chiedere un appoggio al movimento 5 stelle. A Grillo? Al Movimento 5 stelle? Il referendum in rete gli da la possibilità di riaffermare la ragion di Stato del movimento. In poche parole smaschera Renzi, che prima di posare il suo sedere su una sedia così alta gridava contro i Poteri forti e ora invece è proprio lui “l’UTILE IDIOTA” di questi Poteri Forti. Ma, la gente che voleva che Grillo andasse a parlare con Renzi, certamente, aveva anche un'altra opzione e cioè quella di vedere un attivismo e una mano tesa verso un cambiamento.
Ma quale cambiamento è possibile e sarà possibile con Renzi? Dubito, fortissimamente dubito!
Ugo Arioti

martedì 18 febbraio 2014

L'Ucraina nella bufera della guerra civile (come la Siria)


La guerra per la conquista del mito “Europa”



L’Ucraina precipita di nuovo nello scontro totale tra le fazioni della protesta antigovernativa e la polizia. A Kiev, dopo alcuni giorni di tregua, è stato un martedì di vera e propria guerriglia. Con il più tragico bilancio finora registrato dall’inizio della protesta: le vittime, a sera, sono almeno 20. Si stringe la morsa del Cremlino intorno alla Nazione satellite. Il blocco sovietico non ammette la secessione della nazione ucraina. Intanto, le Nazioni Unite stanno a guardare e la Germania getta tizzoni accesi per rinfocolare la rivendicazione del popolo ucraino verso un domani “migliore” in Europa. Non è il momento di chiedersi se sia giusto o sbagliato, vista la decadenza delle democrazie del vecchio continente, ma è giusto e legittimo che una Nazione scelga autonomamente il suo avvenire, salvo poi a trovarsi “dalla padella nella brace ( vedi Grecia). Intanto solidarizziamo con il popolo ucraino che è costretto da un Presidente con poteri da dittatore a vivere e subire la crisi economica pagando tassa alla Russia di Putin che, come nelle migliori dittature che l’Europa ha conosciuto, emette Leggi razziali e limita la libertà dei suoi stessi cittadini. Tante le contraddizioni e tante le domande, ma ora è il momento della solidarietà con chi soffre e con chi va a morire per dare ai propri figli una speranza. Vorremmo vedere in questa gara di solidarietà che le Nazioni Unite facessero sentire la voce del Mondo, ma siamo convinti che per l’ONU gli ucraini, come il martoriatissimo e stremato popolo siriano, purtroppo, sono merce di scambio.

Ugo Arioti

lunedì 17 febbraio 2014

Il dirigente scrive alla Regione ( da Livesicilia.it)


La lettera

Il dirigente scrive alla Regione:
"Per favore, fatemi lavorare"

Sabato 15 Febbraio 2014 - 18:12 di Accursio Sabella
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Ugo Arioti, uno dei 1.800 dirigenti regionali racconta la propria storia, al limite del paradosso: "Sono parcheggiato all'assessorato Famiglia. Non ho alcun incarico. Ho risposto a tutti gli atti di interpello. Ma si preferisce scegliere gli 'amici".

PALERMO - Quindici pagine di curriculum per chiedere alla Regione: “Per favore, fatemi lavorare”. Un dirigente regionale scrive al nostro giornale. Ha appena letto la notizia che riporta l'avviso pubblicato dall'amministrazione alla ricerca di esperti esterni nel settore dei trasporti. Ma Ugo Arioti, dirigente del dipartimento Famiglia, racconta: “Ho risposto a tutti gli atti di interpello, ho scritto per ricevere un incarico. E invece, resto parcheggiato qui in assessorato”.

“Credo – scrive il dirigente alla nostra redazione - che in una fase come questa, in cui c'è un gran bisogno che l'apparato amministrativo regionale funzioni per rilanciare e seguire, direi anche accompagnare, lo sviluppo socio-economico regionale, non ci si possa permettere di mettere in posteggio centinaia di dirigenti che hanno sempre svolto la loro attività istituzionale con il massimo impegno e con la consapevolezza del ruolo svolto, impermeabili a qualsiasi compromesso per fare carriera. Io – racconta Arioti - nel 1991 sono entrato in Regione e ho sempre fatto quello che era possibile e impossibile, talvolta, fare con quello che l'amministrazione mi metteva a disposizione in risorse umane e attrezzature. Ho sviluppato programmi e software ancora oggi in uso e faccio parte della "società degli innovatori della P.A."”.

Ma alla Regione, a quanto pare, le competenze del dirigente, ripercorse in un chilometrico curriculum vitae, non servono. “Questa guida politica della Regione – spiega sempre il dirigente - non solo è sorda e cieca alla meritocrazia e preferisce 'l'amico', ma è del tutto priva di coscienza organizzativa e di organizzazione del lavoro. Così non va avanti una Regione a Statuto Speciale e, cosa ahimè più grave, si lasciano ampi spazi di manovra alle speculazioni mafiose e al qualunquismo”.

La lettera al nostro giornale, a dire il vero, è solo l'ultimo “passo” compiuto dal dirigente, che pochi giorni fa aveva inviato una chiarissima, seppur pacata, richiesta a Gianni Silvia, capo di gabinetto del presidente della Regione Crocetta. “Mi chiamo Ugo Arioti e faccio parte della dirigenza della Regione Siciliana, in atto mi trovo senza contratto o proposta di contratto presso il Dipartimento della Famiglia”. Così inizia la nota inviata a Silvia. “Non ho ricevuto – prosegue - alcuna indicazione in merito alla decisione di affidare ad interim l'Unità di Staff di cui ero responsabile (UMC Unità di staff n°2 - Famiglia) e, pur avendo risposto a tutti gli atti di interpello possibili, ancora oggi, mi trovo, con grave danno per l'amministrazione, posteggiato presso il dipartimento Famiglia dal quale le sto scrivendo e dal quale non ho ricevuto, nonostante la mia richiesta, anche formale, nessuna indicazione o incarico altro”.
Il dirigente sta lì, quindi. Parcheggiato. Nonostante non ne abbia alcuna voglia. E nonostante avesse risposto a tutti i tentativi con i quali la Regione ha cercato professionalità interne all'amministrazione stessa. “La mia inattività – prosegue Arioti - è improduttività per l'apparato amministrativo. Non volendo entrare nel merito delle responsabilità del Centro di Responsabilità al quale appartengo e avendo sempre dato il mio contributo all'organizzazione e allo sviluppo delle attività istituzionali affidatemi, Le chiedo, di grazia, di leggere il mio curriculum e ove Ella lo ritenesse opportuno e utile, di affidarmi un incarico permettendomi di dare il mio modesto contributo allo svolgimento delle attività istituzionali. Non le sto chiedendo – prosegue Arioti - di rivestire incarichi più remunerativi del mio, perché mi rimetto alla sua visione e alle istanze utili e importanti che l'amministrazione può affidare ad un architetto e che Ella certamente meglio di me ha la capacità di stabilire e organizzare”. Come dire, in una frase, “cara Regione, per favore, fammi lavorare”.
 
Aggiungo solo una cosa: Mio nonno, buon anima mi ripeteva sempre: Il Pesce puzza dalla testa.
Se non ci organizziamo per fare argine a questa marea di fango i nostri figli non avranno altra speranza che espatriare.
Ugo Arioti

 

giovedì 13 febbraio 2014

Italia leader del bio in Europa: un miliardo di export, tre di giro d'affari


Italia leader del bio in Europa: un miliardo di export, tre di giro d'affari

 
I consumi alimentari scendono del 3,7% ma gli alimenti senza pesticidi salgono del 9%. Apre la più importante fiera mondiale del settore: 400 espositori italiani al Biofach di Norimberga. 1,2 milioni di pasti bio nelle mense delle scuole
di ANTONIO CIANCIULLO
IL MERCATO dell’alimentare cala, il bio sale a razzo. Secondo una ricerca elaborata da Aiab (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica) sulla base di indagini della Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica e su rilevazioni Ismea Gfk-Eurisko, in Italia nel primo semestre 2013 c’è stata una diminuzione del 3,7% dei consumi alimentari convenzionali, ma la crescita del biologico ha sfiorato il 9%.
I record ormai consolidati del settore (50 mila operatori, 1,2 milioni di ettari coltivati, 3 miliardi di euro di giro d’affari), si stanno inoltre trasformando in una forte spinta per l’export: l’Italia ha conquistato la leadership in Europa per le esportazioni di prodotti biologici (valgono oltre un miliardo di euro). "Si tratta di numeri che evidenziano da parte dei consumatori un forte aumento di interesse, di informazione, di attenzione e quindi di domanda", commenta Vincenzo Vizioli, presidente di Aiab. "E’ un’opportunità che va sfruttata fino in fondo perché apre scenari di sviluppo per il nostro sistema agroalimentare e per l’insieme del made in Italy: il bio non è solo alimentazione ma anche cultura, territorio, innovazione, sostenibilità, etica".
Significativa la crescita del consumo di alimenti biologici nelle scuole italiane: secondo una recente ricerca Nomisma/Pentapolis, le mense sostenibili sono aumentate, in cinque anni, del 50%, con quasi 1,2 milioni di pasti bio consumati annualmente. Con questi numeri l’Italia si presenta in buona posizione alla più importante fiera mondiale del biologico, il Biofach di Norimberga (12-15 febbraio), a cui quest’anno parteciperanno 2.400 espositori e 40.000 operatori: l’appuntamento può essere l’occasione per consolidare il nostro primato. Dall’Italia arriveranno 400 espositori per cercare di ampliare un mercato che già oggi vede la Germania come principale acquirente dei nostri prodotti: soprattutto ortofrutta, sia fresca che trasformata, seguita da vino (quello biologico ha avuto una forte crescita negli ultimi anni), olio e altri prodotti dal forte carattere made in Italy, come la pasta.

mercoledì 12 febbraio 2014

Marco Pantani remember

A dieci anni dalla sua tragica morte, in assoluta solitudine, vogliamo ricordare il campione e l'uomo, con la semplicità di chi ha gridato il suo nome per le strade di Italia senza coprirsi il volto e, che nella pur triste vicenda dell'uomo, ha visto sempre la legenda del ciclismo italiana che continuava da Coppi e Bartali ai nostri giorni. Come è nostra consuetudine lo ricorderemo senza retorica, con il nostro sincero affetto, con alcune icone che ne segnao il percorso, la scia di una cometa che si è spenta nel sonno della ragione in un "inutile Motel". Ciao Marco ...
 
Ugo Arioti
 






 

martedì 11 febbraio 2014

L'angolo del buon umore....uhm!?!

di Altan:

Chi specula sui profughi


Inchiesta
Cerchiamo di capire come funziona la macchina dell'accoglienza in Italia, sappiamo che ci sono profughi di serie A e di serie B, sappiamo che un fiume di denaro si muove dietro le quinte e che entro il 2020 saranno più di tre milioni di individui quelli in fuga dalla fame e da situazioni di imraticabilità civile dei loro Paesi e ......

Chi specula sui profughi

Un miliardo e 300 milioni: è quello che ha speso finora lo Stato per assistere le persone fuggite da Libia e Tunisia. Un fiume di denaro senza controllo. Che si è trasformato in business per albergatori, coop spregiudicate e truffatori

di Michele Sasso e Francesca Sironi  ( L'Espresso @2012)


Erano affamati e disperati, un'ondata umana in fuga dalla rivoluzione in Tunisia e dalla guerra in Libia: fra marzo e settembre dello scorso anno l'esodo ha portato sulle nostre coste 60 mila persone. Profughi, accolti come tali dall'Italia o emigrati in fretta nel resto d'Europa: solo 21 mila sono rimasti a carico della Protezione civile. Ma l'assistenza a questo popolo senza patria è stata gestita nel caos, dando vita a una serie di raggiri e truffe. Con un costo complessivo impressionante: la spesa totale entro la fine dell'anno sarà di un miliardo e 300 milioni di euro. In pratica: 20 mila euro a testa per ogni uomo, donna o bambino approdato nel nostro Paese. Ma i soldi non sono andati a loro: questa pioggia di milioni ha alimentato un suk, arricchendo affaristi d'ogni risma, albergatori spregiudicati, cooperative senza scrupoli. Per ogni profugo lo Stato sborsa fino a 46 euro al giorno, senza verificare le condizioni in cui viene ospitato: in un appartamento di 35 metri quadrati nell'estrema periferia romana ne sono stati accatastati dieci, garantendo un reddito di oltre 12 mila euro al mese.

IN NOME DELL'EMERGENZA. Ancora una volta emergenza è diventata la parola magica per scavalcare procedure e controlli. Gli enti locali hanno latitato, tutto si è svolto per trattative privata: un mercato a chi si accaparrava più profughi. E il peggio deve ancora arrivare. I fondi finiranno a gennaio: se il governo non troverà una soluzione, i rifugiati si ritroveranno in mezzo alla strada. In Italia sono rimaste famiglie africane e asiatiche che lavoravano in Libia sotto il regime di Gheddafi. La prima ondata, composta soprattutto da giovani tunisini, ha preso la strada della Francia grazie al permesso umanitario voluto dall'allora ministro Roberto Maroni. Ma quando Parigi ha chiuso le frontiere, lo stesso Maroni ha varato una strategia federalista: ogni regione ha dovuto accogliere un numero di profughi proporzionale ai suoi abitanti (vedi grafico a pag. 39). A coordinare tutto è la Protezione civile, che da Roma ha incaricato le prefetture locali o gli assessorati regionali come responsabili del piano di accoglienza. Ma, nella fretta, non ci sono state regole per stabilire chi potesse ospitare i profughi e come dovessero essere trattati. Così l'assistenza si è trasformata in un affare: bastava una sola telefonata per venire accreditati come "struttura d'accoglienza" e accaparrarsi 1.200 euro al mese per ogni persona. Una manna per centinaia di alberghi vuoti, ex agriturismi, case-vacanze disabitate, residence di periferia e colonie fatiscenti.

IL MERCATO DEI RIFUGIATI. Dalle Alpi a Gioia Tauro, gli imprenditori del turismo hanno puntato sui rifugiati. A spese dello Stato. Le convenzioni non sono mai un problema: vengono firmate direttamente con i privati, nella più assoluta opacità. Grazie a questo piano, ad esempio, 116 profughi sono stati spediti, in pantaloncini e ciabatte, dalla Sicilia alla Val Camonica, a 1.800 metri di altezza. I proprietari del residence Le Baite di Montecampione non sono stati i soli a fiutare l'affare. Anche nella vicina Val Palot un politico locale dell'Idv, Antonio Colosimo, ne ha ospitati 14 nella sua casa-vacanze, immersa in un bosco: completamente isolati per mesi, non potevano far altro che cercare funghi. I più furbi hanno trattato anche sul prezzo. La direttiva ufficiale, che stabilisce un rimborso di 40 euro al giorno per il vitto e l'alloggio (gli altri 6 euro dovrebbero essere destinati all'assistenza), è arrivata solo a maggio. Nel frattempo, la maggior parte dei privati aveva già ottenuto di più. Gli albergatori napoletani sono riusciti a strappare una diaria di 43 euro a testa. Non male, se si considera che in 22 alberghi sono ospitate, ancora oggi, più di mille persone. «La domanda turistica al momento degli sbarchi era piuttosto bassa», ammette Salvatore Naldi, presidente della Federalberghi locale. La Protezione civile prometteva che sarebbero state strutture temporanee. Non è andata così: solo all'Hotel Cavour, in piazza Garibaldi, di fronte alla Stazione centrale, dormono tutt'ora 88 nordafricani. Le stanze, tanto, erano vuote: i viaggiatori si tengono alla larga, a causa dell'enorme cantiere che occupa tutta la piazza. Ma grazie ai rifugiati i proprietari sono riusciti lo stesso a chiudere la stagione: hanno incassato quasi 2 milioni di euro.
I richiedenti asilo però non sono turisti, ma persone che hanno bisogno di integrarsi. La legge prevede che ci siano servizi di mediazione culturale, che sono rimasti spesso un miraggio o sono stati appaltati a casaccio:«A Napoli sono spuntate in pochi mesi decine di associazioni mai sentite nominare», denuncia Jamal Qadorrah, responsabile immigrazione della Cgil Campania: «Ogni albergatore poteva affidare i servizi a chi voleva, nonostante ci sia un albo regionale degli enti competenti. Tutti, puntualmente, ignorati». Non solo. «A luglio di quest'anno abbiamo organizzato un incontro fra il Comune e gli albergatori», racconta Mohamed Saady, sindacalista della Cisl: «Diverse strutture non avevano ancora un mediatore». Ed era passato più di un anno dall'inizio dell'emergenza.

I FURBETTI DEL MONASTERO. Il business dei nuovi arrivati non ha lasciato indifferenti nemmeno i professionisti della solidarietà. Cooperative come Domus Caritatis, che gestisce otto comunità solo a Roma. Anche i suoi centri sono finiti nel mirino di Save The Children e del garante dell'infanzia e dell'adolescenza del Lazio. Dopo numerose segnalazioni l'ong è andata a controllare 14 strutture della capitale che si fanno rimborsare 80 euro al giorno per l'accoglienza di minori stranieri non accompagnati. Il risultato è un rapporto inquietante, presentato a maggio alla Protezione civile e al Viminale, che "l'Espresso" ha esaminato. Si parla di sovraffollamento, ma soprattutto di senzatetto quarantenni fatti passare per ragazzini scappati dalla Libia. Durante l'indagine sono stati intervistati 145 profughi. «Più di cento erano palesemente maggiorenni», denuncia l'autrice del rapporto, Viviana Valastro: «Quelli che avevo di fronte a me erano adulti. Altro che diciassettenni. Non posso sbagliarmi». Non solo. «Molti di loro erano in Italia da tempo, non da pochi mesi. Alcuni arrivavano dagli scontri di Rosarno».
Doppia truffa insomma: sull'età e sulla provenienza, per avere un rimborso più che maggiorato e intascare milioni di euro. Tutto questo da parte di una cooperativa strettamente legata all'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone e a La Cascina, la grande coop della ristorazione che tre anni fa è stata al centro di un'inchiesta per il tentativo di entrare nella gestione dei cpt. Save The Children non è stata la sola a denunciare la situazione romana. Anche il presidente della commissione capitolina per la sicurezza, Fabrizio Santori, esponente del Pdl, ha dovuto occuparsi di Domus Caritatis. La cooperativa infatti gestiva una comunità che dava grossi problemi al vicinato, da cui arrivavano continue proteste. Santori l'ha visitata e si è trovato davanti ad alloggi di 35 metri quadri abitati da 10 persone. Peggio che in un carcere. Eppure gli appartamentini di via Arzana, a metà strada fra Roma e Fiumicino, più vicini all'aeroporto che alla città, permettevano di incassare più di 12 mila euro al mese.
Save The Children ha calcolato che in strutture di questo tipo, nella capitale, vivono quasi 950 persone. Dati incerti, perché solo cinque cooperative hanno accettato di fornirli. Domus Caritatis, dalla sua sede all'abbazia trappista delle Tre Fontane, non ha voluto dare alcuna informazione. Il dossier dell'ong internazionale descrive un caos assoluto: mancanza di responsabili, nessun servizio di orientamento e accompagnamento legale, strutture inadeguate.

ACCOGLIENZA ALLA MILANESE. Al Nord la situazione non cambia. A Milano si registrano casi come quello della ex scuola di via Saponaro, gestito dalla Fondazione Fratelli di San Francesco d'Assisi, che ha accolto 150 rifugiati. Ospitati in una comunità per la cura dei senzatetto, l'accoglienza dei minori e degli ex carcerati: 400 persone, con esigenze diverse, costrette a vivere sotto lo stesso tetto in una vecchia scuola. «Le condizioni sono orribili: 10-12 letti per ogni camerata. E pieni di pidocchi e pulci», racconta un ragazzo ancora ospite. Le stanze sono inadatte perché costruite per ospitare alunni, non profughi, né tantomeno clochard che vivono in strada. «Un contenitore della marginalità sociale dove sono frequenti le risse: nigeriani contro kosovari, ghanesi contro marocchini e la lista dei ricoverati in ospedale si allunga ogni giorno», racconta chi è entrato tra quelle mura. Anche il personale è ridotto al minimo con pochi mediatori culturali (che spesso sono ex ospiti che non disdegnano le maniere forti per mantenere l'ordine), un solo assistente sociale e una psicologa per dieci ore alla settimana. Troppo poche per chi ha conosciuto gli orrori della guerra, le botte della polizia libica e porta sulla propria pelle i segni delle violenze. Anche i disturbi psichici abbondano, insieme all'alcolismo dilagante.

A sette chilometri dai frati, 440 profughi hanno trovato alloggio a Pieve Emanuele, estrema periferia Sud di Milano. Qui sono stati ospitati nel residence Ripamonti, di proprietà del gruppo Fondiaria Sai, appena passata sotto il controllo di Unipol ma all'epoca saldamente in mano a Salvatore Ligresti. I clienti abituali dell'albergo sono poliziotti, guardie del vicino carcere di Opera o postini, che non bastano a riempire i 4 mila posti letto dell'albergo. Grazie all'emergenza però nelle settimane di massimo afflusso sono entrati nelle casse di Fonsai oltre 600 mila euro al mese. Vacanze forzate in alloggi confortevoli (le camere sono dotate anche di tivù satellitare) ma dove sono mancati completamente i corsi per imparare l'italiano o l'assistenza legale e psicologica. «Si poteva trovare una sistemazione più modesta e investire in altri sussidi» dice, banalmente, un ragazzo del Ghana. Oggi a Pieve Emanuele sono rimasti in 80. Ma nel frattempo al residence sono andati quasi sette milioni di euro.

PER UN PIATTO DI RISO. Lo Stato ha speso per l'emergenza 797 milioni di euro nel 2011 e altri 495 milioni nel 2012. Solo una parte è servita per l'accoglienza: centinaia di milioni di euro sono finiti in tendopoli, spostamenti, trasferte, rimborsi agli uffici di coordinamento. Fondi di cui si è persa la traccia. E sì che proprio per il buon uso dei soldi pubblici era stato istituito un "Gruppo di monitoraggio e assistenza", con il compito di visitare le strutture e segnalare i casi critici. Ma della task force degli ispettori dopo pochi mesi non si è saputo più nulla. «Noi facevamo parte del progetto ma da ottobre 2011 non siamo più stati convocati. Considerando che è partito ad agosto, il gruppo è durato meno di tre mesi», spiega a "l'Espresso" Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: «È mancato completamente il controllo da parte delle regioni e delle prefetture». La Corte dei conti della Calabria è andata oltre: ha messo nero su bianco che le convenzioni sottoscritte nella regione sono illegittime, perché non sono state sottoposte al controllo preventivo della Corte, obbligatorio anche nell'emergenza. Non solo. I giudici contabili di Catanzaro definiscono "immotivata" la diaria: 46 euro al giorno sono troppi. E pensare che in provincia di Latina sono riusciti a intascarseli quasi tutti spendendo solo 5 euro al giorno, per garantire a 75 profughi un misero piatto di riso. I cinque avidi gestori della cooperativa Fantasie sono stati arrestati dai carabinieri di Roccagorna. Insospettiti dall'aumento di stranieri in paese, i militari sono arrivati ad un casolare dove hanno trovato 46 persone alloggiate in 70 metri quadri. Nonostante il blitz la cooperativa ha continuato a ricevere i contributi della Regione Lazio per altri sei mesi: una truffa da 400 mila euro. Con le stesse risorse Aurelio Livraghi, volontario della Caritas di Magenta, in provincia di Milano, è riuscito a fare tutt'altro. «Milioni di italiani vivono con 1.200 euro al mese, perché loro no?». Osservazione semplice. Di un pensionato, che ha dedicato ai 35 profughi arrivati in paese le sue giornate. Persone oggi indipendenti: pagano un affitto, fanno la spesa, quattro di loro hanno già un lavoro. Recitano anche in teatro. Una vita normale: altro che emergenza. E quando finiranno i fondi? «Potranno andare avanti almeno un po' perché sono riuscito a fargli mettere da parte dei risparmi». Non era difficile, sarebbe bastato un minimo di organizzazione. E di umanità.

 

sabato 8 febbraio 2014

Svizzera: mafia italiana è una minaccia reale

Svizzera: mafia italiana è una minaccia reale 


Quando si parla di Mafia si intende un organizzazione che stava in Sicilia, chiamiamola sede “legale”, che poi è stata esportata in America e che oggi è diffusa in tutta Italia e nei Paesi della Comunità Europea. Fuori da questo giro è stata, da sempre, ubicata La Svizzera, ma neanche nel florido e moderno Stato con cantonale confinante con la Lombardia dei “leghisti tutti d’un pezzo”, magari sposati con siciliane o proprio di origini familiari sicule, qualcuno, dopo anni di discrezione e di “connivenza civile”, si è accorto che non è tutto oro quello che luccica. E così, nel suo rapporto annuale, l’Ufficio federale di polizia mette in guardia contro la minaccia generata dall’insediamento della mafia italiana in Svizzera.
LUGANO (WSI) - Il crimine organizzato è una minaccia reale anche in Svizzera. La mafia italiana soprattutto vi ricicla denaro proveniente dai suoi traffici e usa la Svizzera come zona di ripiego o come base logistica per le sua attività. Nel suo rapporto annuale l’Ufficio federale di polizia lancia l’allarme.
Secondo questo ufficio, alcune organizzazioni mafiose giocano in Svizzera un ruolo determinante da anni, anche nel settore della criminalità di base. Praticano il traffico di droga e di armi, il brigantaggio e le estorsioni di fondi.
Per molto tempo la popolazione e le autorità non avevano stabilito un nesso fra queste attività criminali e la mafia italiana, a causa della discrezione con cui operavano i mafiosi, ha ammesso l’Ufficio di polizia nel suo rapporto.
I membri presunti di diversi clan mafiosi italiani si trovano soprattutto nelle regioni di frontiera con l’Italia e la Germania.


Redazione Secem

giovedì 6 febbraio 2014

Petru Fudduni


Petru Fudduni:
un poeta popolare nella Palermo del XVII secolo

 


Poeta palermitano arguto e salace, di notevole rinomanza popolare, Petru Fudduni (o Pietro Fullone che sia) visse nel XVII secolo, svolgendo l’umile mestiere di tagliapietre (o meglio: di intagliatore di pietre), nel quale eccelse. Fu anche, per qualche tempo, marinaio in una nave regia. La pietra si attaglia alla fierezza del suo temperamento ed egli stesso ne fece qua e là riferimento, peraltro esplicitamente cantandola in una poesia che comincia «O petra disprizzata». La perizia nel suo abituale lavoro non gli consentì una vita agiata, ma la povertà non lese mai la sua dignità né depotenziò la sua ironia e il suo esprit moqueur. Della sua vita si conosce poco e quel che si conosce è in parte impreciso o incerto, tanto da prestarsi alle più svariate interpretazioni. Resta ignota, ad esempio, la data di nascita (si suppone nel 1600 o nei primissimi anni del secolo) e, in quanto alla famiglia di provenienza, si hanno contrastanti notizie: forse era figlio d’ignoti o, più credibilmente, il terzo di sette figli sopravvissuti (di una prole di nove) di un tal Alfio Fullone, catanese, e della palermitana Ninfa Tuzzolino. Della sua morte si conosce invece l’esatta data: il 22 marzo del 1670 e il luogo in cui fu sepolto: la chiesa di Santa Maria dell’Itria. Se ne ignorano le fattezze. La sua esistenza è stata attraversata (se ne trovano riscontri nelle sue opere) da due rilevanti avvenimenti nella storia della città e dell’isola. Il primo riguarda la grave pestilenza che insorse nel 1624, anno in cui furono rinvenute, sul Monte Pellegrino, le ossa di una santa vergine, Rosalia, che indusse i palermitani a considerare dovuta a sua intercessione la cessazione del morbo nel corso del 1625. Durante tale epidemia morì una sorella del poeta: Cristina. Il secondo avvenimento riguarda la rivolta popolare palermitana del 1647, guidata da un «Masaniello» locale: il battiloro Giuseppe D’Alesi, la cui testa finì su una picca. Il suo cognome pare piuttosto un soprannome: «Fudduni», da “foddi”, letteralmente «gran folle», pazza. E dato che stravagante e bizzarro fu davvero il personaggio, se ne possono cavare alcune considerazioni: se «Fudduni» fosse cognome, sarebbe la migliore illustrazione del nomen omen dei latini; se fosse soprannome, non potrebbe che derivare dalla personalità del soggetto, dal suo modus essendi, nel qual caso risulterebbe ignoto anche il vero nome, assieme alle origini e alla data di nascita. Egli stesso si presenta così: Iu su’ lu Petru chiamatu Fudduni; […] fudduni nun è foddi né minnali. Tali asserzioni non sciolgono l’enigma: se da un lato egli dice di essere quel Pietro «chiamato» Fudduni (il verbo lascerebbe pensare al nomignolo), dall’altro soggiunge che «fudduni» non va inteso né come «folle» né come «stupido», il che lascerebbe supporre che quello fosse realmente il suo cognome. Altra ipotesi è che egli si chiamasse «Fullone» e che il popolino, a principiare da lui stesso, avesse tradotto semplicemente in dialetto, secondo consuetudine. Ma c’è chi sostiene il contrario, cioè che egli fosse stato appellato «Fullone» quando era stato chiamato a far parte, come poeta, di alcune accademie (in particolare quella dei Riaccesi) e che sarebbero stati gli stessi accademici a tradurre dalla parlata siciliana quel cognome (o soprannome che fosse), quasi a volerlo nobilitare. Prevale l’idea, tra i gli studiosi della sua biografia, che si trattasse di un autodidatta di genio, dalla personalità complessa, che – come ebbe a sostenere Calogero Di Mino – fosse «capitato nel labirinto di abati di monaci e di accademici». «Poeta senza lettere ma di grande ingegno » dice Vincenzo Auria), persona che «ruditer legeret scriberetque» (Antonio Mongitore). I suoi testi, in gran parte tramandati da altri, appaiono intrisi di uno strano misticismo e spaziano in diversi campi dello scibile umano, tanto da rendere condivisibile l’ipotesi avanzata a circa la metà del sec. XIX da Carmelo Piola, il quale, sulla base dei testi e del loro sterminato numero, non esitò ad affermare che il Fudduni non solo non fosse privo «di rudimenti grammaticali e di rettorica», anzi che avesse «non poco conoscenza de’ classici e delle pagine sacre».

Su di lui circola una ricca aneddotica, riguardante in particolare la sua eccentricità e la sua sagacia. È da supporre che qualcuna di queste storielle sia frutto di fantasia popolare, quale, ad esempio, la seguente, intesa a sottolineare la sua – in realtà, formidabile – memoria: qualcuno gli avrebbe domandato quale fosse «lu megghi muccuni d’u munnu» (il miglior boccone del mondo) ed egli avrebbe risposto: «l’ovu» (l’uovo). E dopo un anno, gli avrebbero chiesto: «Fattu cu chi?» (Fatto con che?) ed egli avrebbe risposto prontamente: «c’u sali» (col sale). Petru Fudduni non “è” tutto in quell’aneddotica, ma è impossibile, se non a rischio di perdere di vista il personaggio nella sua interezza, prescindere da questa, poiché ne emerge un ritratto a tutto tondo, in un misto – ormai inestricabile – di verità e fantasia. Veritiere possono considerarsi le numerose, pungenti, argute «risposte» a domande che al Fudduni venivano rivolte e che egli stesso poi storicizzava, per così dire, nei suoi versi, in quella parte della sua produzione che va sotto il titolo di «Dubbi» e «Cuntrasti»: “dubbi” nel senso di quesiti, nati da desiderio di conoscenza, “contrasti”, nella classica accezione – di matrice medievale e romanza – di certame poetico, di componimento dialogato in cui si svolga una disputa (talvolta veri e propri battibecchi, come nel caso di alcuni testi fulloniani). La prima parte del componimento o «proposta», per lo più di una strofa, conteneva il quesito o la provocazione che riceveva, la seconda, di analoga struttura e ampiezza, la sua «risposta». Gli interlocutori erano personaggi ora ricorrenti, come il «Dottu di Tripi», ora (e più frequentemente) occasionali: popolani (ad es. un “picuraru”) o di medio ceto (ad es. quattro capitani di Messina) o aristocratici (ad es. una “Principissa”); numerosi sono altri poeti che, con quelle interrogazioni, volevano mettere alla prova la saggezza del Fudduni o la sua prontezza e capacità di reazione o, più probabilmente, metterlo in imbarazzo, qualcuno, carico di albagia  puntava addirittura ad offenderlo e mortificarlo. Petru non si lasciava cogliere in fallo e, quando avvertiva intenti polemici o un sostrato offensivo, rispondeva – è il caso di dire – per le rime. Maestro dell’ottava, il Fudduni ne fa un modello di concisione, in quanto se ne serve per le sue «risposte» fulminee e icastiche; preferisce la terzina, sul modello dantesco, nei testi di maggior impegno tematico. Poeta “popolare”, dunque, e raffinato, meritevole di ancor più alta considerazione, capace di ben interpretare l’animus del popolo in generale e palermitano in particolare. E i palermitani lo ricordano con inalterata simpatia, da una generazione all’altra, considerandolo come il poeta per eccellenza, un prototipo di poeta, oltre che come parte viva di se stesso, espressione del suo senso di libertà e della sua ansia di giustizia e di affrancamento dalle soperchierie di qualsiasi provenienza. Un tandem del “Genio” della città o sua stessa rappresentazione, in una rinnovante contemporaneità, resa più salda e palpitante da leggendarie valenze di tempi trascorsi.

Occhi, non siete miei se non piangete.

Fonte:Lucio Zinna (Literary.it)

mercoledì 5 febbraio 2014

GREEN UTOPIA – ARCHITETTURA VEGETALE


Una piccola città vegetale in cui toccare con mano le proposte più innovative dell’abitare green.

 
Dall’8 al 13 aprile, negli spazi della Fabbrica del Vapore in via Procaccini 4 a Milano, nascerà GREEN UTOPIA, una piccola città utopica di duemila metri quadri con esempi reali di architettura vegetale, la più innovativa e concreta risposta alle esigenze di sostenibilità contemporanee nell’architettura e nel design. Visitando GREEN UTOPIA, uno degli eventi di SHARING DESIGN, la manifestazione a cura di Milano Makers, si potranno toccare con mano le proposte più innovative dell’abitare e del vivere green. La città vegetale vivrà di giorno con laboratori e workshop operativi di autocostruzione mentre la sera si accenderà di luci, proiezioni, musica, teatro, performance trasformando l’utopia green in uno spettacolo continuo. Il focus di attenzione è verso le tecniche dell’architettura vegetale e alternativa. L’uso in architettura e design dell’elemento vegetale considerato come materiale primario della costruzione è un nuovo atteggiamento che considera il verde come l’ambiente ideale per la vita dell’uomo. La città che ne deriva tende a portare dentro di sé la foresta togliendo il confine fra natura e costruito.

L’architettura vegetale rappresenta una valida risposta alle esigenze di sostenibilità anche economica oggi sempre più pressanti. Si tratta di tecniche e materiali a volte antichi a volte usati in altre culture. Nella città vegetale sarà possibile vedere esempi di costruzioni in terra cruda, uno dei materiali protagonisti della nuova architettura che ha insuperabili doti ecologiche di sostenibilità; bambù, considerato l’acciaio naturale per le sue capacità statiche e ampiamente usato in Asia; arundo donax, la canna palustre, un materiale di casa nostra, una tecnica di costruzione naturale; paglia, in grado di fornire case altamente isolanti e sane con una notevole resistenza ai terremoti; verde tradizionale e tecnico, il più efficace strumento per la costruzione delle nuove città a orientamento ecologico che si evolve in soluzioni di orto urbano; Natural Design l’ultima tendenza del green design, oggetti di design che contengono piante; agricoltura urbana dagli orti terapeutici alle coltivazioni domestiche.

 GREEN UTOPIA – ARCHITETTURA VEGETALE

Fuorisalone 8/13 aprile 2014. Fabbrica del vapore, Via Procaccini 4, Milano

Ideazione e coordinamento: Maurizio Corrado.

Gruppo di progetto: Mauricio Cardenas, Andrea Facchi, Eliana Baglioni, Giusi Ferone, Monica Botta, Studio Limes, Francesco Poli, Alberto Rabitti, Beppe Facente, Roberto Maci, Riccardo Rigolli, Luca Rogora.

Media Partner: Nemeton Magazine, Wolters Kluwer Italia.

Patrocini: Promoverde; Accademia di Belle Arti di Verona; Accademia di Belle Arti di Bologna; Cia, Confederazione Italiana Agricoltori; La Sapienza Università di Roma, Facoltà di Architettura, Dipartimento di architettura e progetto.

Cultural Partner: Primavera Mediterranea, Primavera Siciliana, Vestire il paesaggio

 

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