giovedì 30 ottobre 2014

Erwin Olaf il reporter fotografo olandese che costruisce in studio la foto del mondo che viviamo


 
Viviamo in un Mondo sempre più corrotto e smembrato da un entità astratta che nasconde il germe dell’impotenza umana contro il Dio denaro che è Mercato e Re della nostra vita. In un tale sistema, per sopravvivere, devi essere sempre perfettamente coperto e allineato. Questo vale per un ingranaggio della macchina, ma per un artista, la cui mente è sempre anarchica, non è possibile restare complemento oggetto del verbo del potere organizzato. Ecco perché, senza voler fare ad ogni costo il critico d’arte, voglio presentarvi un reporter olandese che, proprio per la sua natura “ribelle” di artista riesce, mischiando in modo unico giornalismo e foto realizzate in studio e ritratti posati, a sviluppare la sua arte fotografica. Stiamo parlando di Erwin Olaf, nato nel 1959 ad Hilversum in Olanda, che vive e lavora ad Amsterdam dagli anni ’80 in uno studio fotografico ricavato da una vecchia chiesa sconsacrata. Sarà per questo che le sue bizzarre foto hanno un non so ché di mistico e allo stesso tempo profano. In lui si scontrano le coscienze nei più torbidi meandri dell’Io profondo, dicono, ma se parlano così è solo per mascherare che il reporter fotografo immortala con le sue costruzioni iconografiche, che piacciano o no, la realtà contemporanea.




Ugo Arioti

martedì 28 ottobre 2014

Non c’è solo il sistema bancario

Non c’è solo il
sistema bancario
 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
 
Alla recente conferenza di Napoli il governatore centrale Mario Draghi ha ribadito l’importanza delle tre operazioni di intervento finanziario della BCE a sostegno del sistema bancario. Si tratta del programma di acquisto di derivati abs, di acquisto di covered bond (obbligazioni bancarie garantite) e il programma LTRO (piani di rifinanziamento bancario a lungo termine).
    Come è noto la manovra sul tasso di interesse è ormai esaurita. Di conseguenza, ha aggiunto Draghi, con l’immissione di nuova liquidità il bilancio BCE dovrebbe risalire ai livelli del 2012 quando aveva raggiunto i 3.000 miliardi di euro circa. Il volume potenziale di nuovi acquisti sarebbe intorno a 1.000 miliardi di euro.
    Ancora una vota si tratta di interventi a favore del sistema bancario europeo che poi, bontà sua, dovrebbe o potrebbe trasformali in nuove linee di credito per le PMI e per nuovi investimenti.  Questo passaggio “obbligatorio” è giustificato dalla BCE per il fatto che in Europa l’80% del credito transita attraverso il sistema bancario.
    Secondo noi questo passaggio è invece necessario solo per la salute delle grandi banche, sempre esposte ai rischi di nuove crisi per avere continuato a mantenere certi comportamenti speculativi e poco virtuosi anche dopo il 2008.
    Un recente studio indica che a fine luglio 2014 le 100 banche europee più esposte ai rischi sistemici avevano insieme 810 miliardi di euro in titoli ad alto rischio. Soltanto 5 banche, con la Deutsche Bank in testa, ne detengono il 39%. Le banche di Francia e Gran Bretagna insieme ne detengono il 55%.
    Il 4 novembre prossimo la BCE inizierà ad attuare la vigilanza diretta sui 120 maggiori gruppi bancari dell’area dell’euro, che rappresentano oltre l’85% delle attività bancarie. Per l’occasione molto probabilmente occorreranno molte “pezze finanziarie” d’appoggio!
    Alla prova dei fatti i citati meccanismi finora non sono stati però capaci di mettere in moto una ripresa effettiva ne dell’economia ne della domanda aggregata. Infatti alla fine del 2013 i consumi privati erano del 2% inferiori a quelli del 2007 e gli investimenti privati erano sotto del 20%. Hanno retto soltanto le esportazioni.
    Nel frattempo per alcuni paesi europei il debito pubblico rischia davvero di diventare insostenibile. Nell’euro zona è in media il 95,5% del Pil. Qualora dovesse ancora aumentare esso sarebbe un fardello pesante che potrebbe frenare e ulteriormente bloccare la ripresa economica. Non si dimentichi che il pagamento degli interessi passivi sul debito sottrae notevoli risorse alle politiche economiche e sociali. Nel 2013 l’Italia ne ha pagato 95 miliardi di euro.
    In molte capitali europee però la ristrutturazione del debito pubblico è ancora un tabu in quanto è stata erroneamente e maliziosamente associata ad un presunto aiuto gratuito fatto dai Paesi sedicenti virtuosi a quelli cosiddetti spendaccioni.
    Noi riteniamo che in una tale situazione la BCE non abbia soltanto l’opzione di aiuto finanziario al sistema bancario. Essa potrebbe per esempio acquistare una parte del debito pubblico, sopra il limite del 60% del Pil indicato dai parametri di Maastricht, e tenerlo congelato al tasso di interesse zero, come indicato nel documento “Politically Acceptable Debt Restructuring in the Eurozone” preparato da economisti dell’International Center for Monetary and Banking Studies (ICMB) di Ginevra. La Bce sarebbe l’unica istituzione capace di mobilitare sufficienti risorse per una tale operazione. Se ad esempio lo si volesse fare per metà del debito pubblico europeo l’ammontare sarebbe di circa 4,5 trilioni di euro.
    La Bce dovrebbe prendere in prestito una simile cifra sui mercati finanziari in cambio di sue obbligazioni, oppure creare la liquidità interna necessaria per acquistare i debiti pubblici da ritirare. Ovviamente l’operazione, almeno inizialmente, sarebbe in perdita in quanto la BCE dovrebbe pagare gli interessi sui nuovi titoli emessi senza ricevere gli interessi dei vecchi titoli del debito pubblico dei vari Stati. 
    Non si genererebbe inflazione in quanto la BCE chiederebbe dei prestiti, oppure la liquidità creata ed usata per l’acquisto dei debiti sarebbe poi “sterilizzata” attraverso l’emissione di obbligazioni BCE. La BCE ha una sua forte credibilità sui mercati. 
    Per cui essa acquisterebbe parte del debito pubblico eccedente la quota del 60% in proporzione allo stock di partecipazione dei singoli Paesi europei al suo capitale. Essi ripagherebbero l’ammontare degli interessi per un periodo indefinito lasciando nelle casse della Banca centrale il profitto che spetterebbe loro dai proventi di signoraggio che la BCE annualmente dovrebbe distribuire agli Stati. Ciò potrebbe essere sufficiente se l’intereresse sulle nuove obbligazioni emesse dalla Banca centrale fosse contenuto.
    Molto probabilmente il costo complessivo di tale operazione della BCE non dovrebbe essere maggiore di quello che attualmente sostiene per finanziare il sistema bancario.
    In ogni caso i costi verrebbero progressivamente assorbiti anche attraverso la presumibile crescita economica prodotta dalla capacità delle economie di operare per lo sviluppo in modo meno condizionato dai debiti e dai mercati. La BCE dovrebbe mantenere l’autorità di imporre il vecchio pagamento degli interessi sul debito ad un Paese che intendesse continuare con la pratica del debito facile.
    Una simile operazione si combinerebbe perfettamente con il programma annunciato timidamente dal nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, di lanciare investimenti pubblici in infrastrutture, modernizzazioni e nuove tecnologie per 300 miliardi di euro in un periodo di 3 anni.
    Finalmente i governi sarebbero meno dipendenti e pressati dai mercati finanziari mentre i settori dell’economia reale verrebbero stimolati da nuovi investimenti. 

lunedì 27 ottobre 2014

etica ambientale: gli orti urbani


Là dove c'erano sterpaglie e spazzatura ora ci sono gli orti urbani. All'ombra del Cupolone

Appezzamenti assegnati all'interno di parchi e giardini pubblici spesso abbandonati a loro stessi e rinati grazie all'impegno dei cittadini. A Roma gli spazi dedicati agli agricoltori metropolitani sono 150. Tra questi anche il "set" di Brutti, sporchi e cattivi

di ELIS VIETTONE

 


"HO BISOGNO di far crescere qualcosa, stare a contatto con la natura, staccare dal rumore del traffico": gli occhi di Matteo brillano mentre spiega come è arrivato all'assegnazione temporanea degli orti urbani nel parco di Monte Ciocci, a due passi dal Vaticano, con vista sulla cupola di San Pietro. "Proprio qui, dove Nino Manfredi recitò in Brutti sporchi e cattivi di Ettore Scola, noi faremo crescere zucchine, carote, peperoni, rughetta, fragoline di bosco", favoleggia il pasticcere romano di 30 anni, che ammette "non ho la minima esperienza di agricoltura".

Immaginare qui dei filari ordinati è ancora difficile: rovi, erbacce, alberi secchi da estirpare, il terreno da livellare, l'impianto di irrigazione da attivare e tutti gli altri lavori, prima di poter raccogliere qualcosa. Così anche nel cuore della Città eterna spuntano i primi appezzamenti all'interno di parchi e giardini pubblici, concessi gratuitamente ai cittadini per la coltivazione di frutta, verdura e non solo.

A 10 anni dalla nascita del primo orto urbano in Italia, a Brescia, moltissimi Comuni hanno accolto le crescenti richieste della popolazione di sfruttare aree incolte, con il doppio beneficio di salvarle dall'incuria e renderle produttive. Oggi gli 
orti urbani a Roma censiti dallo Uap, unione architetti paesaggisti, sono oltre 150 e riuniscono più di 5000 "ortisti". "Sono ottimista e credo che entro la fine dell'anno riusciremo a far approvare il regolamento dall'Assemblea capitolina", spiega Paola Marsi, responsabile dell'Ufficio orti urbani del Comune. "L'ho elaborato insieme alle associazioni e comitati di cittadini, tenendo conto delle loro esigenze. Ora dovrà essere esaminato dai municipi e in seguito votato", prosegue Marsi. "Tra i punti più importanti prevediamo concessioni di sei anni, il divieto di costruire manufatti ma solo capanni provvisori per gli attrezzi, e soprattutto finalità non a scopo di lucro. Il problema cruciale è quello dell'approvvigionamento idrico dove non è già presente l'allaccio alla rete ma ci stiamo lavorando", conclude la naturalista.

La passione per questa attività che richiede costanza e dedizione ha fatto incontrare abitanti della stessa zona che spesso nemmeno si conoscevano, restituendo loro uno spicchio di sentimento di collettività. "C'è voluto qualche tempo per avviare il tutto ma l'idea di curare i prodotti della terra mi ha dato forza", prosegue compiaciuto Matteo. "A partecipare al bando del Comune siamo stati in 15, tra cui la moglie di un dentista, un fotografo, un ex dirigente di banca. Abbiamo creato un'associazione e ora qui nasceranno altrettanti piccoli lotti da coltivare".

Ortisti di quartieri diversi si scambiano pratiche e suggerimenti: "Siamo in contatto con gli orti del Parco di Tre Fontane all'Eur. Con tre anni di esperienza alle spalle, hanno creato un angolo di paradiso, con fiori, zucche, uva, un orto didattico per le scuole, una zona relax con un pergolato e arnie per la produzione del miele. Anche noi contiamo di metterle", conclude Matteo che torna alla sua zappa. L'intero parco di Monte Ciocci ha visto, a partire dal 2003, una mobilitazione di cittadini che ha portato al recupero dell'area verde, aperta poi al pubblico nel luglio 2013. Grazie al lavoro del 
Comitato Monte Ciocci, che oggi conta circa 600 iscritti, e all'intervento dell'amministrazione comunale, dove c'erano solo sterpaglie e canneti, spazzatura e sporcizia, si snodano oggi vialetti, piante, un bar che dovrebbe presto aprire i battenti e una pista ciclabile di sei chilometri che arriva fino a Santa Maria della Pietà, con un panorama mozzafiato della capitale e del cupolone di Michelangelo. "Non ci siamo arresi, convinti che se i cittadini si danno da fare le cose possono davvero cambiare", racconta entusiasta Orchidea De Santis, ex attrice, ora una delle portavoce del Comitato, una vita dedicata alle tematiche ambientali: "L'inerzia è il male del nostro tempo".

L'attenzione per l'estetica della città, dal punto di vista ambientale e paesaggistico, è diventato anche un business per i costruttori. Lo conferma il progetto 
Horti della Marcigliana
presentato lo scorso 2 ottobre dal gruppo Batelli che, come ha dichiarato l'architetto Eugenio Batelli, ex presidente dell'
Acer, l'associazione dei costruttori di Roma e provincia, è il primo di questo genere in Italia. L'aspetto nuovo di questa pianificazione è che accanto all'edilizia abitativa sono previsti 150 orti dotati delle necessarie infrastrutture, che saranno accordati in parte ai residenti di Settebagni, in parte agli acquirenti degli appartamenti del complesso residenziale.

domenica 26 ottobre 2014

l'Editore Navarra inaugura la nuova sede a Palermo

 
Nella splendida cornice del Centro Storico palermitano, l'Editore Navarra, inaugura la nuova sede. Grande partecipazione ed entusiasmo intorno a questa iniziativa che, in questo tempo fatto di ignavia politica verso la Cultura, va controcorrente. Molti giovani e tanti non più giovani con famiglia al seguito hanno preso parte all'evento. Noi c'eravamo come Scuola di Ecologia Culturale e facciamo i nostri migliori auguri all'Editore che con coraggio e passione sta continuando a dare il suo contributo, qualitativo e importante, per far conoscere e divulgare la scrittura dei giovani autori che porta con se l'icona reale  e le preoccupazioni delle nuove generazioni.
 
Ugo Arioti e Daniela La Brocca

SCUOLA DI ECOLOGIA CULTURALE EURO MEDITERRANEA: Iran: impiccata Reyhaneh, condannata per aver ucci...

SCUOLA DI ECOLOGIA CULTURALE EURO MEDITERRANEA: Iran: impiccata Reyhaneh, condannata per aver ucci...: La donna, 26 anni, è stata impiccata nel carcere di Teheran in cui era rinchiusa. La famiglia della vittima per perdonarla pretendeva ...

Iran: impiccata Reyhaneh, condannata per aver ucciso l'uomo che voleva stuprarla


La donna, 26 anni, è stata impiccata nel carcere di Teheran in cui era rinchiusa. La famiglia della vittima per perdonarla pretendeva che la giovane smentisse di aver subito un tentativo di violenza. Lei si è sempre rifiutata di farlo. Vani i tanti appelli internazionali, tra i quali quelli del Papa e di tantissimi intellettuali. Mogherini: ''Reyhaneh vittima due volte''    
 
 

ROMA - L'Iran ha giustiziato Reyhaneh Jabbari, la ragazzacondannata a morte nel 2009 per aver ucciso il suo stupratore, un ex agente dei servizi segreti iracheni. Nonostante gli appelli internazionali rivolti alle autorità, Jabbari, che aveva 26 anni, è stata impiccata nella prigione di Teheran dove era rinchiusa. La notizia è stata data dalla madre della donna e dall'ufficio del procuratore. "Mia figlia con la febbre ha ballato sulla forca", ha detto la madre, Shole Pakravan.

Cinque anni nel braccio della morte. La giovane era da cinque anni nel braccio della morte e a suo favore c'erano stati numerosi appelli internazionali, tra cui quelli di 
Papa Francesco, di Amnesty International, del ministro degli Esteri Federica Mogherini e di tantissimi intellettuali iraniani. Ora la pagina Facebook della campagna per salvare la giovane arredatrice d'interni ha pubblicato la scritta "Riposa in pace".

Il rinvio e la speranza. L'esecuzione era stata fissata per il 30 settembre, quindi era stata rinviata. E questo aveva fatto sperare in un atto di clemenza. Ieri le speranze erano state soffocate dalla notizia che la madre della giovane aveva ricevuto il permesso di vedere la figlia per un'ora, un segnale che l'impiccagione era imminente.

Processo viziato. Il relatore dell'Alto commissariato per i diritti umani dell'Onu aveva denunciato che il processo del 2009 era stato viziato da molte irregolarità e non aveva tenuto conto del fatto che si era trattato di legittima difesa di fronte a un tentativo di stupro. Reyhaneh Jabbari era stata arrestata nel 2007, quando aveva 19 anni, per aver ucciso Morteza Abdolali Sarbandi, che l'avrebbe attirata nel suo appartamento con la scusa di offrirle un incarico e poi avrebbe tentato di abusare di lei. Il perdono della famiglia della vittima avrebbe salvato Reyhaneh dalla forca, ma il figlio dell'uomo ha chiesto che la donna negasse di aver subito un tentativo di stupro e lei si è sempre rifiutata di farlo. Secondo l'Onu dall'inizio dell'anno in Iran sono già state giustiziate 250 persone.

La condanna degli Usa.
 Gli Stati Uniti hanno condannato con forza l'esecuzione. Il Dipartimento di Stato americano ha espresso ''gravi preoccupazioni in merito alla giustezza del processo'' affrontato dalla donna e ''il contesto i cui si è maturata la vicenda''. E tra queste preoccupazioni le più forti riguardano ''notizie di confessioni estorte con durezza'', ha spiegato il portavoce, Jen Psaki.

Il ricordo di Renzi. "Continueremo la battaglia contro la pena di morte. Mi unisco al ricordo di Lorenza e alle volontarie che combattono contro la pena di morte". Così Matteo Renzi, aprendo la seconda giornata della Leopolda, ha condiviso il minuto di silenzio chiesto da Lorenza Bonaccorsi ai partecipanti alla kermesse fiorentina per ricordare Reyhaneh Jabbari.

Mogherini: "Reyhaneh vittima due volte". Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ha espresso il suo dolore per la morte della giovane iraniana. "L'uccisione di Reyhaneh è un dolore profondissimo", ha detto Mogherini. "Avevamo sperato tutti che la mobilitazione internazionale potesse salvare la vita di una ragazza che invece è vittima due volte, prima del suo stupratore poi di un sistema che non ha ascoltato i tanti appelli - ha aggiunto -, a conferma che è proprio sulla difesa dei diritti fondamentali che il dialogo tra i Paesi resta più difficile. Eppure, la difesa dei diritti umani e l'abolizione della pena di morte sono battaglie fondamentali che l'Italia non rinuncerà mai a portare avanti in tutte le sedi".

Il cordoglio di Boldrini. "Esprimo profondo dolore e sconcerto per la decisione delle autorità giudiziarie iraniane di mandare a morte la giovane Reyhaneh, che ha pagato con l'impiccagione il fatto di essersi difesa da un brutale tentativo di stupro. Questa decisione, incredibilmente, considera la violenza sessuale come un reato dal quale non sia legittimo difendersi con ogni possibile mezzo" è stao il commento della presidente della Camera Laura Boldrini.

giovedì 23 ottobre 2014

Messico, uccisa Felina: usava i social contro i narcos


Messico, uccisa Felina: usava i social contro i narcos. Che twittano la sua morte

Il suo vero nome era Maria del Rosario Fuentes Rubio. E' stata sequestrata e uccisa il 15 ottobre a Tamaulipas. I criminali hanno pubblicato la foto del cadavere sul suo account
 
 
ROMA - Il suo ultimo tweet non lo ha scritto lei. Ma i suoi assassini. "Chiudete i vostri account su Twitter, non mettete in pericolo le vostre famiglie come ho fatto io. Chiedo scusa. Il mio vero nome è Maria del Rosario Fuentes Rubio, sono una dottoressa e oggi la mia vita è arrivata alla fine" si legge nell'account di Felina, questo il suo nome sul social network. Dopo la foto del suo cadavere. E' questa - come riporta The Daily Best - la fine dell'attivista messicana sequestrata il 15 ottobre e poi torturata e uccisa dai narcos a Tamaulipas, nel nord del Paese, città dove si scontrano il cartello degli Zetas e quello del Golfo. 

Felina era stata una degli amministratori di Valor por Tamaulipas (che significa Coraggio per Tamaulipas), il più popolare hub notizie cittadino nello Stato, con più di 100.000 seguaci su Twitter e oltre mezzo milione su Facebook. L’amministratore della pagina, che per motivi di sicurezza lavora sotto anonimato, ha scritto all’agenzia di stampa Ap per ricordare che "la dottoressa è stata una nostra collaboratrice preziosa fino al 2013, poi ha dovuto smettere perché era troppo rischioso per lei". 

Maria usava Twitter per denunciare le attività delle organizzazioni criminali legate alla droga: elencava le azioni criminali, giorno per giorno, luogo per luogo, invitava le vittime a denunciare, a uscire dal silenzio. Lo ha fatto fin quando i narcos sono riusciti a svelare la sua vera identità. La cercavano da tempo: un anno e mezzo fa, un cartello aveva distribuito centinaia divolantini in tutta Tamaulipas con cui annunciava una ricompensa di 600.000pesos (circa 48.000$) per tutti coloro che avrebbero divulgato i nomi degliamministratori del sito.

Il fondatore di Valor por Tamaulipas ha pubblicato una dichiarazione sul sitoche esprime dolore per la perdita di "un angelo che ha dato tutto, la sua vita, il suo futuro, la sua sicurezza e la pace, ha dato tutto per la buona gente del nostro Stato. Oggi Miut3  - il nome dell'account di Maria - ha cessato didenunciare. Ma quello che i criminali non sanno è che Miut3 è parte della nostra anima
 e lei non potrà mai ci permetterci di arrenderci alla criminalità organizzata".

mercoledì 22 ottobre 2014

La percezione della bellezza (argomento 2014)


La percezione della bellezza 
nell'arte rinascimentale

 

di Neil Haughton

 

 

Scenario


Il Rinascimento fu una rivoluzione culturale che
 da Firenze, nel 1400, si diffuse in tutta Italia e nel resto d'Europa. Il suo impulso era la filosofia dell'Umanesimo, che cercava di far risorgere e di emulare la letteratura e l'arte degli antichi greci e romani. Gli artisti, in precedenza, erano stati limitati a realizzare solo iconografia religiosa, col Rinascimento si cominciarono a riprodurre dipinti classici e copiare le statue antiche che erano state riscoperte di recente.
La percezione della bellezza, da parte dell'artista rinascimentale, è stata quindi determinata dal suo
ambiente filosofico, dalla sua esperienza visiva (
'l'occhio del periodo'), dalle esigenze dei suoi committenti e dai tentativi di migliorare il suo status professionale nella società, ponendosi alla pari con quello dei poeti e degli architetti. L'immagine di Venere ritratta da Botticelli come la idealizzazione della bellezza, nella Firenze del Rinascimento, è significativamente diversa da quella di Venere ritratta dall'artista tedesco Lucas Cranach. 
La venere nord-europea è molto meno voluttuosa, rispetto alla sua controparte italiana, ma è ancora ispirata da principi umanisti e mantiene una considerevole sensualità. I dipinti di Raffaello incarnano l'idealizzazione della bellezza femminile di questo periodo ma, per sua stessa ammissione, sono raramente basati su modelli reali. Spesso lo stesso tipo facciale è stato ripetuto in molti dipinti diversi. Infatti i ritrattisti del Rinascimento tendevano ad evitare l'interpretazione realistica, sottolineando invece gli attributi positivi dei loro soggetti, sia fisici che politici.
Così il
 "ritratto di un giovane" del Bronzino non descrive solo l'aspetto idealizzato del suo soggetto, ma pure la sua cultura, il suo background ed il suo potenziale.
La raffigurazione della bellezza nell'arte rinascimentale è più complessa di una semplice rappresentazione di tipo fotografico della sessualità o dell'aspetto fisico di una persona.
Invece, l'arte rinascimentale ha creato immagini perfette fisicamente derivate dalle cognizioni scientifiche, dalle ambizioni dell'artista e dalle sue capacità di sviluppo.

 

Preambolo

L'ambientazione è a Firenze negli ultimi anni del XV secolo. Ancora oggi si possono riconoscere facilmente le strade e le piazze orgogliose, che sono cambiate poco nel corso di 500 anni, da quando, intorno al 1400, il nuovo clima culturale di Firenze ebbe conseguenze globali: il nuovo apprendimento del Rinascimento e la sua diffusione, come un'onda di marea, in tutta Europa e anche oltre.

L'Italia strava uscendo dal Medioevo, per entrare in una nuova era, simile a quella dell'impero romano, dove le arti e la filosofia del mondo classico erano attivamente studiate e inserite nella vita moderna. 
Questo ha ispirato una nuova generazione di artisti progressisti e innovativi, che si sono adoperati per migliorare costantemente la loro arte e per emulare gli antichi maestri.
 
Brunelleschi (1377-1446) aveva coronato la cattedrale, nel 1436, con la cupola più grande mai realizzata e Donatello (1386 -1466) aveva riscoperto l'arte della scultura in bronzo e marmo.
 
Masaccio (1401-1428) aveva compreso la scienza della prospettiva e Leon Battista Alberti (1404-1472) aveva fissato i principi dell'arte e dell'architettura rinascimentale nelle sue opere innovative
 "Sulla Pittura" (1435) e"Sull'Architettura" (1450). 

La filosofia dell'Umanesimo era basata sulla reinterpretazione della letteratura classica pagana, rispettando il credo cattolico e la rappresentazione della mitologia classica, che misero a disposizione uno strumento più ambizioso per l'artista, rispetto ai soggetti puramente devozionali. Ovviamente, una tale atmosfera di innovazione e creatività aveva bisogno di denaro e, al tempo stesso, famiglie di banchieri immensamente ricchi, come i Medici, erano desiderose di garantire la loro influenza e guadagnarsi l'immortalità, promuovendo i più grandi artisti del periodo.
In questo contesto crebbero,
 sviluppando la loro abilità artistica, il giovane Michelangelo (1475 -1564) e Leonardo da Vinci (1452-1519) .
Alberti nel 1450 suggerì che:
 "La bellezza è un ordine o un accordo in modo tale che nulla può essere modificato se non in peggio". E' vero che stava scrivendo di architettura, ma lo stesso pensiero può essere applicato alla pittura. Infatti la ricerca primaria dell'artista fiorentino, nel Rinascimento, fu la rappresentazione della bellezza nel modo più realistico possibile. 

Molte discipline diverse hanno collaborato per favorire nuovi progressi nella pittura. La dissezione anatomica ha portato ad una nuova precisione nel raffigurare la muscolatura e la forma delle figure umane, la matematica ha contribuito a sviluppare le leggi della prospettiva per posizionare tali dati in un paesaggio credibile, la chimica ha favorito la miscelazione di nuovi pigmenti per migliorare il loro impatto visivo.

Inoltre molti dipinti originali romani sono stati scoperti intorno al 1480 nella Domus Aurea, nella Domus Aurea di Nerone, e molto altro è venuto alla luce durante gli scavi archeologici di Pompei.


Percezioni rinascimentali di bellezza

La percezione di un artista di ciò che è
 'bello' è determinata da molti fattori, non ultimi i desideri del suo mecenate. E' stato dimostrato che gli aspetti di base della capacità visiva del cervello sono innati, come ad esempio la capacità di un neonato di riconoscere la struttura di un volto, ma la maggior parte di queste capacità visive viene appresa durante la stimolazione visiva acquisita durante lo sviluppo iniziale. 
Questo conferisce ad un individuo, e ai suoi contemporanei, il cosidetto
 'occhio del periodo' un concetto introdotto dallo storico dell'arte, Michael Baxendall nel suo libro fondamentale: "Pittura ed esperienza nel XV secolo in Italia". Pensate a quanto sembri datata oggi un'immagine degli anni Sessanta o Settanta, mentre quelle mode erano così familiari agli occhi dei contemporanei. 
Gli artisti, pertanto, nel loro lavoro tendevano a riprodurre i riferimenti noti ed usuali, come ad esempio i tipi di viso o i paesaggi, che i loro clienti erano in grado di riconoscere e trovare piacevoli e familiari.
 
Confrontiamo, ad esempio, gli sfondi di montagna nelle opere degli artisti tedeschi con le verdi colline toscane di Raffaello e Michelangelo. Non è un caso che l'arte della prospettiva sia stata sviluppata a Firenze con le sue strade dritte ed edifici alti e angolari, o che il colore fosse così importante per gli artisti veneziani che lavoravano all'interno di una laguna ricca di luci riflesse.
 

 


martedì 21 ottobre 2014

DELLA BELLEZZA

Marino Centrone, Rossana de Gennaro,Massimiliano Di Modugno, Silvia La Piana, Giacomo Pisani

DELLA BELLEZZA

LA SCENA DELLA SCENA

 
 
La Bellezza è una giovane donna che passeggia nei Giardini di Avalon e guarda le gemme dei mandorli in fiore, la bellezza è il volto di una fanciulla nei primi giorni di primavera, la bellezza è la comunione del sentire, la comunione dell’amare e del vivere, la bellezza è il sogno, la fantasia, la bellezza di un racconto intorno al fuoco. Perché come sosteneva Albert Camus ne L’Uomo in rivolta “Vi è la bellezza e ci sono gli oppressi. Per quanto difficile possa essere, io vorrei restare fedele ad entrambi.” Perché la bellezza è la libertà degli eguali. Una forma di libertà che non può essere espressa dall’azione individuale, ma dall’azione collettiva di un movimento, il cui fine è la costruzione di una democrazia radicale. La libertà di quella parte dei senza parte, come i plebei e i piqueteros, che nel momento in cui riconoscono la loro uguaglianza creano autentiche esperienze di vita. L’affinità fra tecnica e arte, tra il creare le cose secondo ragione e il crearle secondo l’immaginazione è qualcosa di molto antico. Siamo oggi in grado di prospettare la possibile unità delle due dimensioni, la società come opera d’arte? Gli autori di questo libro lo credono pur nella consapevolezza della nostra precarietà, della finitezza della nostra esistenza. Una siffatta “filosofia della soglia” è non solo una scommessa teoretica, ma anche una inquietudine etica.

lunedì 20 ottobre 2014

La povertà tra il medioevo e l’inizio dell’età moderna: marginalità, inclusione ed esclusione - Inchieste e approfondimenti (Prima parte)


La povertà tra il medioevo e l’inizio dell’età moderna: marginalità, inclusione ed esclusione

Sommario: 1. Premessa; 2. I poveri nel basso Medioevo; 3. Poveri falsi, poveri veri, all’inizio dell’età moderna; 4.I poveri pericolosi a Roma: vagabondi, zingari e prostitute.

1. Premessa
Chi sono i poveri? Cosa è la povertà? Cosa è la marginalità?
Per poter rispondere a queste domande bisognerebbe scrivere probabilmente tre libri diversi ed alcune appendici. In questa sede ci interessa solamente accennare delle definizioni, le più accettate tra gli storici, mettendo in risalto le zone di intersecazione tra di esse.
Chi siano i poveri non è facile a dirlo. Questo perché essi cambiano nelle epoche, anzi si può dire che ogni epoca ha avuto e generato nuovi poveri. La definizione di povero deve avere, quindi, un’accezione larga. A tal proposito si può fare riferimento a quanto ha scritto Mollat, ripreso da Paglia, il quale definisce povero “colui che in modo permanente o temporaneo si trova in condizione di debolezza, di dipendenza, contraddistinta dalla mancanza di strumenti di potere e di considerazione sociale, ossia di denaro, di relazioni, di influenza, di qualificazione tecnica, di vigore fisico, di capacità, di cultura, di libertà e dignità personale.”[1] In tale definizione possono rientrare gli emarginati, i rifiutati, gli asociali, i decaduti, i vergognosi di tutte le epoche.
Anche la povertà viene definita in modi diversi e di solito è un termine che più che spiegare qualcosa ci si aspetta che venga spiegato, contestualizzandolo. Comunque, con tale definizione si è voluto di solito indicare uno stato di debolezza, di carenza, di insufficienza, di privazione rispetto ad un modo di vivere di una data società. Inoltre, la nozione di povertà, nelle varie epoche, ha assunto un suo carattere convenzionale, definita da atti istituzionali dei governi che in questo modo hanno interpretato l’opinione dominante. Pertanto, anche la povertà ha un’accezione larga, figlia dei tempi, che riguarda individui e gruppi ed anche però paesi e zone. La povertà è un fiume con tanti affluenti, tra questi vi sono la miseria e la malattia. La povertà diventa pauperismo quando riguarda masse che non riescono più ad assicurarsi i minimi mezzi di sussistenza, è un fenomeno di congiuntura che lascia cadere al di sotto del minimo di sussistenza una parte cospicua della popolazione.
Il concetto di marginalità, che per alcuni è una immagine-concetto, nasce come immagine metaforica con la quale si suppone la società come un universo sociale nel quale esistono dei ruoli, anche lavorativi, e dove ognuno ha il suo compito. Chi non rispetta il proprio ruolo, assegnatogli anche dal proprio status sociale, si pone ai margini: ciò significa che l’individuo o il gruppo non recidono completamente i legami con la società, quindi, seppur labile, tale rapporto di interdipendenza rimane (è il caso degli zingari, dei vagabondi, delle prostitute, dei pazzi reclusi, ecc.). Secondo Geremek l’approccio storico dello studio della marginalità consente di esaminare il fenomeno globalmente. Egli afferma che esistono quattro diversi fronti della marginalità: a) economico, che suppone la non partecipazione al processo produttivo, b) sociale, che suppone la non partecipazione ai doveri della società in cui si vive, c) spaziale, che suppone la violazione delle norme di un habitat organizzato da parte di gruppi che vivono fuori da tale habitat, d) culturale, che suppone un atteggiamento ed un comportamento diverso da quello universalmente accettato. Il marginale può essere anche tutte e quattro le definizioni assieme, ossia colui che non partecipa al processo produttivo e ai doveri della società in cui vive, non condividendo le norme ed i comportamenti stabiliti ed accettati dalla popolazione organizzata in una data società.
Semplificando, e di molto, esistono dei punti di contatto tra le definizioni appena enucleate: la povertà, la pauperizzazione, indicano un tipo di povero o un gruppo di questi che a volte, a causa della loro condizione, vivono ai margini della stessa società di cui fanno parte non recidendo completamente i legami con essa.
Gli studi che riguardano la povertà e che si sono sviluppati nel XX secolo, ed in particolare negli ultimi decenni, hanno affrontato tale tema sotto molteplici aspetti. Sono stati studiati aspetti nuovi con l’ausilio di altre discipline (statistica, sociologia, ecc. ecc.) e sono stati coniati termini nuovi ai quali sono collegati particolari indicatori il cui scopo è quello di poter fotografare e spiegare la povertà, la sua incidenza, l’esclusione sociale, ecc. In relazione a quanto appena affermato un esempio viene dalla lettura del “Rapporto 2003-2004 sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia”[2]: in esso la povertà è affrontata sotto molteplici aspetti, infatti vi si descrive la povertà assoluta e quella relativa (la differenza sta nel fatto che nella seconda sono comprese quelle famiglie che vivono con un reddito che convenzionalmente è stato stabilito attorno ad 869,50 euro mensili per una famiglia di due componenti: di conseguenza nel 2004 vivevano in una povertà relativa circa 2 milioni e 360 mila famiglie, pari al 10,6 % di quelle residenti, ossia 6 milioni e 786 mila individui), rischio di impoverimento, intensità di povertà, povertà monetaria, durata e persistenza nello stato di povertà, povertà oggettiva (misurata con linee standard condivise) e povertà soggettiva (basata sull’autopercezione degli intervistati), ecc. La combinazione tra i dati sulla povertà oggettiva e quella soggettiva, secondo gli studiosi, fa sorgere quattro situazioni tipo di famiglie: 1) oggettivamente e soggettivamente povere ossia consapevolmente povere; 2) oggettivamente povere ma che non si considerano soggettivamente povere e si possono definireapparentemente povere; 3) oggettivamente non povere ma che si considerano povere e sono quelle soggettivamente povere; 4) quelle che non si considerano né oggettivamente né soggettivamente povere e sono quelle consapevolmente non povere. I dati provenienti da queste tipologie evidenziano l’esistenza di un sottoinsieme di famiglie “quasi povere” che fa aumentare il complesso delle famiglie italiane a rischio di povertà economica (povere e quasi povere) al 18,5 % del totale. La linea di demarcazione tra il povero, quasi povero e il non povero è labile e spesso è data, come visto, dal reddito. E’ altresì chiaro che i termini appena espressi indicano concetti precisi e scientifici che analizzano a volte non solo il reddito ma, tra l’altro, ad esempio, anche i consumi non durevoli come i beni alimentari, i trasporti o l’abbigliamento (ed è il caso del cosiddetto risparmio negativo). Gli studi e le analisi che sono alla base dei termini e dei concetti sopra enucleati, non in maniera esaustiva, sono ovviamente in continua evoluzione perché si evolve il soggetto stesso di tali studi ossia la povertà. Infatti, nelle rilevazioni e nelle analisi nazionali ed internazionali sulla povertà ricorre spesso il richiamo alla sua natura complessa ed alla mobilità dei confini che la delimitano. In particolare, ultimamente, la formulazione a livello teorico di cosa sia la povertà multidimensionale e di come possa essere studiata sul piano metodologico ha trovato, tra le tante, la felice formulazione nella proposta di Amartya Sen del capability approach. Questo studioso non si limita ad elencare un insieme di variabili o dimensioni, identifica piuttosto a monte due specifici spazi di valutazione che diventano elementi portanti del processo di well-being: quello dei functionings (inteso come insieme di doing e being, ciò che l’individuo fa o è, i risultati e le realizzazioni cui l’individuo giunge, in altre parole, l’output) e quello delle capacità (ciò che l’individuo può fare e può essere, l’insieme di opportunità a disposizione dell’individuo). In tal modo vengono messi in luce gli elementi di differenza e le relazioni che legano questi due spazi, sottolineando il fatto che dal confronto fra questi due spazi è possibile far emergere il ruolo giocato dalle preferenze e dalle responsabilità delle scelte individuali in un approccio multidimensionale che tiene conto anche del contesto come elemento centrale nel processo di determinazione del benessere individuale, riconoscendo l’influenza che su di esso può esercitare quella pluralità di fattori economico-sociali, ambientali, culturali, politico-istituzionali, che sono essi stessi eterogenei e complessi.
La storia, comunque, ci aiuta a capire e a fotografare una realtà, nella fattispecie quella in Occidente a cavallo tra il medioevo e l’epoca moderna, che vede i poveri e la povertà al centro di più interessi e approcci ideologici.
Innanzitutto bisogna dire che sia nel basso medioevo che all’inizio dell’età moderna il rischio dell’impoverimento e della miseria non era un fatto occasionale. Tali rischi erano legati alla mancanza di difese della società nei confronti delle ricorrenti congiunture negative, economiche, sanitarie, alimentari, belliche, che ciclicamente permeavano quei secoli. Il rischio della povertà, coinvolgeva tutti, persino alcuni benestanti che a causa di specifici problemi decadevano dal loro status sociale divenendo “pauper verecundus” (poveri vergognosi). Tale situazione, ed in senso lato la povertà materiale individuale o di specifici gruppi (orfani, vedove, …) diviene qualitativamente diversa e quindi si problematizza alla fine del XII secolo, quando si fanno sentire i processi di stratificazione e differenziazione connessi con lo sviluppo demografico, la trasformazione delle strutture agrarie, l’affermazione dell’economia monetaria e dell’urbanizzazione[3].

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