lunedì 28 luglio 2014

I racconti della domenica: Miracolo a Torrazza ( Ugo Arioti@2014)



Miracolo a Torrazza



L’estate siciliana spinge gli uomini al mare. L’oceano nostro, il Mediterraneo, che da millenni è culla della civiltà classica, oggi nasconde nel suo grembo materno le storie degli uomini e degli animali che l’hanno attraversato o ascoltato. 
Arriva sempre per noi, popolo di queste acque, il tempo che senti nel cuore il desiderio di viverlo e di abbandonarti tra le sue braccia, ricche d’amore e, allo stesso tempo, di pietà per tante anime in pena, per quelle figlie e quei figli che si sono persi attraversandolo, nel disperato tentativo di raggiungere una delle sue rigogliose sponde.
Il figlio dell’Oceano, disegna la vita e la morte ed è madre compassionevole. È il litorale degli eroi e dei migranti, dei delfini e dei tonni, ma, soprattutto, è la Grande Madre che ama le sue creature, tutte.
Il luogo che vi racconto è un piccolo paradiso residuale che, ancora, resiste alla speculazione e alla devastazione degli uomini malvagi, quelli che non sanno coniugare il verbo dell’amore ma solo quello, più stupido, dell’odio e dell’avidità. Il buon Leonardo Sciascia li avrebbe collocato nella categoria dei quaquaraquà!
Una spiaggia, quindi, dell’estremo ovest della Sicilia: Torrazza! Oasi ambientale!
In quest’arenile, in un giorno infrasettimanale di un’estate di sempre, accadde quello che la gente, il popolo delle leggende, battezzò: il miracolo di Torrazza.
*  *  *
La giornata era estiva e si presentava agli uomini e a tutte le creature con una cappa di calore e di scirocco, fin dall’alba. Mamma e figlioletta, una deliziosa creatura di due anni, decisero di andare a mare, il papà non poteva accompagnarle, era a lavoro.
Quel giorno mamma e figlia volevano uno spazio tutto loro, non avevano voglia di stare in lidi pieni di confusione o nelle solite spiagge attrezzate. Così, presi l’ombrellone e una borsa con i viveri di sopravvivenza, la sacca frigorifera e i giochi del mare, si misero in auto e andarono da Marsala, casa loro, alla plaja di Petrosino Torrazza, un viaggio! Entrare nella strada sterrata, piena di buche e pietre, che porta fino all’arenile è faticoso, ma il gioco vale la candela.
L’ampio litorale era quasi deserto a quell’ora del mattino. Solo, a qualche centinaio di metri di distanza, un ombrellone copriva lo sforzo d’immaginazione di un pescatore che lanciava le sue esche al mare per catturare pesci.
La mamma, fermò la macchina nel posto più vicino possibile. Prese l’ombrellone, sciolse dal suo seggiolino la piccola e la accompagno in spiaggia. Lei, felice, la apostrofò: mamma, mamma ciuf ciuf!
Ciuf ciuf era il nome che la bimba dava al mare, onomatopeico. Presto, piantato l’ombrellone e sistemate le borse e lo sdraio, si disposero a godere del benefico ristoro del mare e della carezza del sole.
*  *  *
Nel Mediterraneo vivono tanti pesci e tanti altri mammiferi e piante. Uno in particolare, un delfino, nel suo viaggio senza sosta dalla Sardegna all’Africa, spesso passava davanti alla spiaggia di Torrazza!
I delfini, com’è noto, sono simili, per molti versi, agli esseri umani. Vivono in società. Hanno un loro linguaggio, una lingua fatta di suoni armoniosi e modulati, sanno esprimere i sentimenti.
L’individuo, di cui vi racconto un tratto di vita, per molti anni era sempre andato appresso ad una delfina  a cui faceva il filo e che era diventata la sua compagna e sua moglie e gli aveva regalato tre maschi e due femmine. Lei, la delfina, da qualche tempo lo trascinava con sé nelle sue avventure, ma spesso, nel più bello, lo lasciava per correre con altri delfini. Il nostro Tursiope innamorato ne soffriva e, mi ha raccontato un Saraco Reale, una volta gli anemoni di scoglio lo avevano visto isolarsi e piangere.
Non mi chiedete come fa un delfino a piangere, io ci credo!
Ogni volta lei, la bella mammifera, ritornava verso di lui, satolla dei suoi guappi, e, come per incanto, cancellava dai suoi occhi la tristezza e lui si vestiva di sorrisi.
Purtroppo, la storia, ormai da qualche anno si ripeteva, lei lo lasciava per correre insieme ad altri delfini più giovani di lui e poi, dopo qualche giorno, ritornava.
Così, un giorno, per un ennesimo dolore d’amore, causato dall’abbandono, proprio mentre si trovava proprio in quel tratto di mare che bagna la bellissima spiaggia di Torrazza, decise di farla finita. Abbandonò al mare i suoi pensieri e corse verso il lido per lasciarsi morire in quel piccolo paradiso.
Chissà, dato che i delfini sono mammiferi, le pinne, una volta piedi e mani, si potevano ritrasformare in arti terrestri e il nostro delfino diventare un mammifero terrestre con la possibilità di incontrare, camminando per il Mondo asciutto, un’altra anima graziosa e amorevole, magari una cagnolina o...
 Insomma, il tursiope innamorato volse per l’ultima volta il suo sguardo verso l’amata che si lanciava in giochi amorosi con altri delfini, ignorandolo a bella posta, pianse tutte le sue lacrime e poi, con colpi precisi di coda, si lanciò verso riva.
*  *  *
La bambina, una piccola e deliziosa principessa, giocava sull’arenile. Aveva fatto un buco nella sabbia, un piccolo cratere, e con un annaffiatoio giocattolo andava e veniva per il bagnasciuga riempiendolo d’acqua.
La mamma si era distesa sullo sdraio e armeggiava col telefonino cellulare, conversava con una sua amica.
Il sole, lassù, si godeva la scena e il mare, nonostante i suoi sforzi non riusciva a frenare l’impeto del delfino che voleva morire per amore. Superata una secca, il delfino si voltò ancora una volta indietro per vedere se la sua compagna si fosse accorta della sua assenza. Magari lo stava inseguendo per dirgli di non fare quel gesto estremo e per farlo ritornare nel gruppo. Niente. Lanciò verso di lei i suoi ultrasuoni d’amore, ma lei non sentì. Così, avvolto solo dal dolore, tornò a puntare decisamente verso il lido.
Un delfino?! Pensate un po’ alla sua mole e a quella della bambina. Io, che sono un adulto, scapperei terrorizzato.
Lei no! La principessina vide emergere, a qualche metro da lei, quella grande testa e ridendo si avvicinò. La mamma parlava al telefono con la sua amica e non si accorse della scena che, per uno strano momento di pausa, di quelli che ogni tanto succedono, si consumava proprio accanto ai suoi occhi. Forse per lo sciabordio delle acque o per la voce del vento, chissà. Fatto è che la donna non si rese conto, immediatamente, che la bambina, si era avvicinata al delfino e lo stava accarezzando, battezzandolo con un nome tutto suo: Nanni!
Il mammifero marino ora aveva un nome e lo aveva ricevuto da una principessa terrestre! Nanni si era avvicinato tanto che la sagoma intera della sua testa e una parte del suo corpo era fuori dall’acqua. La bimba si piegò sui ginocchi per guardare quegli enormi occhi e ripetè: Nanni, Nanni!
Nanni si era spiaggiato ad occhi chiusi, ma ora, sentendosi chiamare da una delicatissima e dolcissima voce infantile li riaprì e la prima cosa bella che vide fu proprio la principessina, inginocchiata, che lo chiamava insistentemente: Nanni, Nanni!
Fece un respiro e una fontana d’acqua cadde su di loro. La principessina, per nulla spaventata, gli carezzò la sua enorme testa, continuando il suo canto: Nanni, Nanni!
Il delfino, allora, sorrise e così anche il cielo e il mare tirarono un sospiro di sollievo! La principessina rideva e rideva. Poi si rimise in piedi e torno versò la mamma per presentarle il suo nuovo amico. Continuava a cantare: Nanni, mamma Nanni!
Nanni guardò la bimba e il mare e capì, in quell’istante infinito, che il motore dell’Universo è l’Amore e che questo, spesso, non è dove lo cerchi, ma ti troverà sempre e ti riporterà in cielo, con gli eroi di ogni giorno e il tuo popolo che vive. Diede un grosso colpo di coda all’indietro e si infilò in un canale d’acqua che gli permise, grazie all’alta marea, di ritornare in quel mare che lo aspettava a braccia aperte.
La bambina si voltò verso il mare e vide Nanni che saltando da un onda all’altra la salutava e le rimandava quella carezza e quei baci che sono propri delle creature semplici: quelle che amano.
La madre vedendo quella scena abbracciò la figlioletta diletta e, insieme salutarono il tursiope che riprendeva il largo. All’amica che stava in ascolto, raccontò che la sua bimba aveva parlato con un delfino e questo la salutava di rimando, saltando felice tra le onde!
Da lì al miracolo della Torrazza la strada fu molto breve! Così nascono le leggende, ma una cosa vivrà fino alla fine dei nostri giorni, un magnifico insegnamento:L’amore, quello vero, è semplice come il sorriso di un bambino!

Solo una cosa volevo aggiungere, amato pubblico, con vostra licenza: L’amore trova sempre la sua strada, devi solo saperlo ascoltare. Apri gli occhi e vedrai che lui è vicino a te e ti aspetta con un sorriso, senza chiederti niente di più che un altra gioia sincera del tuo cuore!
Ugo Arioti,

27/07/2014 – Alla mia splendida Donna e ai nostri cari figli e nipoti, tutti.

sabato 26 luglio 2014

Vittoria Nenni

Vittoria Nenni


Nata ad Ancona il 3 ottobre 1915, morta nel lager di Auschwitz (Polonia) il 15 luglio 1943.
Figlia minore di Pietro Nenni, sposò giovanissima il cittadino francese Henry Daubeuf. Col marito, dopo l'invasione tedesca della Francia, Vittoria entrò nella Resistenza. Nel 1942, la giovane donna fu arrestata dalla Gestapo con l'accusa di aver stampato e diffuso manifestini antinazisti e di avere, con Daubeuf, svolto, soprattutto negli ambienti universitari, "propaganda gollista antifrancese". Vittoria fu deportata nel campo di Romainville. Il marito, con altri patrioti francesi, fu trucidato l'11 agosto 1942 nelle vicinanze di Parigi. A Mont Valerien una lapide ricorda l'eccidio. La figlia di Nenni fu deportata nel campo di sterminio nazista il 23 gennaio 1943. Avrebbe potuto salvarsi rivendicando la sua nazionalità italiana, che era stata notata da un ufficiale di polizia, ma rifiutò. Dichiarò di sentirsi francese e di voler seguire la sorte delle compagne di prigionia. Ad Auschwitz, Vittoria Nenni (pur non essendo comunista e neppure iscritta al Partito socialista), si unì al gruppo dei comunisti francesi. Con loro condivise la durezza della deportazione e, ammalatasi gravemente (le autorità militari sovietiche, trovarono negli archivi del lager una scheda di Vittoria Daubeuf; i medici del campo avevano scritto che la deportata n° 31635 era deceduta per "influenza"), non sopravvisse. Sulla teca che ad Auschwitz ricorda Vittoria Nenni, sono scritte le sue ultime parole: "Dite a mio padre che non ho perso coraggio mai e che non rimpiango nulla". Dopo la Liberazione, in Italia le strade di molti Comuni sono stata intitolate a questa vittima dei nazisti. Portano il nome di Vittoria Nenni pure asili d'infanzia e Sezioni del PSI. Nel 1988, le è stata dedicata anche la tessera del Partito socialista: riproduce uno struggente dipinto di Renato Guttuso.

mercoledì 23 luglio 2014

riflessioni su: La Natura ( argomento 2014)


Incantevole e magica è la natura con le sue stagioni che cambiano forma, luce e colore…come ospite in un teatro aperto al mondo l’uomo ha il piacere di godersi giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, lo spettacolo più bello: la scoperta della natura.

“La natura è un miracolo che si perpetua ogni giorno davanti ai nostri occhi e noi spesso non riusciamo a vedere”. (Stephen Littleword)
La natura è tutto ciò che ci circonda, da un piccolo ciottolo sulla spiaggia ad un immenso prato di margherite…ogni cosa è natura.
Il susseguirsi di incontri magici con l’ambiente esterno nel continuo passaggio da una stagione all’altra ci fa capire quanto è bella la natura e quanto costantemente ci offre e ci dona.
Una rilassante passeggiata nel bosco, una dolce corsetta sulla spiaggia, l’immagine dei gabbiani in riva al mare, una tranquilla veleggiata in mare aperto, un’escursione in bicicletta, una pagaiata in canoa…..tutte le attività che si svolgono in ambiente naturale rappresentano un susseguirsi di emozioni che ci danno un senso di piacere e di libertà. I profumi ed i colori della primavera, le luci ed i suoni dell’estate, le foglie ed i venti dell’autunno, il grigio freddo dell’inverno…sono immagini, emozioni ed atmosfere che ci accompagnano alla scoperta della natura.

lunedì 21 luglio 2014

David Lynch e la ricerca della felicità



Ho trovato e letto questa interessante intervista all’artista e uomo David Lynch che anticipa, di alcuni mesi, l’argomento del 2015 “ La ricerca della felicità”. Antico pallino dell’uomo pensante e costruttore. David Lynch rappresenta un prototipo di quello che, per dirla con le parole di un mio amico fraterno, sagacemente romano e fatalmente siciliano de Roma Riccardo Ascoli, si chiama: L’imperfetto! E dove sta l’imperfezione? Sta nell’allargare a 360 gradi il suo campo d’azione per diventare filosofo, pittore e narratore oltre che cineasta. Siamo troppo involuti nella cultura debole di questo millennio, al punto che rappresentiamo le persone con il loro semplice titolo e ci scordiamo che l’essere umano, grazie alla sua imperfezione, è un esploratore di Mondi. Godetevi questa intervista che ho tratto da Repubblica e …. Meditate gente, meditate!
Ugo Arioti


David Lynch e la ricerca della felicità. "Provate a guardare dentro di voi..."
Il cinema e l'arte, la musica e la televisione, le paure e i progetti. Incontro con il regista, diviso fra il rock, Parigi, Los Angeles e la meditazione trascendentale. "Libero il mio corpo, e ogni volta mi sento di nuovo libero"
PARIGI - Non andava al cinema, non guardava la tv, leggeva poco. Ascoltava musica, ma con orecchio non fanatico. La sua vera passione da bambino a Missoula, nel Montana, dov'è nato nel 1946, era il disegno: che non l'abbandonerà mai. A spingerlo a mettere in mostra i suoi lavori ("Non ci avevo mai pensato", dice ora) furono alcune recensioni che nel 1986 vedevano in Blue Velvet "il film d'un pittore". È stato quello il momento in cui, a quarant'anni, cineasta già di culto, David Lynch comincia a allargare a compasso la sua intera personalità - arte, fotografia, musica - fino allora reclusa su grande schermo. L'"altro Lynch" oggi è una costellazione frastagliata: dischi e mostre in Francia (in Italia al decimo Lucca Film Festival in settembre) e un elettrico viavai tra Los Angeles, dove continua a vivere "in piena voluttà" e Parigi, dove due volte l'anno viene a acquattarsi nell'antico atelier Mourlot in rue du Montparnasse, divenuto Idem Paris, per tirare le sue litografie. È qui che l'abbiamo incontrato: pacificato, persino etereo, dopo una delle sedute di meditazione quotidiane, grandi occhi blu cielo, capigliatura d'argenteo rocker, tra fil di fumo gentilmente consentiti dai servizi di sicurezza, concentrato nel suo caratteristico eloquio liquido e scandito.
Fotografie, lito, dipinti, come i film, emanano angoscia. Mr Lynch: paure e inquietudini che dovrebbero evaporare con la pratica della meditazione non tornano per caso a condensarsi nella sua arte?
"Penso di no. Son due piani diversi. La meditazione trascendentale libera il corpo da stress e preoccupazioni, che svaniscono nel nulla. È come togliersi di dosso un gran peso, fino a sentirsi di nuovo liberi. L'arte non è catarsi d'emozioni. Neanche il cinema. Ho le mie angosce, come tutti. Ma non ne faccio il soggetto dei miei lavori".

I momenti più allucinati del grande schermo tornano comunque in primo piano nelle sue opere in cornice, con specularità ossessiva. A loro volta alcune di queste immagini potrebbero diventare il clic di nuovi film?
"Sicuramente. Lavorando a un quadro o a una foto, può scattare un'idea cinematografica. Anzi, il cinema m'è apparso un naturale complemento quando a vent'anni seguivo i corsi di Belle Arti a Philadelphia. Stavo dipingendo un giardino verde su una tela nera, che un colpo di vento ha fatto vibrare: avrei voluto che l'immagine continuasse a muoversi, su un'onda musicale. Da quel quadro, o da quella folata, è nato il mio primo film d'animazione, Six Men Getting Sick".
Anche la meditazione trascendentale, o MT, come la sigla familiarmente, appresa da Maharishi Mahesh Yogi, il guru dei Beatles, è per lei un laboratorio d'idee?
"È pazzesco come le illuminazioni s'affollino dopo una seduta di MT. John Lennon diceva di trovarsi ogni volta immerso in un flusso infinito d'idee. Maharishi gli consigliò di uscire dalla meditazione, annotare e reimmergersi. Ho preso anch'io questa abitudine: ho sempre un block notes a portata di mano".
In Italia esce domani un suo strano documentario musicale: Duran Duran Unstaged mentre la Francia rilancia Twin Peaks in una leggendaria versione "director's cut" di quasi quattro ore. Ma tutti attendono, a sette anni da Inland Empire, una nuova fiction...
"Le idee non mancano. Ma l'industria del cinema è molto cambiata. Ai Duran Duran era piaciuto il mio remix di Girl Panic, canzone del loro album All you need is now. Di qui l'idea d'un film che restituisse il concerto live attraverso la patina d'altre immagini, colte al volo. Finora era visibile solo sul web: è sempre più difficile garantirsi in sala una proiezione di qualità, per me essenziale. Una volta c'era il circuito d'art et d'essai, dove circolavano i miei film. Oggi il cinema alternativo è sempre più in angolo, schiacciato dai blockbusters".
Intanto la rivedremo, attore, accanto a Tim Roth, in A fall from grace, il nuovo film della sua figlia maggiore, Jennifer, nata nel '68 dal matrimonio con la pittrice Peggy Reavey. Ma che ne è di progetti seducenti come The Goddess, sulla Monroe, o Metamorfosi, l'amato Kafka, cui attingono un po' le sue prime opere, Eraserhead e Elephant Man?
"La magia di Metamorfosi è il suo abisso di mondi diversi: quel che insegue da sempre il mio cinema. Marilyn è l'attrice che ho sempre sognato come mia interprete ideale. Volevo trarre un film dal libro che svela le responsabilità dei Kennedy nella sua morte. Produttori sordi alla chiamata. Lo stesso per Kafka. Non credo d'aver fama di regista da cassetta... ".
Trova che la tv, di cui la saga Twin Peaks rimane un minimonumento, sia più disponibile del cinema ai rischi della creatività? Sta per caso meditando una nuova serie?
"Ci sto pensando. Le tv a pagamento, almeno in Usa, sono oggi in grado d'attrarre l'expubblico d'art et essai. Permettono anche quel che al cinema non è più possibile: sviluppare una storia nella sua interezza. Non che veda un futuro senza grande schermo, risucchiato dal piccolo schermo. Continueranno a convivere: come i dipinti di formato quadrato o rettangolare".
Fellini diceva che il cinema si guarda dal basso verso l'alto, ed è l'universo, la tv si guarda dall'alto verso il basso, ed è una scatoletta...
"Anche per questo amo Fellini. Quando ho visto da ragazzo 8 e ½, è stato come sprofondare in un altro mondo. Un film deve farmi sempre questo effetto, che non posso provare con il naso appiccicato al computer, ma solo davanti a un grande schermo, nel buio totale, trasportato da un suono eccellente: non forte, ma eccellente, come l'ha previsto l'autore. Un'interruzione e l'incanto si spezza. Fellini è uno dei rari registi, con Bergman e qualcuno della Nouvelle Vague, che guardavo con partecipazione da giovane. In realtà, non sono mai stato un gran cinefilo. I film degli Studios li trovavo ridicoli, Hitchcock escluso. Da una parte c'erano i film d'evasione, dall'altra gli altri. E io ho sempre preferito gli altri".
Cuore selvaggio batte al ritmo di Elvis: quanto è importante il rock nei suoi film?
"Presley è stato uno dei miei miti di gioventù. Insieme a Roy Orbison: Only the lonely è la canzone che 'cammina con me'. Ma tutta la musica m'assorbe: dall'elettronica alla dance music che per combinazioni inattese è finita nel mio primo album di solista, Crazy Clown Time, composto di brani da me scritti e interpretati. Mi accompagno anche con la chitarra, che all'inizio non sapevo nemmeno tenere in mano. Il disco è evoluto nel tempo, per 'incidenti' successivi, tanto che dovrebbe essere all'ospedale anziché in circolazione! È il risultato di varie jam sessions che hanno via via coagulato anche i testi: ero convinto di arrivare a una raccolta di modern blues, e invece ne è uscito tutt'altro. Ma il mio secondo 'solo', The Big Dream, uscito l'anno scorso, mi pare più blues. O no?".
Ultimamente Parigi è diventata il suo covo d'arte, in cui è corteggiato da mille committenze, le Galeries Lafayette, Dom Pérignon, il night Le Silencio...?
"È stato dopo la grande mostra alla Fondation Cartier, The Air is on Fire, che mi son legato a Parigi. Grazie anche a Patrice Forest, direttore della Galerie Item, dove ho poi realizzato la mostra Works on Paper. È uno dei luoghi magici della città, da un secolo e mezzo: vi lavorava Picasso, J'accuse di Zola fu stampato qui. Nelle tirature, mi aiuta il vecchio assistente di CartierBresson e Koudelka. È la culla della mia grafica e delle mie fotografie, come le Small Stories esposte quest'anno alla Maison Européenne de la Photograhie".

Lei si batte da anni, con la Fondazione creata nel 2005, per diffondere la MT nelle scuole. In Italia è stato più volte, a Roma e in Sicilia, a questo scopo. Con quali risultati finora?
"Nel distretto di San Francisco, diverse scuole, con allievi prima 'difficili', hanno adottato con profitto la MT: la violenza è calata o sparita. M'incoraggiano registi e artisti amici. Paul McCartney e Ringo Starr si sono esibiti insieme nel 2009 per una raccolta di fondi al Radio City Music Hall di New York. Maharishi Mahesh Yogi, su cui ho realizzato un documentario dopo aver assistito alla sua cremazione nel 2008 in India, ci ha trasmesso una tecnica antica, che lui ha rivitalizzato. L'unica che abbia tradotto in realtà un precetto rimasto per anni un miraggio: 'La vera felicità non è fuori ma dentro di te'".

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