Non
bisogna mai fermarsi sul ponte Corleone a guardare le evoluzioni aeree dei
gabbiani, ovvero Ciccio Virrina se l’è vista brutta!
(Ugo Arioti @2002 dalla raccolta : Live!)
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Il fiume, giù in fondo alla stretta valle
coperta di arbusti, ortiche, sommacco e canne, scorreva lento e pingue come un
maiale all’ingrasso in un campo di ghiande. Franco Stella, per gli amici del
Bar da “Za Agatina a Ballarò” Ciccio
Virrina, per via del fatto che quando attaccava a parlare di una persona in
bene o in male non la finiva più, con la testa a pendoloni fuori dalla
ringhiera del ponte, sognava di volare, ma non riusciva a procurarsi un paio
d’ali.
L’Oreto, il fiume che stava giù, non lo calcolava
nemmeno, si insinuava tra le sue antiche pietre e qualche sacchetto di plastica
ricco di spazzatura, annoiato come sempre per la sua eterna condanna al ciclo
terra cielo terra.
Secondo voi, un fiume ha una sua intelligenza?
Mah?!?
fatto è che, mentre scorreva, lemme lemme,si avviluppava una strana scena, come un film di suicidio. Ho detto come!
Secondo voi, un fiume ha una sua intelligenza?
Mah?!?
fatto è che, mentre scorreva, lemme lemme,si avviluppava una strana scena, come un film di suicidio. Ho detto come!
la domanda è: Chi siamo noi, da dove veniamo, dove andiamo?!, credo di averla presa troppo larga, ora restringo!
Poi, improvvisamente e senza un preciso gesto pensato, Ciccio mise una gamba fuori dal parapetto e gli attraversò la schiena un brivido freddo, ghiacciato!
Pensate, aveva allungato tutte e due le mani
fuori dalla ringhiera del ponte. Il Ponte Corleone è molto, molto alto. Fa
paura!
Le auto passavano veloci e qualcuno gettava lo
sguardo verso quell’uomo sul ciglio del baratro. Uno gli gridò di sbrigarsi
altrimenti col buio non avrebbe visto il luogo dell’atterraggio! Un altro lo apostrofò
con “Idiota, devi saltare… chi non salta è un imbecille è... chi non salta è un imbecille è…".
Insomma, una varia e molto raffinata
costellazione di umani che lo incitavano
a dare il via allo spettacolo senza se e senza ma!
Qualcuno scattava una foto al volo.
Finalmente una anziana signora fermò la macchina
e, come succede in questi casi disperati, lo stop di uno è il segnale per tutti. I curiosi e i volontari del “Bene”, che non possono perdere l’occasione, la imitarono subito!
Una lunga fila di auto, qualcuno anche in doppia
o tripla fila e tanta gente che correva verso il nostro Icaro senza ali, per
dire la sua; sembravano api che vanno a raccogliere nettare, e che, impazzite,
puntano tutte su un unico fiore: Ciccio Virrina!
Anche il fiume si fece più silenzioso per
ascoltare meglio quello che stava accadendo di sopra o per capire se un altro,
l’ennesimo, cadavere avesse portato tanta gente in divisa e con i guanti tra i
suoi canneti e i suoi depositi abusivi di munnizza!, e foto per riprendere pezzi del cadavere e misure.
E Ciccio?
Il nostro aspirante suicida se l’era fatta
letteralmente addosso e sudava freddo perché una delle barre di ferro della
ringhiera del ponte, dove aveva appoggiato il piede per salire un po più su e osservare meglio il volo dei gabbiani, magari per i
“mille” anni di incuria e mancata manutenzione cedette
inaspettatamente sotto i suoi piedi, e Ciccio rimase appeso alla ringhiera; la
parte superiore, con le ascelle, mentre i piedi gli penzolavano, oscillando
come la pendola di un cucù!
Insomma era mancato poco, tanto poco al decollo,
ma le braccia tese verso fuori si erano, istintivamente, riportate verso i
fianchi agganciando il passamano superiore della ringhiera proprio mentre il
tubo inferiore, cedendo improvvisamente, cadeva nel vuoto.
La Signora si era fermata a un passo da lui e
strillava verso quelle api desiderose di prendere il nettare franchicaresco e portarlo all’alveare!
“Prendetelo, prendetelo” starnazzava, come una
cornacchia urlante, la vecchia. Quattro giovinastri lo afferrarono e lo
tirarono verso la salvezza con tale violenza da fargli male. Gli volò fuori dal
parapetto una scarpa. Fu steso per terra e piantonato come fosse un ladro colto
in fragrante. Uno dei primi che lo avevano afferrato, prese dalla sua vettura, una bottiglia
d’acqua e la infilò in bocca a Ciccio per farlo bere, lo stava quasi annegando!
Franco Stella ora era spaventato dal clamore che il suo
gesto aveva procurato! “Sbottonategli la camicia, fatelo respirare”, continuava
la donna, come fosse la caposala dell’ospedale civico!
Un altro gridò verso la calca di curiosi “Chiamate
un ambulanzahhh. Non possiamo lasciarlo quiiihhh…”!
L’uomo dell’acqua gli stappò la bottiglia dalla
bocca e lo guardò amorevolmente, facendogli per primo la domanda che pendeva
dalle labbra di tutti: - Perché ti volevi buttare giù?
Ma siamo sicuri?, perché si voleva gettare
dal ponte Corleone quella mattina, la prima domenica di maggio, Franco Stella,
detto dagli amici: Ciccio Virrina? Cosa o chi lo avevano portato a tentare quel
gesto estremo? Una storia d’amore finita male? La disperata ricerca di un
onesto lavoro senza esito positivo? Una cartella esattoriale vessatoria e
assurda? Qualsiasi cosa o persona lo avesse spinto a questo gesto gravissimo
una cosa è certa: Ciccio non si era preparato bene. Si, voglio dire che non è
così che uno si suicida. E no! Non ci sono più i suicidi d’una volta, quando si
scriveva prima una lettera e poi si andava in un posto dove nemmeno un cane
sarebbe potuto passare per un ultimo addio alla vita. No, non si fa così.
Ciccio Virrina autodidatta, aspirante al sacrificio, noi ti diamo quattro meno meno in suicidologia!
Il capannello degli spettatori del tentativo di
volo senza elastico dal Ponte Corleone aumentavano iperbolicamente e arrivavano
ora a bloccare quasi del tutto la carreggiata.
Tutti
cercavano di penetrare fino al giaciglio improvvisato dove trattenevano quel
povero cristo, sì, quello che si voleva buttare dal ponte perché la sua donna
lo aveva lasciato o perché non voleva dire a sua moglie che aveva perso il
lavoro o per chissà quale altra tragedia.
Volevano anche solo dirgli una parola o
stringergli la mano o semplicemente toccarlo (per qualcuno, dicevano, porta fortuna sfiorare o palpare un aspirante
suicida!).
A Ciccio venne la confusione!
Tutti quei visi sconosciuti che lo osservavano
come fosse un animale raro ferito.
Finalmente, arrivò l’ambulanza, e vennero a
prelevarlo, con la lettiga e un medico, signori miei!, che pareva un ragazzino
poco più che ventenne, sbarbato e leccato con la testa piena di gel.
La folla si aprì intorno a loro, tutti volevano
spiegare quello che era successo.
Mentre, una ragazza, in tuta blu, raccoglieva
informazioni.
Lo trascinarono via, la sirena cominciò la sua
musica e Giuseppe, l’autista dell’ambulanza riuscì a trovare un varco miracolosamente per
tornare verso l’ospedale civico.
Gran parte degli presenti si dileguò, rientrando
nelle proprie vetture e togliendo l’ancora, restarono solo la vecchia e i primi
quattro soccorritori per un altro pò di tempo a parlare della storia, forse per
metterla bene a memoria e per poterla raccontare agli amici.
Franco era talmente spaventato che non gli
usciva nemmeno una parola.
Per uno scherzo del destino, era più impaurito
adesso che prima, quando la barra della ringhiera si era staccata dal parapetto
del ponte ed era volata giù.
- Mi dica il suo nome! - gli ripeteva la dama in
blu.
Alla
fine, con un fil di voce strabuzzando gli occhi, la donna era giovane e
procace, Ciccio le rispose: - Mi chiamo Franco. Franco Stella e abito a
Piazzetta del Carmine… dieci... a Ballarò!
- Finalmente! - esclamò lei, - e… signor Franco
perché si voleva ammazzare? - lo incalzò diretta e spregiudicata (che si fa
così?).
- Chi io?
- No,
Signor Franco, quello che passava. Avanti si apra e non sia reticente siamo qui
per aiutarla.
- A me?
- Ha
bevuto?
- Si, una bottiglia di vino con gli amici del bar,
mangiando un piatto di carbonara, vedevamo la partita! Che bella partita! Il Palermo
ha vinto! Due a zero contro la Salernitana… a casa loro!
- Ecco!, -
disse allora il medico, - come pensavo: ha bevuto e poi…
La
femmina, che sembrava Diana con arco e frecce, lanciò uno sguardo disgustato al
dottorino. Poi, rivolgendosi a Ciccio gli chiese di raccontare la sua versione
dei fatti avvenuti quella mattinata domenicale di maggio dal bar con gli amici
in poi.
Ma Ciccio non ricordava null’altro che quella
vecchia che strillava “Prendetelo,
prendetelo” e la confusione che si era sviluppata intorno a lui!, e la ferita
al piede che gli avevano procurato strattonandolo per sganciarlo, per così
dire, dalla ringhiera del ponte.
Come era
arrivato al ponte Corleone, e quello che era successo al bar, dopo il brindisi
per la vittoria del Palermo, proprio non lo ricordava.
Niente, era un tratto della sua vita scomparso
nel nulla, forse caduto nel fiume Oreto!?
- Ancora
non mi ha detto perché voleva buttarsi giù. – Gli ripetè, ammonendolo, secca e
precisa, l’infermiera.
Franco la guardò con stupore.
- Signora,
io non ho mai voluto buttarmi giù dal ponte! Vuole scherzare?
- Allora da
cosa lo hanno salvato?
- Ma c’è un
equivoco… no. Stavo guardando alcuni uccelli che volavano sopra il fiume Oreto
e per un attimo…
- Voleva
fare come loro!
- No, ma
che dice, no. Ho messo il piede sulla prima barra di sotto del parapetto,
questa non so come si è rotta e mi è scivolato il piede, ma ero appeso al
passamano, poi lo spazio non c’era per cadere di sotto, no. Ma chi le ha detto
che volevo …? - Tutti
quelli che lo hanno visto e per umanità si sono fermati e lo hanno tirato via
dalla ringhiera. Tutti.
- Ma no, le dico! Non è così. Le giuro. Ma sta
scherzando io… no. Mi vengono i brividi solo a pensarci.
- E perché ha perso una scarpa? - lo incalzò il
medico, - le è caduta giù così per caso o…?
- Dottore. Cosa vuole insinuare? Le dico che non
ho mai pensato di buttarmi giù da un ponte. Deve essere successo quando mi
hanno tirato e procurandomi questa ferita al piede!, la vede?
-
Quindi lei non voleva suicidarsi?
- Ancora con sta fesseria!? Sta scherzando? No,
mai e se vuole posso anche sottoscriverlo. - rispose seccato, alzando il tono
della voce Ciccio.
La
donna, allora, busso sulla paretina che divide la zona degenza della cabina di
guida.
-
Dimmi
Grazia! - le rispose, a quel segnale convenzionale, il conducente.
-
Ferma un
attimo!
-
Lei, Signor Francesco, firmi questo foglio… qua
in basso! - ingiunse al nostro novello pseudoIcaro mancato.
-
Cosa?
-
Che lei
si è ferito scivolando sul marciapiede del ponte Corleone. Stop!
-
Firmo
qua?
-
Si!
-
E ora?
-
Ora la
lasciamo prima di arrivare al Civico, lei torna a casa e si fa un bel riposino,
ok?
Il medico allora : - Ma non possiamo lasciarlo
andare via. Se torna al ponte e si butta giù?
L’infermiera guardò con compassione il
dottorino e con femminea saetta Ciccio.
-
Risponda al dottore: lei si vuole suicidare?
- Ancora con sto suicidio? Io mi sono pisciato
addosso per la paura quando ha ceduto la barra dove appoggiavo i piedi. Per
carità!
-
Io non sono d’accordo! – esclamò, con un
rigurgitò d’autorità, il giovin medico.
-
Ecco e allora firmi qua, dottor Licitra! - gli
ordinò la donna e lui firmò.
- Si metta seduto Lei, la ferita al piede era solo
un graffio. Le abbiamo messo un cerotto disinfettante. Cerchi di andare a casa
e dormirci su e non si faccia più venire in testa di osservare i gabbiani dal
Ponte Corleone. Sono stata chiara?
- Chiarissima!
Poi
quella, rivolta all’autista : - Giuseppe, fermati prima del Pronto Soccorso che
il signore scende e andiamo in Via Oreto, altezza Via Palermo, a prendere un’infartuata.
Capita! è proprio così
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