Ormai è
ben noto che i delfini (e i cetacei in generale), al pari degli animali
più evoluti, possiedono un loro linguaggio strutturato.
Lo
studio del linguaggio dei delfini è iniziato all’incirca negli anni
Sessanta. Trattandosi di animali sociali, non solitari, hanno un
complesso sistema per comunicare fra loro, fatto di suoni e ultrasuoni
che oltretutto sembrano avere un particolare effetto benefico sulle
persone.
Nel 1966 Mère confida qualche riflessione in proposito a Satprem (Agenda del 2 giugno, volume VII):
«Hai mai sentito dire che i delfini sanno parlare?
Non hai letto quegli articoli?
Hanno scoperto che i delfini si esprimono con un linguaggio articolato, ma con una estensione vocale di gran lunga superiore alla nostra: va molto più su in altezza e molto più giù in profondità. Ed è molto più vario. Parlano regolarmente (pare li abbiano registrati), ma non si riesce a capire quel che dicono. Gli hanno fatto ascoltare la parola umana — e loro la imitano per prenderci in giro! Ridono![Mère ha l’aria molto divertita].
Li ho visti in certe fotografie: hanno un’aria simpatica, ma le foto non dicono abbastanza. Hanno, come le focene, tante file di dentini; ma non sono per niente aggressivi, pare, mai uno scatto di rabbia. E parlano! Non solo parlano, ma sanno anche ascoltare. Imitano il linguaggio umano e ridono, come se ci trovassero [ridendo] estremamente ridicoli.
È divertente.
Pare che in Nordamerica abbiano costruito come delle grandi piscine per loro: li tengono lì, e pare ci stiano benissimo. Si sono messi a studiarli; allo scienziato americano che se ne occupa qualcuno ha detto (l’ho letto ieri): “Voi dite che sono intelligenti quanto noi; ma se fossero intelligenti come noi avrebbero cercato di farsi capire e di capirci”. E l’altro ha risposto [Mère ride] che forse non lo facevano perché sono saggi e hanno scoperto quanto siamo bestie!
È proprio divertente.
Pare che gli scienziati abbiano scoperto che i delfini usano una specie di ‘comunicazione immediata’, che non segue il ritmo lento delle onde né quello delle trasmissioni più eteree, e che si servono di quello che hanno chiamato un ‘bilanciere’, mi pare, o di contrappeso […] una sorta di comunicazione intuitiva. Pare abbiano uno strumento per misurarla!».
Non hai letto quegli articoli?
Hanno scoperto che i delfini si esprimono con un linguaggio articolato, ma con una estensione vocale di gran lunga superiore alla nostra: va molto più su in altezza e molto più giù in profondità. Ed è molto più vario. Parlano regolarmente (pare li abbiano registrati), ma non si riesce a capire quel che dicono. Gli hanno fatto ascoltare la parola umana — e loro la imitano per prenderci in giro! Ridono![Mère ha l’aria molto divertita].
Li ho visti in certe fotografie: hanno un’aria simpatica, ma le foto non dicono abbastanza. Hanno, come le focene, tante file di dentini; ma non sono per niente aggressivi, pare, mai uno scatto di rabbia. E parlano! Non solo parlano, ma sanno anche ascoltare. Imitano il linguaggio umano e ridono, come se ci trovassero [ridendo] estremamente ridicoli.
È divertente.
Pare che in Nordamerica abbiano costruito come delle grandi piscine per loro: li tengono lì, e pare ci stiano benissimo. Si sono messi a studiarli; allo scienziato americano che se ne occupa qualcuno ha detto (l’ho letto ieri): “Voi dite che sono intelligenti quanto noi; ma se fossero intelligenti come noi avrebbero cercato di farsi capire e di capirci”. E l’altro ha risposto [Mère ride] che forse non lo facevano perché sono saggi e hanno scoperto quanto siamo bestie!
È proprio divertente.
Pare che gli scienziati abbiano scoperto che i delfini usano una specie di ‘comunicazione immediata’, che non segue il ritmo lento delle onde né quello delle trasmissioni più eteree, e che si servono di quello che hanno chiamato un ‘bilanciere’, mi pare, o di contrappeso […] una sorta di comunicazione intuitiva. Pare abbiano uno strumento per misurarla!».
Oggi,
esistono diverse registrazioni del linguaggio dei delfini e delle
balene. Spesso viene descritto come un canto, proprio perché il loro
linguaggio è molto più musicale del nostro.
Piscine
come quelle descritte da Mère ormai esistono un po’ dappertutto: sono i
cosiddetti “delfinari”. Alcuni dei quali, purtroppo, vengono costruiti
per sfruttare gli animali in senso ‘ludico-commerciale’, ovvero per
attrarre i curiosi (soprattutto all’interno di mega parchi giochi) che,
pagando un biglietto, possono disturbarli a loro piacimento; questo
utilizzo, oltre a costituire un indubbio motivo di stress per i delfini,
rimane un assai discutibile mezzo di divertimento per gli esseri umani.
Forse siamo lontani dai tempi in cui l’etologo Konrad Lorenz, per
esplorare il mondo delle oche, decideva di sguazzare nella loro stessa
acqua, ma è il caso che la smettiamo di trattare gli animali, come ebbe a
dire Jacques Costeau, da «trastulli obsoleti che chiamano in causa il
nostro stesso senso di umanità».
Inoltre,
occorre notare quanto l’uomo, soprattutto in tempi recenti, abbia messo
a rischio la vita di questo nobile cetaceo (in passato caro al dio
Apollo), al punto da farlo diventare una specie in pericolo di
estinzione e, quindi, sottoposto a programmi internazionali di
protezione. Le più gravi minacce alla sopravvivenza dei cetacei,
infatti, sono tutte ascrivibili al comportamento dell’uomo, che va a
caccia della loro carne per scopi commerciali, che li intrappola
accidentalmente nelle reti destinate alla pesca di altri pesci, che
inquina i mari privandoli di sufficienti prede, che sfrutta la loro
facilità di apprendimento per fini militari e bellici.
D’altro
canto, invece, è ormai ben documentata la straordinaria intelligenza
dei delfini, la loro velocità di apprendimento, la loro non comune
sensibilità. A questa specie è sempre stata riconosciuta una particolare
abilità a entrare in contatto con gli esseri umani, a interagire e
giocare in modo del tutto spontaneo con loro. Per queste
caratteristiche, unite a una spiccata intelligenza, è stata presa in
considerazione l’idea di utilizzare i delfini a scopo terapeutico
nell’autismo e in casi di depressione o altri disturbi mentali. Sono
nate specifiche terapie in cui il bambino viene messo a contatto con il
delfino e, stando in acqua e giocando con lui, migliora notevolmente (e
in tempi piuttosto rapidi) il suo stato di salute. E questo è l’unico
esempio di terapia assistita da animali che utilizza un animale non
domestico. I principali effetti che sono stati studiati sono un
miglioramento nell’integrazione di alcuni aspetti della personalità e
della corporeità, come la percezione di parti del corpo trascurate,
stimolate dal movimento dei delfini e dall’acqua intorno a loro; la
capacità di espressione e la spontaneità, favorita dal fatto che in
acqua, in compagnia dei delfini, esistono meno regole, o sono comunque
diverse dalle nostre; il movimento, stimolato anche dalla particolare
vivacità dei delfini e la loro propensione al gioco; la disponibilità al
contatto, favorita anche dall’ambiente acqua.
Il
delfino è un essere dotato di enormi capacità comunicative, la cui
storia evolutiva si è intrecciata spesso con quella di altri mammiferi
terrestri, con cui ha in comune il sangue caldo, la modalità
riproduttiva, la ricchezza di linguaggio, ma che presenta anche modalità
particolari che riguardano la respirazione, il sonno, il veloce e
silenzioso nuoto, la capacità di astrazione, la “trasmissione culturale”
del comportamento.
Inoltre,
i delfini hanno una particolare capacità di comprendere certi tipi di
linguaggio umano, come il linguaggio dei segni. Chi studia i delfini è
certo che un giorno riusciremo a comunicare alla perfezione con loro, ma
già oggi riusciamo a farlo con il linguaggio dei sordomuti.
Di
particolare interesse il mondo acustico fatto di echi, che consente ai
delfini di percepire non solo la distanza, ma anche la forma, la
grandezza, lo spessore degli oggetti o degli altri esseri viventi che
incontra sul suo cammino.
Questi
mammiferi sono dotati di un ricchissimo “vocabolario”: oltre a
fischiare, grugnire e strillare, riescono a emettere una vasta gamma di
suoni percepibili da noi uomini, oltre a emettere ultrasuoni con
frequenze troppo elevate per i nostri limitati organi acustici.
Un
gruppo di studiosi del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) ha
recentemente provato in questi animali la coesistenza di due tipi
diversi di linguaggio, uno per “giocare” e l’altro per “comunicare” con
il gruppo.
I
delfini parlano, ma con il loro gruppo utilizzano un “dialetto”
particolare, che si sviluppa nel corso degli anni e che diventa un
veicolo di riconoscimento fra esemplari della stessa comunità.
«I
delfini — spiega Massimo Azzali del Cnr — comunicano usando due
linguaggi o segnali acustici: i suoni (frequenza 20kHz), detti segnali
di vocalizzazioni, e gli ultrasuoni (frequenza tra 20 e 200 kHz), detti
segnali sonar o di ecolocalizzazione».
Le due
vocalizzazioni sono molto diverse: le prime sono innate e vengono
prodotte in occasione di uno specifico evento: in generale riflettono la
reazione “emotiva” del delfino a uno stimolo esterno.
Nel
corteggiamento, quando hanno paura, quando si arrabbiano, quando sono
stressati e in moltissime altre occasioni, questi mammiferi
super-intelligenti emettono le frequenze da 20kHz.
Come delle grida spontanee, immediatamente percepibili e affatto difficili da emettere e da essere comprese.
I segnali sonar dai 20 ai 200 kHz invece sono più difficili da imparare e da capire.
«La condivisione delle percezioni/evocazioni che scaturiscono dai segnali sonar — prosegue Azzali — si imparano con il tempo e richiedono che nella comunità si sia formato un linguaggio sonar comune, ovvero una connessione suoni-immagini acustiche che valga per l'intera comunità».
Si può perciò presumere che il linguaggio sonar di un gruppo richieda un lungo periodo di apprendimento da parte dei suoi membri più giovani perché contiene molti elementi tipici ed esclusivi di una comunità.
Ed è per questo che i delfini devono vivere un lungo periodo di apprendimento prima di formare un gruppo con il quale condividere il linguaggio. Un training lento e complicato, che permetta loro di orientarsi nella giungla dei segnali sonar degli altri membri del gruppo in modo da imparare ad ascoltare e a parlare la stessa lingua.
Solo dopo questa lunga fase di apprendimento nascono solidi legami sociali.
«La condivisione delle percezioni/evocazioni che scaturiscono dai segnali sonar — prosegue Azzali — si imparano con il tempo e richiedono che nella comunità si sia formato un linguaggio sonar comune, ovvero una connessione suoni-immagini acustiche che valga per l'intera comunità».
Si può perciò presumere che il linguaggio sonar di un gruppo richieda un lungo periodo di apprendimento da parte dei suoi membri più giovani perché contiene molti elementi tipici ed esclusivi di una comunità.
Ed è per questo che i delfini devono vivere un lungo periodo di apprendimento prima di formare un gruppo con il quale condividere il linguaggio. Un training lento e complicato, che permetta loro di orientarsi nella giungla dei segnali sonar degli altri membri del gruppo in modo da imparare ad ascoltare e a parlare la stessa lingua.
Solo dopo questa lunga fase di apprendimento nascono solidi legami sociali.
«Con le
relazioni echi-immagini — precisa Azzali — valide per tutti i membri
della comunità, nascono i rapporti sociali. Dai nostri studi risulta che
gruppi diversi usino il linguaggio degli echi con modalità diverse».
In ogni caso, tramite l’ecolocalizzazione i delfini sono in grado di comunicare fra loro chiamandosi per nome.
In ogni caso, tramite l’ecolocalizzazione i delfini sono in grado di comunicare fra loro chiamandosi per nome.
Ma quando inizia l’apprendimento?
Secondo lo studioso del Cnr il cucciolo di delfino comincia ad apprendere il linguaggio sonar addirittura dalla pancia materna «perché i suoni si propagano quasi allo stesso modo nell’oceano e nel corpo della madre».
L’apprendimento continua poi dalla nascita ai quattro anni esclusivamente tramite la madre e poi tramite tutto il resto del gruppo.
Secondo lo studioso del Cnr il cucciolo di delfino comincia ad apprendere il linguaggio sonar addirittura dalla pancia materna «perché i suoni si propagano quasi allo stesso modo nell’oceano e nel corpo della madre».
L’apprendimento continua poi dalla nascita ai quattro anni esclusivamente tramite la madre e poi tramite tutto il resto del gruppo.
Un’ultima curiosità: i delfini dormono galleggiando in superficie e una metà del loro cervello rimane intenta a vigilare.
Interessante
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