Il Mare, la grande madre di tutti noi che
viviamo nell’Isola, è quel grande raccoglitore dove si aggregano culture,
conoscenze, esperienze, riti, miti e leggende che hanno seguito il cammino
dell’uomo su questa Terra di mare e focu.
Io non saprei vivere lontano da queste spiagge, da questi monti che si
immergono nell’Oceano mediterraneo, da queste ricchezze che mi fanno sudare,
patire, amare, soffrire, vivere e mi accompagnano fino all’ultimo respiro.
Anche se non ho mai armato, intrecciato o rammendato una rete odo gli echi
profondi e vivendo con i marinai e i pescatori vengo proiettato in una
dimensione straordinaria, dove il tempo perde il suo significato, ed i confini
geografici non hanno più valore. Sono la levatrice della leggenda; vivo il mito che il grande
grembo marino riporta con le conchiglie e la sabbia e le alghe spezzate verso
riva sugli arenili dove vanno a dormire le Meduse e il mito di Nettuno rimbomba
negli orecchi dei bambini.
In questa rubrica mare e mito, il sacro e
il profano per mare, raccogliamo storie di mare e ve le presentiamo come in un
rito di specchi infiniti che attraversano lo spazio e il tempo per ricondurci
all’origine, alla madre delle madri, all’inizio che vorremmo conoscere e amare.
Ugo Arioti
LA MADONNA
DI TRAPANI, narratore
Pio Solina (la vicenda accade negli anni ’60 del 1900)
“Con noi in barca c'era Lorenzo, eravamo alla Secca Dimanno, a levante dell'isola di Levanzo, lavoravamo a occhiate, como spuntava 'a luna; Lorenzo era picciriddo, aveva tredici, quattrodici anni, e veniva con noi da 'na misata, un mese circa.
Ad un certo punto gli venne un fortissimo dolore allo stomaco, era notte, e si gettò sulla coperta della barca e s'inturciuniava tutto, si contorceva per il male, dolore da morire, "Staio murennu" gridava, e così mettemmo la prua per terra, lo volevamo portare all'ospedale. Un'ora di navigazione e saremmo arrivati a Trapani.
Quanno parse a iddu, che nuiatri stàvamo finenno di tirare u conzu che ppoi u portamo a Trapani, iddu, picciutteddu, gridao :"Bedda Matri di Trapani, fammi passare ‘stu dulure, che m'affari moriri?". Proprio così gridava. Lorenzo era disperato e invocava la Madonna di Trapani, protettrice dei marinai. U cielo stiddato come ‘sta nuttata 'un ci 'nnastatu mai, un cielo netto, stiddato, bonazza, tutto 'nta na vota in cielo si forma ‘na Maronna, com'è a Maronna Trapani,’na statua, bianca, una fiamma lucente che proprio si viria 'u quadro da Maronna proprio perfetto; durao tri, quattro minuti, iò taliava accussì, nta facciata ‘Levanzo, ntall'aria, e virìa come a Maronna. Poi scumpariu ‘sta cosa, e io mi fici 'a cruce all'uso meo. Dopo l’apparizione della Madonna in cielo a Lorenzo passò il dolore alla pancia, e noi lavorammo tutta la notte e riempimmo la barca di pesce. E' da allora che Lorenzo non ha più dolori”.
“Con noi in barca c'era Lorenzo, eravamo alla Secca Dimanno, a levante dell'isola di Levanzo, lavoravamo a occhiate, como spuntava 'a luna; Lorenzo era picciriddo, aveva tredici, quattrodici anni, e veniva con noi da 'na misata, un mese circa.
Ad un certo punto gli venne un fortissimo dolore allo stomaco, era notte, e si gettò sulla coperta della barca e s'inturciuniava tutto, si contorceva per il male, dolore da morire, "Staio murennu" gridava, e così mettemmo la prua per terra, lo volevamo portare all'ospedale. Un'ora di navigazione e saremmo arrivati a Trapani.
Quanno parse a iddu, che nuiatri stàvamo finenno di tirare u conzu che ppoi u portamo a Trapani, iddu, picciutteddu, gridao :"Bedda Matri di Trapani, fammi passare ‘stu dulure, che m'affari moriri?". Proprio così gridava. Lorenzo era disperato e invocava la Madonna di Trapani, protettrice dei marinai. U cielo stiddato come ‘sta nuttata 'un ci 'nnastatu mai, un cielo netto, stiddato, bonazza, tutto 'nta na vota in cielo si forma ‘na Maronna, com'è a Maronna Trapani,’na statua, bianca, una fiamma lucente che proprio si viria 'u quadro da Maronna proprio perfetto; durao tri, quattro minuti, iò taliava accussì, nta facciata ‘Levanzo, ntall'aria, e virìa come a Maronna. Poi scumpariu ‘sta cosa, e io mi fici 'a cruce all'uso meo. Dopo l’apparizione della Madonna in cielo a Lorenzo passò il dolore alla pancia, e noi lavorammo tutta la notte e riempimmo la barca di pesce. E' da allora che Lorenzo non ha più dolori”.
La Madonna
di Trapani, venerata in tutto il Mediterraneo, è particolarmente cara ai
marinai, e le leggende legate al suo arrivo a Trapani – datato intorno alla
metà del 1200 sono tutte collegate al mare. Sono due le versioni del suo arrivo
in città, ed entrambe hanno una base comune: la statua arriva dalla Terrasanta,
portata via dai cavalieri templari per sottrarla ai saraceni che stavano
riappropriandosi della loro terra e della loro fede.
- La nave che trasportava la
statua a Pisa, terra del cavaliere che l’aveva presa in custodia, nei
pressi di Trapani urtò contro il fondale e si aprì una falla nella carena;
quando venne tirata in secco si scoprì che un pesce – un nasello/merluzzo
– aveva otturato il buco evitando l’affondamento della nave, e da allora
guardando controluce la spina del pesce si intravede l’immagine della
Madonna. Sbarcata la statua sacra, questa venne posta su un carro per
portarla dentro la cinta muraria, ma i buoi arrivarono al convento del
Carmine e non vollero più muoversi. Nessuno reclamò la statua, che così
restò a Trapani nel convento che divenne il Santuario dell’Annunziata.
- La nave diretta a Pisa fu colta
dalla tempesta a Lampedusa, poi arrivò a Trapani il 6 agosto, ma ogni
volta che ripartiva si scatenava la tempesta ed era costretta a tornare
indietro. I marinai superstiziosi si convinsero della impossibilità di
partire alla volta di Pisa con la statua a bordo, e la lasciarono al
console dei pisani che aveva sede in città. Il console, avuta notizia che
un’altra nave sarebbe partita per Pisa da Palermo, dispose il trasporto
della statua nella capitale dell’isola ma i buoi che tiravano il carro
arrivati davanti al convento del Carmine non vollero più muoversi; il
console pisano interpretò i segni divini e la volontà dei trapanesi, e non
inviò più la statua a Pisa. Furono i marinai trapanesi a portarla dentro
il Santuario.
La storia
delle tonnare è ricca di episodi leggendari, correlati ad avvenimenti reali,
che dimostrerebbero quanto può influire sull’andamento della pesca un Dio
ben disposto; si devono al canonico Antonino Mongitore (“Della Sicilia
Ricercata nelle cose più memorabili”, 1743) alcuni racconti straordinari di
interventi divini nelle tonnare: così il Beato Pietro Geremia, dapprima
scacciato dalla tonnara palermitana dell’Arenella dove era andato a chiedere
l’elemosina, avrebbe riportato fra le reti i mille tonni che ne erano fuggiti,
dopo il ravvedimento del padrone che si decise ad elargire una ricca prebenda
per timore di perdere la stagione di pesca.
Straordinari i poteri del Venerabile Servo di Dio Frà Innocenzo da Chiusa, devotissimo di Sant’Anna, che fece da tramite fra la Santa ed i generosi gestori delle tonnare delle Egadi affinché la stagione di pesca si concludesse nella migliore maniera, come in effetti avvenne: di volta in volta i tonni arrivarono fra le reti col nome di Sant’Anna scritto “nelle reni”, e addirittura nella tonnara di Formica con le “vertule” (bisacce) al collo. Oggi sappiamo che le “vertule”/bisacce non sono altro che muscoli che sotto lo sforzo assumono un colorito diverso dal resto del corpo, ma ancora pochi anni addietro un bravo tonnaroto di Bonagia raccontava che una volta fu fatta una mattanza di tonni enormi, grossissimi, “e tutti chi stampe ‘ccà, nel fianco, e da allora non è successo mai più”.
Straordinari i poteri del Venerabile Servo di Dio Frà Innocenzo da Chiusa, devotissimo di Sant’Anna, che fece da tramite fra la Santa ed i generosi gestori delle tonnare delle Egadi affinché la stagione di pesca si concludesse nella migliore maniera, come in effetti avvenne: di volta in volta i tonni arrivarono fra le reti col nome di Sant’Anna scritto “nelle reni”, e addirittura nella tonnara di Formica con le “vertule” (bisacce) al collo. Oggi sappiamo che le “vertule”/bisacce non sono altro che muscoli che sotto lo sforzo assumono un colorito diverso dal resto del corpo, ma ancora pochi anni addietro un bravo tonnaroto di Bonagia raccontava che una volta fu fatta una mattanza di tonni enormi, grossissimi, “e tutti chi stampe ‘ccà, nel fianco, e da allora non è successo mai più”.
La fede ha
sempre avuto un ruolo molto importante per i pescatori in generale, e per i
tonnaroti in particolare: “… preme l’osservanza della religione da cui giudica
di dover dipendere non poco il buon esito della pesca …”, scriveva nella
seconda metà del XVIII secolo l’abate Cetti, parlando dei rais del tempo.
Il rapporto con Dio e i Santi, ma anche con le potenze numinose che tanta parte hanno nelle credenze popolari, è continuo: apre la giornata con le preghiere dette dal rais o dal capomuciara; prosegue con i riti dell’ingresso e della uscita dallo spazio sacro dell’isola – “Bongiorno tunnara” o anche “Santo bongiorno” all’arrivo, e poi “Bona notti, bona sorti, bona tunnara” quando è il momento di tornare a terra, che ricordano il “Buon giorno/buonasera a tutta la compagnia” rivolto ai “patruneddi ‘casa”, spiriti/numi tutelari della casa, chiara la discendenza pagana degli dei protettori della casa e del focolare.
Prosegue ancora con il rispetto portato alla “cruci” su cui sono fissate le effigi dei Santi (gli uomini si levano il cappello), sormontata dai rami di palma, pianta anch’essa dalle forti connotazioni religiose ( rami di palma o di olivo venivano portati sulle barche - e sui carri dai contadini – la Domenica delle Palme, e con questi i pescatori adornavano i “campioni” di poppa o di prua). La palma – o croce – segna l’ingresso nello spazio sacro della tonnara, dove il tempo i gesti e le parole acquistano un significato particolare.
La mattina appena fuori dal porto il rais a poppa della muciara si leva il cappello e prega i Santi perché proteggano la tonnara e favoriscano la pesca:
Il rapporto con Dio e i Santi, ma anche con le potenze numinose che tanta parte hanno nelle credenze popolari, è continuo: apre la giornata con le preghiere dette dal rais o dal capomuciara; prosegue con i riti dell’ingresso e della uscita dallo spazio sacro dell’isola – “Bongiorno tunnara” o anche “Santo bongiorno” all’arrivo, e poi “Bona notti, bona sorti, bona tunnara” quando è il momento di tornare a terra, che ricordano il “Buon giorno/buonasera a tutta la compagnia” rivolto ai “patruneddi ‘casa”, spiriti/numi tutelari della casa, chiara la discendenza pagana degli dei protettori della casa e del focolare.
Prosegue ancora con il rispetto portato alla “cruci” su cui sono fissate le effigi dei Santi (gli uomini si levano il cappello), sormontata dai rami di palma, pianta anch’essa dalle forti connotazioni religiose ( rami di palma o di olivo venivano portati sulle barche - e sui carri dai contadini – la Domenica delle Palme, e con questi i pescatori adornavano i “campioni” di poppa o di prua). La palma – o croce – segna l’ingresso nello spazio sacro della tonnara, dove il tempo i gesti e le parole acquistano un significato particolare.
La mattina appena fuori dal porto il rais a poppa della muciara si leva il cappello e prega i Santi perché proteggano la tonnara e favoriscano la pesca:
Un Credo ‘u Signuri
‘Na Salve
Regina ‘a Madre ri Diu di Trapani
‘Na Salve Regina ‘a Madre ri Diu ‘u Carvariu
‘Na Salve Regina ‘a Madre ri Diu ‘u Rosariu
‘Na Salve Regina a Santa Teresa
Un Padre Nostru ‘u Patriarca San Giuseppe
Un Padre Nostru a San Francisco ri Paola
Un Padre Nostru ‘o Sacro Cuore ri Gesù
Un Padre Nostru a Sant’Antoninu
Un Padre Nostru a San Petru chi prea ‘u Signuri pi ‘nnabbunanti pisca
‘Na Salve Regina ‘a Madre ri Diu ‘u Carvariu
‘Na Salve Regina ‘a Madre ri Diu ‘u Rosariu
‘Na Salve Regina a Santa Teresa
Un Padre Nostru ‘u Patriarca San Giuseppe
Un Padre Nostru a San Francisco ri Paola
Un Padre Nostru ‘o Sacro Cuore ri Gesù
Un Padre Nostru a Sant’Antoninu
Un Padre Nostru a San Petru chi prea ‘u Signuri pi ‘nnabbunanti pisca
La ciurma
risponde in coro:
Che Diu lu faccia!
Rais
Requemeterna
‘i Santi priatori d’i nostri morti. Santo Bongiorno!
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