ETICA DELLA
BELLEZZA (argomento 2014)
L’ETICA AMBIENTALE COME ISPIRAZIONE PER IL “NUOVO
ABITARE” ( parte prima) Luciano Valle
LA “CITTÀ DELL’UOMO”
E LA PERDITA DELLA BELLEZZA
Se le vecchie “forme” dell’Abitare del “moderno” hanno avuto il
carattere di quello che Sofocle chiama il “deinos”, il “perturbante”, dove la
presenza dell’uomo si è caratterizzata come insopportabilmente invasiva, senza
il dialogo, quindi il dovuto rispetto ai luoghi naturali e/o ai luoghi
storico-culturali e alle forme sociali a questi aderenti, le nuove forme dell’Abitare
ispirate ai nuovi scenari epistemici ed etici, sono lì a ripensarne il
Progetto. Quindi oltre Socrate, quando afferma “gli alberi non hanno nulla da
insegnarmi”, o oltre Cartesio, per il quale il programma è fare dell’uomo il “padrone
e dominatore del mondo” per rimanere sul piano delle essenze epistemiche.
Nella ripresa, pur nella diversità dei timbri epistemici (dall’ontologia
all’antropologia,
all’epistemologia, all’etica), del Progetto dell’umanesimo
neoplatonico-cristiano che mirava a mantenere la Polis, la Città, il suo senso
come proporzione, ordine, armonia, come Kosmos, come tensione e rapporto
permanente con l’ordine della natura.
Un umanesimo in cui non si perdono forma, suoni, colori (A.N.
Whitehead), il “contatto col mondo della vita”. In cui con G. Bateson, pur
nella speranza che comunque permanga “l’idea
di una bellezza unificatrice “fondamentale”, tuttavia si avverte la
perdita di bellezza: “La maggior parte di noi ha perso quel senso di unità di
biosfera e umanità che ci legherebbe e ci rassicurerebbe tutti con un’affermazione
di bellezza. (…) Abbiamo perduto il nocciolo del cristianesimo. Abbiamo perduto
Shiva (…) la cui danza (…) è bellezza”.
DALLA CRITICA ALLA RIFONDAZIONE DEL “MODERNO”
Oggi, riprendendo un tema già nell’agenda della filosofia critica
seguente la tragedia della prima guerra mondiale, la “civiltà” umana appare
ancora e ancor di più di fronte “ad un bivio”: o perire o ricreare un “nuovo
umanesimo”.
Per la terza volta si torna negli ultimi cent’anni a parlare di “rifare
il Rinascimento” (Mounier), di rifare l’umanesimo.
Dopo il primo appello che è risuonato negli anni ‘20 e ‘30 del
secolo scorso (da Freud a Einstein, da Jung a Bergson, da Rosenzweig a Buber,
da Florenskij a Berdiaev, da Maritain a Mounier a Guardini, da Gandhi a Tagore,
a Aurobindo, da H. Hesse a T. Mann, da B. Croce a J. Huizinga, dopo il secondo
appello che si è concentrato tra anni ‘40 e ‘60 (dalla Scuola di Francoforte a Heidegger,
da Einstein, Oppenheimer, Heisenberg a Teilhard de Chardin, da Schweitzer a G.Bateson)
si sente ancor più drammaticamente l’esigenza di ripensare alla radice lo
statuto dell’”Abitare”.
Caduto il “mito” ottocentesco di una società giunta alla sua
pienezza etica e razionale con la guida della borghesia (Hegel ripreso oggi da
Fukuyama); o di una liberazione antagonista, tutta storica e sociale (Marx),
rimane sulla scena, come tentativo di egemonia, un patto non costruito, ma
fattuale, che è nelle cose, tra strapotere pratico della scienza e della
tecnica (quindi trionfo della posizione positivistica di Saint-Simon e di
Comte) e relativismo culturale, ossia di un niccianesimo senza Nietzsche, come
insorgenza autoaffermatesi di principi di edonismo, soggettivismo, pragmatismo.
Ora, dopo Einstein, Oppenheimer, Wiener, l’ultimo Popper, l’apertura
progettuale ha un segno molto più impegnativo, direi tragico.
Einstein: “Un nuovo modo di pensare è essenziale se l’umanità
vuole sopravvivere e raggiungere livelli più alti.”
“Dobbiamo rivoluzionare il nostro modo di pensare, rivoluzionare
il nostro modo di agire, e
dobbiamo avere il coraggio di rivoluzionare le relazioni fra le
nazioni del mondo”.
Oppenheimer: Con Hiroshima l’umanità ha conosciuto quel vero “peccato”
di cui la Genesi era stata solo intuizione anticipatrice.
Wiener:
L’umanità deve evitare tre cadute:
1) che la conoscenza si trasformi in onniscienza
2) che la religione si trasformi in totalitarismo
3) che il potere si trasformi in onnipotenza
Popper:
Tre sono le “bombe” che minacciano gravemente l’umanità: atomica,
demografica, televisiva.
A questi quattro monumenti culturali di così alto lignaggio va
aggiunta l’ultima riflessione sullo stato di salute di “Gaia”, del Pianeta che
è Madre ospitante della civiltà umana. R. May (biochimico), E.O. Wilson
(biologo), P. Crutzen (chimico), M. Rees (astronomo), J. Diamond (storico),
oggi tra le figure maggiori della ricerca e della cultura mondiale concordano
su un punto con la ricerca che è propria della maggior parte degli scienziati:
il Pianeta rischia un “collasso” irrimediabile.
Addirittura quel grande scienziato e tecnologo e epistemologo dell’ecologia
che è J. Lovelock, rovesciando le interpretazioni ottimistiche della sua prima
fase di ricerca (1979) è arrivato ultimamente (febbraio 2006) a sostenere che
la vita dell’uomo sul Pianeta rischia di scomparire prima della fine del
secolo.
Ecco, perché più che mai calzanti appaiono le soluzioni di A.
Einstein: là dove ammonisce che scienza e tecnica, senza la eccezionale
ricchezza culturale espressa nella storia in figure quali Mosè,
Buddha, Socrate, Gesù, S. Francesco, Spinoza, Goethe e nel
novecento, Schweitzer, Gandhi, Tagore, non sono sufficienti a governare la
complessità della storia verso il meglio.
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