Sulla bellezza - approfondimento di Giuseppe Di Giacomo
Quando giudichiamo bello un oggetto, un'opera d'arte, una persona, un paesaggio, nel nostro giudizio si manifesta qualcosa che 'sentiamo' e che nello stesso tempo - come dimostra la Critica del giudizio (1790) di I. Kant - non riusciamo a 'dire', ovvero a definire, in termini logico-concettuali.Dimensione storica del significato di bellezzaL'impossibilità di determinare una volta per tutte il significato del bello emerge anche dal punto di vista storico. Ogni epoca, infatti, ha espresso una visione propria della bellezza, come emerge, con particolare riferimento alla figura femminile, non solo a livello diacronico dallo sviluppo delle forme storico-artistiche ma anche in termini sincronici all'interno di una stessa epoca in relazione a contesti geografici e culturali diversi. Occorre poi precisare che la connessione di arte e bellezza non costituisce affatto un dato ovvio e universale. Al contrario è solo a partire dal 18° sec. che questo rapporto si afferma in modo forte ed esplicito.Apollo e DionisoNella seconda metà dell'Ottocento la riflessione filosofica intorno all'idea del bello tematizza il rapporto che unisce la bellezza, pensata nella sua stretta connessione con la nozione di arte, e la sfera della vita, considerata nella sua contingenza e temporalità. In questo senso acquista un'importanza decisiva l'opera di F. Nietzsche. Contro J.J. Winckelmann e contro G.F.W. Hegel, che vedono nella bellezza un ideale di assoluta perfezione garantita dall'equilibrio armonico della forma e dal suo ordine razionale, Nietzsche afferma, in particolare nella Nascita della tragedia (1872), che la bellezza è sempre e solo una "bella apparenza". Così per Nietzsche la bellezza non può darsi indipendentemente da un fondo oscuro e indeterminato che essa rivela. È quello che viene tematizzato attraverso il rapporto originario che lega Apollo, appunto il dio della bellezza, e Dioniso, che invece rappresenta il pathos, ossia la vita.
Questo riconoscimento del rapporto indissolubile che unisce l'idea di bellezza (e quindi l'idea di arte) e la nozione di pathos (la vita) viene ripreso e rielaborato da A. Warburg, per il quale il bello implica sempre un rimando alla vita e alla sua insuperabile temporalità, senza che tuttavia tale rimando annulli l'importanza degli elementi formali dell'opera.Bellezza e temporalitàTale rapporto tra arte e vita, che W. Benjamin affronta nel saggio sulle Affinità elettive di W. Goethe affermando che la bellezza, come mostra la figura di Ottilia, è sempre legata alla temporalità e dunque alla morte, è centrale anche nella Teoria estetica (1970) di T. Adorno. Secondo quest'ultimo, nella modernità l'arte ha abbandonato l'illusione di un puro regno della bellezza, facendo emergere quella dimensione di crudeltà che ritroviamo in modo esemplare nelle opere di F. Kafka e di S. Beckett. Il fatto è che anche Adorno, come Nietzsche, si riferisce all'affermazione di Stendhal che definisce la bellezza "promessa di felicità". E come per Stendhal la bellezza, che si dà soltanto nel tempo, annuncia la possibilità di qualcosa che nel tempo è impossibile realizzare, così per Adorno quella promessa non può essere mantenuta da un'opera che, pur conservando la sua forza utopica, tuttavia, autodenunciandosi come finzione, dichiara il carattere negativo di quell'utopia, vale a dire la sua impossibilità di realizzarsi nel tempo al quale l'opera appartiene. Del resto già F.M. Dostoevskij, nell'Idiota (1868-69), facendo chiedere da Ippolit al principe Myškin se e quale bellezza salverà il mondo, ci dice che quello che la bellezza può e deve fare non è redimere la vita dalla sua finitezza, ma passare attraverso quelle sofferenze e quei dolori che rendono tale la vita.
Questa connessione tra bellezza e temporalità è decisiva anche nell'opera di M. Proust. Esemplare, a tale proposito, è la figura dello scrittore Bergotte che muore davanti alla Veduta di Delft di J. Vermeer, quadro giudicato di una bellezza assoluta e come tale fuori dal tempo. La morte di Bergotte rappresenta in qualche modo la morte di un'idea di bellezza intesa come valore eterno e immutabile. Questo significa che la bellezza, piuttosto che essere superamento del tempo e rivelazione dell'eternità, si può dare invece solo passando attraverso il tempo.Bellezza e memoriaDi qui, ancora una volta, l'importanza della riflessione di Adorno. Secondo quest'ultimo infatti ciò che caratterizza la bellezza è la capacità di conservare in sé, nella forma stessa dell'opera d'arte, la memoria di tutto ciò che il mondo, dominato dal principio di identità, ha rimosso e represso, vale a dire il dolore e la sofferenza dei vinti. In questa prospettiva Adorno si interroga sulla possibilità di fare arte dopo l'orrore indicibile di Auschwitz. Possibile, dopo Auschwitz, è solo quell'arte che, avendo rinunciato alla bellezza, assume una funzione innanzitutto etica, diventando testimonianza di tutto ciò che per la sua insensatezza non può essere detto né spiegato e che proprio l'arte deve mantenere, appunto conservandone il ricordo. Questa testimonianza, strettamente connessa al tema della memoria, presuppone la distinzione, sottolineata da Adorno, tra arte e vita, tra opera e realtà.
Il superamento di tale distinzione e la totale identificazione dei due piani è quanto viene invece auspicato dalle avanguardie storiche e portato alle estreme conseguenze dai movimenti della neoavanguardia. Di qui la centralità della nozione di 'evento', tematizzata da tali movimenti, che implica il dissolversi di ogni possibile rappresentazione e il suo pieno assorbimento nell'evento stesso, ossia nel suo accadere materiale, rispetto al quale ogni rappresentazione sarebbe inadeguata.
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