E' il titolo di una famosa commedia di Nino Martoglio. E la campagna
olearia di quest'anno, si può dire sin da adesso non un'annata ricca, ma
eccellente, sia per la qualità che per la quantità di olio che si
produce. Gli alberi sono stracarichi e, malgrado la siccità e lo
scirocco, buona parte delle olive sono rimaste attaccate all'albero,
chiaro segnale che l'oliva è "sinsera", cioé non ancora attaccata dalla
mosca olearia. Si può solo notare che, nel rapporto qualità-quantità la
buona qualità spesso perde qualcosa quando c'è una grande quantità, e la
resa è minore, ma è un dettaglio occasionale.
Quello di stabilire
come e quanto "ietta", l'oliva, ovvero la resa, è un calcolo che varia
anche in rapporto ai paesi del circondario. Premesso che, nel rapporto
peso-olio il peso delle olive è in chili, mentre quello dell'olio è in
litri, e che c'è quindi una differenza che non viene calcolata, in
diverse zone della Sicilia la media è fatta sulla base del "sacco di
macina", che è di 33 chili: tre sacchi corrispondono a cento chili. Se
cento chili di olio rendono in media 15 litri di olio, l'oliva "ietta" a
cinque, cioé cinque litri per ogni sacco da 33 chili. Oggi più
sbrigativamente ci si ferma alla percentuale di resa per ogni 100 chili.
La resa si aggira dal 12 al 22% e dipende da molti fattori,
essenzialmente dal grado di maturazione delle olive, dal tipo di oliva,
dal tipo di terreno in cui cresce l'albero, dalla potatura, da eventuali
irrigazioni, concimazioni, aratura e trattamenti di disinfestazione.
Sono i comuni in cui esiste un'anagrafe dell'olio, e che si preoccupano
di calcolare la quantità d'olio realizzata sommando quanto molito dai
vari frantoi della zona.
Un buon olio si valuta dalla maggiore o
minore intensità, lata da tre elementi fase, il fruttato ovvero il
profumo, l'amaro e il piccante. C'è gente che giudica sbrigativamente in
modo negativo un olio che pizzica il palato o brucia un po' la lingua,
ma si tratta di inesperti che pretendono di sapere e ai quali si può
vendere, con loro grande soddisfazione, un olio scarso e magari
"miscatu", cioé con aggiunta di olio di semi o di olio vecchio.
Si
tenga presente che il colore è del tutto ininfluente nel valutare la
qualità, perché esso cambia costantemente, (olio verde chiaro, giallo,
verde scuro, marrone ecc.)sia in rapporto alla luce che alla
conservazione, che alla contrada di provenienza: anche la densità non è
fondamentale: ci sono oli ben sedimentati, con la morca che, dopo
qualche mese si deposita sul fondo e che bisogna togliere travasando, e
oli che ancora presentano residui di molitura, che alcuni preferiscono
mantenere.
Olive sane, molitura accurata e conservazione sono i tre
elementi che qualificano l'olio: la conservazione è affidata anch'essa a
tre elementi di base, l'aria, la luce e il calore. L'aria è nemica
dell'olio, ne disperde il profumo e ne modifica il sapore: è preferibile
conservare l'olio in bidoni d'acciaio che abbiano un rubinetto nella
parte inferiore, in modo che, al momento del trasferimento in bottiglia
non si introduca aria nel contenitore, ma è anche importante preservare
l'olio al buio, lontano da fonti di luce e di calore, tenuto conto che
la temperatura ideale non dovrebbe scendere sotto i cinque gradi nè
andare oltre i 25.
Non ci inoltreremo su note tecniche legate alla
presenza di polifenoli e alle varietà di alberi di olivi presenti: senza
dubbio il re degli ulivi è il cerasuolo. Una nota merita anche il tipo
di potatura:nel trapanese è tipica la potatuta bassa, in modo da
facilitare la raccolta.
Un buon olio extravergine di oliva non deve
avere più dello 0,8 di acidità e la qualità dell'olio va anche valutata
sulla base di questo elemento, a partire dal tasso minimo, che è dello
0,2, cioé un olio leggerissimo che non dovrebbe causare disturbi di
alcun tipo, ma solo vantaggi nutritivi e degustativi. L'olio vergine ha,
come quello extravergine un grado di acidità valutabile dallo 0,8 a due
gradi, il resto è da rettificare, cioé da affidare a macchinari che
sono in grado di far diventare appetibile, colorato e profumato anche
l'olio più "fitusu".
E allora, visto che abbiamo la fortuna di
crescere in una terra in cui con l'olio ci si può fare il bagno, ci si
può preparare a gustare quella che è una delle sette meraviglie della
natura, la "muffuletta caura cunsata cu l'ogghiu appena nisciutu r'a
macina". (schiacciata calda condita con olio appena uscito dal
frantoio), magari con un pizzico di sale e pepe.
La scuola di ecologia Culturale è un luogo di scambio di esperienze e di costruzione di tecniche democratiche e pacifiche per lo sviluppo sostenibile delle società umane e si muove per realizzare iniziative (prevalentemente in partnership) per l’educazione dei giovani (la scuola del territorio e uno dei partner naturali della scuola) e lo sviluppo di un capitale umano di eccellenza che dovrà essere protagonista dello sviluppo culturale ed economico delle società e dei popoli Euro Mediterranei.
venerdì 27 ottobre 2017
Bertirotti: l’ecologia culturale per sopravvivere alla globalizzazione
Docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura
dell’Università degli Studi di Genova e Visiting Professor di
Antropologia della mente presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma,
il prof. Alessandro Bertirotti è impegnato da anni sul tema della
costruzione dell’etica nell’umanità. Intervistato da “Il Nodo di
Gordio” ha illustrato i limiti e le prospettive della globalizzazione
attraverso il concetto dell’ “ecologia culturale”.
Sono anni che il termine ecologia è entrato a far parte del lessico comune, almeno per quello che riguarda l’Occidente, ma vi sono diverse ottiche da cui affrontare la questione ambientale. A questo proposito, cos’è esattamente l’Ecologia Culturale?
L’Ecologia Culturale, ha in Julian Steward il suo teorizzatore che ci consente di capire la differenza di contenuti della disciplina rispetto all’ecologia umana e sociale. La differenza consiste nel fatto che Steward utilizza l’apparato epistemologico della disciplina per spiegare l’origine di tratti e modelli culturali particolari, che caratterizzano aree differenti, più che di dedurre principi generali applicabili a qualsiasi situazione culturale e ambientale. Ecco perché, nello stesso tempo, la disciplina si differenzia altresì dalle concezioni relativistiche e neoevoluzionistiche della storia della cultura, introducendol’importanza del ruolo dell’ambiente, inteso come variabile posta in relazione alla cultura.
Dunque, si può sostenere che questa disciplina introduce la cultura come elemento fondante il rapporto duale che si crea fra l’individuo e l’ambiente?
Sì, in effetti è proprio così, perché la disciplina cerca di accertare se gli adattamenti delle società umane ai loro ambienti richiedano modalità di comportamento particolari o se essi permettano una certa libertà per una gamma di possibili modelli comportamentali. Formulato in questo modo il problema,la teoria di questo approccio scientifico si differenzia anche dal “determinismo ambientale” e dalla teoria ad essa imparentata, ossia il “determinismo economico”. L’ecologia culturale focalizza la sua attenzione principalmente su quei tratti che l’analisi empirica mostra essere intimamente connessi con l’utilizzazione dell’ambiente secondo modalità culturalmente prescritte.
Ma da questo punto di vista, dovremmo avere allora anche un certa differenza di comportamenti umano nel caso si parli di cultura semplice oppure complessa?
E’ proprio così. I tratti ambientali rilevanti dipendono dalla cultura, e le culture più semplici hanno un rapporto più diretto con l’ambiente rispetto a quelle avanzate.In generale, il clima, la topografia, il suolo, l’idrografia, il manto vegetale e la fauna sono tratti decisivi, ma alcuni possono essere più importanti di altri.Per esempio, il distanziamento delle polle acquifere nel deserto può essere di importanza vitale per un popolo nomade di raccoglitori di semi, come il passaggio del pesce determineranno le abitudini delle tribù rivierasche e costiere. Ma il concetto cui occorre fare riferimento in un discorso riferito al rapporto Uomo-territorio è quello di regolarità, in questo caso dei ritmi ecologici. Da questa regolarità dipende la certezza del futuro che potrà caratterizzare un dato gruppo culturale.
Anche lo sfruttamento delle risorse prime diventa così un elemento culturalmente determinato?
Infatti, non è possibile, secondo la posizione teorica di Julian Steward, eliminare dall’analisi i modelli di comportamento per lo sfruttamento di un’area particolare, e per mezzo di una tecnologia particolare.
Alcuni modelli di sussistenza impongono limiti strettissimi al modo generale di vita della gente, mentre altri permettono una notevole libertà. Per esempio, la raccolta di prodotti vegetali selvatici viene svolta di solito dalle donne che lavorano da sole o in piccoli gruppi. Con la cooperazione non ci si guadagna nulla, anzi, in realtà le donne entrano in competizione l’una con l’altra. Le raccoglitrici di bacche, pertanto, tendono a suddividersi in piccoli gruppi a meno che le risorselocali siano molto abbondanti.
D’altro canto la caccia può essere un’impresa sia individuale che collettiva, e il carattere delle società di cacciatori è determinato tanto dai mezzi prescritti culturalmente per la caccia collettiva quanto dalla specie.Quando si impiegano accerchiamenti, incendio della sterpaglia, recinzioni, passaggi obbligati e altri metodi cooperativi, la preda, per singolo cacciatore, può essere molto maggiore di quella che un cacciatore isolato riuscirebbe ad accaparrarsi. Analogamente, se le circostanze lo permettono, la pesca può essere svolta da gruppi di uomini che si servono di sbarramenti, di chiuse, di trappole e di reti, ma anche da individui isolati. L’uso di queste tecniche più complesse e spesso di natura cooperativa dipende tuttavia non soltanto dalla storia culturale, cioè dalle invenzioni e dalla diffusione, che mette a disposizione questi metodi, bensì anche dall’ambiente, dalla sua flora e dalla sua fauna.
Dunque, secondo una prospettiva più vicina ai nostri giorni, anche la situazione economicasia macroscopica che (quelle) microscopica potrebbero essere meglio comprese alla luce di una Antropologia ecologicamente più orientata?
Direi di sì, senza ombra di dubbio, specialmente nell’era che stiamo vivendo, della mondializzazione, in cui il particolare, ossia il territorio all’interno del quale si vive la propria quotidianità, è sempre più in relazione costante, anche grazie alla tecnologia, al generale. Se, ad esempio, prestiamo attenzione a quello che sta accadendo in Europa, sia a livello economico che a livello di relazioni fra Stati membri, ci rendiamo conto che quello che manca è proprio la non considerazione del fattore umano, così come lo definiva il mio prof.re Gavino Musio. Considerare il concetto di appartenenza identico a quello di unione, così come è accaduto nel passaggio dalle monete nazionali ad una moneta unica, significa non aver compreso assolutamente che la percezione di una appartenenza non si fonda su scambi economici ma sulla presa di coscienza che i popoli sono culturalmente diversi tra di loro.
Per quanto riguarda l’Unione Europea non possiamo illuderci di poter realizzare, come è accaduto negli Stati Uniti d’America, gli Stati Uniti d’Europa.
Le circostanze sono del tutto diverse, antropologicamente parlando. Quando ben anche riuscissimo a realizzare una unione politica, economica e monetaria avremmo costruito una casa senza fondamenta e avremmo trascurato appunto l’importanza del fattore umano. Credere che una leadership possa costruirsi sulla forza economica, come accadeva in passato, prima della mondializzazione, significa in sostanza non capire che l’aspetto antropo-culturale supera di gran lunga ogni aspetto economico, specialmente nella costituzione di una unione di persone e non di monete.
Sono anni che il termine ecologia è entrato a far parte del lessico comune, almeno per quello che riguarda l’Occidente, ma vi sono diverse ottiche da cui affrontare la questione ambientale. A questo proposito, cos’è esattamente l’Ecologia Culturale?
L’Ecologia Culturale, ha in Julian Steward il suo teorizzatore che ci consente di capire la differenza di contenuti della disciplina rispetto all’ecologia umana e sociale. La differenza consiste nel fatto che Steward utilizza l’apparato epistemologico della disciplina per spiegare l’origine di tratti e modelli culturali particolari, che caratterizzano aree differenti, più che di dedurre principi generali applicabili a qualsiasi situazione culturale e ambientale. Ecco perché, nello stesso tempo, la disciplina si differenzia altresì dalle concezioni relativistiche e neoevoluzionistiche della storia della cultura, introducendol’importanza del ruolo dell’ambiente, inteso come variabile posta in relazione alla cultura.
Dunque, si può sostenere che questa disciplina introduce la cultura come elemento fondante il rapporto duale che si crea fra l’individuo e l’ambiente?
Sì, in effetti è proprio così, perché la disciplina cerca di accertare se gli adattamenti delle società umane ai loro ambienti richiedano modalità di comportamento particolari o se essi permettano una certa libertà per una gamma di possibili modelli comportamentali. Formulato in questo modo il problema,la teoria di questo approccio scientifico si differenzia anche dal “determinismo ambientale” e dalla teoria ad essa imparentata, ossia il “determinismo economico”. L’ecologia culturale focalizza la sua attenzione principalmente su quei tratti che l’analisi empirica mostra essere intimamente connessi con l’utilizzazione dell’ambiente secondo modalità culturalmente prescritte.
Ma da questo punto di vista, dovremmo avere allora anche un certa differenza di comportamenti umano nel caso si parli di cultura semplice oppure complessa?
E’ proprio così. I tratti ambientali rilevanti dipendono dalla cultura, e le culture più semplici hanno un rapporto più diretto con l’ambiente rispetto a quelle avanzate.In generale, il clima, la topografia, il suolo, l’idrografia, il manto vegetale e la fauna sono tratti decisivi, ma alcuni possono essere più importanti di altri.Per esempio, il distanziamento delle polle acquifere nel deserto può essere di importanza vitale per un popolo nomade di raccoglitori di semi, come il passaggio del pesce determineranno le abitudini delle tribù rivierasche e costiere. Ma il concetto cui occorre fare riferimento in un discorso riferito al rapporto Uomo-territorio è quello di regolarità, in questo caso dei ritmi ecologici. Da questa regolarità dipende la certezza del futuro che potrà caratterizzare un dato gruppo culturale.
Anche lo sfruttamento delle risorse prime diventa così un elemento culturalmente determinato?
Infatti, non è possibile, secondo la posizione teorica di Julian Steward, eliminare dall’analisi i modelli di comportamento per lo sfruttamento di un’area particolare, e per mezzo di una tecnologia particolare.
Alcuni modelli di sussistenza impongono limiti strettissimi al modo generale di vita della gente, mentre altri permettono una notevole libertà. Per esempio, la raccolta di prodotti vegetali selvatici viene svolta di solito dalle donne che lavorano da sole o in piccoli gruppi. Con la cooperazione non ci si guadagna nulla, anzi, in realtà le donne entrano in competizione l’una con l’altra. Le raccoglitrici di bacche, pertanto, tendono a suddividersi in piccoli gruppi a meno che le risorselocali siano molto abbondanti.
D’altro canto la caccia può essere un’impresa sia individuale che collettiva, e il carattere delle società di cacciatori è determinato tanto dai mezzi prescritti culturalmente per la caccia collettiva quanto dalla specie.Quando si impiegano accerchiamenti, incendio della sterpaglia, recinzioni, passaggi obbligati e altri metodi cooperativi, la preda, per singolo cacciatore, può essere molto maggiore di quella che un cacciatore isolato riuscirebbe ad accaparrarsi. Analogamente, se le circostanze lo permettono, la pesca può essere svolta da gruppi di uomini che si servono di sbarramenti, di chiuse, di trappole e di reti, ma anche da individui isolati. L’uso di queste tecniche più complesse e spesso di natura cooperativa dipende tuttavia non soltanto dalla storia culturale, cioè dalle invenzioni e dalla diffusione, che mette a disposizione questi metodi, bensì anche dall’ambiente, dalla sua flora e dalla sua fauna.
Dunque, secondo una prospettiva più vicina ai nostri giorni, anche la situazione economicasia macroscopica che (quelle) microscopica potrebbero essere meglio comprese alla luce di una Antropologia ecologicamente più orientata?
Direi di sì, senza ombra di dubbio, specialmente nell’era che stiamo vivendo, della mondializzazione, in cui il particolare, ossia il territorio all’interno del quale si vive la propria quotidianità, è sempre più in relazione costante, anche grazie alla tecnologia, al generale. Se, ad esempio, prestiamo attenzione a quello che sta accadendo in Europa, sia a livello economico che a livello di relazioni fra Stati membri, ci rendiamo conto che quello che manca è proprio la non considerazione del fattore umano, così come lo definiva il mio prof.re Gavino Musio. Considerare il concetto di appartenenza identico a quello di unione, così come è accaduto nel passaggio dalle monete nazionali ad una moneta unica, significa non aver compreso assolutamente che la percezione di una appartenenza non si fonda su scambi economici ma sulla presa di coscienza che i popoli sono culturalmente diversi tra di loro.
Per quanto riguarda l’Unione Europea non possiamo illuderci di poter realizzare, come è accaduto negli Stati Uniti d’America, gli Stati Uniti d’Europa.
Le circostanze sono del tutto diverse, antropologicamente parlando. Quando ben anche riuscissimo a realizzare una unione politica, economica e monetaria avremmo costruito una casa senza fondamenta e avremmo trascurato appunto l’importanza del fattore umano. Credere che una leadership possa costruirsi sulla forza economica, come accadeva in passato, prima della mondializzazione, significa in sostanza non capire che l’aspetto antropo-culturale supera di gran lunga ogni aspetto economico, specialmente nella costituzione di una unione di persone e non di monete.
mercoledì 25 ottobre 2017
Trovato un astrolabio delle navi di Vasco Da Gama
Trovato un astrolabio delle navi di Vasco Da Gama. "E' il più
antico strumento di navigazione al mondo"
Recuperato al largo dell'Oman e datato fra il 1495 e il
1500. "Un oggetto rarissimo"
di GIACOMO TALIGNANI
QUANDO i sub l'hanno trovato
sotto la sabbia nelle profondità del mare dell'Oman erano certi di aver
scoperto qualcosa di prezioso, ma non certo di così raro. Quell'astrolabio,
databile fra il 1495 e il 1500, è infatti il più antico strumento di
navigazione del mondo. Il "disco", dal diametro di 17,5 cm, veniva
utilizzato in passato per misurare l'altezza del sole durante i grandi viaggi
esplorativi delle navi: questo reperto, scoperto nel 2014 dalla missione
guidata da David Mearns, si crede
appartenesse addirittura alla nave Esmeralda, una delle imbarcazioni della
spedizione del celebre navigatore portoghese Vasco Da
Gama, il primo a navigare dall'Europa all'India.
QUANDO i sub l'hanno trovato sotto la sabbia nelle
profondità del mare dell'Oman erano certi di aver scoperto qualcosa di
prezioso, ma non certo di così raro. Quell'astrolabio, databile fra il 1495 e
il 1500, è infatti il più antico strumento di navigazione del mondo. Il
"disco", dal diametro di 17,5 cm, veniva utilizzato in passato per
misurare l'altezza del sole durante i grandi viaggi esplorativi delle navi:
questo reperto, scoperto nel 2014 dalla missione guidata da David Mearns,
si crede appartenesse addirittura alla nave Esmeralda, una delle imbarcazioni
della spedizione del celebre navigatore portoghese Vasco Da Gama, il
primo a navigare dall'Europa all'India.
L'Esmeralda naufragò durante una tempesta nell'Oceano
indiano nel 1503 e al largo delle coste dell'Oman, tre anni fa, gli archeologi
marini hanno recuperato circa 3000 differenti reperti, tra cui il prezioso
astrolabio. "È davvero un grande privilegio trovare qualcosa di così raro,
qualcosa di così storicamente importante e che sarà studiato dalla comunità
archeologica" ha detto Mearns alla Bbc. Il disco, spesso poco meno di 2
millimetri, "aveva due emblemi significativi notati appena lo abbiamo
recuperato" spiega.
Uno, subito riconosciuto, ero uno stemma portoghese
mentre l'altro, analizzato in un secondo momento, era il simbolo personale di Dom Manuel I, re del
Portogallo. Questo secondo stemma è stato fondamentale anche per datare
l'oggetto intorno al 1500. Dopo anni di indagini sui reperti oggi il lavoro di
scansione laser eseguito dall'Università di Warwick ha definitivamente
decretato che il manufatto è realmente un astrolabio dell'epoca: grazie allo
scanner sono state infatti individuate linee e tracce sul disco, separate di 5
gradi, che servivano per misurare l'altezza del Sole durante la navigazione e
per determinare dunque la posizione della barca in mare. Secondo l'emittente
britannica i ritrovamenti di astrolabi sono rarissimi, tanto che soltanto 108
"pezzi" sono stati finora recuperati e catalogati. Quest'ultimo
sarebbe dunque i più antico fra gli astrolabi rinvenuti.
QUANDO i sub l'hanno trovato sotto la sabbia nelle
profondità del mare dell'Oman erano certi di aver scoperto qualcosa di
prezioso, ma non certo di così raro. Quell'astrolabio, databile fra il 1495 e
il 1500, è infatti il più antico strumento di navigazione del mondo. Il
"disco", dal diametro di 17,5 cm, veniva utilizzato in passato per
misurare l'altezza del sole durante i grandi viaggi esplorativi delle navi:
questo reperto, scoperto nel 2014 dalla missione guidata da David Mearns,
si crede appartenesse addirittura alla nave Esmeralda, una delle imbarcazioni
della spedizione del celebre navigatore portoghese Vasco Da Gama, il
primo a navigare dall'Europa all'India.
L'Esmeralda naufragò durante una tempesta nell'Oceano
indiano nel 1503 e al largo delle coste dell'Oman, tre anni fa, gli archeologi
marini hanno recuperato circa 3000 differenti reperti, tra cui il prezioso
astrolabio. "È davvero un grande privilegio trovare qualcosa di così raro,
qualcosa di così storicamente importante e che sarà studiato dalla comunità
archeologica" ha detto Mearns alla Bbc. Il disco, spesso poco meno di 2
millimetri, "aveva due emblemi significativi notati appena lo abbiamo
recuperato" spiega.
Uno, subito riconosciuto, ero uno stemma portoghese
mentre l'altro, analizzato in un secondo momento, era il simbolo personale di Dom
Manuel I, re del Portogallo. Questo secondo stemma è stato fondamentale
anche per datare l'oggetto intorno al 1500. Dopo anni di indagini sui reperti
oggi il lavoro di scansione laser eseguito dall'Università di Warwick ha
definitivamente decretato che il manufatto è realmente un astrolabio
dell'epoca: grazie allo scanner sono state infatti individuate linee e tracce
sul disco, separate di 5 gradi, che servivano per misurare l'altezza del Sole
durante la navigazione e per determinare dunque la posizione della barca in
mare. Secondo l'emittente britannica i ritrovamenti di astrolabi sono
rarissimi, tanto che soltanto 108 "pezzi" sono stati finora
recuperati e catalogati. Quest'ultimo sarebbe dunque i più antico fra gli
astrolabi rinvenuti.
"Sappiamo che doveva essere stato realizzato prima
del 1502, perché fu allora che la nave lasciò Lisbona. E sappiamo che Dom
Manuel non è diventato re fino al 1495: l'astrolabio non avrebbe mai portato
l'emblema prima che venisse incoronato. Dunque, crediamo sia databile fra il
1495 e il 1500, anche se non sappiamo l'anno esatto. Ora - conclude entusiasta
Mearns - speriamo di riuscire a trovarne altri".
lunedì 23 ottobre 2017
Racconti dalla Catalogna - Barbara Redini
Prima della crisi, l'Albert mi disse che Francisco Franco era morto nel suo letto.
In Italia, come in Germania, i simboli fascisti e nazisti sono un tabù. Puoi anche avere in casa una foto di Mussolini, ma te la tieni per te, in un tempio segreto dove l'amore per il duce trasmesso dal nonno sta ancora espiando tutti i peccati di violenza e orrore che avvenivano per imposizione del Duce.
In Spagna no. In Spagna il fascio è sugli stemmi della polizia nazionale, la famosa e violentissima Guardia Civil, che secondo me deve il nome alla sua funzione primaria, ovvero pestare i civili che disobbediscono alle istituzioni. Il loro motto recente riferendosi ai catalani è "a por ellos!". In italiano io direi "a caccia di quelli", laddove ellos siamo noi cittadini stanchi di essere ignorati e offesi, oltre che danneggiati.
Io, da italiana, ricordo da bambina gli scontri tra gli studenti. Destra contro sinistra. Fascisti contro comunisti. Cose seccanti, che lasciavano il segno sui muri delle scuole, segnate con le bombolette da graffiti insultanti. Cose da guerra ideologica, borghesi contro proletari. Perché in Italia il fascismo era borghese, a tutela del buon costume e dello status sociale, mentre la sinistra era per la parità di diritti e la lotta di classe. Ma in Spagna no. In Spagna il fascismo è una religione. Ancor meglio, il Fascismo è una religione di religiosi cattolico cristiani, fanatici della disciplina e dell'ordine delle cose. Ma non è borghese per forza. È fortemente legato alla Chiesa, è fanatico della bandiera e della patria, di sua maestà il Re, della nazione unica,lingua unica, potere centrale forte ed esaltazione della propria appartenenza alla sacra Spagna, la grande, la poderosa, con il suo flamenco e la corrida.
Il fanatismo fascista nazionalista spagnolo io lo vidi rappresentato in un taxi a Madrid. Un signore riccioluto e molto volgare che sembrava uscito da un film di Almodovar. Mai viste tante bandiere e tori di Osborne in vita mia. Ricordo che mi ero infastidita per gli sguardi di rimprovero che mi avevano lanciato in un bar, perché parlavo con il mio socio in catalano. Ma quando entrai in quel taxi, il castellano fu d'obbligo. Non posso generalizzare, ma un taxi nazionalista patriottico potrebbe provare il solito disprezzo per il catalano e intimarmi di smettere di abbaiare. Dovevo andare in aeroporto: non era il caso di rischiare.
Il PP lo votano in molti,in.Spagna, un po' meno in Catalogna, ma nel mio quartiere ce ne sono molti, di franchisti. Questi sono ricchi e perbenisti. Brave persone, ma meglio non discuterci a lungo, perché prima o poi ti molleranno qualche affermazione insostenibile sui giovani, sulle cose che vanno male, gli immigrati e l'indipendenza, come usano spesso fare i fascisti qui, farcendo di pregiudizi infondati argomenti sul catalano, che spesso non parlano, mentre io sì. Negli ultimi anni, il governo di Spagna è in mano al PP. Siamo fritti! Pensai, dopo le elezioni. Ed era vero, si sono fritti il Paese ed il cervello. Con la scusa della crisi, hanno tentato deliberatamente di reprimere la cultura catalana, a partire dallo statut, fino alla lingua, che a loro, come ho detto, sta antipatica.
Il Franchista, secondo me, ha qualche problema con il testosterone. Che sia uomo o donna (altri generi non ne ammettono, se non in segreto), hanno sempre voglia di dominare e imporre. Sono genitori all'antica, di quelli che "se non fai come ti dico io" usano la cinghia, o si fa come dicono o sono nerbate.
Ed è così che, per non avere nel programma politico alcuna possibilità di mediazione (altrimenti che franchista saresti?), per prevenire il voto al referendum illegale, ci vanno con la mano dura del Caudillo.
Il passo a un.ritorno della dittatura e brevissimo, anzi scusate,già è tornata, ve la presento, eccola qui: applicazione dell'articolo 155 in Catalogna, poi toccherà alla Navarra e in tutte le comunità autonome con governi che ai fascisti non piacciono.
Barbara Redini
Ipotesi di Legge sullo Ius Soli di MARCO POMAR - racconti brevi
- Questa ipotesi di legge sullo Ius Soli è una schifezza. Aiutiamoli a casa loro!
- Guarda che questa è casa loro. La legge rende giustizia a chi è nato qui.
- E allora facciamo che chi non parla correttamente italiano non può vivere in Italia.
- Ottimo. E tutti quelli che non sanno coniugare i verbi dove li mandiamo?
- Io non sono razzista, ma in Italia siamo già tanti.
- Forse non sai che la popolazione è calata, rispetto agli anni scorsi.
- Questi vengono qui a rubarci il lavoro!
- No, molti fanno lavori che gli italiani non vogliono più fare, e per di più vengono sfruttati ignobilmente.
- Vabbè, sono negri o no?
- Quello si. E facciamo che tu sei razzista?
- Vengono a violentare le nostre donne!
- Nostre? Nel senso che noi bianchi le possiamo violentare?
- Basta con questo buonismo!
- Eravamo un paese tollerante. Cosa ci è accaduto?
- Continuiamo così, accogliamo tutti.
- L’unica cosa sensata che hai detto finora.
- Loro si fanno saltare in aria, ci ammazzano nelle nostre strade e noi li accogliamo.
- Discorsi di cafè. Il titolo di questa discussione potrebbe essere “Allah al bar!”
- Buonista di merda.
- Fanculo. Vi condannerà la storia.
- Chi?
- La pizzeria Astoria. Conosci?
martedì 17 ottobre 2017
Editoriale del 17 Ottobre 2017 - la LIBERTA' non è uno SPAZIO LIBERO, LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE.
Anche noi, quest'anno, abbiamo abbassato la saracinesca del Blog per un mese. In questo mese sono successe tante cose, ma la più preoccupante è la deriva fascista che si sta innescando in Europa, dalla Germania alla Spagna e dalla Francia all'Italia. Questo, per quanto ci riguarda lo abbiamo vissuto anche durante una bellissima traversata dell'Andalusia che abbiamo fatto, grazie ai nostri amici di Granada, di Murcia, di Siviglia. Con l'occhio del cabballieros Don Chisciotte, sognato dal Cervantes, e le poesia di Garcia Lorca, fucilato da Franco come un ladro, mentre chi rubava la vita agli spagnoli era proprio lui il salamificato Franco, che la monarchia spagnola, per convenienza e per paura ha sempre sostenuto.
In Francia, la deriva destrorsa, ha spodestato i partiti e ha posto sul podio più alto un qualunquista furbo, che darà linfa ad una destra di governo INVISIBILE, STRISCIANTE, VELENOSA.
In Germania, ormai succede troppo spesso, la destra estrema avanza e la Merkel sta cominciando a perdere pezzi.
In Italia, il patto scellerato tra Renzi e Berlusconi, con il rosatellum, consegnerà il Paese, nuovamente, nelle mani di una destra che ha distrutto tutto in vent'anni di potere e ora si appresta a dare il colpo di grazia alle esauste e imbelli schiere di lealisti e portaborse, pronti a vendersi al migliore acquirente.
E la SINISTRA?
E' una filosofia, un cantico, una canzone d'autore, un mito trascorso, un'idea antiquata, un modo di essere inusitato, una maniera sguaiata di vedere la vita....niente più che uno schermo di rancori e di errori che si scontrano nel più costoso esercito di farabutti della politica che mai sia esistito: il Parlamento italiano.
Non è, certamente, un momento buono per riaprire la nostra saracinesca, ma siamo nati LIBERI e sappiamo, come cantava il buon Gaber dei tempi migliori, che la LIBERTA' non è uno SPAZIO LIBERO, LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE.
E, cari amici, oggi la dobbiamo riconquistare....meditate gente, meditate!
Ugo Arioti
domenica 15 ottobre 2017
CONCERTO IN MEMORIA DELLA PROF.SSA ELVIRA SONNI
CONCERTO IN MEMORIA DELLA PROF.SSA ELVIRA SONNI
Giovedì 12 Ottobre
ore 19
c/o Auditorium Liceo Scientifico “De Ruggieri” – Massafra
Eleonora Pascarelli - voce
Vince Abbracciante - fisarmonica
Il tema musicale è un omaggio all'indimenticata cantora Mercedes Sosa, madre amorosa, interprete eccezionale, madre e protettrice della musica e della cultura Argentina.
Eleonora Pascarelli ha già condiviso importanti palcoscenici con Renzo Arbore, Albano e tanti altri.
Vince Abbracciante è stato definito "la stella nascente della fisarmonica in Italia" dal Dizionario del Jazz Italiano.
Insieme reinterpretano alcuni brani portati al successo da Mercedes come "Todo Cambia" e "Gracias a la vida".
Saremo lieti di accogliervi in un unico abbraccio.
Famiglia Silvestri
Giovedì 12 Ottobre
ore 19
c/o Auditorium Liceo Scientifico “De Ruggieri” – Massafra
Eleonora Pascarelli - voce
Vince Abbracciante - fisarmonica
Il tema musicale è un omaggio all'indimenticata cantora Mercedes Sosa, madre amorosa, interprete eccezionale, madre e protettrice della musica e della cultura Argentina.
Eleonora Pascarelli ha già condiviso importanti palcoscenici con Renzo Arbore, Albano e tanti altri.
Vince Abbracciante è stato definito "la stella nascente della fisarmonica in Italia" dal Dizionario del Jazz Italiano.
Insieme reinterpretano alcuni brani portati al successo da Mercedes come "Todo Cambia" e "Gracias a la vida".
Saremo lieti di accogliervi in un unico abbraccio.
Famiglia Silvestri
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