Docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura
dell’Università degli Studi di Genova e Visiting Professor di
Antropologia della mente presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma,
il prof. Alessandro Bertirotti è impegnato da anni sul tema della
costruzione dell’etica nell’umanità. Intervistato da “Il Nodo di
Gordio” ha illustrato i limiti e le prospettive della globalizzazione
attraverso il concetto dell’ “ecologia culturale”.
Sono anni che il termine ecologia è entrato a far parte del
lessico comune, almeno per quello che riguarda l’Occidente, ma vi sono
diverse ottiche da cui affrontare la questione ambientale. A questo
proposito, cos’è esattamente l’Ecologia Culturale?
L’Ecologia Culturale, ha in Julian
Steward il suo teorizzatore che ci consente di capire la differenza di
contenuti della disciplina rispetto all’ecologia umana e sociale. La
differenza consiste nel fatto che Steward utilizza l’apparato
epistemologico della disciplina per spiegare l’origine di tratti e
modelli culturali particolari, che caratterizzano aree differenti, più
che di dedurre principi generali applicabili a qualsiasi situazione
culturale e ambientale. Ecco perché, nello stesso tempo, la disciplina
si differenzia altresì dalle concezioni relativistiche e
neoevoluzionistiche della storia della cultura, introducendol’importanza
del ruolo dell’ambiente, inteso come variabile posta in relazione alla
cultura.
Dunque, si può sostenere che questa disciplina introduce la
cultura come elemento fondante il rapporto duale che si crea fra
l’individuo e l’ambiente?
Sì, in effetti è proprio così, perché la disciplina cerca di
accertare se gli adattamenti delle società umane ai loro ambienti
richiedano modalità di comportamento particolari o se essi permettano
una certa libertà per una gamma di possibili modelli comportamentali.
Formulato in questo modo il problema,la teoria di questo approccio
scientifico si differenzia anche dal “determinismo ambientale” e dalla
teoria ad essa imparentata, ossia il “determinismo economico”.
L’ecologia culturale focalizza la sua attenzione principalmente su quei
tratti che l’analisi empirica mostra essere intimamente connessi con
l’utilizzazione dell’ambiente secondo modalità culturalmente prescritte.
Ma da questo punto di vista, dovremmo avere allora anche un
certa differenza di comportamenti umano nel caso si parli di cultura
semplice oppure complessa?
E’ proprio così. I tratti ambientali rilevanti dipendono dalla
cultura, e le culture più semplici hanno un rapporto più diretto con
l’ambiente rispetto a quelle avanzate.In generale, il clima, la
topografia, il suolo, l’idrografia, il manto vegetale e la fauna sono
tratti decisivi, ma alcuni possono essere più importanti di altri.Per
esempio, il distanziamento delle polle acquifere nel deserto può essere
di importanza vitale per un popolo nomade di raccoglitori di semi, come
il passaggio del pesce determineranno le abitudini delle tribù
rivierasche e costiere. Ma il concetto cui occorre fare riferimento in
un discorso riferito al rapporto Uomo-territorio è quello di regolarità,
in questo caso dei ritmi ecologici. Da questa regolarità dipende la
certezza del futuro che potrà caratterizzare un dato gruppo culturale.
Anche lo sfruttamento delle risorse prime diventa così un elemento culturalmente determinato?
Infatti, non è possibile, secondo la posizione teorica di Julian
Steward, eliminare dall’analisi i modelli di comportamento per lo
sfruttamento di un’area particolare, e per mezzo di una tecnologia
particolare.
Alcuni modelli di sussistenza impongono limiti strettissimi al modo
generale di vita della gente, mentre altri permettono una notevole
libertà. Per esempio, la raccolta di prodotti vegetali selvatici viene
svolta di solito dalle donne che lavorano da sole o in piccoli gruppi.
Con la cooperazione non ci si guadagna nulla, anzi, in realtà le donne
entrano in competizione l’una con l’altra. Le raccoglitrici di bacche,
pertanto, tendono a suddividersi in piccoli gruppi a meno che le
risorselocali siano molto abbondanti.
D’altro canto la caccia può essere un’impresa sia individuale che
collettiva, e il carattere delle società di cacciatori è determinato
tanto dai mezzi prescritti culturalmente per la caccia collettiva quanto
dalla specie.Quando si impiegano accerchiamenti, incendio della
sterpaglia, recinzioni, passaggi obbligati e altri metodi cooperativi,
la preda, per singolo cacciatore, può essere molto maggiore di quella
che un cacciatore isolato riuscirebbe ad accaparrarsi. Analogamente, se
le circostanze lo permettono, la pesca può essere svolta da gruppi di
uomini che si servono di sbarramenti, di chiuse, di trappole e di reti,
ma anche da individui isolati. L’uso di queste tecniche più complesse e
spesso di natura cooperativa dipende tuttavia non soltanto dalla storia
culturale, cioè dalle invenzioni e dalla diffusione, che mette a
disposizione questi metodi, bensì anche dall’ambiente, dalla sua flora e
dalla sua fauna.
Dunque, secondo una prospettiva più vicina ai nostri giorni,
anche la situazione economicasia macroscopica che (quelle) microscopica
potrebbero essere meglio comprese alla luce di una Antropologia
ecologicamente più orientata?
Direi di sì, senza ombra di dubbio, specialmente nell’era che stiamo
vivendo, della mondializzazione, in cui il particolare, ossia il
territorio all’interno del quale si vive la propria quotidianità, è
sempre più in relazione costante, anche grazie alla tecnologia, al
generale. Se, ad esempio, prestiamo attenzione a quello che sta
accadendo in Europa, sia a livello economico che a livello di relazioni
fra Stati membri, ci rendiamo conto che quello che manca è proprio la
non considerazione del fattore umano, così come lo definiva il mio
prof.re Gavino Musio. Considerare il concetto di appartenenza identico a
quello di unione, così come è accaduto nel passaggio dalle monete
nazionali ad una moneta unica, significa non aver compreso assolutamente
che la percezione di una appartenenza non si fonda su scambi economici
ma sulla presa di coscienza che i popoli sono culturalmente diversi tra
di loro.
Per quanto riguarda l’Unione Europea non possiamo illuderci di poter
realizzare, come è accaduto negli Stati Uniti d’America, gli Stati Uniti
d’Europa.
Le circostanze sono del tutto diverse, antropologicamente parlando.
Quando ben anche riuscissimo a realizzare una unione politica, economica
e monetaria avremmo costruito una casa senza fondamenta e avremmo
trascurato appunto l’importanza del fattore umano. Credere che una
leadership possa costruirsi sulla forza economica, come accadeva in
passato, prima della mondializzazione, significa in sostanza non capire
che l’aspetto antropo-culturale supera di gran lunga ogni aspetto
economico, specialmente nella costituzione di una unione di persone e
non di monete.
La scuola di ecologia Culturale è un luogo di scambio di esperienze e di costruzione di tecniche democratiche e pacifiche per lo sviluppo sostenibile delle società umane e si muove per realizzare iniziative (prevalentemente in partnership) per l’educazione dei giovani (la scuola del territorio e uno dei partner naturali della scuola) e lo sviluppo di un capitale umano di eccellenza che dovrà essere protagonista dello sviluppo culturale ed economico delle società e dei popoli Euro Mediterranei.
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