venerdì 28 settembre 2012

LO SMEMORATO


Il “cavaliere” delle olgettine alla presentazione del libro del nano, par don l’ex ministro dei ritornelli Brunetta ( tra nani si capiscono e si aiutano!) dice che:«Equitalia? Sono estorsori» e il suo ex amico oggi contro, Fini, gli risponde: «Irresponsabile incita all'evasione» ma lui insiste: «Il fondo salva Stati impone un rigore che porta l'economia al collasso,si deve cambiare quella situazione di violenza di certi organismi dello Stato, Equitalia in testa, che certe volte sottopone a estorsione i cittadini». Ma , tenetevi forte, ha gridato il suo incazzamento contro la moneta unica: «L'euro un grande imbroglio!»

Ma, scusi, non è stato Lei, insieme a suo compare Tremonti, a fare  la legge  di istituzione di EQUITALIA nel lontano 2005?

Ah! Perdoni il suo cervel Dio lo riposi, in tutt’altre faccende è affaticato e a questa roba è morto e sotterrato!


La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno

approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga

la seguente legge:

Art. 1.

1. Il decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, recante misure di

contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia

tributaria e finanziaria, e' convertito in legge con le modificazioni

riportate in allegato alla presente legge.

2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a

quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita

nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica

italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla

osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addi' 2 dicembre 2005


Berlusconi, Presidente del Consiglio

dei Ministri


Tremonti, Ministro dell'economia e

delle finanze


Visto, il Guardasigilli: Castelli

Così, caro cavaliere delle olgettine, ha istituito EQUITALIA! Non faccia finta di non ricordare!


Zaratustra Siculo

sabato 22 settembre 2012

Intervista ad Ágnes Heller

Intervista ad Ágnes Heller, 83 anni, una delle più grandi menti del Novecento (e di oggi). Dall'amicizia al capitalismo, dall'olocausto ai radical chic, passando per le relazioni tra i sessi e un insolito appello... alle cougar Di Ilaria Lonigro

Quando arriva all'intervista, alla Fondazione Arturo Paoli a Lucca, poco prima della presentazione del suo ultimo libro I miei occhi hanno visto (15 euro, edito da Il Margine e scritto insieme a Luca Bizzarri e Francesco Comina), Ágnes Heller, 83 anni, ha l'incedere di una forza della natura. Non a caso, quando non insegna filosofia alla New School di New York, la potete trovare a passeggio nei boschi ungheresi o a nuotare nel lago Balaton, finché l'acqua non scende sotto i 18 gradi. Questa è Ágnes Heller, esponente di spicco di quel gruppo di filosofi ungheresi di stampo socialista ma anti sovietici che nel secondo dopoguerra faceva capo a Lukács e che fu soprannominato Scuola di Budapest. Ágnes oggi è libertà allo stato puro. Imprigionata a 15 anni nel ghetto ebraico di Budapest, perso il padre ad Auschwitz, conobbe la persecuzione anche sotto il regime sovietico: cimici in casa, auto che la seguivano ovunque andasse, divieto di pubblicare e di lavorare, Ágnes, 2 matrimoni e 2 figli, non morì di fame solo grazie alla generosità di intellettuali dell'Europa occidentale. Poi la cattedra a Melbourne, nel '73, e una nuova vita, che la portò fino a New York, dove è ancora oggi una degli insegnanti più prestigiosi alla New School. L'intervista parte con una buona dose di disagio:
Lei scrive che i filosofi non sono abituati a comunicare con le interviste e che Heidegger ne rilasciò una sola, pubblicata postuma per sua volontà
È un nuovo fenomeno. Ho il sospetto che i discorsi tramite intervista si diffonderanno perché è più facile per un giornalista fare un'intervista piuttosto che scrivere un saggio su qualcosa. Così mi sto abituando a fare le interviste.

Dichiara anche che non possiamo essere sicuri che il capitalismo non venga superato. Secondo lei c'entrano l'emergenza ambientale e la ricerca di un nuovo stile di vita?
Non abbiamo alcuna idea se il capitalismo sarà superato. Potrebbe venire abbandonato in seguito a una totale catastrofe del mondo. Niente dura per sempre, neppure noi del resto. Ma dopo di noi, se qualsiasi cosa venisse dopo di noi, non ne avremmo idea.

È esilarante l'episodio che racconta nel suo ultimo libro sull'invito ricevuto da Inge Feltrinelli negli anni '70
Quella è storia. E l'ho trovata estremamente divertente. Stavamo seduti intorno alla piscina e il cameriere andava di persona in persona ad offrire cold drinks: Campari, Gin Tonic, Soda. E nel frattempo madame Feltrinelli in piscina discuteva della possibilità di una rivoluzione comunista mondiale. L'ho trovato estremamente comico. Era davvero una specie di commedia.

Un anno fa al Parlamento europeo ha denunciato la minaccia di libertà nel suo Paese, l'Ungheria. Disse: “Nei Paesi democratici i media controllano il governo, mentre in Ungheria il governo ha approvato una legge che gli permette di controllare i media”. In Italia accade lo stesso con la tv pubblica, per non parlare dei canali privati. L'Italia non è un Paese democratico secondo lei?
Non posso parlare dell'Italia. Penso che sia una cattiva abitudine parlare di un Paese che visiti una volta all'anno. Non pretendo di sapere tutto meglio delle persone che ci vivono.

CORAGGIO E LIBERTÀ

Invecchiare l'ha resa più coraggiosa?
Guarda, la domanda è: chi è coraggioso? Coraggiosa può essere una persona che sente la paura, che fa qualcosa nonostante ne abbia paura. Quello è coraggio. Sotto questo aspetto io non sono coraggiosa. Perché quando avevo 15 anni durante l'olocausto hanno ucciso la mia paura. Non potevo più provare paura. E se non hai paura, non controlli te stesso, semplicemente perché non hai paura. Quindi io non sono coraggiosa. Le persone credono che lo sia, ma so di non esserlo.
Lo stesso giorno che i tedeschi entrarono a Budapest lei voleva andare a un concerto di Stravinskij e, contro il parere di sua madre, suo padre la mandò. Quella fu la sua più grande lezione di libertà?
Lui credeva davvero che quella per me potesse essere l'ultima occasione per andare a un concerto perché quando arrivarono i tedeschi per me c'era la pena capitale. La domanda non era: “Sarò uccisa?”, ma “Quando sarò uccisa? Quanti mesi vivrò?”. Quindi fu una fortuna se ero viva, era un'eccezione. A quel tempo rimanere vivi era un caso. Sono rimasta viva per sbaglio.
E il fatto che suo padre le disse di andare al concerto fu una lezione di libertà per lei?
Cosa intendi per libertà?

Libertà umana: finché sei vivo, devi condurre un'esistenza normale
È bellissimo quello che hai detto ma non mi sono mai sentita libera a quel tempo. Mi sentivo sotto pressione. Sotto pressione puoi ancora trovare piccole possibilità di libertà ma quella non è la libertà con la L maiuscola.

Lei ha scritto un libro per elogiare la bontà (La bellezza della persona buona, 2009, ed. Diabasis, 10 euro). Pensa che le persone cattive siano un po' più stupide delle persone buone?
No, non penso. La stupidità è un concetto molto generale. Le persone possono essere chiuse di mente, possono essere lente nel pensiero, lente nella comprensione, perché non la esercitano. E poi abbiamo persone che hanno un QI più basso non perché hanno avuto una cattiva istruzione ma in quanto hanno questo tipo di formazione genetica. Non penso però che abbia a che vedere con la bontà o la cattiveria, per niente.

Esiste l'amicizia totale o gli amici sono a compartimenti stagni, cioè hanno limiti di dedizione nei nostri confronti?
Ci sono diversi tipi di amicizie. Io distinguo tra amici e amici stretti. L'amicizia stretta è sempre un impegno: non puoi avere un amico stretto se tu sei amico di qualcuno e quello non è amico tuo. Se hai un amico stretto hai fiducia incondizionata nell'altro e viceversa e questo tipo di amicizia si accompagna all'amore, a quel tipo di amore che può forse avere anche una dimensione erotica, sebbene non una dimensione sessuale. L'amicizia che non è amicizia stretta è qualcosa di diverso. Siamo amici perché siamo coinvolti nelle stesse cose, abbiamo interessi comuni, ci sentiamo molto vicini l'un l'altro ma non è lo stesso tipo di impegno assoluto che esiste nell'amicizia stretta.

Lei parla di relazioni diseguali da superare per soddisfare i bisogni radicali. Quali sono queste relazioni da superare?
Relazioni asimmetriche, di subordinazione, che devono sempre essere superate: è la relazione padrone-schiavo, quando il padrone non può rivolgersi allo schiavo nello stesso modo in cui lo schiavo può rivolgersi al padrone e viceversa. In certi casi l'uomo non può relazionarsi alla donna nello stesso modo in cui ella si rivolge a lui. Ci sono rapporti asimmetrici che non possono interamente essere superati, come quello tra il genitore e il bambino piccolo. Ma devi provare e dopo un po' trasformare la relazione asimmetrica in un rapporto simmetrico.
DONNE E POTERE
Scrive che la rappresentanza delle donne a livello politico è qualcosa di rivoluzionario e che non è compiuto, ma deve ancora mostrare il suo potere e il suo impatto. Quale sarà l'impatto culturale e politico?
Lo sviluppo della rappresentanza delle donne nella società è forse la più grande rivoluzione degli ultimi 2000 anni, dopo la cristianità e forse l'Illuminismo... ma in effetti appartiene all'illuminismo. Grazie a questa rivoluzione, decade per decade e secolo per secolo, siamo entrati di un passo in un nuovo territorio. All'inizio ci fu la lotta per l'emancipazione, per essere davvero parte della cittadinanza, il diritto a votare: se ciò fosse stato fatto, avrebbe seguito l'uguaglianza economica. Questo non è stato ottenuto interamente, ma alcuni lo hanno accettato. Poi c'è stata la liberazione sessuale e la liberazione per ottenere la stessa istruzione rispetto agli uomini. Ci sono ancora cose da fare, specialmente nella dipendenza dagli uomini: c'è ancora moltissima dipendenza sessuale. Ti faccio un esempio: quando chiedi alle donne chi vogliono sposare, loro credono ancora che l'uomo che sposano debba essere un po' avanti a loro, sopra di loro: devono guardare in alto all'uomo. Fin tanto che devi guardare in alto verso l'uomo non sei libera. Perché dobbiamo essere uguali, dobbiamo essere la destra e la sinistra, non il sopra e il sotto: è un'assurdità che l'amore sia legato al guardare in alto verso qualcosa! Fin tanto che questo esiste, c'è un importantissimo passo per la liberazione da fare. Anche il fatto che l'uomo deve essere un po' più vecchio della donna: anche quello è stupido! L'uomo può avere anche 20 anni in meno di noi: se una donna può essere più giovane di un uomo, allora può valere anche l'opposto. Sono tutte abitudini sessuali, tradizioni sessuali che dobbiamo superare. Ma ho detto molte volte che gli uomini nel nostro mondo sono in uno stato di crisi perché non sanno quale sia la loro posizione nella società, non sanno chi sono e un sacco di temi politici derivano da questa incertezza degli uomini nell'identità. Hai visto
la campagna elettorale delle presidenziali americane del partito repubblicano. Non intendo Romney, ma tutti gli altri contendenti. I loro argomenti erano l'antifemminismo, quello era il tema principale, perché volevano strizzare l'occhio agli uomini: “Redimi la tua posizione, sii quello che porta il pane a casa, il capofamiglia, così poi sai chi sei. Adesso non sai più chi sei”. Ci vorrà molto tempo prima che riusciamo a portare a compimento lo sviluppo di questi temi.Cosa intende quando si definisce una ottimista pratica?
È una buona domanda ma difficile. Un ottimista è un tipo di persona che pensa che il mondo andrà sempre meglio. Io non sono così. Ma se sono coinvolta e impegnata a fare qualcosa allora ho la convinzione che fintanto che sono coinvolta posso riuscirci. Pensa se combatti una battaglia: devi credere nella possibilità di vincerla. Non puoi cominciare una battaglia con la convinzione che la perderai. Questo è ottimismo pratico.

Questo è quello che intende quando dice che dobbiamo muoverci un passo verso l'utopia?
Questa è un'altra questione. Ci sono diversi tipi di utopia, positiva e negativa, come l'apocalisse e la fine del mondo. L'utopia positiva è un concetto che spesso viene legato alla pace eterna: questa è un tipo di immagine che è poesia, non è un'utopia politica. È un'utopia poetica. Fin tanto che ci saranno utopie politiche nell'agenda politica, potrai fare qualcosa politicamente.

mercoledì 19 settembre 2012

La libera società globalizzata del liberismo cannibale

Parlare di diritti e doveri, oggi, in Italia come nel resto del Mondo che chiamiamo "Villagio Globale", è come parlare di un percorso ad ostacoli che atleti formati e corretti dovrebbero scavalcare per giungere al traguardo, ma i furbetti del Villaggio, invece, li superano pasandoci sotto (più alto è l'ostacolo e meglio viene!) o abbattendolo, o, ancora meglio, facendolo abbattere da altri che subiscono l'ira dell'arbitro della competizione e ne pagano le conseguenze( capri espiatori). Così noi paghiamo ancora le conseguenze di vent'anni di governo delle destre neo liberiste e razziste che hanno divorato un enorme "tesoretto" che gli italiani onesti, rialzatasi dalle ferite della seconda guerra mondiale e ripreso il cammino, avevano accumulato fino agli anni '70.
C'erano dei paletti precisi ed eticamente condivisi da tutti( gli ostacoli) scritti in una costituzione d'avanguardia che metteva al centro il DIRITTO DI TUTTI AL LAVORO, ALLO STUDIO e ALLA SALUTE. il Neo liberismo dei rampanti cavalieri del capitalismo nostrano ha divarato e continua, nonstante oggi sia del tutto allo scoperto, a divorare tutto quello che gli italiani avevano messo da parte e che doveva servire a garantirci in periodi di recessione come quello che stiamo attraversando.
Facendo una riflessione complessa e non partigiana possiamo dire che, il progresso e lo sviluppo che portò l'Italia degli anni '70 ad essere una delle prime potenze economiche mondiali,  ha portato con se anche dei guasti, come la cementificazione delle coste e la devastazione del patrimonio paesaggistico, culturale e storico del nostro Paese, con fenomeni di corruzione certamente negativi, ma dai fenomeni siamo passati al SISTEMA DELLA CASTA.
La democrazia è stata umiliata e derisa da "politici per professione" che hanno cancellato i risultati dei REFERENDUM POPOLARI e hanno tolto anche agli italiani la possibilità di scegliere il candidato da eleggere (la nuova vecchia politica degli sciacalli mafiosi!).
In definitiva, quello che possiamo vedere oggi è la LIBERA SOCIETA' GLOBALIZZATA DEL LIBERISMO CANNIBALE che si muove e distrugge crea crisi specula sulla vita della Gente( numeri per loro e non anime). Lo vediamo in Italia, ancora, attraverso i Marchionne di turno che, scevri da scrupoli e dimentichi del fatto che tutti gli italiani con le loro tasse hanno finanziato il capitalista FIAT e lo hanno fatto crescere anche in momenti di crisi, oggi si permette di dire che vende all'estero per mantenere gli operai italiani. E quando erano gli operai e gli impiegati italiani a mantenere in vita la FIAT? E quando non si costruivano reti ferroviarie, ma autostrade per favorire lo sviluppo dell'automobile in Italia, con grave danno per il paesaggio e per l'inquinamento che procurano, oltre al fatto che oggi hanno un costo esorbitante e costituiscono una delle cause di diseconomia. E potremmo andare avanti a dire quello che gli italiani a reddito fisso hanno fatto e continuano a fare ancora oggi per garantire imprese che si chiamano BANCHE e che sono solo degli strozzini autorizzati, colpevoli in prima persona della devastante CRISI ECONOMICA CHE STIAMO ATTRAVERSANDO. Che fa, diceva il Belli, poeta e rivoluzionario repubblicano romano dell'ottocento, che fa il nesci Eccellenza o non l'ha letto? Ah! intendo il suo cervell Dio lo riposi in tutt'altre faccende è affaccendato a questa roba è morto e sotterrato!
 Così il principale Diritto Costituzionale del LAVORO per tutti oggi è diventato un OPTIONAL e il POTERE è passato dal POPOLO SOVRANO Alle compagnie di rating ( LA SPECULAZIONE SELVAGGIA DEL CAPITALISMO CANNIBALE - LE BANCHE).
Occorre allora riaprire un serio dibattito sul modello di sviluppo delle società umane per "creare" un meccanismo etico di controllo sul sistema delle AZIENDE e delle IMPRESE. Dobbiamo, altresì, riappropiarci, tutti, della DEMOCRAZIA PARTECIPATA ed essere protagonisti del nostro avvenire.
La produzione è lecita fino a quando non UCCIDE e non crea DANNI irreversibili, IL LAVORO, e tanto ce n'è, deve essere indirizzato verso il benessere dell'UMANITA' e garantito a tutti, ognuno per le proprie capacità, e non speso per le GUERRE, o , ancora peggio, per l'IMPOVERIMENTO DI MILIONI DI PERSONE a vantaggio di pochi speculatori e tra questi sciacalli, oggi, si possono annoverare  le BANCHE, il cui sistema di garanzia settoriale è di stampo mafioso e ricade sulle spalle di quelli che dovrebbere essere agevolati e aiutati a crescere piuttosto che di quelli che con speculazioni selvaggie dilapidano il capitale accumulato da milioni di risparmiatori. 

Ugo Arioti 

lunedì 10 settembre 2012

"Così la vita viene cancellata da una Fatwa" Saviano racconta il nuovo libro di Rushdie



L'autore di Gomorra racconta l’anticipazione del New Yorker dal libro che uscirà il 18 settembre. È la storia degli interminabili anni “da clandestino” dopo la condanna a morte di Khomeini per i Versi satanici di ROBERTO SAVIANO
SCRIVERE un libro ti cambia per sempre la vita. Il racconto di Salman Rushdie, a più di vent'anni dalla fatwa, la condanna a morte che Khomeini decretò pubblicamente, è drammatico e incantevole. Come le pagine che si avvicinano al capolavoro sanno essere. E' il tema del suo prossimo libro, e il New Yorker ne ha anticipato un brano.

Pagine che dovrebbero essere lette soprattutto da chi in questi anni con enorme facilità ha descritto la sua condanna come un escamotage mediatico utile a vendere libri, o ha contribuito a metterla in dubbio con frasi del tipo "Rushdie è presente a tutti i party", o ancora "è sotto scorta ma è un grande amante della vita e delle donne" e banalità del genere ripetute come litania.

Così, quella che ti trovi a vivere è una doppia condanna. Da un lato scappi da chi ti ha condannato a morte e cerchi comunque di continuare a vivere, dall'altro sarai inviso a una parte della società che trova disdicevole che un perseguitato possa avere una vita pubblica e privata. Ma in fondo sai che la tua vera colpa è essere ancora vivo. La persecuzione non porta mai con sé vera solidarietà. Ti aspetti un sostegno che non arriva nemmeno dalle persone più vicine, che cominciano a sentirsi inadeguate, non all'altezza della situazione. O, peggio ancora, alla lunga finiscono per farti sentire in colpa "per avergli rovinato la vita", "per dover litigare con i tuoi detrattori per difenderti".

Le pagine pubblicate sul
New Yorker, titolate "Lo scomparso" (mentre il libro che uscirà in contemporanea mondiale il 18 settembre si chiama Joseph Anton, in Italia da Mondadori, ndr), raccontano dell'impatto di Salman Rushdie con la notizia della fatwa e dei suoi primi passi nella vita da scortato. Una vita nuova, in cui tutto cambia: casa, nome (Joseph Anton è appunto la nuova identità da lui assunta su richiesta della polizia), stile di vita, abitudini, rapporti, tutto. Da quel momento "smette di essere Salman, anche per gli amici, e diventa Rushdie". E a suggellare questa distanza, nel libro, lui stesso utilizza la terza persona per parlare di sé.

Una terza persona che scava un solco profondo tra il Salman che è ora e il Salman di quei primi terribili momenti.  Rushdie ricorda che a dargli la notizia fu una giornalista della
Bbc che lo chiamò a casa prima ancora della polizia. È così, quando sei un personaggio pubblico c'è sempre un giornalista che viene a sapere cose che ti riguardano prima di te. Alle telefonate dei giornalisti seguirono fiumi di accuse e critiche. Arrivarono a dirgli che il suo non era un libro, ma solo un insulto. Inutile far presente che se avesse voluto offendere  -  semplicemente offendere!  -  avrebbe potuto farlo "molto più in fretta di così".

La verità era che il suo aveva smesso di essere un libro ed era diventato qualcos'altro. E nemmeno chi, animato dalle migliori intenzioni, aveva provato a difenderlo, riusciva più a farlo partendo da quanto aveva scritto, dalle sue stesse parole. Dei
Versi satanici circolava ormai una versione alternativa, inesistente, che lo rendeva odioso a una parte e paladino della libertà d'espressione per l'altra. La notizia della fatwa arriva poi in un momento difficile della sua vita privata. Le cose con sua moglie non vanno bene, eppure lei decide di affrontare la condanna insieme a lui. In queste pagine, il perno del racconto è un pronome, quel "noi"" che Rushdie descrive come "un atto di coraggio".

Quando si è vicini per amicizia o per amore a un condannato, "noi" è la parola più rara e coraggiosa che possa essere pronunciata. Perché significa accettare il peso e il rischio della situazione, non abbandonare, non puntate il dito su chi in questa situazione ti ha scaraventato tuo malgrado. Tutto questo nella consapevolezza che una condanna distrugge tutto, sentimenti legami desideri. Tutto e in poche ore. Una condanna a morte, che non solo porta con sé tutta la paura e il dolore che ci si può immaginare, ma è anche aggravata dal fatto di essere diffusa dai media.

Non la si può gestire come un elemento privato, tra le mura di casa, perché tutti sanno, tutti ne sono a conoscenza. E questo crea un cortocircuito insanabile: per quanto tu possa nasconderti sarai sempre visibile. La schizofrenia di essere visibilissimo, ma nascosto. Famoso, eppure nella la tua vita non puoi decidere più nulla in autonomia, neppure scegliere una casa. E la preoccupazione non è solo per te ma soprattutto per la tua famiglia, per loro ti senti responsabile. Il pensiero di Rushdie nelle prime ore dopo le minacce va subito a suo figlio Zafar di "9 anni e otto mesi" e da quel giorno ha cominciato a contare ogni istante non trascorso con lui, ogni  compleanno non festeggiato insieme, ogni festa mancata.

Rushdie spiega quanto sia difficile dire a un bambino come mai suo padre non potrà mai più portarlo a un parco giochi, mai più accompagnarlo a scuola. Mai più Zafar potrà dire di essere figlio suo con tranquillità e con orgoglio, come quando si parla del proprio padre. Per tranquillizzarlo gli assicura che lo chiamerà tutti i giorni alle 19. E Salman lo fa, ogni sera, puntuale. Finché un giorno nessuno risponde al telefono all'ora concordata. Più passano i minuti, più la convinzione del banale ritardo viene scalfita dalla paura che il peggio sia capitato. Dopo un'ora e un quarto di telefonate a vuoto la polizia manda a controllare: gli uomini trovano la porta di casa spalancata e le luci accese.

Nei minuti che passano, davanti ai suoi occhi cominciano ad apparire le immagini di suo figlio e della sua prima moglie a terra, in una pozza di sangue, senza vita. Per fortuna si trattò solo di un terribile malinteso, un contrattempo, ma quegli attimi di terrore spiegano esattamente cosa terrorizzi davvero chiunque viva sotto minaccia di morte: che non potendo arrivare a te, arrivino ai tuoi familiari. Hai paura di non essere stato abbastanza attento a nasconderli, abbastanza bravo a dar loro una vita sicura, abbastanza responsabile da tenerli lontani dal dolore, da te.

E poi ci sono gli uomini della scorta, perfetti sconosciuti che da un momento all'altro diventano vicini come nessun altro. Persone lontane anni luce dalla sua vita fatta di libri, di lunghe ore seduto a scrivere, eppure così attenti ora a non invadere il suo mondo già abbastanza scombussolato e interessati non solo a proteggerlo fisicamente, ma anche a farlo sentire bene. A volte è capitato che i poliziotti, venendo meno alle rigide regole del protocollo, abbiano portato lui e Zafar a giocare a rugby o al luna park, concedendogli momenti di normalità che per chi vive sotto scorta diventano l'eccezione o, peggio ancora, sono impossibili. Momenti che speri un giorno riavrai, mentre sai che stai mentendo a te stesso.

Il giorno in cui fu messo sotto protezione, Rushdie disse a Zafar e alla ex moglie Clarissa quanto gli avevano detto gli uomini della sicurezza: "Sarà tutto finito nel giro di qualche giorno". Inizia sempre così la vita di un minacciato di morte che finisce in regime di protezione: "solo qualche giorno". Passarono anni e anni.
(11 settembre 2012)

sabato 8 settembre 2012

Padre separato non versa alimenti

Vogliamo parlare dei doveri e dei diritti che in Italia non sono ripartiti equamente tra uomo e donna nelle separazioni e nel Divorzio, lo facciamo, anche, con notizie tratte dai quotidiani. Queste notizie le mettiamo perchè siano un punto di partenza di un dialogo costruttivo che serva a stabilire un punto di equità tra uomo e donna, senza tralasciare i doveri che i genitori hanno entrambi nei confronti dei loro figli anche se separati.

(1)
Padre separato non versa alimenti
finisce in carcere a Treviso

TREVISO - Non ha versato alimenti alla moglie né contribuito al mantenimento dei figli: dopo dodici anni un artigiano trevigiano è finito in carcere e dovrà scontare tre mesi. L'ex consorte ha presentato numerose denunce, seguite da processi e sentenze: fino a quando la condanna è diventata esecutiva. Non è stato infatti possibile applicare la sospensione condizionale.
Dopo la separazione nel 2000 e il successivo divorzio l'uomo, che adesso ha una nuova compagna, ha accumulato debiti per ventimila euro: in più dovrà pagare i danni morali.
 
(08 settembre 2012) www.repubblica.it 

giovedì 6 settembre 2012

La bella addormentata di Marco Bellocchio



Il regista è in gara a Venezia con il film ispirato al caso di Eluana Englaro.
«Non è un film pro o contro l'eutanasia. Sono rimasto molto colpito dalle parole della nipote del Cardinal Martini» M. B.

Sono tre storie intrecciate sul fine-vita. Dalla storia di Englaro vista attraverso l'occhio di un senatore di Forza Italia a quella di una donna tossico-dipendente, Bellocchio s'interroga sull'amore e la morte senza prendere posizione ma portando in scena tutti gli argomenti possibili. Coraggioso tentativo di aprire un dibattito concreto e non “consumistico” su un tema così delicato. Lo segnaliamo, quindi, perché rompe un muro di silenzio che succede al clamore di un azione sproporzionata e fatta su calcoli speculativi, politico-religiosi, che nulla hanno avuto a che fare col Dolore del padre di Eluana per la perdita dell’amata figlia e con la drammatica decisione di staccare la spina lasciandola andare verso la sua destinazione finale. Facile argomentare che la vita va difesa fino all’ultimo e che nessuno ha diritto di spegnere la macchina che sospende l’essere umano sulla soglia della morte dichiarata solennemente. Ma quale vita? Cosa resta dell’anima e del cuore e dei sentimenti di una persona in quello stadio che sembra sospeso tra l’essere e il non essere, ma che di fatto è già un passaggio obbligato. Oggi, con la tecnologia che abbiamo, potremmo far vivere, teoricamente, per altri duecento anni un essere umano in uno stato “vegetale” ( uso un termine già utilizzato anche se non mi piace, perché anche i vegetali hanno un anima e una vita affettiva, mentre un essere umano in quello stadio è solo un meccanismo che resta immobile nel limbo della morte dei sentimenti e dell’esistere) solo che il ritorno non c’è da questo Paese del Nulla, purtroppo.
Non vogliamo, ne possiamo, avere l’arroganza di suggerire un modello, anche perché non esistono modelli assimilabili, ogni individuo è un caso a se, ma soltanto segnalare l’importanza di un serio e non partigiano tavolo di dibattito su questo delicatissimo tema.
Ugo Arioti

martedì 4 settembre 2012

Il nome del padre

Il nome del padre: E' la storia delle donne e racconta la forza del loro grande cuore. Nel romanzo tre generazioni di donne vivono il ciclo dell'avventura della vita con i suoi chiari e scuri.

L'opinione: Perché nessuno parla di carceri


Perché nessuno parla di carceri

di Roberto Saviano

Le condizioni di vita dei detenuti e degli agenti di custodia sono ai limiti di ogni immaginabile umanità. Ma la questione viene ignorata da tutti. E viene il sospetto che creare una 'discarica della democrazia', in fondo, a qualcuno sia molto utile
(03 settembre 2012 – L’Espresso.it)

Che fare p er interrompere subito il crimine in corso?", vorrebbe domandarmelo la parlamentare radicale eletta nelle liste del PD Rita Bernardini. E vorrebbe farlo mentre insieme a lei – è un invito che accetto volentieri – visitiamo una delle tante carceri italiane in cui le condizioni di vita dei detenuti e di lavoro del personale sono ai limiti di ogni immaginabile umanità. Cara Rita Bernardini ciò che scrive mi è noto, anzi, per quanto io possa forse essere inviso in alcuni penitenziari per le mie origini campane, per aver "tradito" scrivendo Gomorra la mia situazione di reclusione mi porta ad avere una certa empatia di fondo per chi la propria libertà l'ha persa e magari è ancora in attesa di un giudizio.
 
LA CONSAPEVOLEZZA che 66.500 detenuti e molta parte del personale penitenziario (ogni due mesi, in Italia, un agente di custodia si toglie la vita) vivano condizioni inumane, che il carcere non riesca a essere rieducazione e reinserimento ma solo privazione, punizione e tortura, mi porta, appena possibile, a dare voce alla nostra indignazione. Ho approfittato di qualunque spazio a mia disposizione. Ho parlato di carceri in recensioni, sui social network, in televisione e la reazione più comune è stata "Saviano, smetti di occuparti dei delinquenti, pensa alle persone per bene". Scrivo di tossicodipendenza? Mi si risponde che farei meglio a parlare di disoccupazione che di drogati. Parlo di Laogai? Sbaglio, la Cina è lontana: dovrei pensare all'Italia. Mi permetto di dire che esiste una Israele che è anche altro rispetto alle politiche dei suoi governi? Che non è solo guerra, così come per venti lunghi anni l'Italia non è stata solo Berlusconi o mafie? Mi danno del sionista. Del tuttologo. "Parla di camorra, Saviano". Ma la vita non è a compartimenti stagni. Non dovrebbero esistere temi di cui non ci si possa o debba occupare.
 
Allora una cosa l'ho capita. Una cosa semplice e dolorosamente vera nella sua semplicità. Una cosa che non deve scoraggiare, ma solo darci la dimensione del problema, che è molto più grave di quanto non appaia. In Italia necessitiamo di una discarica dove confinare tutto ciò che la nostra democrazia crede sia il peggio che abbia prodotto e da cui costantemente desidera distogliere l'attenzione: il carcere, per intenderci, ci è utile. In carcere mettiamo tutti i problemi che non vogliamo affrontare e risolvere. Mettiamo tutta la "spazzatura indifferenziata" (delinquenti comuni, assassini, tossicodipendenti, piccoli e grandi spacciatori, già condannati o in massima parte in attesa di giudizio) con la quale non vogliamo fare i conti. "Spazzatura" che se non trattata finirà per travolgerci. E io, da campano, di emergenze rifiuti incistate, trascurate, sfruttate, ne so abbastanza. Oggi la Campania è una terra che arde di rifiuti tossici, con falde acquifere e mare inquinati. Ci sono paesi dai quali le persone, pur amandoli, se possono fuggono per non ammalarsi. Ecco cosa sta diventando l'Italia, una terra dalla quale è meglio fuggire, una terra in cui l'unica occupazione del momento sembra essere quella di ridisegnare con ogni mezzo lo scenario elettorale, le alleanze o meglio le accozzaglie, con cui dovremo fare i conti da qui a qualche mese. Giornalisti e celebri giuristi, costantemente impegnati in questo, restano indifferenti al decesso del nostro sistema giudiziario, vero problema per noi che in Italia ci viviamo e per chi in Italia potrebbe decidere di investire.
 
LO SPERIMENTIAMO ogni giorno sulla nostra pelle e ancor più lo vivono sulla loro, le migliaia di detenuti e operatori carcerari abbandonati da tutti. Ma è evidente che i problemi non si vogliono risolti: le carceri rimarranno la cloaca che sono e senza informazione le persone continueranno a pensare e a dirmi che dovrei "piuttosto" occuparmi d'altro. La giustizia non si riformerà, perché è più utile così com'è, e all'occorrenza utilizzarla per ridisegnare gli orizzonti politici, sempre troppo angusti, del nostro Paese. Allora per una volta, questo lusso decido di prendermelo io e vi domando: ma perché non vi occupate "piuttosto" un po' tutti di carceri? Per scoprire magari che risolvere il problema dei "rifiuti", in fondo, potrebbe anche convenirvi.

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