Beccaria, Cesare - Dei delitti e delle
pene
Cesare Beccaria (1738-1794) fu un filosofo, o meglio , come egli stesso si
autodefinì, un “filosofo della morale e della politica”. Quest’opera è innanzi
tutto un libro di riflessione politica, che presenta il pensiero dell’autore
circa la situazione della struttura legislativa del suo tempo. L’opera si
colloca in un complesso periodo storico (600-700) in cui la civiltà europea
matura una definitiva presa di coscienza di fronte al problema della
giurisdizione penale. Il libro scaturisce non tanto da uno studio tecnico
quanto da un impulso morale generato dall’evoluzione storica, sociale e culturale di quell’epoca. Nell’opera Beccaria affronta
il problema della legittimità dei governi di punire coloro che in qualsiasi
modo contravvengono a quanto stabilito dalle leggi, in quanto, come affermavano
gli illuministi, tra il cittadino e lo Stato si stabiliva un "patto
sociale" in base al quale ogni cittadino rinunciava a una piccola parte
della propria libertà per il raggiungimento della maggior felicità possibile,
garantita a ciascuno dall'azione dello Stato.
Le leggi, che regolano i rapporti sia fra cittadini che con lo
Stato, partono proprio da questo presupposto. Criterio costante e fondamentale
dell’azione dei governi e del legislatore deve essere quello dell’utilità
pratica generale per tutta la comunità, non solo rispetto al singolo individuo,
per cui la costituzione e l’irrogazione delle pene, deve portare ad impedire al
cittadino di arrecare danni alla collettività e di evitare che altri possano
seguire l’esempio del reo. In questa ottica non possono essere più seguiti i vecchi criteri del
passato, perché dannosi e inumani. Uno dei freni al delitto non deve essere la
crudeltà della pena, ma la certezza della pena. La moderazione e dolcezza della
pena è la dimostrazione più chiara del principio dell’utilità generale. Il
diritto deve tener conto insomma dell’utilità sociale. Questa concezione
utilitaristica del diritto contiene anche un aspetto umanitario nel senso che
al colpevole di un reato non va aggiudicata una punizione “biblica” o
vendicativa. Il Sovrano, nello stato moderno, deve badare solo a che non
vengano lesi gli interessi della società, cioè l’ordine pubblico e i meccanismi
economici. Egli ha un ruolo fondamentale nella difesa della struttura dello
Stato moderno che ha come fondamento un concetto utilitaristico della vita
sociale. Beccaria non intende quindi sminuire l’autorità del Sovrano che è a
capo della società, ma piuttosto quella di aumentarla, al fine di raggiungere
il bene comune.
Origine delle pene
La società è vista come il risultato di un patto fra uomini liberi che
cedono parte della loro libertà per assicurarsene poi una maggiore . Queste
libertà unite assieme formano la Sovranità, nelle cui mani è il potere legale. La
società , e per essa il Monarca, ha quindi il diritto di punire coloro che in
qualsiasi modo vengono meno al patto statuito. Il diritto di punire, ovvero
l'origine della pena, deriva dunque dalla necessità di difendere la sicurezza
comune e il bene universale dalle usurpazioni particolari.
Leggi
Le leggi rappresentano le condizioni alle quali uomini liberi decisero di
subordinarsi per unirsi in società, stanchi di vivere in un continuo stato di
guerra e di non poter avere una libertà costante. Così il compito del sovrano è
quello di amministrare queste norme e fare in modo di salvaguardarle, in modo
da impedire ad ogni uomo di tentare di appropriarsi e quindi di violare la
libertà altrui.
Strettamente legata alla legge c’è la pena, argomento largamente discusso in questa opera: essa è il danno fisico o morale stabilito dalla legge come conseguenza di un reato, ovvero ogni qual volta un uomo vada contro a quanto la legge aveva prefissato. Quindi le pene hanno lo scopo principale di difendere le leggi e di impedire al colpevole di fare nuovi danni, oltre che di impedire che altri ne compiano a loro volta. Solamente la legge emanata dal sovrano ha il diritto di punire gli uomini.
Strettamente legata alla legge c’è la pena, argomento largamente discusso in questa opera: essa è il danno fisico o morale stabilito dalla legge come conseguenza di un reato, ovvero ogni qual volta un uomo vada contro a quanto la legge aveva prefissato. Quindi le pene hanno lo scopo principale di difendere le leggi e di impedire al colpevole di fare nuovi danni, oltre che di impedire che altri ne compiano a loro volta. Solamente la legge emanata dal sovrano ha il diritto di punire gli uomini.
Interpretazione delle leggi
Le leggi non devono essere interpretate, ma devono
essere chiare sufficientemente, in modo che il compito del magistrato sia solo
quello di applicarle. Deve esserci inoltre, secondo Beccaria, una giusta
proporzione fra i delitti e le pene, ovvero le pene devono essere proporzionate
alla misura del danno che i delitti arrecano alla società.
Tanto più un’azione è lesiva, tanto più la pena
corrispondente sarà pesante. L’autore distingue tre tipi di delitti:
• I delitti che danneggiano direttamente la società o
chi la rappresenta, detti anche “delitti di lesa maestà”, i quali vanno puniti
con la pena più alta.
• I delitti che ostacolano la sicurezza della vita,
dei beni e dell’onore di un cittadino, che saranno puniti con le pene ritenute
più adeguate alle leggi.
• I delitti che molestano la tranquillità pubblica e
privata.
A questo punto Beccaria si chiede quali siano le pene
più conformi a questi ultimi delitti, e di conseguenza esprime la propria
opinione circa il ricorso alla tortura e alla pena di morte, gli argomenti
caratterizzanti dell’opera.
Tortura
Durante il processo la tortura, in molte nazioni già in uso, doveva
costringere il presunto colpevole a confessare il delitto. Ma questo metodo era
agli occhi dell’autore nient’altro che una crudeltà, un modo di pretendere la
verità attraverso il dolore fisico. Inoltre la tortura poteva incorrere
nell’errore più temibile, cioè quello di assolvere il colpevole e di condannare
l’innocente. Spesso infatti il colpevole, se dotato di coraggio e di grande
resistenza fisica, riusciva a resistere alle torture ; viceversa l’innocente,
se fiacco e debole, sotto tortura era portato a pronunciarsi colpevole pur di
porre fine al dolore, ma sotto giuramento ritornava a difendere la sua
posizione di innocenza.
Prontezza della pena.
“ Quanto la pena sarà più pronta e più vicina al delitto commesso, ella
sarà tanto più giusta e tanto più utile”. E’ importante quindi che la distanza
di tempo tra il delitto e la pena sia il minore possibile.
La prontezza della pena sarà percepita come giusta perché risparmia al colpevole i tormenti dell’incertezza associati alla consapevolezza della propria debolezza.
La prontezza della pena sarà percepita come giusta perché risparmia al colpevole i tormenti dell’incertezza associati alla consapevolezza della propria debolezza.
La privazione della libertà , essendo una pena, non dovrebbe precedere la
sentenza ( se non per gravi necessità) e dovrebbe durare il minor tempo
possibile prima della celebrazione del processo. Il carcere deve servire
unicamente ad impedire la fuga del presunto colpevole o l’occultamento delle
prove. La prontezza della pena è più utile perché in questo modo l’associazione
delle due idee (delitto e pena) è più forte nell’animo umano, in quanto può
comprendere più direttamente la relazione di causa ed effetto dei due concetti.
Il lungo ritardo fra delitto e somministrazione della pena non produce altro effetto che di disgiungere sempre più questa relazione di causa-effetto. Nell’immaginario collettivo l’immediatezza della pena serve a rinforzare il senso del giusto castigo , mentre il ritardare la pena farebbe percepire il castigo come una forma di spettacolo.
Il lungo ritardo fra delitto e somministrazione della pena non produce altro effetto che di disgiungere sempre più questa relazione di causa-effetto. Nell’immaginario collettivo l’immediatezza della pena serve a rinforzare il senso del giusto castigo , mentre il ritardare la pena farebbe percepire il castigo come una forma di spettacolo.
Misfatto e pena devono essere strettamente connesse anche sotto l’aspetto
della conformità della pena alla natura del delitto. L’analogia fra delitto e
pena facilita il contrasto che ci deve essere tra la spinta al delitto e la
ripercussione della pena. Cioè la pena deve allontanare l’animo dalla
suggestione di infrangere impunemente la legge.
Pena di morte
Viene trattato ampiamente il tema della pena di morte , che è molto
criticata da Beccaria. La pena di morte è ritenuta una “guerra della nazione
contro il cittadino”, in quanto lo Stato pensa di poter giudicare utile o necessaria
la morte di un uomo. Per questo anche la tortura e la pena di morte diventano
ingiuste, perché entrambe sono basate non sul diritto, ma sulla forza dello
Stato. Non esiste una condizione di necessità da parte di uno Stato, proprio
perché la "necessità" è una condizione che appartiene agli individui,
e la necessità di uno Stato diventa la necessità di un gruppo di individui di
mantenere il proprio potere di governo a scapito della collettività Premesso
che in un governo ben organizzato è discutibilissimo pensare che la pena di
morte sia utile e giusta, questa potrebbe essere ritenuta necessaria solamente
in due casi:
1. Nel caso in cui un cittadino pur privo della libertà avesse ancora tale
seguito, relazioni e potenza da mettere in pericolo le sorti di una nazione,
minacciando la libertà dello Stato.
2. quando la sua morte rappresentasse l’unico modo per distogliere altri cittadini dal commettere delitti.
2. quando la sua morte rappresentasse l’unico modo per distogliere altri cittadini dal commettere delitti.
La pena di morte è considerata inutile, perché non è l’intensità della pena che fa effetto maggiormente sull’animo della gente , ma piuttosto la sua estensione.
La pratica della pena capitale non è mai servita
neanche come utile esempio a far sì che gli uomini non commettano più reati.
Come esempio serve di più l’ergastolo che è un monito permanente per coloro che
intendono delinquere.
Infatti secondo Beccaria è più terribile l’esempio di un uomo privato della libertà e sottoposto ad una eterna schiavitù, piuttosto che la privazione della vita; e pensa che questa condizione di schiavitù perpetua possa sostituire sufficientemente la pena di morte, anzi, addirittura che la superi.
Dice poi che la pena di morte non è utile per l’esempio di atrocità che dà agli uomini. Inoltre sembra assurdo che siano proprio le leggi, che puniscono l’omicidio, a commetterne uno, ordinando un assassinio pubblico.
In generale , non si può chiamare giusta e quindi
necessaria la pena di un delitto finché la nazione non ha utilizzato il miglior
mezzo per prevenirlo.
Prevenzione dei delitti
Beccaria insiste su un altro argomento importante, ovvero il problema di
come si possano prevenire i delitti, che è anche il vero scopo di quest’opera. I
delitti, più che puniti, devono essere prevenuti, e per ottenere ciò , la
legislazione dovrebbe portare gli uomini al massimo di felicità, al fine di
evitare che essi desiderino danneggiare la vita di altri cittadini.
I legislatori dovrebbero dunque fare in modo che le leggi siano chiare,
semplici, e che tutta la nazione intenda difenderle. Un altro modo importante
per prevenire questi delitti sono le scienze: l’uomo colto rappresenta il dono
più grande che il sovrano possa fare a sé ed alla nazione; costui ha l’onore di
diventare custode delle leggi. Un ruolo importante, nella prevenzione dei
delitti, riveste l’educazione, che deve interessare in modo particolare i
giovani per deviarli da ciò che è male e guidarli alla virtù.
Conclusioni
Con quest’opera C.
Beccaria più che proporre uno schema tecnico per una nuova legislazione penale
raccoglie riflessioni generate dall’ imporsi della cultura illuministica in un
contesto storico-filosofico ricco di tensioni e contrasti.
E’ in questo periodo storico infatti che la civiltà europea matura una definitiva presa di coscienza di fronte alla questione della giurisdizione penale.
La grande novità
dell’opera di Beccaria sta nell’aver rovesciato la prospettiva dell’indagine
sulla legittimità dell’azione di uno Stato.
Fino all’Illuminismo lo Stato era preminente e la sua azione assolutamente e sempre legittima, per cui gli uomini abitanti sul territorio di quello Stato erano semplicemente sudditi senza "volontà politica" e senza "capacità decisionale" perché privi di diritto. Questo permetteva al sovrano di poter dire: "lo Stato sono io" o "la legge sono io", e di fronte a lui null’altro poteva esistere se non la sottomissione cieca e passiva di tutte le altre persone.
La prospettiva si sposta dal sovrano alla sovranità che è l’insieme di tutte le piccole porzioni di libertà cedute dagli individui, che non sono più sudditi passivi, ma cittadini protagonisti del vita della collettività e che hanno nelle mani "un diritto" che proviene proprio dalla cessione di una porzione della propria libertà.
In questo senso il libretto di Beccaria rappresentava una novità assoluta e una pericolosità elevata per il potere costituito sia religioso che politico .Ponendosi infatti al di sopra "dei pregiudizi e dei tradizionali rispetti" l'opera metteva in discussione il principio stesso della legittimità del potere assoluto dei sovrani) tanto che il padre vallombrosano Ferdinando Facchinei scrisse un violento opuscolo contro il Beccaria e la sua opera proprio per incarico del governo della Repubblica della Serenissima.
Con questo libro Beccaria, proponendo il suo punto di vista interprete delle idee illuministiche, ha potuto diffondere un nuovo pensiero nell’Italia del Settecento, riuscendo di conseguenza ad influenzare le mentalità del suo periodo oltre che a riscuotere un notevole successo tra il pubblico, non solo in Italia, ma in tutta Europa.
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