“Medicina popolare siciliana” è un’opera di Giuseppe Pitrè (1841-1916) del 1896, che venne in seguito collocata nella sua raccolta “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”. Nel complesso, lo scrittore e antropologo palermitano comprendeva motti, proverbi, novelle e fiabe, ma anche canti. Il libro che andremo a spiegare in questo articolo, aveva lo scopo di raccogliere e conservare le opere e le tradizioni legate al mondo sanitario siciliano dell’Ottocento.
“Medicina popolare siciliana” è un vero e proprio trattato o manuale sulla storia medica delle abitudini e dei rimedi dei cittadini siciliani del tempo. Grazie al suo ruolo di medico, Pitrè venne infatti a contatto con tutti i ceti che componevano la struttura popolare, e realizzò così una sorta di compendio, diviso in più sezioni, ognuna riguardante un particolare argomento. Nella prima parte, viene raffigurata la figura del medico siciliano, le sue caratteristiche e ruolo che aveva per la popolazione; la seconda parte è una raccolta di quelli che sono i pensieri dei cittadini riguardo ad argomenti quali l'anatomia, la fisiologia e l'igiene, e come essi si componessero e si strutturassero nella vita quotidiana dei cittadini. L'ultima parte del libro, è dedicata alla patologia generale: quali erano le diagnosi operate, e gli eventuali rimedi popolani adottati per sconfiggerle.
Nel libro, Pitrè sottolinea come spesso la figura del medico non era vista di buon occhio. Per risolvere un male o un problema, ci si riferiva infatti di solito a un amico o un parente, che consigliava questa o l’altra erba. Il medico, sostanzialmente, non riscuoteva molta ammirazione e fiducia: se un malato guarisce, è infatti segno di opera miracolosa, provocata da un particolare voto, preghiera inneggiata a un santo, se il malato muore, la responsabilità è del medico, che con i suoi rimedi ha accelerato il processo di inasprimento della malattia. Infatti erbe, parole, semi, sassi, erano considerati nell’Ottocento più importanti della medicina tradizionale, e più efficaci, come conferma il proverbio: “c'è tanti erbi all'ortu, ca risurgina l'omu mortu”.
Una delle convinzioni popolari più particolari, è che spesso il malato si sentiva più rassicurato da una persona potente e conosciuta, che da un medico. Spesso più che il medico, era il barbiere a godere di maggior fama all’atto pratico. Egli era il chirurgo, che pur non avendone volontà burocratica, spesso praticava salassi, correggeva fratture, operava ascessi, e trattava lussazioni e malattie veneree.
Altro aspetto di rilievo, denota la figura del medico, spesso visto come colui al quale bisognava raccontare tutto: un confessore più che un dottore, una tradizione che viene portata avanti ancora dagli anziani che abitano i piccoli paesi del Meridione. Una lite, un problema morale: erano esclusivo appannaggio del medico.Un'altra figura importante di Sicilia, è quella dell'erbaiuolo, colui che conosceva cioè una serie di rimedi a base d’erbe, volti alla purificazione dell’organismo e alla guarigione della malattia. Bibite rinfrescanti, vere e proprie medicine, come la “lattata di mennule” (il latte di mandorla) o il decotto di malva, che servivano a cambiare il sangue; la blenorragia (la gonorrea) invece, veniva curata attraverso la “cannavusata”, una bevanda derivata dai semi di canapa tostati.
Grande importanza assunse la sezione dedicata all’anatomia, che era volta a illustrare come attraverso l’analisi degli elementi principali che costituiscono il viso ma anche il fisico di un individuo, fosse possibile risalire a una descrizione dell’individuo stesso; una pratica che in fondo, per certi versi, viene portata avanti ancora oggi un po’ ovunque in Italia.
Ruolo importante nella società, lo gioca sicuramente l’altezza: chi è alto è considerato senza valore: “è difficili trovuri un longu spertu e un curtu minchiuni"; d'altra parte, le cattive qualità dei ‘corti’ prendono vita proprio dalla cultura popolana che ancora oggi asserisce che: “curtu, malu cavatu”. Alla statura si associa dunque la corporatura: gli uomini ben pasciuti venivano considerati pigri, scarsamente intelligenti e volgari, e la carnagione: una ragazza dalla pelle troppo chiara è una ragazza insensibile, un uomo troppo chiaro è debole, di corpo e di spirito.
Ruolo importante nella società, lo gioca sicuramente l’altezza: chi è alto è considerato senza valore: “è difficili trovuri un longu spertu e un curtu minchiuni"; d'altra parte, le cattive qualità dei ‘corti’ prendono vita proprio dalla cultura popolana che ancora oggi asserisce che: “curtu, malu cavatu”. Alla statura si associa dunque la corporatura: gli uomini ben pasciuti venivano considerati pigri, scarsamente intelligenti e volgari, e la carnagione: una ragazza dalla pelle troppo chiara è una ragazza insensibile, un uomo troppo chiaro è debole, di corpo e di spirito.
Grandi ossa indicavano forza e vigore, e se associati a sudore e peli, sia sulle braccia che sul viso, indicavano forza di volontà e virilità; una testa grande era sintomo di intelligenza, mentre piccola di ingenuità e stupidità; bugiardi sono quelli dal collo corto e dai denti marci, mentre chi ha la mano piccola vuol dire che avrà vita lunga. Il libro continua fino ad analizzare tutte le membra del nostro corpo,attribuendo a ogni singola parte e conformazione un significato. Fino ad arrivare a veri e propri sintomi, condizioni e diagnosi che vengono ritenuti validi ancora oggi: se ti fischia l’orecchio destro stanno parlando male di te, se ti fischia quello sinistro ti stanno lodando; se starnutisci durante una malattia è indice che stai guarendo, se lo fai in buona salute, ti stai ammalando. Inoltre, si pensava che vizi e virtù venissero tramandati di generazione in generazione: se una donna è onesta, lo sarà anche la famiglia che genererà.
La maggior parte delle malattie, secondo il cittadino siciliano, è provocata da irritazione, e la bocca ne è la principale manifestazione. Le epidemie sono causate da aria cattiva: se un ammalato muore, era usanza comune bruciarne i vestiti e tutti gli oggetti, come capitava ad esempio in tempo di peste.
Un particolare tipo di patologia è la jettatura: chi ne è colpito, difficilmente può guarire.
Una grossa parte del libro viene dedicata alla diagnosi popolare che veniva fatta, per larga parte, analizzando i fluidi dell'organismo: primi fra tutti sangue e urina. Anche il sudore era importante: febbri violente accompagnate da brividi e gocce di sudore, erano chiaro segno di guarigione.
Un particolare tipo di patologia è la jettatura: chi ne è colpito, difficilmente può guarire.
Una grossa parte del libro viene dedicata alla diagnosi popolare che veniva fatta, per larga parte, analizzando i fluidi dell'organismo: primi fra tutti sangue e urina. Anche il sudore era importante: febbri violente accompagnate da brividi e gocce di sudore, erano chiaro segno di guarigione.
Ma non tutti affidavano la diagnostica al medico; a Naso, in provincia di Messina, Pitrè scrisse che i parenti dell'ammalato usavano fare visita al pozzo della chiesa di Madonnuzza: se il pozzo presentava delle goccioline attaccate alla superficie, è indice che il malato guarirà; altri ancora si affidavano ai presagi di un cavolo bollito.
Interessanti anche le pratiche popolane che fungevano da rimedi e cure, alcune vive ancora oggi nella tradizione, anche esterne alla regione siciliana; si dice ad esempio che dopo un morso di vespa bisognasse applicare sulla ferita una lama fredda, mentre chi soffre di itterizia doveva odorare i fiori gialli di una zucca; contro il prurito dell'orticaria era necessario un cordone di lana da mettere attorno alla vita, mentre per le patologie più complesse la cura più efficace era il salasso, che veniva effettuato in diverse parti del corpo, a seconda del tipo di malattia da contrastare: se alla testa nella spalla, se al fianco al piede; se il dolore era cardiaco, il salasso veniva fatto invece sulla mano.
Pitre' e il suo amico e collega erano due scienziati importantissimi per il lavoro che facevano per la povera gente.
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