La scuola di ecologia Culturale è un luogo di scambio di esperienze e di costruzione di tecniche democratiche e pacifiche per lo sviluppo sostenibile delle società umane e si muove per realizzare iniziative (prevalentemente in partnership) per l’educazione dei giovani (la scuola del territorio e uno dei partner naturali della scuola) e lo sviluppo di un capitale umano di eccellenza che dovrà essere protagonista dello sviluppo culturale ed economico delle società e dei popoli Euro Mediterranei.
giovedì 27 ottobre 2016
martedì 25 ottobre 2016
Legalizzazione della cannabis, obiettivo raggiunto: raccolte 50mila firme
La campagna Legalizziamo!
promossa da Radicali Italiani e Associazione Luca Coscioni ha raggiunto
il numero di firme necessario per portare la proposta di legge in
Parlamento
di FRANCESCO ALTAVILLADai Radicali, fanno sapere di aspettare ancora i dati definitivi ma c'è grande ottimismo. La scorsa settimana era stata lanciata dagli organizzatori la volata finale, i "Legalizziamo last days", gli ultimi giorni di mobilitazione straordinaria. Da venerdì 21 a domenica 23 ottobre oltre settanta banchetti per firmare erano presenti in più di venti città in tutto il Paese.
Restavano da raccogliere circa 12 mila adesioni ed erano arrivate le firme di Roberto Saviano e Vasco Rossi. Anche la sindaca di Torino Chiara Appendino, il primo cittadino di Napoli Luigi De Magistris e quello di Parma Federico Pizzarotti avevano aderito alla campagna.
Soltanto da Possibile sono state raccolte 3 mila firme già validate e certificate. Ma il conto potrebbe salire ancora. "Da tutti i nostri banchetti ci sono arrivate notizie entusiasmanti di persone in fila per firmare", il giudizio di Pippo Civati è che il successo della campagna Legalizziamo! sia "la dimostrazione plastica che la maggioranza degli italiani è pronta a legalizzare la cannabis. Una prova ulteriore di come la cosiddetta società civile sia più avanti delle dinamiche politiche". Proprio il leader di Possibile, per chiarire le ragioni del fronte antiproibizionista, ha scritto il libro Cannabis. Dal proibizionismo alla legalizzazione, uscito il 4 ottobre per Fandango libri. Un'operazione che nasce dalla volontà "di chiarire la questione in modo serio e puntuale una sorta di manifesto per spiegare il valore di per sé notevole che potrebbe avere la legalizzazione della cannabis, sgombrando il campo dalla retorica politica del abbiamo ben altro di cui occuparci".
Prosegue parallelamente il percorso della legge di iniziativa parlamentare promossa dall'interguppo presieduto dal senatore dei Radicali Benedetto Della Vedova. Dopo essere stata già discussa alla Camera il 25 luglio 2016, la proposta dovrebbe tornare in commissione per analizzare i quasi 2000 emendamenti al testo (1300 dei quali presentati da Ap).
sabato 22 ottobre 2016
Bloccata con la violenza la manifestazione anti-Renzi. Ignazio Buttitta: “Ci hanno preso a manganellate”
Nel nostro Paese c’è ancora la libertà di dissentire? Qualche ora fa, a
Palermo, in via Maqueda, un corteo pacifico di studenti e docenti universitari
che avrebbe voluto recarsi davanti il Teatro Massimo – dove è in corso
l’inaugurazione dell’anno accademico con Renzi – è stato preso a manganellate e
disperso. Sembra incredibile, ma è successo anche questo! Cosa succederebbe se
Renzi vincesse il referendum del 4 dicembre?
E bravo Renzi! E bravo Fabrizio Micari! E
bravo Leoluca Orlando! E bravi i responsabili dell’ordine pubblico di
Palermo!
Gli studenti universitari della città avrebbero voluto
presentarsi, stamattina, in Piazza Massimo, per manifestare pacificamente
contro di voi che ormai rappresentate solo voi stessi e il vostro potere
marcio. Ma la polizia li ha caricati prendendoli a colpi di manganello.
“Sono sdegnato, siamo stati presi a manganellate”,
ci dice il professore Ignazio Buttutta, docente di Antropologia
culturale dell’università di Palermo. Assieme a lui era presente un altro
docente, il professore Enzo Guarrasi.
“Gli studenti – con alcuni docenti universitari – stavano
percorrendo la via Maqueda. Erano ‘armati’ di un solo striscione”.
Ma è evidente che gli uomini della forze dell’ordine
avevano ordini precisi: attaccare, manganellare e disperdere la manifestazione.
Che dire davanti ad aggressioni di chiaro stampo fascista
contro studenti e docenti universitari inermi?
Solo qualche considerazione.
Signori, è bene che ne prendiamo atto: Renzi – il
ministro degli Interni, il siciliano Angelino Alfano – il rettore
dell’università di Palermo, Fabrizio Micari, il sindaco Leoluca Orlando,
insomma i manovratori di questa giornata officiale, non debbono essere
disturbati.
Per fare in modo che n on vengano disturbati, non esitano
a utilizzare il manganello (tra qualche giorno arriverà anche l’olio di
ricino?).
Riflettiamo: abbiamo solo un’arma per combattere i
prepotenti: il voto.
Pensate: Renzi non ha vinto il referendum – che darebbe a
lui un potere assoluto sull’Italia – e già fa manganellare studenti e docenti
universitari in via ‘preventiva’.
Che cosa succederebbe se questo signore dovesse vincere
il referendum del 4 dicembre?
Per questo il 4 dicembre è necessario andare in massa a
votare No.
Per bloccare sul nascere questo fascistello di Firenze.
Alla manifestazione sono presenti altri soggetti.
C’è una delegazione dei lavoratori della SIS – il gruppo
imprenditoriale che avrebbe dovuto completare il Passante ferroviario (il collegamento
su strada ferrata tra l’Aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ e Palermo, con tante
fermate in città).
La SIS per ora ha chiuso i battenti in attesa che
arrivino altri soldi per completare l’opera (per ora sono stati spesi circa 800
milioni di Euro).
E’ anche presente una delegazione dei lavoratori di
Almaviva che dovrebbero essere trasferiti in Calabria (ovviamente, con lo
stipendio da fame che prendono non dovrebbero accettare).
E’ presente anche una delegazione degli insegnanti delle
scuole dell’Infanzia.
Le manganellate sono state riservate solo a docenti
universitari e studenti.
I
ricercatori universitari: “L’invito a Renzi? Come una vittima che invita il
carnefice”
giovedì 20 ottobre 2016
martedì 18 ottobre 2016
(leggevo questa): 49 e 59: vivo che parla - di pippo Montedoro - Racconti dall'iperspazio
(leggevo questa):
49 e 59: vivo che parla
È una cosa che si sopporta a stento, questa qui della quale io soffro: la memoria.
Cosa avete capito? Mica la mancanza della…, la sua fragilità, piuttosto la sua possanza. Porca miseria, rammento tutto; va be’, molto… troppo! E così (e la cosa mi dà fastidio) rischio di inibire, quando scrivo, il da me amato processo di costruzione di fantasia. Insomma e accidenti, visto che ricordo troppo finisco per riportare reali memorie. Manco Proust e le sue cineree malinconie.
Quindi, ripenso e racconto.
Avevo una manata (cioè cinque) di parenti che si chiamavano Giovanni. Me ne è rimasto uno solo. Per andare sul tranquillo quando si parlava di loro in singola o in multipla, nonna Anciluzza li aveva rinominati: Gianni e Gianninieddu, due miei cugini; Giovanni e basta, il sopravvissuto, figlioletto di cugini (che non ho mai capito se, questi figli di, siano cugini o nipoti né tantomeno di quanti gradi si sia vicini) e, poi, due zii: Giannuzzu e Giovannino. Quest’ultimo mi durò poco. Morì quando io avevo quattordici anni, con un tumore al cervello e rimase una settimana esatta allettato da un coma vigile.
Il primo anno di liceo, per me, era stato difficile. Oddio, in effetti facilissimo: dopo le borse di studio delle medie inferiori, avevo cominciato a vivere e a divertirmi; tutto qua. Quindi, rimandato in ben quattro materie quattro, compreso il disegno. Tradotto, significa che avevo intrapreso la mia carriera da sei e sette in condotta; dunque avevano deciso di punirmi con la maxirimandatura visto che ero comunque bravo in matematica quanto in francese come in tutte le materie umaniste. Il disegno era l’unica materia nella quale io mi sarei bocciato: non riuscivo nemmeno a ricalcare le linee col classico sistema del vetro e lampada sotto. E non pensiate che io mi sia perso nei ricordi.
U zu Giuvanninu percepì, dalle nebbie colorate del suo coma lisergico, il dialogo fra mia madre e le proprie sorelle con il taglio e cucito sulla mia rimandatura, che a loro fino a quel momento doveva sembrare una iattura, e riemerse soltanto per un attimo e per un’unica volta dalla bambagia tranquilla per esporre un semplice “Pi’ Pippuzzu, m’impignu puru l’uova ‘i l’uocchi. C’hamu a fari?”. Mi commossi assai – ero presente; e chi lo lasciava?: lo adoravo – e pensai la stessa cosa che disse mia madre, improvvisamente conscia che la mia disavventura fosse una minchiatella senza importanza: “Pi’ cosi serii, ni putiemu ‘mpignari l’uova i l’uocchi. P’aviriti ancuora cu nuatri, Giovanni’. No pi’ ‘sti fissarii!”. Non ero più cattolico ma volli ugualmente cadere in ginocchio quando due giorni dopo spirò, sereno, mio zio il sindacalista dalla bella parlantina senza il supporto r’aviri i scuoli avuti. Questo accadeva 49 anni fa.
Un balzo di spalle. Di dieci anni. Cinquantanove anni addietro. Ed eccomi che avevo quattro anni compiuti da un mesetto poiché era agosto e io sono dei primi di luglio. Come ogni pomeriggio delle estati, un’oretta dopo il pranzo, Giovannino buttava una coperta per terra e, da quando c’ero io, si metteva a dormire c’u picciriddu, per un’altra oretta o anche meno, ché se no gli veniva il mal di testa. Fino a circa mezzo secolo fa e a partire da sempre, in Sicilia si sapeva costruir le case. E non parlo delle abitazioni di campagna che si tiravano su soltanto dopo che per qualche mese veniva testato il sito dalla permanenza di mandrie o di greggi: che se l’armali non si beccavano alcuna strana malattia o non morivano di magie magnetiche o uraniche allora si tiravano su le mura e nel caso contrario ci si spostava fino al trovar il luogo giusto. E nemmeno sottolineo che nessun deficiente costruiva su impluvi o su greti pseudo secchi, a rischio frane e smottamenti; probabilmente, perché non v’erano molti deficienti né troppi ladri e imbroglioni, latifondisti a parte (ladri, non cretini). Dico qui delle case di paese. Ognuna di queste aveva la sua brava stanza dello scirocco anche se soltanto i signorotti la chiamavano in questo modo. Nella summa: si costruiva stando bene attenti all’esposizione e alle aperture, sì che almeno una camera della casa, a finestre intelligentemente aperte o socchiuse, potesse rimaner fresca nei giorni di umida afa. Nella casa comune di nonna Angela e di Giovannino sposato con Lilla e due figli di molto più vecchi di me, questa stanza era la cameretta in cima alla scala interna che separava i piani, ripidissima, per la quale mia madre era caduta proprio mentre era incinta, con dentro me (se poteste evitare le battute… e grazie!). A ‘ntrata a pie’ di scala semichiusa (tanto allora, a Villagrazia di Palermo, non si correvano rischi di intrusione) e la finestra a capizzu di coperta-letto, a manta marrò, aperta e anche con il solleone (termine desueto) e così lì si godeva la frescura indispensabile per la pennichella. Tutt’ora adoro addormentarmi col venticello sulla pelle del viso. Come allora. Ma allora, qual giorno!, quel venticello mi stimolò anche qualcosa d’altro. Pensavo da qualche giorno a quanto avevo sentito dire da Anciluzza: “Giuvannino, a Pippo ci vuoli troppu bieniri: si facissi puru pisciari ‘n-t-a facci!”.
E ch’è!… Evidentemente era un atto d’amore, una manifestazione che ancora non conoscevo dello stesso sentimento; più di un abbraccio; oltre un bacio; e io avevo il cuore gravido d’amore quanto la vescica di benedizione di bimbo. Mi tirai su, i piedi ai lati della sua faccia dormiente che puntava il tetto e pisciai. Si svegliò subito, naturalmente. Non mi interruppe e cominciò a ridere quando avevo finito. Mi prese in braccio e scese le scale. Grondante: “Piccio’, u picciriddu mi pisciò ‘n-t-a facci!”. Soltanto mio padre – era domenica – fece una leggera musione pre-rimprovero però si unì deciso alle risate di tutti.
Ma cosa v’ho raccontato? Che ci posso fare se ricordo?! Per farvi divertire e interessarvi sul serio avrei potuto inventare che avevamo rapinato insieme, io e zio Giovannino, l’ufficio dei Bavarisi – aperto giorno e notte o Malupassu e col neon blu sulla porta – in un’alba mentre andavamo insieme a abbivirari u jardinu. Mi ci portò sempre e mi comprava di continuo stivali di gomma verde bottiglia col mio se pur piccolo piede in crescenza e mi faceva vutari l’acqua con la zappetta tutta mia. Potevo interessarvi di più; ma se ricordo tutto in modo così nitido. Adesso lo siete anche voi quasi come me, vittime della mia memoria.
Una ventina d’anni fa lo sognai. Bussavano a’ ‘ntrata. Cioè alla porticina a una piazza che in genere sta a pianterreno del vano scale ma che stavolta dava su una stanza grande e disadorna ove leggevo un libro. Aprivo ed eccolo; mi abbracciava, mi dava una bacione sulla guancia e andava via senza aver detto parola.
Sul libro della cabala siciliana, andai dritto e cercai soltanto “zio affettuoso” e lo trovai: giocai il suo numero con quello di porta piccola e feci ambo.
Ziu’!
Bon, quanto mi mangio qualche biscotto “algerino” e mi inzacchero di zucchero a velo: le madeleines, le ho finite. E scusate il disturbo, se potete.
------------------------------------Finìu-----------------------------------------
49 e 59: vivo che parla
È una cosa che si sopporta a stento, questa qui della quale io soffro: la memoria.
Cosa avete capito? Mica la mancanza della…, la sua fragilità, piuttosto la sua possanza. Porca miseria, rammento tutto; va be’, molto… troppo! E così (e la cosa mi dà fastidio) rischio di inibire, quando scrivo, il da me amato processo di costruzione di fantasia. Insomma e accidenti, visto che ricordo troppo finisco per riportare reali memorie. Manco Proust e le sue cineree malinconie.
Quindi, ripenso e racconto.
Avevo una manata (cioè cinque) di parenti che si chiamavano Giovanni. Me ne è rimasto uno solo. Per andare sul tranquillo quando si parlava di loro in singola o in multipla, nonna Anciluzza li aveva rinominati: Gianni e Gianninieddu, due miei cugini; Giovanni e basta, il sopravvissuto, figlioletto di cugini (che non ho mai capito se, questi figli di, siano cugini o nipoti né tantomeno di quanti gradi si sia vicini) e, poi, due zii: Giannuzzu e Giovannino. Quest’ultimo mi durò poco. Morì quando io avevo quattordici anni, con un tumore al cervello e rimase una settimana esatta allettato da un coma vigile.
Il primo anno di liceo, per me, era stato difficile. Oddio, in effetti facilissimo: dopo le borse di studio delle medie inferiori, avevo cominciato a vivere e a divertirmi; tutto qua. Quindi, rimandato in ben quattro materie quattro, compreso il disegno. Tradotto, significa che avevo intrapreso la mia carriera da sei e sette in condotta; dunque avevano deciso di punirmi con la maxirimandatura visto che ero comunque bravo in matematica quanto in francese come in tutte le materie umaniste. Il disegno era l’unica materia nella quale io mi sarei bocciato: non riuscivo nemmeno a ricalcare le linee col classico sistema del vetro e lampada sotto. E non pensiate che io mi sia perso nei ricordi.
U zu Giuvanninu percepì, dalle nebbie colorate del suo coma lisergico, il dialogo fra mia madre e le proprie sorelle con il taglio e cucito sulla mia rimandatura, che a loro fino a quel momento doveva sembrare una iattura, e riemerse soltanto per un attimo e per un’unica volta dalla bambagia tranquilla per esporre un semplice “Pi’ Pippuzzu, m’impignu puru l’uova ‘i l’uocchi. C’hamu a fari?”. Mi commossi assai – ero presente; e chi lo lasciava?: lo adoravo – e pensai la stessa cosa che disse mia madre, improvvisamente conscia che la mia disavventura fosse una minchiatella senza importanza: “Pi’ cosi serii, ni putiemu ‘mpignari l’uova i l’uocchi. P’aviriti ancuora cu nuatri, Giovanni’. No pi’ ‘sti fissarii!”. Non ero più cattolico ma volli ugualmente cadere in ginocchio quando due giorni dopo spirò, sereno, mio zio il sindacalista dalla bella parlantina senza il supporto r’aviri i scuoli avuti. Questo accadeva 49 anni fa.
Un balzo di spalle. Di dieci anni. Cinquantanove anni addietro. Ed eccomi che avevo quattro anni compiuti da un mesetto poiché era agosto e io sono dei primi di luglio. Come ogni pomeriggio delle estati, un’oretta dopo il pranzo, Giovannino buttava una coperta per terra e, da quando c’ero io, si metteva a dormire c’u picciriddu, per un’altra oretta o anche meno, ché se no gli veniva il mal di testa. Fino a circa mezzo secolo fa e a partire da sempre, in Sicilia si sapeva costruir le case. E non parlo delle abitazioni di campagna che si tiravano su soltanto dopo che per qualche mese veniva testato il sito dalla permanenza di mandrie o di greggi: che se l’armali non si beccavano alcuna strana malattia o non morivano di magie magnetiche o uraniche allora si tiravano su le mura e nel caso contrario ci si spostava fino al trovar il luogo giusto. E nemmeno sottolineo che nessun deficiente costruiva su impluvi o su greti pseudo secchi, a rischio frane e smottamenti; probabilmente, perché non v’erano molti deficienti né troppi ladri e imbroglioni, latifondisti a parte (ladri, non cretini). Dico qui delle case di paese. Ognuna di queste aveva la sua brava stanza dello scirocco anche se soltanto i signorotti la chiamavano in questo modo. Nella summa: si costruiva stando bene attenti all’esposizione e alle aperture, sì che almeno una camera della casa, a finestre intelligentemente aperte o socchiuse, potesse rimaner fresca nei giorni di umida afa. Nella casa comune di nonna Angela e di Giovannino sposato con Lilla e due figli di molto più vecchi di me, questa stanza era la cameretta in cima alla scala interna che separava i piani, ripidissima, per la quale mia madre era caduta proprio mentre era incinta, con dentro me (se poteste evitare le battute… e grazie!). A ‘ntrata a pie’ di scala semichiusa (tanto allora, a Villagrazia di Palermo, non si correvano rischi di intrusione) e la finestra a capizzu di coperta-letto, a manta marrò, aperta e anche con il solleone (termine desueto) e così lì si godeva la frescura indispensabile per la pennichella. Tutt’ora adoro addormentarmi col venticello sulla pelle del viso. Come allora. Ma allora, qual giorno!, quel venticello mi stimolò anche qualcosa d’altro. Pensavo da qualche giorno a quanto avevo sentito dire da Anciluzza: “Giuvannino, a Pippo ci vuoli troppu bieniri: si facissi puru pisciari ‘n-t-a facci!”.
E ch’è!… Evidentemente era un atto d’amore, una manifestazione che ancora non conoscevo dello stesso sentimento; più di un abbraccio; oltre un bacio; e io avevo il cuore gravido d’amore quanto la vescica di benedizione di bimbo. Mi tirai su, i piedi ai lati della sua faccia dormiente che puntava il tetto e pisciai. Si svegliò subito, naturalmente. Non mi interruppe e cominciò a ridere quando avevo finito. Mi prese in braccio e scese le scale. Grondante: “Piccio’, u picciriddu mi pisciò ‘n-t-a facci!”. Soltanto mio padre – era domenica – fece una leggera musione pre-rimprovero però si unì deciso alle risate di tutti.
Ma cosa v’ho raccontato? Che ci posso fare se ricordo?! Per farvi divertire e interessarvi sul serio avrei potuto inventare che avevamo rapinato insieme, io e zio Giovannino, l’ufficio dei Bavarisi – aperto giorno e notte o Malupassu e col neon blu sulla porta – in un’alba mentre andavamo insieme a abbivirari u jardinu. Mi ci portò sempre e mi comprava di continuo stivali di gomma verde bottiglia col mio se pur piccolo piede in crescenza e mi faceva vutari l’acqua con la zappetta tutta mia. Potevo interessarvi di più; ma se ricordo tutto in modo così nitido. Adesso lo siete anche voi quasi come me, vittime della mia memoria.
Una ventina d’anni fa lo sognai. Bussavano a’ ‘ntrata. Cioè alla porticina a una piazza che in genere sta a pianterreno del vano scale ma che stavolta dava su una stanza grande e disadorna ove leggevo un libro. Aprivo ed eccolo; mi abbracciava, mi dava una bacione sulla guancia e andava via senza aver detto parola.
Sul libro della cabala siciliana, andai dritto e cercai soltanto “zio affettuoso” e lo trovai: giocai il suo numero con quello di porta piccola e feci ambo.
Ziu’!
Bon, quanto mi mangio qualche biscotto “algerino” e mi inzacchero di zucchero a velo: le madeleines, le ho finite. E scusate il disturbo, se potete.
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Dario Fo e Franca Rame, un fascicolo di polizia lungo 50 anni (riportiamo senza commento, potete voi stessi "farvene" idea dello Stato nel quale viviamo. U.A. W la democrazia!)
Dario Fo e Franca Rame, un fascicolo di polizia lungo 50 anni
Per più di mezzo secolo le questure italiane hanno aggiornato il dossier annotando spostamenti e amicizie. Siamo andati a leggere quelle carte
di MASSIMO PISA"Caro Lorenzo, ti prego di voler disporre la redazione di una biografia, il più possibile dettagliata, sul noto comico Dario Fo, anche dal punto di vista politico (ad esempio, la asserita appartenenza alla R.S.I.). La richiesta perviene dall'alto e mi permetto, quindi, di raccomandarti un lavoro che sia fatto presto e bene". Lo scandalo a "Canzonissima" è deflagrato da meno di un mese, alla cacciata di Dario Fo e Franca Rame sono seguite due interrogazioni parlamentari (Davide Lajolo del Pci, Oreste Lizzadri e Luciano Paolicchi del Psi) e al Viminale sono in fibrillazione. Il 21 dicembre 1962 il capo della Divisione Affari Riservati, Efisio Ortona, scrive al questore di Milano Lorenzo Calabrese. Quelle informazioni sono preziose, servono ad arginare la tempesta. Il giorno di Santo Stefano il solerte questore ("Le notizie sono state raccolte e selezionate con scrupolosa attenzione") spedisce quattro pagine di riservata. Le origini, gli studi, i successi in teatro. Poi la polpa: "Il Fo, nel 1944, aderì alla r.s.i., arruolandosi volontario in una formazione di cc.nn. di stanza a Borgomanero (Novara), aggregata al battaglione paracadutisti "Folgore"". La notizia resterà inedita per altri due anni. "È noto l'orientamento comunista - prosegue il documento - si orienta verso la corrente di sinistra del P.s.i. Non consta, però, che aderisca a tale partito". Da Dario a Franca. "La Rame risulta decisamente orientata verso il P.c.i., al pari di tutti i membri della sua famiglia originaria". Chiosa finale: "Sia il Fo che la Rame serbano regolare condotta e sono immuni da precedenti penali".
Per più di cinquant'anni le questure e le prefetture di mezza Italia hanno aggiornato i loro fascicoli e quelli del Ministero dell'Interno sul Maestro. Schedato, controllato, "attenzionato" come voleva il gergo poliziesco dell'epoca. Siamo andati a leggere quelle carte inedite, conservate negli archivi. E, a consultarle, si legge una storia in controluce di Fo, vista attraverso le lenti di uno Stato occhiuto. Già dal 19 febbraio 1960, quando un appunto della questura di Firenze annota che "ha partecipato a una manifestazione indetta da un Circolo culturale controllato dal partito comunista". Nelle schede che la polizia gli dedica, Fo "ha terrore della "macchinizzazione" e di qualsiasi oggetto meccanico e la sua formazione politica subì, per colpa della moglie accesa comunista, una spinta verso la corrente carrista del partito". Tiene mostre di quadri con "scarso successo a causa, soprattutto, del valore artistico dei quadri esposti". Compra una pistola - è già il 1975 - "Flobert marca Franchi calibro 4,5 mediante esibizione del passaporto". Fa teatro e militanza, e i fascicoli si gonfiano.
Ha già fondato da due anni "La Comune", la compagnia con cui poi occuperà la palazzina Liberty a Milano, quando al Viminale arriva una riservata del questore di La Spezia Ferrante, datata 3 ottobre '72. "I noti attori Dario Fò (sic) e Franca Rame hanno trascorso un periodo di ferie estive a Vernazza", insieme a "una quindicina di giovani capelloni", cioè i loro attori, che "per il loro abbigliamento trasandato hanno suscitato un certo malcontento tra la popolazione". Ma c'è di più: la polizia scopre che da Vernazza "la Rame ha spedito a più riprese una serie di vaglia telegrafici ad estremisti ristretti in varie carceri". Tra i destinatari ci sono il brigatista Umberto Farioli, Augusto Viel della XXII Ottobre, Sante Notarnicola della banda Cavallero. È l'inizio del filone di indagini sul "Soccorso Rosso", la rete di assistenza legale ed economica ai detenuti politici della sinistra extraparlamentare. Il primo a voler vederci chiaro è il sostituto procuratore genovese Mario Sossi, la polemica con Fo finirà con accuse reciproche e un processo per diffamazione sospeso durante il sequestro del magistrato da parte delle Br. Intanto indaga Milano, e il 6 settembre 1973 al Viminale arriva una riservata del questore di Milano Allitto: sta nascendo il Comitato unitario del Soccorso Rosso e "i coniugi Franca Rame e Dario Fo - scrive - a quanto si è appreso sarebbero i promotori dell'iniziativa".
Le relazioni pericolose della coppia vengono vivisezionate. Fo, scrive il 14 giugno 1974 il questore di Pisa, viene "incluso nel noto elenco ministeriale di extraparlamentari di sinistra che operano eversivamente in direzione delle carceri".
Il numero di telefono del gran giullare circola parecchio. È nell'agenda di Petra Krause, arrestata in Svizzera nel 1975 ("il più importante e al tempo stesso inafferrabile ufficiale di collegamento del terrorismo continentale ed extracontinentale", la definirà nel 2001 la relazione finale della Commissione Stragi), di militanti dell'Autonomia Operaia, di appartenenti all'Olp arrestati ad Alessandria, di brigatisti rossi marchigiani coinvolti nel rapimento di Roberto Peci. Le polizie di mezza Italia si affannano a cercare la pistola fumante a conferma di quel vecchio appunto del Sid (fonte "Anna Bolena", nome in codice dell'impresario Enrico Rovelli, datato 1974), che voleva Dario Fo come "grande vecchio" delle Br, ma non la trovano mai. Nemmeno quando, il 29 gennaio 1980, il Maestro smarrisce un foglio manoscritto a quadretti dentro una cabina telefonica della stazione di Cesenatico. Il vicequestore di Forlì, Della Rocca, telegrafa immediatamente al Viminale il contenuto: "Cara Franca, mi è stato chiesto di farti un'ambasciata per Tino Cortiana e Maria Tirinnanzi (militanti Fcc, ndr) detenuti a Novara, che chiedono l'aiuto di Soccorso Rosso. Si farà una riunione venerdì sera al Circolo Turati a Milano".
Ci va un brigadiere, e non trova nessuno: "Si presume - scrive - che non è stata svolta nessuna riunione". Ci prova allora il Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza a seguire la pista dei soldi ai detenuti, cercandone la provenienza. Tra il 29 aprile e il 28 luglio 1980, le Fiamme gialle producono tre relazioni classificate "riservatissimo" sugli introiti di Fo, Rame, di Nanni Ricordi e dei loro compagni della "Comune": ne elencano gli incassi degli spettacoli, le spettanze Siae e Rai, le "possidenze immobiliari".
Gli anni Ottanta e Novanta glaciano la febbre rivoluzionaria ed eversiva e le notizie su Fo da spedire al Viminale si diradano. Eccolo nell'83 polemizzare con gli Usa che gli negano il visto, e nell'87 a riproporre al Teatro Cristallo Morte accidentale di un anarchico: "Hanno assistito 800 persone - annota la Digos - per lo più giovani gravitanti nella nuova sinistra. Esplicita è stata la critica al sindaco Paolo Pillitteri, definito "uomo bicicletta"".
Nel 1993, il nome di Fo è ancora in un elenco di "aderenti alla sinistra extraparlamentare di Milano e provincia". Partecipa a manifestazioni per Sofri, Bompressi e Pietrostefani, viene invitato al Leoncavallo, sfila contro il Cpt di via Corelli. Poi tramonta anche la stagione dei "disobbedienti". L'ultimo appunto è del 2006, una formalità per la presentazione delle Liste Fo alle comunali milanesi del 2006 e del 2011. Il Maestro non fa più paura.
lunedì 17 ottobre 2016
giovedì 13 ottobre 2016
Dove riposa il giusto? Nell'immenso mistero.....Ciao, Dario
Il maestro è andato via, ora siamo noi a dover continuare la sua immensa opera d'arte, si perchè la sua vita è stata un opera d'arte! Vorrei, in questo momento di grande dolore per l'impotenza di non poter fermare il tempo e riaprire la finestra sul tuo teatro,tu attore, regista e autore: il teatro del Mondo, cantare e ballare sul palco insieme a te, non poterlo fare,... nemmeno immaginare, mi fa paura e mi spaventa. Mah..., proprio mentre saluti il tuo pubblico, tutto, con un grazioso inchino, io mi avvicino al tuo percorso da militante della cultura democratica e popolare. Vorrei poter vedere oltre il velo della morte e intervistarti, per capire, se è possibile, di più e per amarti di più. " Maestro,.." direi (cantando?,al modo tuo!) " Com'è questo Mistero?" E tu a me: " Il più Buffo che si possa immaginare!", e, tracciando un cerchio luminoso, mi racconteresti una delle tue storie dove l'uomo sta sempre al centro con le sue passioni, pulsioni e con tutta la sua bellezza immateriale!"
Voglio solo dirti, Dario, ..., giunti a questo bivio,.. io ti ho amato e seguito...tu sei sempre stato un riferimento per me, un artista a tutto tondo, dalla parola al disegno dalle canzoni al colore e alla luce dei riflessi popolari che ci hai regalato, ma le parole mi si spezzano in gola...CIAOH!
Compagno e amico, guida e giullare...resterai sempre il maestro e la tua strada sarà sempre quella del mio cuore rivoluzionario e popolare ... contro tutti i parrucconi e gli gnomi ...del Potere falso e ipocrita!
martedì 11 ottobre 2016
Cui prodest?, la riforma della costituzione?
Sentiamo da vent'anni e più parlare di riformare la carta costituzionale italiana in parti o in titoli che non sono più attuali e che non permettono un governo della Nazione più snello e agile, ergo appesantiscono lo sviluppo economico dell'Italia. Già Berlusconi, col suo ventennio nefasto, ha portato l'Italia da Paese forte a vassallo dell'Endorsment economico capitalistico occidentale, senza una sua volontà. Ci ha messo mano pure un finto centrosinistra con partiti denucleati dalle ideologie. Ci tenta ora un fantoccio della massoneria deviata che tiene le redini del Potere per le Banche speculative che creano crisi e shock economici per accumulare ricchezza. Qualcuno si è accorto della speculazione che sta partendo sopra la sterlina inglese, sganciata dalla BREXIT e fuori, ormai, dal circuito EURO. Dell'accordo sul petrolio che vedrà rimbalzare il prezzo dell'oro nero. Nessuno vede e comprende che dietro la maschera democratica si nascondono i nuovi piccoli "dittatori" (burattini del brand speculativo che ha bisogno di guerre e di sprechi, corruzione e speculazione per crescere e diventare un cancro mondiale)?
E, in questo quadro di ipnosi totale, di degrado sociale, razismo, nazionalismo sfrenato e ignominia, arriva un pagliaccio, derivato di una massoneria italiana ancora figlia di GLADIO, del Principe Cortese e di Giorgio Napolitano ( che è l'anello ancora vivente della trattativa STATO - MAFIA), cerca di scassare quello che ancora regge, grazie ai padri della costituzione, la nostra limitata democrazia?
PERCHE'?
Perchè se non si distrugge, oltre allo STATO SOCIALE, ormai in cenere, la CARTA DEI DIRITTI DEI LAVORATORI e la COSTITUZIONE, non si può speculare su un patrimonio immenso di opere d'arte e ricchezze naturali e storiche di cui l'Italia detiene il primato mondiale e non si possono arricchire i grandi gruppi multinazionali criminali, senza risvegliare il senso di libertà e di Stato che ancora vive nell'animo di molti compatrioti che devono mandare i loro figli a lavorare all'estero o che devono subire il ricatto del Potere per sopravvivere in quest'Itali dei NON DIRITTI e DELL'INIQUA BILANCIA SOCIALE.
Una nuova RESISTENZA sta partendo e inizia il 4 dicembre 2016 con un enorme NO alla distruzione finale dei valori sui quali si fonda la nostra DEMOCRAZIA e per far ritornare il potere nelle mani del POPOLO SOVRANO e non della MASSONERIA DEVIATA, DELLA FINANZA SPECULATIVA, DELLE MAFIE e DEI POLITICI ASSERVITI ai loro interessi di CASTA.
Ugo Arioti
giovedì 6 ottobre 2016
Aumentano i poveri in Italia -rapporto CARITAS 2016
Mentre il premier Renzusconi, pupazzo tenuto dai fili delle grandi Banche speculative mondiali, si impegna in una campagna per distruggere quel che resta ancora della carta costituzionale italiana, dopo aver abolito definitivamente lo Stato Sociale e lo Statuto dei Lavoratori...., la POVERTA' CRESCE e giovani e pensionati lasciano l'Italia che non da loro un futuro sereno.
Ugo Arioti
ROMA. Tre milioni in più di persone che vivono sotto la soglia di sopravvivenza in sette anni: la situazione fotografata dal Rapporto 2016 di Caritas Italiana sulle politiche di contrasto alla povertà, pubblicato oggi, è davvero drammatica. E i numeri sono impressionanti. Nel 2007 i poveri nel nostro Paese erano 1,8 milioni (il 3,1% del totale), nel 2015 la cifra è schizzata a 4,6 (il 7,6%), registrando un aumento esponenziale delle persone in condizioni di indigenza in un lasso di tempo relativamente breve.
Un fenomeno non più circoscritto. Stando al rapporto, le condizioni di povertà assoluta si riscontrano soprattutto a sud, nelle famiglie con anziani, nei nuclei con almeno tre figli piccoli e in quelle in cui nessuno dei familiari ha un lavoro, e sembra essere cresciuta - questo il dato inquietante - al centro-nord, tra le famiglie giovani, nei nuclei con uno o due figli minori e persino in quelli con componenti occupati.
I dati, insomma, parlano chiaro: il problema della povertà tocca oggi l'intera società italiana e non è più circoscritto come in passato. Il nostro Paese resta l'unico in Europa, insieme alla Grecia, ancora privo di una misura nazionale universalistica contro l'indigenza assoluta. "La sua introduzione - ricorda la Caritas - è stata richiesta da più parti sin dagli anni '90, senza trovare ascolto da nessuno dei Governi susseguitisi nel tempo".
"Bene Renzi, ma serve fare di più". Secondo l'organismo pastorale Cei, l'attuale Esecutivo ha avuto l'indubbio merito di "scardinare" lo storico interesse della politica italiana nei confronti della povertà: la Legge di stabilità per il 2016, in particolare, con uno stanziamento di 600 nuovi milioni di euro per il 2016 e di 1 miliardo assicurato stabilmente a partire dal 2017, ha segnato una netta discontinuità rispetto alle scelte del passato, ma gli sforzi fatti ancora non bastano. "Si tratta di capire - si legge nel rapporto Caritas - se quanto realizzato sin qui verrà seguito dal passo che ancora manca, ovvero da un investimento pluriennale che sostenga gli attori del welfare locale".
"Un Piano nazionale con un orizzonte molto limitato". Il percorso previsto per l'introduzione del Reddito d'inclusione (REI), ricorda la Caritas, si ferma al 2017 e la percentuale di poveri interessata non supera il 35% del totale, lasciandone scoperta la maggior parte. Dall'inizio della crisi ad oggi, rileva il documento, la povertà assoluta, ovvero la condizione di coloro che non hanno le risorse economiche necessarie per vivere in maniera minimamente accettabile, è aumentata in Italia fino ad esplodere. Ampliare l'utenza del REI previsto nei prossimi anni e mettere in campo azioni per accompagnarne l'introduzione nei territori è, secondo l'organismo pastorale, la misura necessaria da adottare per arginare una situazione ormai quasi al tracollo.
"Servono 2 miliardi". Nel documento non mancano proposte concrete: "La prossima legge di stabilità - si legge - dovrebbe incrementare di ulteriori 500 milioni il miliardo già reso disponibile a partire dal 2017. Considerate le misure già esistenti per i poveri, si dovrebbe arrivare a complessivi 2 miliardi di euro, con i quali si potrà intercettare solo una quota della popolazione indigente, certamente inferiore al 35% del totale". Secondo la Caritas, dunque, per il 2017, 2 miliardi sarebbero una cifra sufficiente ad affrontare il problema. Attualmente, precisa ancora il documento, "i nuovi stanziamenti finanziano due misure transitorie, il Sostegno per l'Inclusione Attiva (SIA) e l'Assegno per la Disoccupazione (ASDI), che nel corso del 2017 saranno assorbite nel REI, la misura definitiva. Al suo finanziamento concorreranno le risorse indicate sopra e le altre che si deciderà di stanziare".
Gli attori del cambiamento. L'Alleanza contro la povertà in Italia, che raggruppa 37 soggetti sociali, dai Comuni alle Regioni agli enti di rappresentanza del Terzo settore, è certamente uno degli attori-chiave di questa fase di cambiamento, a partire dalla elaborazione del Reddito di Inclusiono Sociale, una proposta puntuale e articolata che cerca di affrontare tutti i possibili nodi attuativi.
"Servono nuove modalità di lavoro". In attesa della riforma definitiva, la Caritas rileva anche che le realtà del welfare locale si confrontano con l'attuazione delle misure transitorie e ciò richiede modalità di lavoro nuove, basate soprattutto sulla collaborazione interistituzionale e sulla costruzione di reti tra i soggetti territoriali per la presa in carico delle persone in povertà. "Sono percorsi inediti. Il punto è trasformare queste fatiche in un'occasione preziosa per iniziare a costruire un nuovo sistema di welfare rivolto ai poveri: l'unica strada possibile e ragionevole è renderle sin da subito parte di un Piano pluriennale di sviluppo", spiega la Caritas nel Rapporto.
La qualità della riforma, in conclusione, non va giudicata dall'entità degli stanziamenti per il prossimo anno bensì dalla capacità o meno di costruire un concreto progetto di cambiamento che porti a radicare, entro il 2020, un sistema di welfare rivolto ai più deboli, e adeguato al contesto italiano.
Ugo Arioti
I poveri in Italia nel 2016 sono cresciuti di 3 milioni |
ROMA. Tre milioni in più di persone che vivono sotto la soglia di sopravvivenza in sette anni: la situazione fotografata dal Rapporto 2016 di Caritas Italiana sulle politiche di contrasto alla povertà, pubblicato oggi, è davvero drammatica. E i numeri sono impressionanti. Nel 2007 i poveri nel nostro Paese erano 1,8 milioni (il 3,1% del totale), nel 2015 la cifra è schizzata a 4,6 (il 7,6%), registrando un aumento esponenziale delle persone in condizioni di indigenza in un lasso di tempo relativamente breve.
Un fenomeno non più circoscritto. Stando al rapporto, le condizioni di povertà assoluta si riscontrano soprattutto a sud, nelle famiglie con anziani, nei nuclei con almeno tre figli piccoli e in quelle in cui nessuno dei familiari ha un lavoro, e sembra essere cresciuta - questo il dato inquietante - al centro-nord, tra le famiglie giovani, nei nuclei con uno o due figli minori e persino in quelli con componenti occupati.
I dati, insomma, parlano chiaro: il problema della povertà tocca oggi l'intera società italiana e non è più circoscritto come in passato. Il nostro Paese resta l'unico in Europa, insieme alla Grecia, ancora privo di una misura nazionale universalistica contro l'indigenza assoluta. "La sua introduzione - ricorda la Caritas - è stata richiesta da più parti sin dagli anni '90, senza trovare ascolto da nessuno dei Governi susseguitisi nel tempo".
"Bene Renzi, ma serve fare di più". Secondo l'organismo pastorale Cei, l'attuale Esecutivo ha avuto l'indubbio merito di "scardinare" lo storico interesse della politica italiana nei confronti della povertà: la Legge di stabilità per il 2016, in particolare, con uno stanziamento di 600 nuovi milioni di euro per il 2016 e di 1 miliardo assicurato stabilmente a partire dal 2017, ha segnato una netta discontinuità rispetto alle scelte del passato, ma gli sforzi fatti ancora non bastano. "Si tratta di capire - si legge nel rapporto Caritas - se quanto realizzato sin qui verrà seguito dal passo che ancora manca, ovvero da un investimento pluriennale che sostenga gli attori del welfare locale".
"Un Piano nazionale con un orizzonte molto limitato". Il percorso previsto per l'introduzione del Reddito d'inclusione (REI), ricorda la Caritas, si ferma al 2017 e la percentuale di poveri interessata non supera il 35% del totale, lasciandone scoperta la maggior parte. Dall'inizio della crisi ad oggi, rileva il documento, la povertà assoluta, ovvero la condizione di coloro che non hanno le risorse economiche necessarie per vivere in maniera minimamente accettabile, è aumentata in Italia fino ad esplodere. Ampliare l'utenza del REI previsto nei prossimi anni e mettere in campo azioni per accompagnarne l'introduzione nei territori è, secondo l'organismo pastorale, la misura necessaria da adottare per arginare una situazione ormai quasi al tracollo.
"Servono 2 miliardi". Nel documento non mancano proposte concrete: "La prossima legge di stabilità - si legge - dovrebbe incrementare di ulteriori 500 milioni il miliardo già reso disponibile a partire dal 2017. Considerate le misure già esistenti per i poveri, si dovrebbe arrivare a complessivi 2 miliardi di euro, con i quali si potrà intercettare solo una quota della popolazione indigente, certamente inferiore al 35% del totale". Secondo la Caritas, dunque, per il 2017, 2 miliardi sarebbero una cifra sufficiente ad affrontare il problema. Attualmente, precisa ancora il documento, "i nuovi stanziamenti finanziano due misure transitorie, il Sostegno per l'Inclusione Attiva (SIA) e l'Assegno per la Disoccupazione (ASDI), che nel corso del 2017 saranno assorbite nel REI, la misura definitiva. Al suo finanziamento concorreranno le risorse indicate sopra e le altre che si deciderà di stanziare".
Gli attori del cambiamento. L'Alleanza contro la povertà in Italia, che raggruppa 37 soggetti sociali, dai Comuni alle Regioni agli enti di rappresentanza del Terzo settore, è certamente uno degli attori-chiave di questa fase di cambiamento, a partire dalla elaborazione del Reddito di Inclusiono Sociale, una proposta puntuale e articolata che cerca di affrontare tutti i possibili nodi attuativi.
"Servono nuove modalità di lavoro". In attesa della riforma definitiva, la Caritas rileva anche che le realtà del welfare locale si confrontano con l'attuazione delle misure transitorie e ciò richiede modalità di lavoro nuove, basate soprattutto sulla collaborazione interistituzionale e sulla costruzione di reti tra i soggetti territoriali per la presa in carico delle persone in povertà. "Sono percorsi inediti. Il punto è trasformare queste fatiche in un'occasione preziosa per iniziare a costruire un nuovo sistema di welfare rivolto ai poveri: l'unica strada possibile e ragionevole è renderle sin da subito parte di un Piano pluriennale di sviluppo", spiega la Caritas nel Rapporto.
La qualità della riforma, in conclusione, non va giudicata dall'entità degli stanziamenti per il prossimo anno bensì dalla capacità o meno di costruire un concreto progetto di cambiamento che porti a radicare, entro il 2020, un sistema di welfare rivolto ai più deboli, e adeguato al contesto italiano.
martedì 4 ottobre 2016
OMAGGIO AD ELVIRA SONNI * 7 Ottobre * Massafra
“NON CANCELLIAMO IL RICORDO”
Venerdì 7 ottobre alle ore 20 presso il Monastero di San Benedetto a Massafra l’associazione “Il CorifeoMassafra” vuole omaggiare la scomparsa della professoressa Elvira Sonni regalandovi un serata speciale.
Quest’anno ci immergeremo nelle sonorità classiche del Coro Anonimo Massafrese, diretto dal maestro Daria Palmisano e con la partecipazione al piano del maestro Emanuela Martucci (associazione “Le dissonanze”).
Vi aspettiamo!
!Datemi un punto d'appoggio e vi solleverò il Mondo!" - piccole realtà teatrali a Palermo
Nel nostro viaggio intorno e dentro l'identità teatrale palermitana, oggi vi riportiamo questo articolo di Francesca Taormina sul teatro Atlante, una piccola realtà che opera da dieci anni!
Ugo Arioti
Il Teatro Atlante, una piccola realtà che opera a Palermo, solo 40 posti in via Aragona, festeggia i 10 anni di attività con un festival dal titolo emblematico: “r-Esistenza”, un modo per ricordare gli sforzi e le battaglie che lo hanno portato fin qui. Dal 6 al 9 ottobre Emilio Ajovalasit e Preziosa Salatino hanno organizzato spettacoli, incontri e performances in via Torremuzza, all’ex noviziato dei Crociferi. Si parte il 6 alle 17 con un omaggio al maestro della Salatino, Mimmo Cuticchio, che incontrerà il pubblico nell’atrio del Liceo Benedetto Croce. Alle 21,15 debutta “Sete”, spettacolo di Ajovalasit che affronta il tema della giustizia, attraverso la figura del pentito Leonardo Vitale. La Conferenza stampa è stata ospitata dal Teatro Biondo che “intende - ha detto il presidente Roberto Alajmo - essere vicino alle piccole realtà, promuoverle e accompagnarle in un percorso di crescita”. Tra gli invitati gli Artisti Aquilani, il Pulcinella di Valerio Apice, le Maschere Balinesi di Carmencita Palermo, e inoltre dalla Sardegna il Teatro Antas, tutti venerdì a partire dalle 16,30.
Sabato si alterneranno il Teatro Proskenion per la Calabria e l’Isola di Confine che rappresenta le piccole realtà dell’Umbria, per finire in serata con il giullare sardo Maurizio Giordo che incontra il cuntastorie Nino Racco, che deve la sua notorietà al cuntu su Salvatore Giuliano. Questa festa del sud si chiude il 9 ottobre con una parata spettacolo dal titolo “Domani non vengo”, con tutti gli artisti accompagnati dall’orchestra di Tavola Tonda.
Ugo Arioti
Il teatro Atlante festeggia i suoi primi 10 anni con un festival
Quattro giorni di spettacoli, incontri e performance in via Torremuzza dal 6 al 9 ottobre
di FRANCESCA TAORMINAIl Teatro Atlante, una piccola realtà che opera a Palermo, solo 40 posti in via Aragona, festeggia i 10 anni di attività con un festival dal titolo emblematico: “r-Esistenza”, un modo per ricordare gli sforzi e le battaglie che lo hanno portato fin qui. Dal 6 al 9 ottobre Emilio Ajovalasit e Preziosa Salatino hanno organizzato spettacoli, incontri e performances in via Torremuzza, all’ex noviziato dei Crociferi. Si parte il 6 alle 17 con un omaggio al maestro della Salatino, Mimmo Cuticchio, che incontrerà il pubblico nell’atrio del Liceo Benedetto Croce. Alle 21,15 debutta “Sete”, spettacolo di Ajovalasit che affronta il tema della giustizia, attraverso la figura del pentito Leonardo Vitale. La Conferenza stampa è stata ospitata dal Teatro Biondo che “intende - ha detto il presidente Roberto Alajmo - essere vicino alle piccole realtà, promuoverle e accompagnarle in un percorso di crescita”. Tra gli invitati gli Artisti Aquilani, il Pulcinella di Valerio Apice, le Maschere Balinesi di Carmencita Palermo, e inoltre dalla Sardegna il Teatro Antas, tutti venerdì a partire dalle 16,30.
lunedì 3 ottobre 2016
Presentato da Francesco Laterza e Giacomo Bonazza a Villa Lagarina (Tn) il romanzo di Ugo Arioti "L'Equazione del Vapore"
Presentato da Francesco Laterza e Giacomo Bonazza a Villa Lagarina (Tn) il romanzo di Ugo Arioti "L'Equazione del Vapore"
sabato 1 ottobre 2016
Editoriale di ottobre 2016
Perchè una Nazione afflitta da una crisi economica permanente, dalle mafie, dai servizi segreti, da un debito pubblico ingovernabile e da un sistema amministrativo corrotto, deve puntare, per rimettersi in carregiata, sull'abbattimento della sua carta costituzionale e sul superamento del bicameralismo perfetto? Se facessimo questa domanda a un pigmeo o a un nativo della Papuasia, forse, si metterebbe a ridere ...non capirebbe questa complicazione della vita, attarverso la fantasia politica di un demiurgo trasformista che ci mette sempre la faccia, ma che deve averne una fatta di materiale talmente robusto da non essere di questo "Mondo"!
Chi ha assistito alla "giostra" sulla "7" mentaniana tra un clown bugiardo, Renzi, e un grande costituzionalista Zagrebelscki, più che la disanima dei punti cardinali della RIFORMA che il 4 di dicembre gli italiani dovranno valutare nelle urne, è rimasto nell'aria il battibecco e le giravolte inerziali di un saltimbanco contro un marziano e tutti, oggi, andavano dicendo che Renzi ha sdoganato il professore dal ruolo di gufo....interessante come risultato di una trasmissione di approfondimento su un tema così delicato.
Ma, amici, nessuna paura!, siamo già in una fase di dittatura mediatica. Abbiamo visto la gogna mediatica di tutti i maggiori telegiornali e midia giornalistici italiani e governativi contro la neo eletta sindaco di Roma, non gradita al sistema, una cosa ridicole e deprimente anche per il POTERE (Deus ex machina) tanto che i pupari di Renzi pensano già di scaricarlo, nessuno, dico nessuno ha messo il dito sulle bugie e sulle brutte comparse, sulla difficoltà del momento economico e sull'inconsistenza del ruolo italiano nel Mondo e in Europa....cose che ci danneggiano più di un assessore capitolino da scegliere e da valutare, leggittimamente.... o di un NO, giusto alle OLIMPIADI degli USA, con un comitato olimpico fatto di servi del POTERE FINANZIARIO CAPITALISTICO che è il distributore e venditore del programma, lo SPORT è un mito dimenticato ad Atene quando le olimpiadi le facevano le "città stato" .....Storia antica!
E allora, ancora una volta mi chiedo: perchè
una Nazione afflitta da una crisi economica permanente, dalle mafie,
dai servizi segreti, da un debito pubblico ingovernabile e da un sistema
amministrativo corrotto, deve puntare, per rimettersi in carregiata,
sull'abbattimento della sua carta costituzionale e sul superamento del
bicameralismo perfetto?
Io, cari amici, non credo che la Politica sia complicata...sono gli uomini che per usarla la complicano!
Ugo Arioti
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