Una discussione tipo tra me e Marco Pomara:
- Hai ancora problemi alla schiena?
- Si.
- Dovresti andare da Lo Sicco. Lo conosci?
- No.
- È il fratello di Giusi Lo Sicco, la moglie di Gazzaniga. Lo sai chi è Gazzaniga, no?
- No.
- Lui aveva il pub Al melograno blu, in società con Gaspare Zullo. Lo conosci Gaspare, no?
- No.
- Gaspare ha scritto un libro interessantissimo su Psicopatologia dello
zenzero. Lo ha presentato Mimmo Lardo. Ti ricordi di Mimmo?
- No.
- Lardo è uno famoso.
- Si, a Colonnata lo conoscono tutti.
- Comunque, se vuoi chiamo Tullio e ti mando da Lo Sicco.
- Tullio?
- Tullio Origano.
- Amico di Lardo?
- No, Origano è il presidente della cooperativa Ciccio Scaccio. La conosci la cooperativa, no?
- No.
- Comunque Origano ti piacerebbe.
- Magari una sera ci vediamo per una pizza. Per Origano è la morte sua.
- Sai con chi sta adesso Tullio?
- Non me lo dire! Con Valentina Salvia?
- No, con Sabrina Pancio Stalteri. Te la ricordi?
- No.
- Sabrina ha una ludoteca per adulti abbandonati dalla moglie. È un
progetto interessante, gli ho curato la parte economica insieme a Lillo
Lo Giudice. Lo conosci Lillo, no?
- No.
- Lillo è un agopuntore diplomato alla scuola di Ankara. Potrebbe aiutarti per la schiena.
- Ma non avevi detto di Lo Sicco? Te lo ricordi Lo Sicco? Il fratello
di Giusi, cognato di Gazzaniga, socio di Zullo, amico di Lardo, che
lavora con Origano, che sta con Stalteri che lavora con Lo Giudice che
al mercato di Ankara un diploma comprò.
- Vabbè, ci sentiamo.
- Salutami Origano.
La scuola di ecologia Culturale è un luogo di scambio di esperienze e di costruzione di tecniche democratiche e pacifiche per lo sviluppo sostenibile delle società umane e si muove per realizzare iniziative (prevalentemente in partnership) per l’educazione dei giovani (la scuola del territorio e uno dei partner naturali della scuola) e lo sviluppo di un capitale umano di eccellenza che dovrà essere protagonista dello sviluppo culturale ed economico delle società e dei popoli Euro Mediterranei.
martedì 12 dicembre 2017
giovedì 7 dicembre 2017
Valentina premiata dalla Nasa: «Così progetto la vita su Marte»
Cambridge, l’ingegnere 32enne: una città ecosostenibile dove non ci si annoia
di Giovanni Caprara
«Gli alberi mi hanno ispirata e così è nato il progetto della città marziana sostenibile che ha entusiasmato la Nasa». Valentina Sumini con il suo gruppo al Mit di Cambridge, vicino a Boston, ha vinto la «Mars City Design Competition 2017». La Nasa ha preferito il suo progetto, tra oltre gli 150 presentati, e ora è impegnata nel costruire un modello di colonia marziana. La Nasa sta lavorando al primo sbarco umano sul Pianeta Rosso programmato intorno al 2035. Nel 2019 il grande razzo SLS, il più potente mai costruito, compirà il primo volo di collaudo intorno alla Luna senza astronauti: sarà affidata proprio a SLS, assieme alla nuova astronave Orion, la missione di raggiungere il vicino pianeta. L’idea è di andare su Marte non per una veloce esplorazione ma per creare una colonia permanente. Per sopravvivere sul Pianeta Rosso i coloni devono avere ambienti adeguati che le idee di Valentina cominciano a delineare. «Il progetto che ho battezzato Redwood Forest, la foresta di sequoie, nasce dall’obiettivo di realizzare una città di 10 mila abitanti — racconta la ricercatrice —. La foresta risponde all’esigenza di avere un habitat interconnesso a diversi livelli che consenta agli abitanti di muoversi, protetti dalle radiazioni e dall’impatto di micrometeoriti, attraverso un rete di radici-cunicoli sotterranei».
di Giovanni Caprara
«Gli alberi mi hanno ispirata e così è nato il progetto della città marziana sostenibile che ha entusiasmato la Nasa». Valentina Sumini con il suo gruppo al Mit di Cambridge, vicino a Boston, ha vinto la «Mars City Design Competition 2017». La Nasa ha preferito il suo progetto, tra oltre gli 150 presentati, e ora è impegnata nel costruire un modello di colonia marziana. La Nasa sta lavorando al primo sbarco umano sul Pianeta Rosso programmato intorno al 2035. Nel 2019 il grande razzo SLS, il più potente mai costruito, compirà il primo volo di collaudo intorno alla Luna senza astronauti: sarà affidata proprio a SLS, assieme alla nuova astronave Orion, la missione di raggiungere il vicino pianeta. L’idea è di andare su Marte non per una veloce esplorazione ma per creare una colonia permanente. Per sopravvivere sul Pianeta Rosso i coloni devono avere ambienti adeguati che le idee di Valentina cominciano a delineare. «Il progetto che ho battezzato Redwood Forest, la foresta di sequoie, nasce dall’obiettivo di realizzare una città di 10 mila abitanti — racconta la ricercatrice —. La foresta risponde all’esigenza di avere un habitat interconnesso a diversi livelli che consenta agli abitanti di muoversi, protetti dalle radiazioni e dall’impatto di micrometeoriti, attraverso un rete di radici-cunicoli sotterranei».
La cavità nei rami
Gli
alberi-edifici di Redwood Forest hanno come elemento essenziale l’acqua
estratta dalla base delle «radici» sfruttando il ghiaccio presente nel
primi strati del sottosuolo marziano: viene distribuita all’interno
degli habitat, utilizzando le cavità presenti nei «rami», fino a
schermare l’intera biosfera dalle radiazioni cosmiche. «L’albero —
precisa Valentina — ha un significato anche dal punto di vista della
struttura in quanto il sistema di rami e radici aiuta l’edificio ad
ancorarsi al terreno. Proprio come gli alberi presenti in natura sanno
estrarre acqua e raccogliere i raggi del sole, i nostri sono progettati
per soddisfare le esigenze poste dal nuovo ambiente e dalle criticità
del suolo marziano». E ancora: «Nel nostro laboratorio stiamo già
sviluppando con la Nasa anche una nuova tecnologia per estrarre il
ghiaccio e produrre l’acqua di cui saranno dotati gli edifici. È il
primo passo indispensabile per garantire la sopravvivenza».
«Lo spazio mi ha sempre appassionato»
Valentina,
nata 32 anni fa ad Alessandria, è arrivata a Cambridge grazie al
Progetto Rocca: progetto di collaborazione del Politecnico di Milano,
dove aveva ottenuto il dottorato, con il Mit. Racconta la ricercatrice:
«Mi ha sempre appassionato lo spazio, ma soprattutto la possibilità di
vivere su altri corpi celesti. Per questo ho cercato di disegnare
ambienti autosufficienti e sostenibili. Un approccio utile anche sulla
Terra per non sprecare risorse preziose». Le agenzie spaziali di Cina,
Russia e la stessa Nasa studiano una base lunare analoga a quelle in
Antartide. «Gli edifici di Redwood Forest — dice —, possono essere
adattati anche all’ambiente lunare perché le necessità sono uguali.
Questo consentirebbe, tra l’altro, di sviluppare con maggior cura e
sicurezza anche il successivo insediamento marziano». L’ultimo pensiero
di Valentina va però all’Italia: «Essendo patriottica mi piacerebbe
rientrare nel mio Paese ma per il momento devo completare le ricerche
che qui impegnano con passione».
martedì 5 dicembre 2017
Il linguaggio dei delfini
Ormai è
ben noto che i delfini (e i cetacei in generale), al pari degli animali
più evoluti, possiedono un loro linguaggio strutturato.
Lo
studio del linguaggio dei delfini è iniziato all’incirca negli anni
Sessanta. Trattandosi di animali sociali, non solitari, hanno un
complesso sistema per comunicare fra loro, fatto di suoni e ultrasuoni
che oltretutto sembrano avere un particolare effetto benefico sulle
persone.
Nel 1966 Mère confida qualche riflessione in proposito a Satprem (Agenda del 2 giugno, volume VII):
«Hai mai sentito dire che i delfini sanno parlare?
Non hai letto quegli articoli?
Hanno scoperto che i delfini si esprimono con un linguaggio articolato, ma con una estensione vocale di gran lunga superiore alla nostra: va molto più su in altezza e molto più giù in profondità. Ed è molto più vario. Parlano regolarmente (pare li abbiano registrati), ma non si riesce a capire quel che dicono. Gli hanno fatto ascoltare la parola umana — e loro la imitano per prenderci in giro! Ridono![Mère ha l’aria molto divertita].
Li ho visti in certe fotografie: hanno un’aria simpatica, ma le foto non dicono abbastanza. Hanno, come le focene, tante file di dentini; ma non sono per niente aggressivi, pare, mai uno scatto di rabbia. E parlano! Non solo parlano, ma sanno anche ascoltare. Imitano il linguaggio umano e ridono, come se ci trovassero [ridendo] estremamente ridicoli.
È divertente.
Pare che in Nordamerica abbiano costruito come delle grandi piscine per loro: li tengono lì, e pare ci stiano benissimo. Si sono messi a studiarli; allo scienziato americano che se ne occupa qualcuno ha detto (l’ho letto ieri): “Voi dite che sono intelligenti quanto noi; ma se fossero intelligenti come noi avrebbero cercato di farsi capire e di capirci”. E l’altro ha risposto [Mère ride] che forse non lo facevano perché sono saggi e hanno scoperto quanto siamo bestie!
È proprio divertente.
Pare che gli scienziati abbiano scoperto che i delfini usano una specie di ‘comunicazione immediata’, che non segue il ritmo lento delle onde né quello delle trasmissioni più eteree, e che si servono di quello che hanno chiamato un ‘bilanciere’, mi pare, o di contrappeso […] una sorta di comunicazione intuitiva. Pare abbiano uno strumento per misurarla!».
Non hai letto quegli articoli?
Hanno scoperto che i delfini si esprimono con un linguaggio articolato, ma con una estensione vocale di gran lunga superiore alla nostra: va molto più su in altezza e molto più giù in profondità. Ed è molto più vario. Parlano regolarmente (pare li abbiano registrati), ma non si riesce a capire quel che dicono. Gli hanno fatto ascoltare la parola umana — e loro la imitano per prenderci in giro! Ridono![Mère ha l’aria molto divertita].
Li ho visti in certe fotografie: hanno un’aria simpatica, ma le foto non dicono abbastanza. Hanno, come le focene, tante file di dentini; ma non sono per niente aggressivi, pare, mai uno scatto di rabbia. E parlano! Non solo parlano, ma sanno anche ascoltare. Imitano il linguaggio umano e ridono, come se ci trovassero [ridendo] estremamente ridicoli.
È divertente.
Pare che in Nordamerica abbiano costruito come delle grandi piscine per loro: li tengono lì, e pare ci stiano benissimo. Si sono messi a studiarli; allo scienziato americano che se ne occupa qualcuno ha detto (l’ho letto ieri): “Voi dite che sono intelligenti quanto noi; ma se fossero intelligenti come noi avrebbero cercato di farsi capire e di capirci”. E l’altro ha risposto [Mère ride] che forse non lo facevano perché sono saggi e hanno scoperto quanto siamo bestie!
È proprio divertente.
Pare che gli scienziati abbiano scoperto che i delfini usano una specie di ‘comunicazione immediata’, che non segue il ritmo lento delle onde né quello delle trasmissioni più eteree, e che si servono di quello che hanno chiamato un ‘bilanciere’, mi pare, o di contrappeso […] una sorta di comunicazione intuitiva. Pare abbiano uno strumento per misurarla!».
Oggi,
esistono diverse registrazioni del linguaggio dei delfini e delle
balene. Spesso viene descritto come un canto, proprio perché il loro
linguaggio è molto più musicale del nostro.
Piscine
come quelle descritte da Mère ormai esistono un po’ dappertutto: sono i
cosiddetti “delfinari”. Alcuni dei quali, purtroppo, vengono costruiti
per sfruttare gli animali in senso ‘ludico-commerciale’, ovvero per
attrarre i curiosi (soprattutto all’interno di mega parchi giochi) che,
pagando un biglietto, possono disturbarli a loro piacimento; questo
utilizzo, oltre a costituire un indubbio motivo di stress per i delfini,
rimane un assai discutibile mezzo di divertimento per gli esseri umani.
Forse siamo lontani dai tempi in cui l’etologo Konrad Lorenz, per
esplorare il mondo delle oche, decideva di sguazzare nella loro stessa
acqua, ma è il caso che la smettiamo di trattare gli animali, come ebbe a
dire Jacques Costeau, da «trastulli obsoleti che chiamano in causa il
nostro stesso senso di umanità».
Inoltre,
occorre notare quanto l’uomo, soprattutto in tempi recenti, abbia messo
a rischio la vita di questo nobile cetaceo (in passato caro al dio
Apollo), al punto da farlo diventare una specie in pericolo di
estinzione e, quindi, sottoposto a programmi internazionali di
protezione. Le più gravi minacce alla sopravvivenza dei cetacei,
infatti, sono tutte ascrivibili al comportamento dell’uomo, che va a
caccia della loro carne per scopi commerciali, che li intrappola
accidentalmente nelle reti destinate alla pesca di altri pesci, che
inquina i mari privandoli di sufficienti prede, che sfrutta la loro
facilità di apprendimento per fini militari e bellici.
D’altro
canto, invece, è ormai ben documentata la straordinaria intelligenza
dei delfini, la loro velocità di apprendimento, la loro non comune
sensibilità. A questa specie è sempre stata riconosciuta una particolare
abilità a entrare in contatto con gli esseri umani, a interagire e
giocare in modo del tutto spontaneo con loro. Per queste
caratteristiche, unite a una spiccata intelligenza, è stata presa in
considerazione l’idea di utilizzare i delfini a scopo terapeutico
nell’autismo e in casi di depressione o altri disturbi mentali. Sono
nate specifiche terapie in cui il bambino viene messo a contatto con il
delfino e, stando in acqua e giocando con lui, migliora notevolmente (e
in tempi piuttosto rapidi) il suo stato di salute. E questo è l’unico
esempio di terapia assistita da animali che utilizza un animale non
domestico. I principali effetti che sono stati studiati sono un
miglioramento nell’integrazione di alcuni aspetti della personalità e
della corporeità, come la percezione di parti del corpo trascurate,
stimolate dal movimento dei delfini e dall’acqua intorno a loro; la
capacità di espressione e la spontaneità, favorita dal fatto che in
acqua, in compagnia dei delfini, esistono meno regole, o sono comunque
diverse dalle nostre; il movimento, stimolato anche dalla particolare
vivacità dei delfini e la loro propensione al gioco; la disponibilità al
contatto, favorita anche dall’ambiente acqua.
Il
delfino è un essere dotato di enormi capacità comunicative, la cui
storia evolutiva si è intrecciata spesso con quella di altri mammiferi
terrestri, con cui ha in comune il sangue caldo, la modalità
riproduttiva, la ricchezza di linguaggio, ma che presenta anche modalità
particolari che riguardano la respirazione, il sonno, il veloce e
silenzioso nuoto, la capacità di astrazione, la “trasmissione culturale”
del comportamento.
Inoltre,
i delfini hanno una particolare capacità di comprendere certi tipi di
linguaggio umano, come il linguaggio dei segni. Chi studia i delfini è
certo che un giorno riusciremo a comunicare alla perfezione con loro, ma
già oggi riusciamo a farlo con il linguaggio dei sordomuti.
Di
particolare interesse il mondo acustico fatto di echi, che consente ai
delfini di percepire non solo la distanza, ma anche la forma, la
grandezza, lo spessore degli oggetti o degli altri esseri viventi che
incontra sul suo cammino.
Questi
mammiferi sono dotati di un ricchissimo “vocabolario”: oltre a
fischiare, grugnire e strillare, riescono a emettere una vasta gamma di
suoni percepibili da noi uomini, oltre a emettere ultrasuoni con
frequenze troppo elevate per i nostri limitati organi acustici.
Un
gruppo di studiosi del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) ha
recentemente provato in questi animali la coesistenza di due tipi
diversi di linguaggio, uno per “giocare” e l’altro per “comunicare” con
il gruppo.
I
delfini parlano, ma con il loro gruppo utilizzano un “dialetto”
particolare, che si sviluppa nel corso degli anni e che diventa un
veicolo di riconoscimento fra esemplari della stessa comunità.
«I
delfini — spiega Massimo Azzali del Cnr — comunicano usando due
linguaggi o segnali acustici: i suoni (frequenza 20kHz), detti segnali
di vocalizzazioni, e gli ultrasuoni (frequenza tra 20 e 200 kHz), detti
segnali sonar o di ecolocalizzazione».
Le due
vocalizzazioni sono molto diverse: le prime sono innate e vengono
prodotte in occasione di uno specifico evento: in generale riflettono la
reazione “emotiva” del delfino a uno stimolo esterno.
Nel
corteggiamento, quando hanno paura, quando si arrabbiano, quando sono
stressati e in moltissime altre occasioni, questi mammiferi
super-intelligenti emettono le frequenze da 20kHz.
Come delle grida spontanee, immediatamente percepibili e affatto difficili da emettere e da essere comprese.
I segnali sonar dai 20 ai 200 kHz invece sono più difficili da imparare e da capire.
«La condivisione delle percezioni/evocazioni che scaturiscono dai segnali sonar — prosegue Azzali — si imparano con il tempo e richiedono che nella comunità si sia formato un linguaggio sonar comune, ovvero una connessione suoni-immagini acustiche che valga per l'intera comunità».
Si può perciò presumere che il linguaggio sonar di un gruppo richieda un lungo periodo di apprendimento da parte dei suoi membri più giovani perché contiene molti elementi tipici ed esclusivi di una comunità.
Ed è per questo che i delfini devono vivere un lungo periodo di apprendimento prima di formare un gruppo con il quale condividere il linguaggio. Un training lento e complicato, che permetta loro di orientarsi nella giungla dei segnali sonar degli altri membri del gruppo in modo da imparare ad ascoltare e a parlare la stessa lingua.
Solo dopo questa lunga fase di apprendimento nascono solidi legami sociali.
«La condivisione delle percezioni/evocazioni che scaturiscono dai segnali sonar — prosegue Azzali — si imparano con il tempo e richiedono che nella comunità si sia formato un linguaggio sonar comune, ovvero una connessione suoni-immagini acustiche che valga per l'intera comunità».
Si può perciò presumere che il linguaggio sonar di un gruppo richieda un lungo periodo di apprendimento da parte dei suoi membri più giovani perché contiene molti elementi tipici ed esclusivi di una comunità.
Ed è per questo che i delfini devono vivere un lungo periodo di apprendimento prima di formare un gruppo con il quale condividere il linguaggio. Un training lento e complicato, che permetta loro di orientarsi nella giungla dei segnali sonar degli altri membri del gruppo in modo da imparare ad ascoltare e a parlare la stessa lingua.
Solo dopo questa lunga fase di apprendimento nascono solidi legami sociali.
«Con le
relazioni echi-immagini — precisa Azzali — valide per tutti i membri
della comunità, nascono i rapporti sociali. Dai nostri studi risulta che
gruppi diversi usino il linguaggio degli echi con modalità diverse».
In ogni caso, tramite l’ecolocalizzazione i delfini sono in grado di comunicare fra loro chiamandosi per nome.
In ogni caso, tramite l’ecolocalizzazione i delfini sono in grado di comunicare fra loro chiamandosi per nome.
Ma quando inizia l’apprendimento?
Secondo lo studioso del Cnr il cucciolo di delfino comincia ad apprendere il linguaggio sonar addirittura dalla pancia materna «perché i suoni si propagano quasi allo stesso modo nell’oceano e nel corpo della madre».
L’apprendimento continua poi dalla nascita ai quattro anni esclusivamente tramite la madre e poi tramite tutto il resto del gruppo.
Secondo lo studioso del Cnr il cucciolo di delfino comincia ad apprendere il linguaggio sonar addirittura dalla pancia materna «perché i suoni si propagano quasi allo stesso modo nell’oceano e nel corpo della madre».
L’apprendimento continua poi dalla nascita ai quattro anni esclusivamente tramite la madre e poi tramite tutto il resto del gruppo.
Un’ultima curiosità: i delfini dormono galleggiando in superficie e una metà del loro cervello rimane intenta a vigilare.
domenica 3 dicembre 2017
Architetto Ugo Arioti - XX° S Palermo
1) Lungomare Sferracavallo
2) Nuovo Liceo Meli, Via Aldisio
3) Scuola materna a tre sezioni - Partinico (PA)
2) Nuovo Liceo Meli, Via Aldisio
3) Scuola materna a tre sezioni - Partinico (PA)
venerdì 1 dicembre 2017
Editoriale di Dicembre 2017
Assistiamo, impotenti, a un mondo che va a rotoli verso la sua fine. Distruggiamo con una potenza inimmaginabile l'ambiente. I diritti umani sono solo un finto simulacro offeso e vilipeso, impunemente, pure dalle Istituzioni che dovrebbero difenderli. I governi, ormai, non hanno più alcuna legittimità popolare, ma sono procuratori del potere Economico dominante. Il capitalismo, oggi, è alla sua terza fase: la speculazione distruttiva. Le crisi si susseguono, una dopo l'altra, devastando le economie reali. E, in questo quadro, qualcuno trova pure il coraggio di chiedersi perché la gente non va più a votare. Anche le elezioni sono diventate una farsa e i brogli, vedi ultime elezioni in Sicilia del Novembre di quest'anno, sono utilizzati da gruppi di potere mafioso - politici per creare governi fantoccio che seguono gli ordini del Mercato e non quelli degli elettori di riferimento. Uno scenario idilliaco, questo, in cui viene a galla, pure, il mancato controllo, anzi, l'operazione deviante di BANCHITALIA nei confronti delle banche malate e drogate, come Banca Etruria! Che dire? Non ci resta che piangere? Iniziamo la novena della Madonna e le feste Natalizie con l'auspicio che il popolo, rassegnato al grande fratello, si svegli e mostri i pugni! Buon Natale!
Ugo Arioti
lunedì 27 novembre 2017
Egon Schiele, pittura, sensualità e scandalo. Vita e arte diventano cinema
Nelle sale per soli tre giorni il
biopic del regista austriaco Dieter Berner che racconta la tormentata
esistenza del genio dell'espressionismo viennese
La biografia ispirata alla sua vita si intitola Il Pornografo di Vienna
ed è già tutto lì, in quel titolo. C’è la tensione, lo scandalo, quello
che sembra ma non è. C’è la predestinazione al tormento di un uomo che
in nome dell’arte, e della libera espressione dell’arte, accetta di
subire: umiliazione, sofferenza, incomprensione. Finora quello che
sapevamo su Egon Schiele, che non derivava dall’osservazione diretta
della sua opera, era quanto scritto in quel libro, ma adesso il regista
Dieter Berner ci offre un racconto per immagini della vita dell’artista
austriaco, deriso e offeso dalla maggior parte dei suoi contemporanei,
agli inizi del Ventesimo secolo, oggi considerato "il genio del primo
Espressionismo viennese".
Egon Schiele: La morte e la fanciulla,
distribuito da Draka, in collaborazione con Twelve Entertainment, sarà
in sala solo il 27, 28, 29 novembre. Berner lo ha scritto insieme con
sua moglie, Hilde Berger, autrice del romanzo che porta lo stesso titolo
del film: "il libro è suddiviso in cinque storie – ci dice il regista –
ognuna delle quali è il racconto di Egon Schiele dal punto di vista di
una delle sue modelle. Per il film abbiamo scelto di unire la
narrazione". Ma il punto è lo stesso: il rapporto di Schiele con le
donne e il corpo delle donne. "Il film è quindi sì un omaggio alla sua
arte, ma soprattutto è il racconto della vita di un uomo". Una vita in
cui la sessualità era ciò da cui tutto partiva e a cui tutto tornava.
Aspetto che nella pellicola è forse declinato in maniera troppo delicata
rispetto alla frustrazione con la quale era costretto a convivere
l’artista, in quell’epoca di repressione. Suo padre ebbe moltissime
relazioni, morì di sifilide quando Egon aveva quattordici anni, "per lui
la sessualità – continua Berner – era contemporaneamente pericolo ed
eccitazione".
In realtà, un tentativo non troppo
convincente di portare la storia di Schiele sul grande schermo lo aveva
già fatto, nel 1981, Herbert Vesely, quando per il suo Inferno e Passione aveva
reclutato Mathieu Carrière per il ruolo di Egon e Jane Birkin per
quello della sua musa e modella Wally. Oggi a indossare i panni non
facili del pittore c’è Noah Saavedra che esordisce così in un ruolo da
protagonista. Ci riesce ed è quasi tutto merito del suo sguardo, quello
che si poggia sulle modelle alle quali poi Egon chiede: “resta ferma
così”, come Moa, la ballerina nera con capelli corti e riccissimi che,
quando non nuda, Schiele dipinge avvolta in tessuti coloratissimi. O lo
sguardo che indugia sulle donne che non sono ancora sue modelle ma che
lui già immagina, o meglio desidera che posino per lui. Wally, forse
l’unico amore della sua vita, la vede per la prima volta nello studio di
Gustav Klimt, all’epoca uno dei pochi, lungimiranti, a sostenere l’arte
di Schiele. Lei e le sue calze verdi diventeranno protagoniste di
numerose opere dell’artista, fino al definitivo La morte e la fanciulla,
che ritrae i due amanti in un abbraccio ormai rassegnato, prima che
Schiele lasci Wally per sposare Edith Harms, donna che gli chiederà di
essere la sua sola musa.
Ancora, lo sguardo disgustato che Egon rivolge al giudice che lo accusa di aver mostrato immagini pornografiche a una minorenne e quello infiammato, sempre diretto al rappresentante della legge che sta bruciando pubblicamente il suo disegno giudicato “osceno”. Non deve essere stato semplice cercare di guardare il mondo come lo guardava Schiele, quando le sensazioni erano tutte esasperate e il bisogno che urgeva era sempre quello di fissare quanto visto su carta. Se non fosse stato così forte, oggi non ci ritroveremmo con trecentoquaranta dipinti e duemilaottocento tra acquerelli e disegni realizzati in quei pochi anni. "Volevo trovare un attore molto giovane – continua Berner - perché il pubblico immaginasse cosa vuol dire morire a ventotto anni lasciando una simile eredità. Ho scelto Noah Saavedra quando ancora non era un attore, ma è stato lui stesso a convincermi che poteva essere la persona giusta. Abbiamo lavorato per un anno e mezzo prima che fosse davvero pronto per il ruolo".
Ancora, lo sguardo disgustato che Egon rivolge al giudice che lo accusa di aver mostrato immagini pornografiche a una minorenne e quello infiammato, sempre diretto al rappresentante della legge che sta bruciando pubblicamente il suo disegno giudicato “osceno”. Non deve essere stato semplice cercare di guardare il mondo come lo guardava Schiele, quando le sensazioni erano tutte esasperate e il bisogno che urgeva era sempre quello di fissare quanto visto su carta. Se non fosse stato così forte, oggi non ci ritroveremmo con trecentoquaranta dipinti e duemilaottocento tra acquerelli e disegni realizzati in quei pochi anni. "Volevo trovare un attore molto giovane – continua Berner - perché il pubblico immaginasse cosa vuol dire morire a ventotto anni lasciando una simile eredità. Ho scelto Noah Saavedra quando ancora non era un attore, ma è stato lui stesso a convincermi che poteva essere la persona giusta. Abbiamo lavorato per un anno e mezzo prima che fosse davvero pronto per il ruolo".
La stessa cosa con Maresi Riegner,
l’attrice che interpreta Gerti, sorella di Egon e sua prima modella,
anche lei giovanissima: "abbiamo ripetuto alcune scene varie volte, ma
per altre ho lasciato che improvvisassero". E il lavoro fatto da Dieter
Berner per questo film non è poi tanto diverso da quello che si trovava a
fare Schiele ogni volta che allestiva un set: "Artisti come Egon o
Caravaggio erano in realtà anche grandi registi. I personaggi dei suoi
quadri sembrano seguire una sceneggiatura". Ma Schiele va oltre, “posava
nudo per i suoi quadri, si fotografava e poi si ritraeva, era allo
stesso tempo regista e attore. Credo che nessun altro, in quegli anni,
lavorasse così”. Egon influenzava le sue modelle in maniera fortissima,
certo anche loro esercitavano un potere su di lui: la sua pittura era il
frutto di un’interazione e poi era qualcosa di estremamente mentale, al
punto che, a volte, l’opera ci rimaneva nella sua testa: quando i corpi
erano solo delineati o, addirittura, spezzati, non conclusi. Ma Schiele
non ha influenzato solo le sue donne: “nella fotografia moderna – dice
il regista - vedo che le pose non sono altro che un ripetersi. Guardate
James Dean, nei suoi scatti assumeva posizioni assolutamente simili a
quelle che Egon aveva nei suoi quadri”.
Schiele ha scelto di guardare il mondo in un certo modo, "quella scelta ha fatto di lui un artista, ma si trattava di un approccio del tutto nuovo e sconcertante per l’epoca, per questo a molti non piaceva". Non solo, per alcuni la sua opera era disturbante: "è vera pornografia" gli dirà nel film il giudice prima di condannarlo a scontare altri tre giorni in carcere, in aggiunta ai ventiquattro già passati, e prima di alimentare le fiamme con il suo disegno. "No, è un'opera d’arte erotica. Io sono un artista" riuscirà a rispondere "il genio dell’Espressionismo austriaco".
Schiele ha scelto di guardare il mondo in un certo modo, "quella scelta ha fatto di lui un artista, ma si trattava di un approccio del tutto nuovo e sconcertante per l’epoca, per questo a molti non piaceva". Non solo, per alcuni la sua opera era disturbante: "è vera pornografia" gli dirà nel film il giudice prima di condannarlo a scontare altri tre giorni in carcere, in aggiunta ai ventiquattro già passati, e prima di alimentare le fiamme con il suo disegno. "No, è un'opera d’arte erotica. Io sono un artista" riuscirà a rispondere "il genio dell’Espressionismo austriaco".
venerdì 24 novembre 2017
I voti che non decidono e le democrazie malate Che cosa sta accadendo dunque alla più antica forma di «governo del popolo, dal popolo, per il popolo»? E’ destinata ad avere un futuro, o rischia di essere insidiata dai modelli di «democratura», nei quali il «demos», accetta con le elezioni di avere un capo come se fosse in una dittatura?
Antonio Polito (Corriere.it)
A che serve votare?
È una domanda che molti cittadini europei cominciano a farsi. Da ultimi
i tedeschi. Sono andati alle urne, la Merkel ha preso molti più voti di
chiunque altro, il 60% nei sondaggi dice di auspicarsi un governo da
lei diretto, ma il governo non si fa, e per farlo sarà forse necessario
far fuori la Merkel. Qualcosa si è inceppato perfino nella democrazia
tedesca, di proverbiale stabilità.
Oppure prendete i cittadini britannici.
La bellezza di diciotto mesi fa decisero di uscire dall’Unione Europea.
Sono ancora là. Uscendo volevano riprendersi i loro soldi, e invece il
prossimo mese dovranno dire quanto sono disposti a scucire per poter
andarsene. Procedure, compromessi, trattative, più inflazione e
svalutazione della sterlina: sembrava così semplice mettere una croce
sul «Leave». Per non parlare dei cittadini catalani, i quali hanno
scoperto che neanche con il voto possono spaccare la Spagna.
La galleria potrebbe comprendere gli
spagnoli, che dopo due elezioni e sei mesi di prorogatio di Rajoy si
aggrappano a un governo di minoranza; o i belgi e gli olandesi, che
hanno dovuto aspettare rispettivamente dodici e sette mesi prima che il
Parlamento decidesse chi aveva vinto le elezioni. Va ovviamente
aggiunto il caso italiano, dove se c’è una cosa certa delle prossime
urne è che quasi certamente non daranno una maggioranza; e dove siamo
ormai al quarto governo di fila (Gentiloni, Renzi, Letta, Monti) privo
di un mandato elettorale.
Non è questione di tecnica.
Nel Regno Unito nemmeno il leggendario «first-past-the-post», il più
implacabile dei maggioritari, è riuscito a dare una maggioranza alla
povera May, che aveva chiamato le elezioni per suonarle ai laburisti ed è
stata suonata. E perfino il presidenzialismo, l’unico sistema in grado
di garantire un vincitore, comincia a perdere colpi: Trump è diventato
presidente con meno voti della seconda arrivata. Resta saldamente in
sella il solo Macron, asceso all’Eliseo con appena il 24% del primo
turno.
Che cosa sta accadendo dunque alla più
antica forma di «governo del popolo, dal popolo, per il popolo» (Abramo
Lincoln a Gettysburg)? La democrazia è destinata ad avere un
futuro, o rischia di essere insidiata dai modelli di «democratura», nei
quali il popolo, il «demos», accetta col voto di avere un capo come se
fosse in una dittatura?
La vicinanza semantica tra «democrazia» e
«populismo» («demos» è il greco per il latino «populus») la dice lunga
su quanto sia sottile il confine che divide l’una dall’altro, già in
passato spazzato via più di una volta. Bisogna dunque che gli
uomini di buona volontà si mettano al capezzale della democrazia malata,
e cerchino un modo per ripiantarla in un mondo così diverso da quello
in cui nacque.
Il primo passo dovrebbe consistere nel qualificarla, nel darle l’aggettivo giusto.
Democrazia non è solo elezioni: anche in Russia e in Iran si vota. Ma
ciò che distingue una «democrazia liberale» è la «rule of law», e cioè
la supremazia della Legge, cui ogni cosa è subordinata. È proprio questo
che tiene in piedi la Germania o la Spagna mentre attendono un governo:
tutto procede secondo la legge. Ed è esattamente la Legge ciò che ha
impedito agli indipendentisti catalani di andarsene con un referendum, o
che costringe gli inglesi a negoziare per uscire dall’Ue. Dovremmo
dunque curare lo stato di diritto come l’asset più prezioso della
democrazia, forse perfino più del voto popolare («La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione», articolo 1 della nostra Legge fondamentale). E
proteggerlo dalle mire dei politici di turno che vorrebbero dettar
legge.
Il secondo punto è che difficilmente una
democrazia liberale può prosperare senza partiti democratici e
possibilmente popolari, i quali mediano il consenso dei cittadini, lo
stabilizzano, lo indirizzano verso programmi di governo e selezionano i
gruppi dirigenti. Più partiti personali nascono, più movimenti
estemporanei si affermano, più le elezioni diventano un taxi per
ambizioni private, più debole sarà la democrazia. E in questo campo,
ahinoi, noi italiani abbiamo anticipato molte tendenze pericolose.
Infine c’è un problema anche più
complicato da risolvere: l’emigrazione della sovranità dagli Stati
nazionali verso consessi internazionali che per loro natura non possono
decidere democraticamente (le sedi europee assegnate a sorteggio ne sono
un esempio). Moneta, commercio, investimenti, circolazione dei
capitali e degli esseri umani, politica estera, sono tutte materie sulle
quali l’elettore sa ormai di non avere più molto potere. Bisognerebbe
dunque riempire i parlamenti di altri poteri: di controllo e revisione,
per esempio, in materia di nomine, di spesa pubblica, di allocazione
delle risorse e di assegnazione degli appalti, per farne dei baluardi
contro la corruzione e lo sperpero, garantendo tempi e strumenti alle
opposizioni che vigilano sul potere. Rimpatriare una parte delle
competenze affidate al Parlamento europeo. Ridare alle Camere il ruolo
di sedi del dibattito informato, per esempio sulle delicatissime
questioni bioetiche. Assegnare loro il potere di scrutinare i ministri
prima della nomina e di convocare il primo ministro ogni settimana a
rispondere in diretta tv. Bisogna trovare nuovi e validi motivi per
convincere gli elettori a non disertare lo spettacolo della democrazia, e
a non trasformare il parlamento in un’aula sorda e grigia.
martedì 21 novembre 2017
L’asteroide che viene da lontano e sembra il monolite di «Odissea 2001»
È lungo 400 metri e largo dieci volte di meno. È il primo oggetto scoperto di sicura provenienza da oltre il Sistema solare. Non può colpire la Terra
di
Paolo Virtuani
Viene da oltre i confini del Sistema solare, è lungo e piatto, assomiglia a qualcosa di conosciuto, al monolite di 2001: Odissea nello spazio,
la presenza «superiore» che visita la Terra e dà la scintilla
dell’intelligenza a una tribù di antenati dell’umanità. Lo scorso 19
ottobre il telescopio Pan-Starrs1 alle Hawaii ha scoperto un asteroide
che, dopo l’analisi dell’orbita, è stato giudicato provenire
dall’esterno del Sistema solare. Questa categoria di oggetti astronomici
era stata ipotizzata da decenni, ma mai erano state trovate le prove
dirette della loro esistenza. L’asteroide è stato prima chiamato
1I/2017U1 e poi battezzato Oumuamua, parola hawaiiana che significa «il
messaggero che viene da lontano e arriva per primo».
Ora, grazie all’analisi dei dati ottenuti pubblicata sulla rivista Nature,
è stata calcolata la forma di Oumuamua: è una sorta di lastra lunga 400
metri, larga dieci volte di meno e abbastanza piatta. Subito è scattato
l’accostamento al monolite ipotizzato dallo scrittore Arthur C. Clarke e
tradotto in immagini dal regista Stanley Kubrick, che compare più volte
nel film e «guida» l’umanità dallo stato scimmiesco alla conquista del
tempo e dello spazio. Il colore è rossastro, come gli oggetti che si
trovano oltre l’orbita di Plutone.
Roccia e metallo
Secondo
gli scienziati, nel Sistema solare i nuclei cometari e gli asteroidi
con una forma simile si possono contare sulle dita di una mano sui circa
750 mila che sono stati identificati. Oumuamua gira rapidamente sul
proprio asse di rotazione: compie infatti un giro ogni 7,3 ore e la sua
luminosità muta rapidamente, come nessun altro oggetto spaziale finora
scoperto. Tutto ciò porta a ritenere che l’asteroide sia composto quasi
totalmente da roccia con una parte di metallo, senza acqua o ghiaccio.
Il colore rosso è dovuto agli effetti di centinaia di milioni di anni di
esposizione alle radiazioni cosmiche.
Viaggiatore interstellare
Attualmente
Oumuamua si trova a 200 milioni di chilometri dalla Terra e viaggia a
una velocità di 38.300 metri al secondo (quasi 138 mila chilometri
all’ora). E soprattutto non ha nessuna possibilità di colpire il nostro
pianeta. Nel maggio del prossimo anno passerà non lontano da Giove e nel
gennaio 2019 oltrepasserà l’orbita di Saturno per poi proseguire il suo
viaggio interstellare in direzione della costellazione di Pegaso. Un
visitatore rapido, ma che può dare ancora molte informazioni utili alla
scienza.
lunedì 20 novembre 2017
Vibrazioni metropolitane. Partite, concerti, traffico: quando la vita in città è come un terremoto
A Barcellona i geologi hanno registrato i gol di Messi e il rock di Springsteen. Nasce la sismologia urbana
di ELENA DUSI
ROMA. È un po' come quando si appoggia
l'orecchio a terra. La città, a quel punto, inizia a parlare.
A
Barcellona se ne sono accorti quasi per gioco. "Avevamo installato un
sismometro nella nostra sede, ma giusto per mostrare al pubblico come
funziona" scrivono Jordi Dìaz e i colleghi dell'Institute of Earth
Sciences su Scientific Reports.
Barcellona non si è fatta pregare e ha cominciato a far sentire le sue pulsazioni.
Il traffico, certo, e i fuochi d'artificio per la vittoria del campionato. Ma soprattutto la "Remuntada", a marzo, ha scosso la Terra con un sisma di magnitudo uno: il valore più alto mai generato da piedi umani. I sismometri hanno registrato tutti i gol del Barcellona contro un Paris Saint Germain che all'andata aveva vinto 4 a 0. Ma solo la sesta rete, quella della qualificazione all'ultimo secondo, ha superato ogni record. E dire che smuovere uno di quegli strumenti è tutt'altro che facile. Nel 2001 in Gran Bretagna un milione di scolari venne arruolato per l'esperimento "Giant Jump": al segnale del via i bambini dovevano saltare tutti insieme. Lo scuotimento venne avvertito solo in prossimità delle scuole. Nessuno strumento della rete fissa si accorse di nulla.
Un paio di mesi dopo la Remuntada, al Camp Nou si è presentato Bruce Springsteen. Del concerto il sismografo ha distinto ogni singola canzone, con "Shout" che ha fatto registrare l'accelerazione del suolo massima, seguita da "Dancing in the dark" e "Born in the Usa". Né il Barça era la prima squadra a scatenare un sisma (nulla di pericoloso: le scosse vengono percepite dall'uomo a partire dal terzo grado). Il primo esempio, il "gol del terremoto", fu segnato in Argentina nel 1992. Erano invece le 21 e 41 del 9 luglio 2006 e tutto era calmo quando 75mila tifosi e il sismografo di Potenza fecero un salto simultaneo. L'Italia aveva segnato contro la Francia il rigore del Mondiale. Il geofisico Marco Mucciarelli pubblicò un articolo scientifico sul "terremoto del salto di gioia". Da allora i sismi causati dall'esultanza sono diventati talmente comuni nella letteratura scientifica da aver ricevuto il nome di "footquakes".
Assai più comuni dei "terremoti da Mondiale" sono le vibrazioni sismiche da traffico. A Barcellona hanno iniziato a interrogarsi quando hanno visto l'onda svanire e rigenerarsi ogni due minuti esatti. Ce n'è voluto prima di capire che quello era il ritmo su cui era impostato il semaforo. "A Roma notavamo ogni treno della metro che frenava, si fermava in stazione e poi ripartiva" racconta Giuliano Milana, il ricercatore dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che a luglio, con alcuni colleghi, ha pubblicato su Annals of Geophysics i risultati del monitoraggio sul traffico del Colosseo. "Rispetto a un vero terremoto - spiega - le onde sismiche della metropolitana sono più simmetriche. Vedi il segnale che si avvicina, raggiunge un picco e poi diminuisce quando il treno si allontana". Ma il Colosseo, nel complesso, pare ben protetto. "Le vibrazioni svaniscono a pochi metri di distanza e il monumento è costruito su una fondazione di calcestruzzo spessa 12 metri" spiega ancora Milana. E poi, anche appoggiandosi al suolo, c'è orecchio e orecchio. Quello di Virgo per esempio è in grado di sentire il passo di un uomo. A Càscina (Pisa), si trova l'antenna per captare le onde gravitazionali: uno strumento che deve essere completamente isolato dal rumore sismico. Jan Harms è il fisico del Gran Sasso Science Institute e dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che si occupa della progettazione. "Quando Virgo è in funzione, nessuno può avvicinarsi. Anche le vibrazioni di un singolo passo possono disturbarlo ". Se la prossima onda passerà durante una partita, finirà per diventare parte del tifo anche lei.
Barcellona non si è fatta pregare e ha cominciato a far sentire le sue pulsazioni.
Il traffico, certo, e i fuochi d'artificio per la vittoria del campionato. Ma soprattutto la "Remuntada", a marzo, ha scosso la Terra con un sisma di magnitudo uno: il valore più alto mai generato da piedi umani. I sismometri hanno registrato tutti i gol del Barcellona contro un Paris Saint Germain che all'andata aveva vinto 4 a 0. Ma solo la sesta rete, quella della qualificazione all'ultimo secondo, ha superato ogni record. E dire che smuovere uno di quegli strumenti è tutt'altro che facile. Nel 2001 in Gran Bretagna un milione di scolari venne arruolato per l'esperimento "Giant Jump": al segnale del via i bambini dovevano saltare tutti insieme. Lo scuotimento venne avvertito solo in prossimità delle scuole. Nessuno strumento della rete fissa si accorse di nulla.
Un paio di mesi dopo la Remuntada, al Camp Nou si è presentato Bruce Springsteen. Del concerto il sismografo ha distinto ogni singola canzone, con "Shout" che ha fatto registrare l'accelerazione del suolo massima, seguita da "Dancing in the dark" e "Born in the Usa". Né il Barça era la prima squadra a scatenare un sisma (nulla di pericoloso: le scosse vengono percepite dall'uomo a partire dal terzo grado). Il primo esempio, il "gol del terremoto", fu segnato in Argentina nel 1992. Erano invece le 21 e 41 del 9 luglio 2006 e tutto era calmo quando 75mila tifosi e il sismografo di Potenza fecero un salto simultaneo. L'Italia aveva segnato contro la Francia il rigore del Mondiale. Il geofisico Marco Mucciarelli pubblicò un articolo scientifico sul "terremoto del salto di gioia". Da allora i sismi causati dall'esultanza sono diventati talmente comuni nella letteratura scientifica da aver ricevuto il nome di "footquakes".
Assai più comuni dei "terremoti da Mondiale" sono le vibrazioni sismiche da traffico. A Barcellona hanno iniziato a interrogarsi quando hanno visto l'onda svanire e rigenerarsi ogni due minuti esatti. Ce n'è voluto prima di capire che quello era il ritmo su cui era impostato il semaforo. "A Roma notavamo ogni treno della metro che frenava, si fermava in stazione e poi ripartiva" racconta Giuliano Milana, il ricercatore dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che a luglio, con alcuni colleghi, ha pubblicato su Annals of Geophysics i risultati del monitoraggio sul traffico del Colosseo. "Rispetto a un vero terremoto - spiega - le onde sismiche della metropolitana sono più simmetriche. Vedi il segnale che si avvicina, raggiunge un picco e poi diminuisce quando il treno si allontana". Ma il Colosseo, nel complesso, pare ben protetto. "Le vibrazioni svaniscono a pochi metri di distanza e il monumento è costruito su una fondazione di calcestruzzo spessa 12 metri" spiega ancora Milana. E poi, anche appoggiandosi al suolo, c'è orecchio e orecchio. Quello di Virgo per esempio è in grado di sentire il passo di un uomo. A Càscina (Pisa), si trova l'antenna per captare le onde gravitazionali: uno strumento che deve essere completamente isolato dal rumore sismico. Jan Harms è il fisico del Gran Sasso Science Institute e dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che si occupa della progettazione. "Quando Virgo è in funzione, nessuno può avvicinarsi. Anche le vibrazioni di un singolo passo possono disturbarlo ". Se la prossima onda passerà durante una partita, finirà per diventare parte del tifo anche lei.
giovedì 16 novembre 2017
Un amore impossibile, ovvero Peppino Caramella e Ciccina Troja - racconti brevi - Ugo Arioti
Siamo abituati
a sentire al telegiornale o a leggere sul quotidiano cittadino di rapine e
furti in tabaccherie. Cose del tipo “Il
giovane ha chiesto di poter acquistare un pacchetto di sigarette. All’atto del
pagamento però, proprio nel momento in cui la tabaccaia ha aperto il
registratore di cassa per dargli il resto, il ragazzo con mossa fulminea ha
allungato le mani in direzione della cassa nel tentativo di appropriarsi del
denaro contenuto”. Io, invece, è giusto che ve lo dica, sono legato al
ricordo di uno dei più bei film della mia vita, e la tabaccaia è quella di “Amarcord”
dell’immenso e fantasmagorico poeta dei sogni: Federico Fellini! Bella e
prosperosa come Ciccina Troja, l’esercente di Via Bonello, la rivendita n° 23
che sta vicino al Panificio di Rosa Calandra, di fronte alla fermata dell’autobus.
Ora, dovete
sapere che, ogni giorno semifestivo o festivo, un venditore di pane abusivo si
ferma proprio di fronte alla tabaccheria e, ogni mattina di vendita, prima di
cominciare il suo lavoro entra nel Sali e Tabacchi per comprare una o due buste
di tabacco per il naso. Ma questa, come avrete già capito, voi siete furbi di
sette gotte, è un scusa! Cosa vuole rubare il giovane Peppino Caramella nella
rivendita di Ciccina Troja?
-
Ciccina, ... mi dai un soldo di tabacco per
soffiarmi il naso?! - esordì, Peppino Caramella entrando nella bottega di
Francesca Troja, in tabaccheria. Peppino vende il pane all'angolo tra Via delle
Cappuccinelle e Via Matteo Bonello, proprio di fronte alla rivendita di sali e
tabacchi.
-
Lo vuoi profumato? - lo interrogò lei,
retoricamente, sorridendo ammiccante. Dovette ripetere la domanda due volte, perché
Peppino era rimasto incantato e stordito dal balconcino della giovane
venditrice di Sali e tabacchi, la Troja, aperto e in bella mostra, a portata del
suo sguardo affamato d’amore e delle sue naturali conseguenze.
-
Allora, lo vuoi profumato o naturale? - ripetè
la donna, allungando il sorriso, sorniona!, era un copione già recitato!
-
Che profumo ... di pri - ma - verahh! -
balbettò, sospirando, con lo sguardo bloccato sul davanzale prosperoso e
promettente della tabaccaia, Peppinello.
-
Oh, … - cercò di destarlo lei, e rideva quasi!,
– Peppino, abbiamo Ozona President e Ozona Menthol, in confezioni da cinque
grammi. Quale vuoi? -
Per
tutta risposta il “panivendolo ambulante”,
tirò un respiro e spalancò la bocca, mostrando alla donna il suo miglior
sorriso.
-
Siete splendida, donna Ciccina! Datemi quello
che più vi aggrada, perché oggi io vorrei morire sopra il vostro petto, come
fosse il mio ultimo cuscino! – Certo, non è proprio una bella immagine, ma il
trasporto con cui Peppino, recitò la sua parte, faceva capire che lui non ci
pensava affatto a morire, in senso biblico, ma d’amore sì!
-
Sei scemo o ti ha mozzicato la mosca verde? - lo
rimproverò, bonariamente, lei, muovendo il petto, come fosse una bandiera che
il vento apre e chiude, apre e chiude, apre e chiude …
-
No, sono pazzo. Fuori di senno. Non capisco più
niente, quando guardo i tuoi occhi verdi, come un lago di montagna ...-
-
Il gusto ci guadagna! Ma va! Peppinello, tu hai “appizzato” i toui fari sul mio seno e …
-
-
E?... – speranzoso!
-
Niente, che vogliamo fare? Lo vuoi questo
tabacco, sì o no? – sadica!
-
E datemelo voi, regina dei miei sogni d'amore! –
lirico!
-
Anche poeta! – deridente!
-
Sarò lo scendiletto su cui cammini tu.... –
buttò sul tappeto, come fosse la carta per vincere la mano di tresette. Peccato
che il tresette, in questa disputa amorosa, è sempre col morto!
-
Menthol o President? – chiese lei, fissando i
suoi occhi, spietatamente!
-
Tutti e due. Vi amo … sì, vi amo, Ciccinella bella mia! – Era l’ultima
carta, sperava di far punto!
-
Vedi che sono tre soldi e due centesimi! –
implacabilmente netta, come se la voce non fosse la sua, quella di un essere
umano, ma di un computer, sintetizzata!
-
E che sono i soldi? Il vil denaro? La vostra
leggiadra sostanza d'amore è più bella e importante di una fortuna in zecchini
d'oro, di palazzi, di terre, di grandi imprese … - era all’ultima spiaggia e
tentò pure la via della compassione per un pover’uomo innamorato!
-
Stai calmo, Peppino! Stai dando di testa. Ti
incarto il tabacco. – secca e precisa come un orologio svizzero!
-
Fai pure! Mettilo insieme alle altre buste nella
scatola mia! – le rispose, di conseguenza. Poi, tornò all’assalto della
diligenza, col garbo di un bandito cortese che mira al cuore della bella
passeggera: - Che occhi hai, piccina innamorata! Ahhh … – già vedeva,
profilarsi all’orizzonte, una nuova sconfitta.
-
Oh, Peppe
Caramella, la scatola che mi hai dato è già piena! – Quella, incurante dei suoi
assalti!
-
No, che sentono le mie orecchie? Hai le scatole
piene? Spero non di me, che come un gentil pastorello vengo, ogni mattino, a
cantar le tue lodi o mia Signora!? – voleva buttarla in scherzo e risalire la
china, ma ….
-
Peppino, te lo dico per l’ultima volta e non mi
voglio ripetere: tu a me non mi puoi dare niente … perché io sono … - stava per
dire “lesbica”, ma il giovane, che non sopportava che si tanta grazia di Dio
venisse sprecata, secondo lui, era già uscito dalla tabaccheria.
Questa scena,
ormai, si ripeteva da mesi e Peppino aveva investito una fortuna in buste di
tabacco da naso, che poi teneva, per cortese concessione di lei, in una scatola
di cartone nel retrobottega della tabaccheria, senza farne mai alcun uso.
Certo che la mente umana segue percorsi contorti e strani e non è mai
paga di vivere situazioni e sentimenti lineari, di pianura. Ama le montagne, “le discese ardite e le risalite”!
mercoledì 15 novembre 2017
Odio la bugia patologica - da Marìmalamour di Ugo Arioti @2004
Odio la bugia patologica che è
bugia sgradevole per chi la subisce. I maschietti hanno la tendenza
a raccontare fatti inverosimili, gonfiare in maniera chiaramente
incredibile dei fatti che si vogliono sostenere, e negare l'evidenza di fatti che
gli altri scoprono o contestano. Nei miei compagni di genere mi viene facile
scoprirlo, perché lo fanno senza una strategia generale. Maschi siamo, esseri
troppo semplici e semplificati! Più difficile è scoprire una donna che
falsifica la tua vita per averne un suo risultato, buono o cattivo non si sa,
ma a lei pare giusto e così, lei diventa una bugiarda patologica che ha fortuna
solo all'inizio, quando chi ancora non la conosce le dà fiducia. Il termine, infatti, è
dato dalla durata del credito. Ovviamente, noi uomini, mariti, partner, amanti
o amici siamo le figure più colpite da questa “disgrazia”. La bugiarda
patologica non ha un fine pratico, concreto (come il truffatore) ma ha come
fine quello di provocare reazioni di ammirazione e stupore negli altri, o anche
di compassione e rispetto per racconti di torti o ingiustizie subite da lei, la povera vittima (predatrice famelica!). Ci ho
messo dieci anni ad uscire dalla bugia della mia ex moglie, una famiglia di
facciata (uno status sociale per lei a suo uso e consumo che non prevedeva la
mia presenza se non per dare una parvenza di rispettabilità “sociale”ad una
condizione di disastro psico-sentimentale). Ora non ci voglio cascare più. I
sensi di colpa chi ce li ha se li tiene e non li esporta, a suo uso e consumo.
Cara la mia Marì, non sono il tuo infermiere, il tuo tutore, il tuo factotum.
Io sono un uomo e se mi vuoi, devi metterti in gioco anche tu per me. Lo dico a
me stesso, tanto lo so che non lo farai mai. Anche tu hai la sindrome di Munchausen.
Bisognerebbe fermarti con la verità, dite?
No, troppo facile ... è inutile. Non ci provate.
Quando
si arriva alla fase maniacale, un rifiuto, uno stop, sono una
stilettata al cuore; lei non riesce a concepire che esista una ragione, e vede
come unica ratio un rifiuto "personale", cioè una manifestazione di
ostilità!
Capite?
Insomma, nella dimensione egocentrica della fase maniacale io
non ho diritto ad aver ragioni per dirle di no, se non per una sorta di contrapposizione
personale e ostile, una provocazione ingiusta, una svalutazione immeritata e
paradossale del suo diritto ad avere quello che desidera per andare avanti. Se
le nego qualcosa che lei vuole, può avere reazioni violente o cambiamenti
d'umore bruschi e ostili, dopo insistenze infinite con modi gentili e tentativi
di seduzione e persuasione.
Capite in che casino sono?
Dalla padella nella brace!
Spero per voi che non vi troviate mai in questa situazione. Ne ho parlato con
un mio amico medico e mi ha aiutato, terrorizzandomi. “La tua Marì è narcisista”! Mi ha sparato e ha
aggiunto:“è un'abilissima seduttrice che usa l'arma della colpevolizzante e micidiale
manipolazione del tuo cuore e della tua testa”!
Grazie! E allora?
“Pazzo
uomo, allontanati da lei! Questi soggetti, Marì è un prototipo da manuale, sono
inguaribili masochiste e presuntuose ... presunte salvatrici di chi non vuole
per nulla essere né salvato né cambiato.” Si ferma, come se avesse trovato
un indirizzo che non trovava da chissà quanto in fondo alla tasca, si volta, mi
guarda dritto negli occhi e spara: “Dimenticavo: il narcisista seduce non
perché è interessato alla “vittima”, ma perché più vittime ha, più bella figura
fa”.
Cazzo!, ora capisco il discorso dei rami secchi che vanno tagliati e della
potatura che lei mi fa spesso, come un disco rotto.
Non sto straparlando, sono i suoi discorsi.
Tre o
quattro volte sono riuscito a portarla da uno strizzacervelli, ma lei riesce a
truffare anche quelli più smaliziati e preparati. Se nasco di nuovo, voglio fare
lo psicologo, tanto, per questa professione ricca, basta saper ascoltare e fare qualche test di colori e di
macchie strane, e ti becchi dei bei cachè, come rate di un mutuo perenne
che i pazienti ti devolvono senza lamentarsi o protestare. Devono solo sdraiarsi e parlare un ora, per dirti cose che potrebbero dire a chiunque altro essere umano, ma non lo fanno perchè hanno paura, vanno dal loro confessore a pagamento.
Solo
quando non ne puoi più, stacchi la spina e li mandi da dove sono venuti con una
parcella e un consiglio di quelli che si trovano su quelle belle macchinette da
luna park, dati da la sibilla che a soli 2 euri ti consegna un fogliettino di carta
con filastrocche e segnali di fumo a cui tu credi come un allocco!
Alla fine
della giostra la frase che ci rappresenta come genere umano è: Chi non ha
peccato scagli la prima pietra e qua tutti dovremmo restare fermi, ma siccome,
siamo inguaribili bugiardi patologici, armiamo il nostro braccio e spariamo.
Tanto, tutti lo sanno, tutti lo fanno, tutti hanno scheletri negli armadi,
tutti sono narcisisti e arroganti, tutti, nessuno escluso.
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