Miracolo
a Torrazza
L’estate
siciliana spinge gli uomini al mare. L’oceano nostro, il Mediterraneo, che da
millenni è culla della civiltà classica, oggi nasconde nel suo grembo materno
le storie degli uomini e degli animali che l’hanno attraversato o ascoltato.
Arriva sempre per
noi, popolo di queste acque, il tempo che senti nel cuore il desiderio di
viverlo e di abbandonarti tra le sue braccia, ricche d’amore e, allo stesso
tempo, di pietà per tante anime in pena, per quelle figlie e quei figli che si
sono persi attraversandolo, nel disperato tentativo di raggiungere una delle
sue rigogliose sponde.
Il figlio
dell’Oceano, disegna la vita e la morte ed è madre compassionevole. È il litorale
degli eroi e dei migranti, dei delfini e dei tonni, ma, soprattutto, è la
Grande Madre che ama le sue creature, tutte.
Il luogo che vi
racconto è un piccolo paradiso residuale che, ancora, resiste alla speculazione
e alla devastazione degli uomini malvagi, quelli che non sanno coniugare il
verbo dell’amore ma solo quello, più stupido, dell’odio e dell’avidità. Il buon
Leonardo Sciascia li avrebbe collocato nella categoria dei quaquaraquà!
Una spiaggia,
quindi, dell’estremo ovest della Sicilia: Torrazza! Oasi ambientale!
In
quest’arenile, in un giorno infrasettimanale di un’estate di sempre, accadde
quello che la gente, il popolo delle leggende, battezzò: il miracolo di Torrazza.
* * *
La
giornata era estiva e si presentava agli uomini e a tutte le creature con una
cappa di calore e di scirocco, fin dall’alba. Mamma e figlioletta, una
deliziosa creatura di due anni, decisero di andare a mare, il papà non poteva
accompagnarle, era a lavoro.
Quel
giorno mamma e figlia volevano uno spazio tutto loro, non avevano voglia di
stare in lidi pieni di confusione o nelle solite spiagge attrezzate. Così,
presi l’ombrellone e una borsa con i viveri di sopravvivenza, la sacca
frigorifera e i giochi del mare, si misero in auto e andarono da Marsala, casa
loro, alla plaja di Petrosino Torrazza, un viaggio!
Entrare nella strada sterrata, piena di buche e pietre, che porta fino all’arenile
è faticoso, ma il gioco vale la candela.
L’ampio litorale
era quasi deserto a quell’ora del mattino. Solo, a qualche centinaio di metri
di distanza, un ombrellone copriva lo sforzo d’immaginazione di un pescatore
che lanciava le sue esche al mare per catturare pesci.
La mamma, fermò la
macchina nel posto più vicino possibile. Prese l’ombrellone, sciolse dal suo
seggiolino la piccola e la accompagno in spiaggia. Lei, felice, la apostrofò: mamma, mamma ciuf ciuf!
Ciuf ciuf era il nome che la bimba dava al mare, onomatopeico.
Presto, piantato l’ombrellone e sistemate le borse e lo sdraio, si disposero a
godere del benefico ristoro del mare e della carezza del sole.
* * *
Nel
Mediterraneo vivono tanti pesci e tanti altri mammiferi e piante. Uno in particolare,
un delfino, nel suo viaggio senza sosta dalla Sardegna all’Africa, spesso
passava davanti alla spiaggia di Torrazza!
I
delfini, com’è noto, sono simili, per molti versi, agli esseri umani. Vivono in
società. Hanno un loro linguaggio, una lingua fatta di suoni armoniosi e
modulati, sanno esprimere i sentimenti.
L’individuo,
di cui vi racconto un tratto di vita, per molti anni era sempre andato appresso
ad una delfina a cui faceva il filo e
che era diventata la sua compagna e sua moglie e gli aveva regalato tre maschi
e due femmine. Lei, la delfina, da qualche tempo lo trascinava con sé nelle sue
avventure, ma spesso, nel più bello, lo lasciava per correre con altri delfini.
Il nostro Tursiope innamorato ne soffriva e, mi ha raccontato un Saraco Reale, una volta gli anemoni
di scoglio lo avevano visto isolarsi e piangere.
Non mi chiedete come fa un delfino a piangere, io ci credo!
Ogni
volta lei, la bella mammifera, ritornava verso di lui, satolla dei suoi guappi,
e, come per incanto, cancellava dai suoi occhi la tristezza e lui si vestiva di
sorrisi.
Purtroppo,
la storia, ormai da qualche anno si ripeteva, lei lo lasciava per correre
insieme ad altri delfini più giovani di lui e poi, dopo qualche giorno,
ritornava.
Così,
un giorno, per un ennesimo dolore d’amore, causato dall’abbandono, proprio mentre
si trovava proprio in quel tratto di mare che bagna la bellissima spiaggia di
Torrazza, decise di farla finita. Abbandonò al mare i suoi pensieri e corse
verso il lido per lasciarsi morire in quel piccolo paradiso.
Chissà, dato che i delfini sono mammiferi, le pinne, una volta piedi e
mani, si potevano ritrasformare in arti terrestri e il nostro delfino diventare
un mammifero terrestre con la possibilità di incontrare, camminando per il
Mondo asciutto, un’altra anima graziosa e amorevole, magari una cagnolina o...
Insomma, il tursiope innamorato volse per l’ultima
volta il suo sguardo verso l’amata che si lanciava in giochi amorosi con altri
delfini, ignorandolo a bella posta, pianse tutte le sue lacrime e poi, con
colpi precisi di coda, si lanciò verso riva.
* * *
La
bambina, una piccola e deliziosa principessa, giocava sull’arenile. Aveva fatto
un buco nella sabbia, un piccolo cratere, e con un annaffiatoio giocattolo
andava e veniva per il bagnasciuga riempiendolo d’acqua.
La
mamma si era distesa sullo sdraio e armeggiava col telefonino cellulare, conversava
con una sua amica.
Il
sole, lassù, si godeva la scena e il mare, nonostante i suoi sforzi non
riusciva a frenare l’impeto del delfino che voleva morire per amore. Superata una secca, il delfino si voltò ancora una volta
indietro per vedere se la sua compagna si fosse accorta della sua assenza.
Magari lo stava inseguendo per dirgli di non fare quel gesto estremo e per
farlo ritornare nel gruppo. Niente. Lanciò verso di lei i suoi ultrasuoni
d’amore, ma lei non sentì. Così, avvolto solo dal dolore, tornò a puntare
decisamente verso il lido.
Un delfino?! Pensate un po’ alla sua mole e a quella della bambina. Io,
che sono un adulto, scapperei terrorizzato.
Lei
no! La principessina vide emergere, a qualche metro da lei, quella grande testa
e ridendo si avvicinò. La mamma parlava al telefono con la sua amica e non si accorse
della scena che, per uno strano momento di pausa, di quelli che ogni tanto
succedono, si consumava proprio accanto ai suoi occhi. Forse per lo sciabordio
delle acque o per la voce del vento, chissà. Fatto è che la donna non si rese
conto, immediatamente, che la bambina, si era avvicinata al delfino e lo stava accarezzando,
battezzandolo con un nome tutto suo: Nanni!
Il mammifero marino
ora aveva un nome e lo aveva ricevuto da una principessa terrestre! Nanni si
era avvicinato tanto che la sagoma intera della sua testa e una parte del suo
corpo era fuori dall’acqua. La bimba si piegò sui ginocchi per guardare quegli
enormi occhi e ripetè: Nanni, Nanni!
Nanni si era
spiaggiato ad occhi chiusi, ma ora, sentendosi chiamare da una delicatissima e
dolcissima voce infantile li riaprì e la prima cosa bella che vide fu proprio la
principessina, inginocchiata, che lo chiamava insistentemente: Nanni, Nanni!
Fece un respiro e
una fontana d’acqua cadde su di loro. La principessina, per nulla spaventata,
gli carezzò la sua enorme testa, continuando il suo canto: Nanni, Nanni!
Il delfino, allora,
sorrise e così anche il cielo e il mare tirarono un sospiro di sollievo! La
principessina rideva e rideva. Poi si rimise in piedi e torno versò la mamma
per presentarle il suo nuovo amico. Continuava a cantare: Nanni, mamma Nanni!
Nanni
guardò la bimba e il mare e capì, in quell’istante infinito, che il motore
dell’Universo è l’Amore e che questo, spesso, non è dove lo cerchi, ma ti
troverà sempre e ti riporterà in cielo, con gli eroi di ogni giorno e il tuo popolo
che vive. Diede un grosso colpo di coda all’indietro e si infilò in un canale
d’acqua che gli permise, grazie all’alta marea, di ritornare in quel mare che
lo aspettava a braccia aperte.
La bambina si voltò
verso il mare e vide Nanni che saltando da un onda all’altra la salutava e le
rimandava quella carezza e quei baci che sono propri delle creature semplici:
quelle che amano.
La madre vedendo
quella scena abbracciò la figlioletta diletta e, insieme salutarono il tursiope
che riprendeva il largo. All’amica che stava in ascolto, raccontò che la sua bimba
aveva parlato con un delfino e questo la salutava di rimando, saltando felice
tra le onde!
Da
lì al miracolo della Torrazza la strada fu molto breve! Così nascono le leggende, ma
una cosa vivrà fino alla fine dei nostri giorni, un magnifico insegnamento:L’amore,
quello vero, è semplice come il sorriso di un bambino!
Solo una
cosa volevo aggiungere, amato pubblico, con vostra licenza: L’amore trova
sempre la sua strada, devi solo saperlo ascoltare. Apri gli occhi e vedrai che
lui è vicino a te e ti aspetta con un sorriso, senza chiederti niente di più
che un altra gioia sincera del tuo cuore!
Ugo Arioti,
27/07/2014 – Alla
mia splendida Donna e ai nostri cari figli e nipoti, tutti.