Ritardi, errori e
cause perse
Come Crocetta ha buttato oltre un miliardo
Come Crocetta ha buttato oltre un miliardo
La lentezza nella spesa dei Fondi Pac farà tornare a Roma 273 milioni
per il 2015 e 800 milioni nel triennio. Persi anche i soldi destinati ai Beni
culturali, mentre incombono sulla Regione mega ricorsi. Nella Formazione le
sentenze del Tar costeranno 62 milioni.
di Accursio
Sabella (livesicilia.it)
I fondi Pac tornati a Roma
I primi giorni di aprile il direttore generale dell'Agenzia per la Coesione Territoriale Maria Ludovica Agrò scrive al presidente della Regione Crocetta, al suo capo di gabinetto Giulio Guagliano e alle Autorità di gestione per la programmazione del Fondo sociale europeo e del Fondo per lo sviluppo rurale. Come abbiamo raccontato in un numero del mensile S del maggio scorso, nella nota del dirigente dello Stato si fa riferimento alla “individuazione delle risorse Pac oggetto della riprogrammazione”. In pratica si parla dei soldi che il governo centrale “sottrarrà” alla Sicilia, in ritardo per la spesa dei Fondi del Piano di azione e coesione. Il governo Renzi, con la legge di stabilità ha deciso infatti di assegnare tre miliardi e mezzo alle aziende per contribuire gli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato. Per reperire quei soldi, l'esecutivo centrale ha deciso di utilizzare le somme “non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014”. E il ritardo della Regione è enorme.
Degli oltre due miliardi destinati alla Sicilia, infatti, al 30 settembre del 2014 non era stato speso più di 1,6 miliardi di euro. Ma lo Stato all'Isola farà uno sconto, salvaguardando una fetta dei finanziamenti in qualche modo impegnati entro la fine dell'anno solare o quelli per i quali era stato avviato l'iter. Così, solo per il 2015, la cifra che la Sicilia è riuscita a farsi scappare ammonta a 273 milioni. Di questi, ben 112 milioni erano quelli destinati al “Piano giovani”.
Ma il “danno” per i siciliani non si limita a quei 273 milioni. E non riguarda solo il 2015. Altri 66 milioni sono stati persi per quanto riguarda il 2016, 307 milioni per il 2017 e oltre 153 milioni per il 2018. Un totale di 800 milioni di euro. Destinati, tra le altre cose, anche alle infrastrutture siciliane (tra gli interventi previsti anche quelli destinati al completamento dell'autostrada Siracusa-Gela), all'ammodernamento dell'Isola (compresa la diffusione della banda larga), alle scuole e agli asili nido.
Addio ai soldi per i beni culturali
Ma non solo fondi Pac. Due giorni fa il quotidiano Repubblica dà la notizia della perdita di 22 milioni di euro che l'Europa aveva destinato al recupero di alcuni importanti siti culturali siciliani. L'assessore Antonino Purpura si è difeso: l'assessorato ai beni culturali, nonostante gli oltre 3 mila dipendenti, manca di "tecnici", e necessiterebbe di esterni, mentre quei progetti sarebbero stati ereditati dal precedente assessore Maria Rita Sgarlata (che smentisce questa affermazione, attaccando Purpura) in condizioni critiche e già in grave ritardo. A prescindere dalle responsabilità, però, i soldi sono tornati indietro con un decreto del governo centrale. E adesso anche i privati che avevano investito in quei progetti si preparano a far piovere sull'assessorato i ricorsi.
Una situazione che, per certi aspetti, è simile a quella che deriva da un recente sentenza della Corte Costituzionale. La Consulta, pronunciandosi su un ricorso avanzato da un gruppo di aziende che si occupano della gestione di siti culturali e museali, ha ritenuto “illegittima” la revoca, da parte del governo Crocetta, di un mega-bando voluto dall'esecutivo di Raffaele Lombardo. Gare per i “servizi aggiuntivi” nei musei, bandite nel 2010 e aggiudicate già nel 2012. Per milioni di euro. Ma il governo Crocetta alla fine del 2013 ha deciso di fermare tutto: quelle gare, secondo il presidente, erano viziate dall'assenza di una norma sugli appalti: quella che imponeva l'obbligo del “conto corrente dedicato”. Una norma regionale approvata due anni prima che, secondo Crocetta, doveva rappresentare un argine alla possibile infiltrazione di Cosa nostra e della criminalità organizzata in quel settore. Una scelta seguita dall'intenzione, manifestata dal governatore, di inviare i tanti precari siciliani nei siti culturali dell'Isola. Ma per la Corte costituzionale, la revoca di quelle gare è illegittima. Per un anno e mezzo, così, alcune tra le più grandi società che si occupano di cultura in Sicilia e in Italia sono rimaste “al palo” nonostante avessero vinto un bando pubblico. E adesso sono pronte a presentare al governo Crocetta una richiesta di risarcimento milionario. Persino difficile da quantificare.
Le cause perse nella Formazione
E il governo dovrà sborsare ancora un bel po' di milioni a causa degli interventi apparentemente “moralizzatori” operati nel settore della Formazione professionale. Perché nel frattempo sul governo Crocetta continuano a piovere sentenze dei tribunali amministrativi sfavorevoli all'amministrazione regionale. Se tutto andrà male, la Regione sarà costretta a reperire altri 62 milioni di euro. Dei 339 milioni del “Piano giovani”, la maggior parte (310 milioni) riguarda il finanziamento dei corsi ex Avviso 20, oltre che dei tirocini formativi dei ragazzi. Ma quella voce, scrive il governo regionale in una recente delibera, va modificata. “Le diverse pendenze giudiziarie – si legge infatti - potrebbero portare a un maggiore fabbisogno finanziario di euro 62,7 milioni e a una rideterminazione complessiva di 372,7 milioni di euro”. Dove e come verranno recuperati questi soldi, invece, non è molto chiaro. Intanto, come detto, le sentenze continuano a dare torto al governo Crocetta. Solo l'ultima, quella che ha dato ragione al Cefop sulla cessione al Cerf costerà alla Sicilia circa 32 milioni di euro. Altri 16 milioni andranno invece restituiti a enti inizialmente privati dell'accreditamento, poi restituito dai giudici amministrativi. E altri 14 milioni “ballano” per cause ancora pendenti.
La rinuncia ai contenziosi
Un quadro desolante. Al quale va aggiunto ovviamente il caso più eclatante. Era il giugno del 2014 e il governatore si recava al Ministero dell'Economia accompagnato dall'allora assessore Roberto Agnello (che sarebbe rimasto in giunta appena sei mesi da quel momento) per firmare un accordo con lo Stato che avrebbe “salvato” i conti della Regione. “La Regione si impegna a ritirare, entro il 30 giugno 2014, - questo il testo dell'accordo - tutti i ricorsi contro lo Stato pendenti dinnanzi alle diverse giurisdizioni relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica, promossi prima del presente accordo, o, comunque, a rinunciare per gli anni 2014-2017 agli effetti positivi sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali pronunce di accoglimento”. Una decisione che ha consentito di reperire circa 530 milioni (ancora da incassare interamente, tra l'altro), ma che si è subito tradotta in un autogol. La Corte costituzionale, infatti, con una sentenza depositata il 17 aprile ha riconosciuto alla Sicilia (e alle altre Regioni a Statuto speciale che avevano avanzato un analogo ricorso) il diritto a incassare le entrate relative alle accise sull'energia. Somme che invece, dal 2012, col decreto “Cresci Italia” il governo romano aveva avocato a sé. Per un totale, in questo caso, di 235 milioni annui per le Regioni interessate. La quota annuale spettante alla Sicilia si aggirava intorno ai 73 milioni di euro, da moltiplicare per sei anni. Entrate legittime, alle quali il governo ha già deciso di rinunciare. Insieme a quelle che eventualmente scaturiranno da nuove pronunce favorevoli all'Isola. Un lusso che la Sicilia dei ritardi, degli errori e degli strafalcioni non può permettersi.
Nessun commento:
Posta un commento