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La scuola di ecologia Culturale è un luogo di scambio di esperienze e di costruzione di tecniche democratiche e pacifiche per lo sviluppo sostenibile delle società umane e si muove per realizzare iniziative (prevalentemente in partnership) per l’educazione dei giovani (la scuola del territorio e uno dei partner naturali della scuola) e lo sviluppo di un capitale umano di eccellenza che dovrà essere protagonista dello sviluppo culturale ed economico delle società e dei popoli Euro Mediterranei.
lunedì 30 maggio 2016
“ARTE=AMBIENTE” maggio a Massafra Il Corifeo
venerdì 27 maggio 2016
'Mpalemmu è a scena!
Palermteatranima del genio
E chi l’avrebbe detto mai, che questo luogo, antico
come i tempi, sia invalso e intriso e sviscerato dentro
il motivo essenziale del teatro. Siamo nati per far scena
facciamo spettacolo, allora! Ecco Palermo, la città teatro
che ha l’anima da prima donna e vive le cornici del Mondo,
come è scritto e come narra il genio .... capitale di un regno
e sorella del Sole che la mise al centro della tragedia per
trasformarla in commedia dell’Arte!
Ugo Arioti
domenica 22 maggio 2016
Sensazionale prima alla Vittorietti di Riccardo Ascoli
La saletta della Biblioteca Etnostorica, venerdì 20 maggio, è stata la sede della prima del documentario di Riccardo Ascoli sul teatro di figura. Il teatro si arrampica sul muro ha tenuto gli spettatori sospesi per un ora sul magnifico mondo della fantasia e delle ombre che parte dalla preistoria e giunge ai nostri giorni, con una carica e con una forza immaginifica sempre maggiore. Ascoli, che ha studiato ed elaborato questo mirabile quadro sintetico e completo del teatro di figura ci ha trasportato nel mondo dell'anima, un città di ombre e luci che spesso raccontano più intensamente e più intrinsecamente la natura spirituale e cosmica della vita. il successo di questa rappresentazione, tra filmati e slide, tra parole e maschere, burattini e oggetti che prendono vita e anima attraverso una luce che li raccoglie e li ordina in figure, ci spinge a riproporre questo documento, così vasto e così raccolto, nella seconda parte del programma annuale, sul percorso del teatro.
A far da contorno e da cornice al documentario una mostra di foto dello stesso autore che illustrano il suo lavoro attraverso le maschere, gli oggetti di scena e i burattini, raccolti in questi due anni di intensa attività da Ascoli, un museo del teatro di figura.
Ugo Arioti
venerdì 20 maggio 2016
Al Mezzogiorno non basta la salute: fanalino di coda Ue per competitività
Uno studio dello Svimez dà
la pagella al Sud in base a nove indicatori. Voti simili a Est Europa,
Grecia e Penisola iberica: bocciate infrastrutture, istruzione,
preparazione tecnologica, mercato del lavoro, istituzioni. Svetta solo
per benessere fisico
di RAFFAELE RICCIARDILa corposa pubblicazione "Divari di competitività tra regioni durante la sovereign debt crisis: il Mezzogiorno tra resistenza e resa" di Massimo Aria, Giuseppe Lucio Gaeta e Ugo Marani analizza nove "dimensioni di competitività" che compongono il Regional Competitiveness Index della Commissione europea. Si guarda a 255 aree territoriali appartenenti a 27 Paesi europei e al loro andamento nel periodo 2010-2013. In Europa, le zone analizzate del Mezzogiorno sono allineate per risultati alle regioni della Bulgaria, dei Paesi dell'Est Europa come Ungheria, Polonia Romania, Slovenia, Slovacchia (ad eccezione delle aree delle rispettive capitali), della Grecia (ad eccezione di Atene) e a un nutrito gruppo di regioni di paesi quali Repubblica Ceca, Portogallo, Spagna.
AREE | ||||
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Qualità Istituzioni | Infrastrutture | |||
2010 | 2013 | 2010 | 2013 | |
Mezzogiorno | 40,3 | 36,66 | 45,8 | 41,64 |
Centro | 40,3 | 40,82 | 49,23 | 47,47 |
Nord | 40,3 | 43,37 | 48,63 | 50 |
Europa | 51,2 | 51,48 | 48,14 | 48,03 |
Benessere fisico | Istruzione superiore | |||
2010 | 2013 | 2010 | 2013 | |
Mezzogiorno | 55,88 | 54,33 | 40,96 | 40,32 |
Centro | 56,28 | 55,47 | 46,5 | 44,85 |
Nord | 53,18 | 55,07 | 41,49 | 41,88 |
Europa | 49,56 | 49,47 | 48,96 | 49,62 |
Eff. Mercato lavoro | Dimensione mercato interno | |||
2010 | 2013 | 2010 | 2013 | |
Mezzogiorno | 36,46 | 37,74 | 44,24 | 43,37 |
Centro | 47,95 | 48,41 | 50,5 | 49,37 |
Nord | 53,2 | 52,91 | 50,56 | 51,73 |
Europa | 50,34 | 50,44 | 46,03 | 47,99 |
Preparazione tecnologica | Business sophistication | |||
2010 | 2013 | 2010 | 2013 | |
Mezzogiorno | 42,35 | 37,33 | 39,99 | 48,52 |
Centro | 44,4 | 40,13 | 48,7 | 52,89 |
Nord | 44,6 | 40,24 | 49,82 | 51,75 |
Europa | 50,31 | 50,57 | 47,31 | 47,31 |
Innovazione | ||||
2010 | 2013 | |||
Mezzogiorno | 43,19 | 40,68 | ||
Centro | 48,05 | 46,1 | ||
Nord | 49,16 | 47,2 | ||
Europa | 48,61 | 48,91 |
Guardando la pagella riportata in tabella, che fa riferimento a una scala da 1 a 100, "il Sud rispetto alla media Ue registra un forte gap nella maggior parte degli indicatori". Le situazioni più critiche si rintracciano alla voce delle infrastrutture, per le quali il Sud si è fermato nel 2013 a 41,6 (in calo di 4 punti percentuali rispetto al 2010) a fronte del 48 della media Ue e del 50 del Nord Italia. Male anche la voce dell'innovazione, che segue un simile andamento, e quella dell'istruzione superiore. Ma peggio ancora accade nella preparazione tecnologica (37,3 nel 2013, in calo di 5 punti rispetto ai 42,3 del 2010, ben lontani dai 50,5 della media Ue), nell'efficienza del mercato del lavoro (37,7 al Sud contro una media Ue di 50,4 e di 52,9 al Nord Italia nel 2013) e nella qualità delle istituzioni: qui il Sud si ferma nel 2013 a 36,6, in calo rispetto al 2010 (40,3) e distante dalla media Ue di 51,4.
Gli unici spunti positivi riguardano la business sophistication, intesa come specializzazione settori quali intermediazione finanziaria e attività relative ai beni immobili, affitti, intermediazioni e consulenze, caratterizzati secondo gli studiosi da elevata produttività e capacità di risposta a pressioni competitive. Ma, come accennato, "l'unico potenziale fattore di competitività in cui il Mezzogiorno svetta rispetto alla media Ue è il benessere fisico della popolazione; nel 2013 è leggermente calato, passando dai 55,8 del 2010 ai 54,3 del 2013, ben cinque punti in più della media Ue ferma a 49,4".
giovedì 19 maggio 2016
E' morto Marco Pannella
E' morto Marco Pannella: l'annuncio
a Radio Radicale
con il Requiem di Mozart
Nella
sua casa di via Panetteria, a pochi passi dal Quirinale, lo scorso 2 maggio
Pannella aveva soffiato 86 candeline tra gli amici che non lo hanno mai
abbandonato: in prima fila i due attivisti Matteo Angioli e Laura Harth. Ma
proprio dal quel giorno le sue condizioni si sono aggravate. Lottava con un
tumore al fegato e uno ai polmoni. Una
malattia di cui, per scelta, parlava pubblicamente. Come la sua compagna di
tante battaglie, Emma Bonino:"Mancherà
a tutti, penso persino ai suoi avversari. Molto amato ma poco riconosciuto nei
suoi meriti in questo paese che tanto gli deve", ha detto a Radio Radicale
l'ex ministro degli Esteri. "Credo che ora molti dovrebbero
riflettere, ora che non è più in vita, sui suoi meriti e la sua presenza nella
storia di questo Paese".
Uscire dai confini
100 anni dopo Kiental
Uscire dai confini
Alla
vigilia della Prima guerra mondiale le masse che si erano opposte alla
guerra si trovarono a combattere su fronti opposti. Lo stesso movimento
operaio e socialista passò dall’internazionalismo alla logica della
ragion di Stato e nella sua maggioranza votò i crediti di guerra.
di Felice Besostri
Alla
vigilia della Prima guerra mondiale le masse che si erano opposte alla
guerra si trovarono a combattere su fronti opposti. Lo stesso movimento
operaio e socialista passò dall’internazionalismo alla logica della
ragion di Stato e nella sua maggioranza votò i crediti di guerra. Quella
scelta rappresentò la fine dell’Internazionale socialista,
un’organizzazione già percorsa da divisioni ideologiche provocate dal
revisionismo da un lato e dalle tendenze rivoluzionarie dall’altro: una
sfida all’ortodossia socialdemocratica e al suo marxismo minimo.
Una
crisi politica, che significava crisi morale e rinuncia ai valori
tradizionali di solidarietà di classe per adeguarsi al nazionalismo
patriottardo.
Come
allora la crisi fu più acuta in Europa, la culla del movimento operaio e
socialista, anche oggi è in crisi la sinistra in tutte le sue
espressioni a cominciare da quella una volta dominante ed egemonica o,
comunque, maggioritaria nella parte occidentale: il socialismo
democratico. La caduta dei regimi comunisti non ha rafforzato la
sinistra, ma l’ha indebolita complessivamente, basta fare un confronto
tra la UE a 15 negli anni novanta del XIX e quella a 28 del secondo
decennio del XX secolo.
Certamente le insufficienze sono datate da tempo: inesistenza di una
politica economica alternativa a quella imposta a livello planetario dal
capitalismo finanziario e dalle multinazionali, quando con la crisi
economica e finanziaria ha reso impossibile il mantenimento dello stato
sociale. Tuttavia è ancora una volta nel tradimento dei principi di
umanità e solidarietà sociale, come 100 anni fa del pacifismo e
dell’internazionalismo, che segnano la crisi della sinistra e che la
travolge in tutte le sue espressioni, comprese quelle più radicali.
E’
un dato non contestabile che la perdita di consenso elettorale dei
Partiti del PSE, soltanto in minima parte è andato a beneficio di
formazioni alla loro sinistra, piuttosto ha alimentato l’astensione e/o
il populismo xenofobo ed identitario o i partiti conservatori al limite
reazionari come in Ungheria o in Polonia. Dove l’ignavia del PSE ha
colpito in primo luogo il suo partito membro, come il Pasok in Grecia,
l’alternativa di sinistra non ha raggiunto mai la maggioranza assoluta e
ha dovuto accettare compromessi che ne hanno minato l’unità e costretta
ad alleanze con formazioni di centro-destra.
La
più solida e consistente anche temporalmente, come la Linke in
Germania, non è mai uscita dai Länder della ex DDR, ad eccezione della
Saar, e comunque i governi che si basavano su un’intesa SPD- Linke, meno
di quelli numericamente possibili, non hanno quasi mai trovato una
conferma elettorale democratica alla scadenza. Soltanto in Spagna si era
profilata una possibile intesa tra sinistra tradizionale PSOE e nuova
(Podemos e sue varianti), fallita e rimandata ad una prova d’appello,
molto più difficile, se non vengono sconfitti l’autosufficienza
socialista andalusa e il secessionismo a egemonia borghese della
Catalogna. A differenza di 100 anni fa alle frontiere non si scavano
trincee dalle quali spararsi reciprocamente, ma si erigono muri verso
masse di disperati e si stipulano accordi di contenimento, come con la
Turchia, con costi economici, per non parlare di quelli umani, superiori
a quelli di un’integrazione programmata e una politica di corridoi
umanitari. Su questo l’Europa si gioca il suo futuro, ma il fallimento
di quest’Europa, che l’ha cercato e meritato, non aprirà nuovi spazi
alla sinistra, ma alla destra come dimostrato dai successi della FPÖ al
primo turno delle presidenziali austriache.
La
sinistra aveva un progetto federalista europeo, che trova il suo
fondamento, nel Manifesto di Ventotene di Spinelli, Rossi e Colorni, da
adeguare alle sfide epocali e planetarie dei cambiamenti climatici e
alle migrazioni di massa, ma non riscoprire il nazionalismo ammantato da
sovranità democratica e monetaria. L’ex ministro greco delle finanze
Yanis Varoufakis indica una strada di riforma dell’Europa senza
tentazioni nazionaliste, continua una tradizione di federalismo
socialista, la cui massima utopia di era espressa con la parola d’ordine
degli Stati Uniti Socialisti d’Europa nell’immediato secondo dopoguerra
mondiale.
Soltanto l’immaginazione romanzesca di Guido Morselli in Contro-passato prossimo
aveva legato la vittoria dell’Austria-Ungheria nella Prima Guerra
mondiale ad una rivoluzione che avrebbe trasformato la doppia monarchia
nella prima Federazione Socialista Europea, centro della trasformazione
socialista mondiale al posto dell’arretrata Federazione Russa: un
trionfo dell’austro-marxismo sullo stalinismo. Quelle utopie non hanno
più rapporto con la realtà quando e impossibile distinguere i
socialdemocratici austriaci e slovacchi da un fascistoide come Orban,
leader di un partito del PPE.
Cento
anni fa i socialisti che avevano rifiutato la guerra seppero tentare
almeno un riscatto morale e politico organizzando a Zimmerwald nel 1915 e
a Kiental nel 1916 due conferenze internazionali, grazie a compagni
come gli svizzeri Robert Grimm, e Ernest Paul Graber o gli italiani
Oddino Morgari, Giuseppe Emanuele Modigliani, Costantino Lazzari e
Giacinto Menotti Serrati, ma guidati dall’ebrea ucraina, naturalizzata
italiana, Angelica Balabanoff.
mercoledì 18 maggio 2016
Il senso dell’arte e il compito dell’artista
Il senso dell’arte e il compito dell’artista
Noi siamo liberi. E ci rifiutarono
dove ci credevamo ben accolti.
R. M. Rilke, Sonetti a Orfeo 2, XXIII
dove ci credevamo ben accolti.
R. M. Rilke, Sonetti a Orfeo 2, XXIII
Ritengo che si possa essere d’accordo sul fatto che l’arte sia, innanzi tutto, una forma di comunicazione, oltre che un atto creativo, libero e liberante, che ci consente di esprimere noi stessi e di plasmare la realtà secondo un punto di vista personalissimo, perciò critico. Già Croce parlava in senso artistico di “un’intuizione che si fa espressione” , ma, certamente, critico vuol dire anche, in senso sartriano, “non neutrale” , cioè che prende posizione politica.
La creazione artistica è, indubbiamente, una forma di linguaggio autonomo che interpreta e che conosce il mondo. Lontano dall’idea di un’arte meramente decorativa o mimetica, l’intellettuale esprime con il suo canone un punto di vista, un insieme di significati che lui stesso rinviene nella realtà.
Anche quando l’arte è intimista, penso si possa parlare di angolo privilegiato della ricerca estetica che, senza mediazioni logico-deduttive, si fa specchio del mondo o, comunque, di un universo, di un cosmo in cui l’artista è l’artefice di una visione originale che lo avvicina al lettore nel momento del godimento del bello, nella fruizione dell’opera. Se così non fosse, non si realizzerebbe il fine principale dell’arte che è, come dicevo prima, quello di comunicare. Accade che il lettore trovi nel testo artistico, scritto o visivo o sonoro che sia, anche significati diversi da quelli che l’autore voleva intendere: ma ciò è sempre comunicazione, risveglio, tensione intellettuale ed etica, distacco e distanziamento dalla realtà, prospettivismo.
Rosaria Di Donato
martedì 17 maggio 2016
Lealtà sportiva. Etica e diritto
Lealtà sportiva. Etica e diritto
Written by Giuseppe Alamia.
1. Fair play, il modo
vincente.
2. La lealtà sportiva: nozione. -
3. La lealtà sportiva:
ambito soggettivo. -
4. La lealtà sportiva tra ordinamento sportivo e
ordinamento statale.
Cenni sul rapporto tra ordinamenti.
1. Fair play, il modo vincente.
“Fair
play, il modo vincente (chi gioca lealmente è sempre vincitore)”: così
inizia e si conclude il Codice di Etica Sportiva del Consiglio d’Europa,
adottato a Rodi il 13-15 maggio 1992 dai Ministri europei responsabili
per lo Sport.
Il bisogno di etica rappresenta un dato oggettivo.
Si
avverte in modo sempre più pressante l’esigenza del rispetto delle
regole intrinsecamente deontologiche in un mondo – quale quello dello
sport – in cui si assiste alla “irresistibile ascesa dell’aggressività” e in cui pare si vada “a gamba tesa su de Coubertin”.
Infatti,
per un verso, si propongono e si affermano nuove pratiche che, pur
definite sportive per attribuire loro una patente di liceità e di
meritevolezza di tutela, mortificano l’uomo in un crescendo di
cattiveria e di aggressività .
Per altro
verso, anche nelle pratiche sportive tradizionali si assiste ad una
sorta di imbarbarimento, per cui si tenta di far diventare
l’aggressività una componente necessaria ed imprescindibile del gioco,
quasi una regola di gioco .
In un
simile scenario, si comprende come i principi etici ed il rispetto delle
regole che li contemplano, prima fra tutte quella della lealtà,
rivendichino prepotentemente il loro ruolo al fine di non consentire lo
snaturamento stesso dello sport.
Invero, il principio di lealtà sportiva non può qualificarsi come un principio etico tout court in quanto lo stesso ha un’intrinseca connotazione giuridica.
Dunque,
la codificazione non serve ad attribuire valenza giuridica ad un
precetto che già la possiede congenitamente ma mira, verosimilmente, a
garantire una più esplicita e manifesta valenza all’essenza
imprescindibile di tutta l’attività sportiva.
In tale
contesto si pone il Codice di comportamento sportivo deliberato dal CONI
il 15 luglio 2004, nel quale vengono specificati “i doveri fondamentali
di lealtà, correttezza e probità” e si prevede che la violazione di
tali doveri costituisca “un grave inadempimento meritevole di adeguate
sanzioni”.
Peraltro, al fine di rafforzarne la portata applicativa, è stato
istituito un Garante del Codice di comportamento sportivo con compiti di
vigilanza, di segnalazione, di istruzione e di irrogazione di sanzioni.
Il
principio di lealtà sportiva, in tal modo, si cristallizza in regole
scritte, la cui violazione origina l’attivazione di un ben definito
procedimento sanzionatorio.
Tuttavia,
la stessa norma non ha un contenuto definitorio e, pertanto, assume
interesse una riflessione sul principio di lealtà sportiva quale
autonoma entità concettuale.
2. La lealtà sportiva: nozione.
Il
principio di lealtà sportiva, per sua stessa natura, non può avere una
vera e propria definizione; non può essere coartato attribuendovi un
contenuto preciso, definitorio e, dunque per ciò stesso, limitativo.
Il principio di lealtà sportiva esprime e riassume in sé lo spirito sportivo e le finalità dello sport.
“Fair play significa molto più che giocare nel rispetto delle regole.
Esso incorpora i concetti di amicizia, di rispetto degli altri e di
spirito sportivo. Il fair play è un modo di pensare, non solo un modo di
comportarsi. Esso comprende la lotta contro l’imbroglio, contro le
astuzie al limite della regola, la lotta al doping, alla violenza (sia
fisica che verbale), allo sfruttamento, alla disuguaglianza delle
opportunità, alla commercializzazione eccessiva e alla corruzione”.
Esso,
quindi, sotto un primo profilo, qualifica l’attività sportiva:
costituendo l’essenza dello sport, deve ritenersi che una pratica o un
comportamento possano qualificarsi sportivi solo se sono informati al
principio di lealtà. Da ciò consegue, a contrario,
che la pratica o il comportamento “sleali” si pongono fuori dello
spirito sportivo e non possono rientrare nell’attività sportiva, potendo
essere ricompresi solo nell’attività di diritto comune.
Sotto un
secondo profilo, inoltre, il principio di lealtà sportiva assume il
ruolo di strumento di valutazione della pratica o del comportamento al
fine di una sua qualificazione in termini di attività “sportiva”. A
prescindere dal rispetto delle regole tecniche, un comportamento può
porsi al di fuori dell’attività sportiva allorché non rispetti il
principio di lealtà sportiva; del pari, un comportamento che violi una
regola tecnica non può, per ciò stesso, essere considerato sleale e,
dunque, non sportivo. Ovviamente, la valutazione va operata caso per
caso alla luce di un’analisi sistematica dell’ordinamento sportivo,
senza che possa negarsi una certa discrezionalità.
Soltanto
alla luce di tali profili, la lealtà sportiva perde la propria
intrinseca connotazione di principio privo di specifico contenuto
definitorio per inverarsi nella definizione e nella valutazione dell’attività
sportiva. D’altronde, l’indeterminatezza propria del concetto di lealtà
sportiva rende il principio funzionale all’ordinamento sportivo,
consentendone un’applicazione anche a casi non specificamente previsti
ed enucleati.
Il
principio di lealtà sportiva, dunque, costituisce il limite insuperabile
e, insieme, il comune denominatore delle attività sportive.
Talvolta è
stato affermato che il Codice di comportamento sportivo sia l’atto
“attraverso il quale i principi etici acquistano uno specifico rilievo
giuridico nel mondo sportivo”.
Tuttavia,
ancor prima dell’emanazione del Codice di comportamento sportivo ed a
prescindere da essa, al principio di lealtà sportiva poteva e può
attribuirsi la natura di principio, oltre che squisitamente etico, anche
giuridico.
Trattandosi
di principio informatore dello stesso ordinamento sportivo, tale da
poter essere qualificato come essenza dell’attività sportiva, non si può
negare che lo stesso abbia sempre rivestito una forza cogente in
siffatto ordinamento.
Segnatamente,
la lealtà sportiva ha sempre configurato una regola di comportamento di
indubbio valore giuridico, imponendo un preciso obbligo di condotta
leale e corretta.
Da ciò consegue che la violazione di tale obbligo è sempre stata
oggetto di valutazione ai fini delle decisioni disciplinari e
sanzionatorie.
In altri
termini, si tratta di una norma codificata nel Codice di comportamento
sportivo, ma che comunque ha sempre tutelato l’ordine giuridico sportivo
quale norma fondamentale di tale ordinamento.
Infatti, in ambito sportivo può generalmente ravvisarsi un costante e
stringente obbligo di rispettare il principio di lealtà e correttezza,
la cui violazione integra e ha integrato un illecito sportivo. Basti
considerare che l’illecito tipico costituito dalla frode sportiva,
caratterizzato da inganno, astuzia o raggiro, rappresenta una violazione
dell’obbligo di lealtà sportiva.
L’inserimento
nel Codice di comportamento sportivo ha solo, dunque, cristallizzato un
principio giuridico immanente ed operante nell’ordinamento sportivo.
D’altronde,
tale principio era già contenuto in numerosi atti normativi sportivi. A
titolo esemplificativo, si può menzionare il punto 6 dei principi
fondamentali della Carta olimpica, statuto dell’ordinamento sportivo
internazionale, che recita testualmente: “Le società e le associazioni
sportive sono soggetti dell’ordinamento sportivo e devono esercitare con
lealtà sportiva le loro attività, osservando i principi, le norme e le
consuetudini sportive, nonché salvaguardando la funzione popolare,
educativa, sociale e culturale dello sport”.
Chi, come Carnelutti,
vede incompatibilità tra diritto e sport sostiene che sia il fair play e
non la norma a governare lo sport. La lealtà sportiva, dunque, posta in
contrapposizione netta rispetto al precetto giuridico.
E Marini,
in un suo scritto, ricorda come “M.S. Giannini afferma che i principi
etici nell’ordinamento statale rimangono principi etici, mentre si
trasformano in principi giuridici nell’ordinamento sportivo”.
Di certo, la natura dei precetti deontologici – qual è il principio di lealtà sportiva – è stata sempre discussa.
Spesso le norme deontologiche sono state ritenute precetti extragiuridici,
vincolanti soltanto nel momento in cui vengono violati e sanzionati:
“non è la norma in sé, ma la sua violazione, che è produttiva di effetti
giuridici”.
Dunque, regole interne che, come fonti metagiuridiche, non possono
trasformarsi in fonti dell’ordinamento giuridico statale, in mancanza di
un’espressa previsione legislativa.
In altri
termini, può fondatamente ritenersi che il principio di lealtà sportiva
abbia un significato pregiuridico in quanto risente di una indubbia
identificazione con stati etici. Tuttavia, anche a voler attribuire alla
lealtà sportiva la nozione di fatto giuridico, cioè fatto dell’ordine
naturale, valutato dal diritto,
e quindi il significato di una regola geneticamente non giuridica, non
può negarsi che la stessa sia giuridicamente rilevante e, pertanto,
pacificamente la sua violazione determina l’irrogazione di sanzioni
giuridiche.
D’altronde,
un principio pregiuridico e di connotazione etica può ben ritenersi
giuridicamente rilevante quale regola di condotta.
Il
principio di lealtà sportiva, invero, oltre a costituire un principio
etico, ben può riportarsi nell’alveo giuridico delle clausole generali.
Così come ritenuto in dottrina con riguardo al principio di correttezza
e di buona fede in senso oggettivo, si tratta, da un lato, di una
regola di comportamento oggettivamente valutabile e, dall’altro, di un
parametro di valutazione della legittimità di un comportamento.
La lealtà
sportiva, quale clausola generale, ha un contenuto intrinsecamente
precettivo, sia pure elastico, duttile e rimesso alla “concretizzazione”
che ne viene operata dall’interprete. Essa, nell’ordinamento giuridico
sportivo, ha una funzione integrativa, in quanto autonoma fonte di
obblighi, nonché una funzione valutativa, in quanto impone specifici
criteri di valutazione.
Pur non
avendo una portata definitoria compiuta e precostituita, il principio di
lealtà sportiva è proprio la clausola generale che consente al sistema
di essere sempre coeso a prescindere dalle peculiarità delle pratiche
sportive e dal concreto atteggiarsi delle regole tecniche in ciascuno
sport operanti. In tal senso, come è stato evidenziato dalla dottrina
relativamente al principio generale della correttezza e della buona
fede, con il quale sono evidenti l’analogia e l’assimilabilità
concettuale, può ritenersi che la lealtà sportiva rappresenti una
clausola di “chiusura” del sistema, “poiché evita di dover considerare
permesso ogni comportamento che nessuna norma vieta e facoltativo ogni
comportamento che nessuna norma rende obbligatorio.”
Essa ha
una funzione, inoltre, integrativa, correttiva e solidaristica: i
comportamenti e le stesse regole sono sempre sottoposti al vincolo di
lealtà alla luce del quale vanno disciplinati, valutati e interpretati.
Peraltro,
non può convenirsi con coloro che ritengono che la clausola generale
sia astrattamente priva di contenuto e che valga come sussidio
interpretativo, per cui acquisterebbe contenuti diversi a seconda della
fattispecie e dell’interprete. Il principio di lealtà sportiva, pur essendo un criterio a contenuto non predeterminato,
postula correttezza, rispetto delle regole e rispetto dell’altro
(avversario, compagno o terzo), che possono atteggiarsi in modo
specifico a seconda della fattispecie concreta, dell’interprete, del
contesto senza però che sia possibile “creare” una lealtà per ogni
singolo caso.
La lealtà
impone correttezza, il cui apprezzamento rimanda al criterio
dell’affidamento e si traduce sempre in precisi doveri di fare o non
fare.
3. La lealtà sportiva: ambito soggettivo.
La qualificazione
del principio di lealtà sportiva quale norma giuridica dell’ordinamento
sportivo pone il problema dell’individuazione dei soggetti destinatari
dell’obbligo che da essa promana e, quindi, della delimitazione
dell’ambito soggettivo di operatività.
In prima
approssimazione, può ritenersi che sono tenuti al rispetto della norma
coloro che fanno parte dell’ordinamento sportivo e che, di conseguenza,
possono qualificarsi soggetti di tale ordinamento.
Considerato
l’ordinamento sportivo come un ordinamento di categoria su base
essenzialmente volontaria, può concludersi che il principio di lealtà
sportiva debba essere rispettato quale regola cogente solo da coloro che
fanno parte di tale ordinamento in forza di un loro atto di volontà. In
simile contesto, solo un atto tipico, quale il tesseramento o
l’affiliazione, può ritenersi idoneo ad attribuire soggettività
sportiva. Ne conseguirebbe che solo i tesserati e gli affiliati, in
quanto soggetti dell’ordinamento sportivo, sarebbero tenuti al rispetto
del principio di lealtà sportiva.
Tuttavia, non può
sottacersi che lo stesso Codice di comportamento sportivo amplia la
propria portata applicativa, oltre che a tesserati e affiliati, anche ad
“altri soggetti dell’ordinamento sportivo”, in tal modo lasciando implicitamente intendere che possano esserci soggetti di tale ordinamento non tesserati o affiliati.
D’altronde, come
precisato, la lealtà sportiva costituisce essenza dello sport e, dunque,
si tratta di un principio insito in qualunque pratica che voglia
definirsi sportiva, sia essa svolta a livello agonistico che a livello
amatoriale. In questo contesto, tutti coloro che operano nello sport, a
qualsiasi livello ed a qualsiasi titolo, assumono una “responsabilità
rispetto al fair play”.
La dottrina più
sensibile, pur consapevole della difficoltà di delimitare
soggettivamente l’ordinamento sportivo, in esso comunque ricomprende
genericamente gli operatori e le istituzioni dello sport, escludendo il
“vasto popolo dello sport” non meglio ed ulteriormente specificato.
Di certo, non può
negarsi che soggetti non strutturati nell’ordinamento sportivo, in
quanto non tesserati o non affiliati, possano di fatto praticare
un’attività sportiva applicando le regole ed i principi che
nell’ordinamento sportivo disciplinano tale attività. Ebbene, i soggetti
che pongono in essere un’attività sportiva accettano e fanno proprio il
principio di lealtà sportiva, essendo esso connaturato a tale tipo di
attività. Quindi anche i soggetti non strutturati sono tenuti
all’osservanza del fair play allorché decidano di praticare un’attività
sportiva.
Del pari, non può
escludersi che vi siano attività motorie, qualificabili come sportive,
pur al di fuori dello sport istituzionalizzato. Anche in questo caso
siamo in presenza di un’attività sportiva, come tale caratterizzata
dalla cogenza del principio di lealtà sportiva.
Sotto un primo
profilo, si può ritenere, dunque, che un’attività sportiva possa essere
svolta da soggetti non affiliati o tesserati.
Sotto un secondo
profilo, si può ritenere, altresì, che un’attività sportiva possa essere
svolta fuori dall’ambito dell’organizzazione del C.O.N.I.
In simile contesto,
il tesseramento o l’affiliazione attribuiscono la soggettività
nell’ordinamento sportivo, così come il riconoscimento di un’attività da
parte del C.O.N.I. è elemento sufficiente a far ritenere sportiva tale
attività.
Tuttavia, il
principio di lealtà sportiva deve ritenersi operante anche con riguardo a
soggetti che, sia pur non strutturati, pratichino un’attività sportiva
ovvero con riguardo a soggetti che pratichino attività qualificabili
come sportive, pur se non istituzionalizzate.
Ciò precisato, è
necessario operare delle ulteriori delimitazioni per evitare che
qualunque fenomeno, che si autodefinisca sportivo, e qualunque soggetto,
non meglio definito, che pratichi una disciplina sportiva, possano tout court farsi rientrare nell’ambito dell’ordinamento sportivo.
Una siffatta delimitazione non può prescindere dalla definizione di attività sportiva, in mancanza di una nozione di sport unanimemente condivisa.
Come ritenuto dalla dottrina,
sotto il profilo oggettivo, un’attività può definirsi sportiva se si
concreta in una competizione svolta secondo regole tecniche prefissate,
che ne disciplinino il contenuto e le modalità di svolgimento, nel pieno
rispetto del principio di lealtà sportiva. Sotto il profilo soggettivo,
l’attività sportiva deve essere svolta, previa adeguata preparazione
fisica, con impegno e serietà d’intenti, perseguendo il fine competitivo
di superamento dei propri record.
A contrario, non
può definirsi sportiva un’attività non disciplinata da regole tecniche
improntate al principio di lealtà sportiva, occasionale, esclusivamente
ludico-ricreativa o effettuata per fini meramente spettacolistici.
In conclusione,
circa l’ambito soggettivo di riferimento, possiamo ritenere che il
principio di lealtà sportiva esplichi la propria forza cogente non solo
all’interno dell’ordinamento sportivo istituzionalizzato e nei confronti
dei soggetti in esso strutturati, ma anche nel contesto di attività
qualificabili come sportive, poste in essere con un fine competitivo da
soggetti organizzati e preparati.
4. La lealtà sportiva tra ordinamento sportivo e ordinamento statale. Cenni sul rapporto tra ordinamenti.
Il
costante dibattito sulla natura dell’ordinamento sportivo è ampio e
variegato. Da esso, peraltro, discende la problematica, avvertita e
discussa dai giuristi, relativa al rapporto tra ordinamento sportivo e
ordinamento statale.
Sta di
fatto che due elementi fondamentali caratterizzano l’ambito sportivo:
per un verso, è inopinabile che lo sport, inteso quale attività
competitiva dettata da regole tecniche uniformi e ispirata al principio
di lealtà sportiva, preesista sia all’ordinamento statale che allo
stesso ordinamento sportivo;
per altro verso, è del pari incontestabile che lo sport abbia un
carattere transnazionale, una vocazione universale che rende il mondo
dello sport disciplinato da regole e comportamenti uniformi in una
dimensione internazionale.
Tali
caratteri attribuiscono all’ordinamento sportivo una spiccata ed
imprescindibile autonomia, di fatto poco compatibile con una eventuale
natura derivata dall’ordinamento statale che ad esso delega la
regolamentazione della materia dello sport.
Sul punto, il contributo della dottrina è articolato e variegato.
L’ordinamento sportivo può ritenersi un ordinamento di settore, come tale autonomo ma non indipendente dall’ordinamento statale; possono coesistere ordinamenti con competenze distinte che si integrano, convergono e si riconoscono reciprocamente.
L’ordinamento statale ha il compito anche di organizzare le autonomie
affidando ad esse l’autodisciplina; l’autogoverno sportivo, preesistente
e dotato di una propria intrinseca giuridicità, viene così riconosciuto
e ospitato nell’ordinamento statale.
In sintesi, l’ordinamento sportivo è “un ordinamento settoriale
nell’ambito del più generale ordinamento giuridico della Repubblica”;
si tratta di un ordinamento che manifesta la propria autonomia
nell’elaborazione di regole vincolanti di comportamento, di
organizzazione, tecniche.
Considerata
la natura internazionale e preesistente all’ordinamento statale, vi è
chi sostiene anche che non soltanto si debba riconoscere autonomia
all’ordinamento sportivo ma addirittura si debba ritenere che esso sia
originario, non ripetendo la propria validità da alcuna fonte superiore .
Pur
riconoscendo ampia autonomia all’ordinamento sportivo, vi è, ancora, chi
lo ritiene una sorta di manifestazione sintomatica del c.d. diritto dei
privati,
disciplinato da norme organizzative di tipo negoziale. In forza del
criterio di sussidiarietà, la materia sportiva diviene di competenza del
regolatore privato; la fonte privata è così abilitata a regolamentare,
in via esclusiva o concorrente rispetto alla legge, uno specifico
settore e gli atti di autonomia regolamentare operano in tale settore
con la stessa forza della legge. Nel sistema delle fonti, di tal guisa argomentando, viene meno la “esclusiva statualità del diritto”
in quanto un posto ed un ruolo vengono assegnati alle cc.dd. fonti di
derivazione privata. In un sistema che riconosce pluralità di fonti,
l’ordinamento statale riconosce ed autorizza la creazione di norme da
parte di autonomie privatistiche; ciò avviene con riguardo alla materia
sportiva. Ne consegue, a ben guardare, che non si può parlare di un
ordinamento sportivo in senso tecnico in quanto esso non dispone di
un’autonoma legittimazione, bensì gode di un riconoscimento da parte
dell’ordinamento statale che gli conferisce autonomia ma non
indipendenza.
Invero, e
non volendo approfondire in questa sede siffatta tematica, non v’è
dubbio che l’ordinamento sportivo debba ritenersi autonomo, a
prescindere dalla natura che allo stesso si voglia attribuire (sia quale
ordinamento in senso tecnico che quale ordinamento in senso lato in una
soluzione privatistica).
Il
problema, dunque, si sposta su un piano diverso: quali confini possono
essere delineati all’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto
all’ordinamento di diritto comune.
Ebbene, il nodo gordiano dei rapporti tra i due ordinamenti non può ritenersi ancora sciolto.
All’ordinamento
sportivo deve riconoscersi una matrice costituzionale e una matrice
transnazionale. L’ordinamento sportivo nazionale, pur se autonomo, vive
nell’ordinamento statale e, pertanto, a questo deve comunque
conformarsi. Ciò, però, non rappresenta un limite all’autonomia bensì,
come sottolineato da accorta dottrina,
costituisce “l’espressione di una modalità di esercizio dell’autonomia
stessa”. D’altronde, non necessariamente autonomia ed indipendenza di un
ordinamento significano conflitto e contraddizione rispetto ad altro
ordinamento.
Si può
affermare, con serenità, che l’ordinamento sportivo abbia una nicchia di
competenza assolutamente impermeabile rispetto all’ordinamento statale:
le regole tecniche. Le norme che disciplinano l’organizzazione e lo
svolgimento delle gare nonché le norme disciplinari promanano
dall’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione
dell’ordinamento sportivo internazionale, e, dunque, sfuggono al
condizionamento da parte dell’ordinamento statale.
A tal proposito, sia in dottrina che in giurisprudenza, talvolta si è
affermata la “indifferenza” per l’ordinamento statale delle norme
tecniche e disciplinari.
Tuttavia,
sotto altro profilo, l’autonomia dell’ordinamento sportivo non può
spingersi sino a soffocare la rilevanza per l’ordinamento statale delle
vicende sportive che incidono, sia in modo immediato che in modo
riflesso, su posizioni di diritto soggettivo o di interesse legittim.
Proprio in simili ipotesi si pone l’estrema difficoltà di una actio finium regundorum.
La
Consulta in una recente sentenza ha, al riguardo, affermato che, dinanzi
a situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale,
l’autonomia dell’ordinamento sportivo “recede” lasciando il passo a
forme di tutela statale, segnatamente di natura risarcitoria.
Infine,
in una prospettiva non solo squisitamente patologica, l’ordinamento
giuridico statale può intervenire nella materia sportiva, ma per fini
suoi propri, non sempre e non necessariamente sovrapponibili a quelli
perseguiti dall’ordinamento sportivo. Quest’ultimo, d’altronde, non
sempre e non necessariamente si lascia permeare dalle norme statali. In
forza della propria autonomia e della propria vocazione internazionale,
invero, l’ordinamento sportivo, in un’eventuale ipotesi di
contrapposizione tra regole inconciliabili, può assumere una posizione
di supremazia per cui l’ordinamento statale può essere costretto ad
uniformarsi a quello sportivo.
In una
prospettiva diversa, tuttavia, deve affermarsi che le regole dal
contenuto etico e, quindi, assimilabili alle clausole generali, proprie
di un ordinamento settoriale, possano assumere il rango di norme di
diritto nell’ordinamento statale.
Il rinvio o il richiamo di una norma etica dell’ordinamento di settore
operati dall’ordinamento statale, di per sé, possono ritenersi idonei ad
attribuire rilievo giuridico a tale norma.
In altri termini, il principio deontologico assume valore di legge
nell’ordinamento statale nel momento in cui ad esso il legislatore
rinvii attribuendovi, anche implicitamente, una funzione integrativa e
valutativa.
Parimenti è a dirsi per l’ipotesi in cui il giudice motivi la decisione facendo applicazione di tale principio.
Così è in effetti per il principio di lealtà sportiva.
Nei
giudizi di responsabilità civile e penale, instaurati a seguito della
realizzazione di eventi lesivi nell’ambito o in occasione di una
competizione sportiva, proprio la violazione del dovere di lealtà
sportiva viene considerata fonte di responsabilità.
Nella
responsabilità penale, la giurisprudenza ha attribuito decisiva
rilevanza alla condotta che travalichi i limiti segnati dalle regole del
gioco e, soprattutto, il principio di lealtà e correttezza sportiva.
E, nell’ambito del reato di frode sportiva, è stato evidenziato come il
bene tutelato sia il risultato “leale” (prima ancora che corretto, in
quanto ottenuto rispettando le regole del gioco), il “genuino
svolgimento della competizione” nel rispetto dei principi di lealtà e
correttezza.
Tale reato, in definitiva, da un lato finisce con l’incrementare
l’aspettativa di correttezza, dall’altro la qualifica in termini di
rilevanza giuridica.
Nella
responsabilità civile, l’illegittimità del comportamento deriva proprio
dalla violazione del dovere di lealtà. La mera violazione delle regole
del gioco non comporta, in tale contesto, un’automatica illegittimità
del comportamento, essendo necessaria, per la configurabilità di
un’ipotesi di responsabilità, una violazione grave del dovere di lealtà.
D’altronde, una condotta trasmodante che oltrepassa i confini della
lealtà sportiva integra un comportamento che si pone al di fuori
dell’ordinamento sportivo e che rileva, dunque, esclusivamente
nell’ordinamento comune. “Non la volontarietà del fallo dunque rileva né
che violazione della regola di gioco vi sia stata o non, ma lo stretto
rapporto di collegamento funzionale fra gioco ed evento lesivo. Se
l’atto è posto in essere allo scopo di provocare lesioni, quella
relazione viene senz’altro a mancare pur se l’azione non integri un
fallo di gioco, per l’ovvia ragione che non rientra fra le sue
caratteristiche che un partecipante volontariamente provochi lesioni ad
altro giocatore. E viene del pari meno se il giocatore, pur non volendo
provocare lesioni, faccia tuttavia ricorso ad una violenza di tipo tale
da non essere compatibile con le caratteristiche proprie del gioco nel
contesto nel quale esso si svolge. Sicché in entrambi i casi sarà
civilmente responsabile del danno provocato, rispettivamente a titolo di
dolo o di colpa.
Infine, la violazione del principio di lealtà, di probità e di rettitudine sportiva, cui è tenuto, tra gli altri, l’allenatore, è stata considerata “un frammento della condotta mobizzante”.
Va da sé
che la valutazione della violazione del principio di lealtà sportiva, ai
fini di una pronuncia di responsabilità, è rimessa al giudice. Compete
infatti a quest’ultimo stabilire se nella fattispecie concreta posta al
suo giudizio sia ravvisabile quella grave slealtà da sola idonea a far
ritenere reciso lo spirito sportivo tanto da essere al cospetto di
un’attività di diritto comune.
Quindi
spetta all’interprete concretizzare contenutisticamente la clausola
generale di lealtà sportiva al fine di valutare la legittimità o meno
dei comportamenti.
In tal
senso il principio di lealtà sportiva acquista compiutezza non solo come
autonoma fonte di doveri di comportamento ma anche come parametro di
valutazione della condotta dei soggetti dell’ordinamento sportivo.
martedì 10 maggio 2016
PERFORMANCE – Agone poetico Terza giornata del progetto culturale “ARTE = AMBIENTE”
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lunedì 9 maggio 2016
Venerdì 20 maggio ore 17.00 "Il Teatro si arrampica sul muro" - Riccardo Ascoli
Nell'ambito delle celebrazioni del centenario dalla morte di Pitrè e Salamone Marino, la Biblioteca Etnostorica presenta la prima conferenza-mostra illustrata dal prof. Riccardo Ascoli sul teatro di Figura. Riccardo Ascoli, già professore di urologia presso l'Università di Palermo, nasce a Roma nel 1945 e, dopo la laurea in medicina e chirurgia ottenuta col massimo dei voti e la lode, si trasferisce a Palermo, la Sicilia diviene la sua terra di adozione. E' in Sicilia che nel 1983 comincia ad occuparsi, col ruolo di coordinatore didattico, della Settimana Italiana di Fotografia, ospitata nel villagio turistico di città del mare a Terrasini (PA). Intanto procede la sua carriera universitaria e diviene aiuto e responsabile di Radiologia. Ascoli unisce la sua capacità professionale a una sua dote umana e umanistica e artistica che lo portano a fondare, nel 1986, la Scuola Fotografica Siciliana di Paesaggio. Per la sua attività scientifica, nel 1987, consegue il premio "Carmelo Bruni" assegnatogli dalla Società Italiana di Urologia. Nel 1986 comincia a dedicarsi agli audiovisivi, gira la Sicilia e la racconta. Autore di pubblicazioni scientifiche, scrive pure volumi d'altro genere come il libro di fotografie "Georgica" (1992), o "Che piccola cosa lettore ti racconto" (1999), seguiranno "Belle le Signore" (2006) e "Il medico imperfetto" (2012). La sua attività artistica e umanistica nel campo della fotografia e della narrativa si allargheranno includendo in seguito anche la poesia in romanesco e il teatro. Nel 1991 è Presidente Onorario dell'Unione Italiana Fotoamatori. Nel 2000 viene nominato Direttore dell'Istituto Policattedra di Materie Urologiche. Poliedrico e splendido nella sua elaborata ricerca estensiva che non si limita all'ambito e al recinto della sua ricerca e lavoro scientifico, Ascoli spazia e apre il suo Mondo all'umanesimo, prima dote di un uomo di Scienze e di Cultura. Da qualche anno ha cominciato una ricerca e studio sul Teatro di Figura, la sua conferenza - mostra "Il teatro si arrampica sui muri" si inserisce in questo filone e ci racconta una modalità teatrale che si sviluppa attraverso la fantasia e trasforma un ombra in una scena ... La scuola di Ecologia Culturale, Daniela La Brocca e Ugo Arioti, che da molti anni seguono l'amico Riccardo nelle sue performance, insieme alla Fondazione "Prof. A. Rigoli - Centro Internazionale di Etnostoria" sono liete di presentare questo ricercatore, narratore, autore, fotografo e scienziato che si è sempre speso per far conoscere la Sicilia e le sue profonde radici al punto da divenire per elezione del Popolo di Poggioreale, cittadino onorario del paese del Belice.
Ugo Arioti
Ugo Arioti
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