martedì 6 settembre 2016

L'amore negato (racconto breve di Maurizio D'Armetta)


Arrivato alla camera mortuaria la cosa che mi colpì maggiormente fu la totale assenza di suoni:dall'esterno non arrivava l'assordante rumore del traffico cittadino,e dentro,le persono si muovevano come chi alzato in piena notte non accende la luce per non disturbare,ed io lì a tentare di non sbattere negli spigoli della sofferenza .
Si abbracciavano in silenzio travasando dolore.
Guardai lentamente tutti i presenti in quella stanza.Sapevano che una volta usciti di là,il loro dolore sarebbe stato sopito da frenate improvvise per strade tagliate,incombenze da coniuge,sgridate di datori di lavoro ed appuntamenti mancati.
Per me non sarebbe stato così.
Quella composizione di umanità doveva, per forza di cose,essere formata dai miei parenti,ma pur sforzandomi non riuscivo a trovare nessuna appartenenza.
Approffittai di uno spazio libero davanti ad una finestra che dava sulla strada principale.
Nevicava da quattro giorni.
Per un attimo la mia attenzione fu attratta da due finti babbo natale che sprizzavano odio da tutti i pori.
Un santaklaus dalla barba tinta a scemare che andava dal giallo ocra nicotina al bianco candido,martellava un chiodo invisibile e ballerino con un campanaccio,l'altro guardava un culo come se stesse dialogando.I due babbo natale più improbabili della storia del'umanit à.
Qualcuno si avvicinò alle mie spalle.Lo percepii più che altro non attraverso i sensi o intuito ma ad una speciale regola matematica..Qualcosa con un piede dentro la buona creanza.
Si fermò ad un millimetro dal mio corpo,potevo percepire il suo calore,emanava un odore come di grano macinato costringendo il battito del mio cuore a segnare il ritmo dell'imbarazzo.
Un braccio sfiorò il mio orecchio trasformando in un sole naif il cerchio che avevo disegnato sul vetro appannato della finestra.
Ecco cosa era stato lui per me,una lacrima fece da virgola al mio pensiero:un sole senza calore.
Uno spiffero di vento solleticò la mia pancia come a ricordarmi che ero vivo.
L'odore del cadavere aveva preso il sopravvento sui fiori o forse era l'acqua dei fiori che dopo un po' somigliava all'odore della morte.
L'aria più che viziata era stata seviziata da quei fiori,come a voler ripagare del torto subito:I fiori sono felici soltanto dove nascono e schiavizzarli in nome del senso estetico è come segregare per vendetta l'ultima fanciulla che non ha risposto al tuo sorriso.
Pensai che comprare fiori è come andare a puttane:durano poco e non lasciano nulla.
Niente a che vedere con il mare di fiori di campo dove ci tuffavamo e ci ingozzavamo di noi.
Si,perchè soltanto la voracità dei cannibali poteve essere paragonata alla nostra voglia di unione.
Alto,bello come un dio pagano,il sole aveva bronzato ogni centimetro della sua pelle,una spiga di grano per sorriso e due braccia che stringendomi mi toglievano il respiro restituendomelo copioso dalla sua bocca.
E adesso era li con la sua famiglia,impacchetato in un abito grigio come il colore dei suoi occhi che mi negavano il loro sguardo.Ed io,deciso a subire quella negazione come ospite indiscreto,toglievo il disturbo abbassando il mio di sguardo.
L'amore non corrisposto è come curare un fiore reciso.Il fiore muore e tu là a credere che finchè c'è un petalo attaccato lui possa rinascere.
Allora ti libero amore mio,vai ad annaffiare i fiori della tua piccola serra perchè io ho ancora tanto cielo da guardare,disteso ed accarezzato dai miei mille fiori di campo.
Vivi.

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