Non riesco a pensare
Sono giorni, questi, di sentimenti eclatanti. E di
nera malinconia. Il terremoto. Ancora il terremoto.
Ancora una volta per la prima volta il terremoto…
di Andrea Ermano
Nel
1976 bussò ai muri delle nostre case in Friuli e non avevamo vent’anni.
Nel 1980 andammo tutti in Irpinia al seguito dell’appello lanciato dal
Presidente Pertini. Di quello che abbiamo visto e sentito di fronte alle
macerie di Gemona, nelle frazioni di Trasaghis oppure a Conza e a Morra
De Sanctis non serve qui parlare. Giornali, televisioni e web
traboccano di opinioni, immagini, testimonianze, grida di
rabbia-paura-disperazione in presa diretta. I funerali, martedì ad
Amatrice, hanno già parlato per tutti.
Che cos’è la forza d’animo?
Possiamo
guardare la nostra casa sbrecciata, la nostra casa da demolire, o la
nostra casa distrutta… e pensare a come ricostruirla? No, non par
possibile. Soprattutto se sotto quelle pietre è scomparsa una persona
cara. Ma “essere di paese”, vivere in un in una piccola cittadina, e
ancor più nelle frazioni, vuol dire proprio questo: che i morti, uno per
uno, hanno uno spazio personale negli affetti di molti dei
sopravvissuti. Eppure, nonostante questo lutto che ci percuote – o forse
proprio in quanto parte integrante di esso – c’è una volontà che tutto
si ricostruisca “dove e come era”.
Altrimenti sarebbe il tradimento, l’oblio.
E poi ancora la rabbia, la furia, e poi ancora la spossante tristezza,
ma anche la paura per le scosse che si susseguono a decine: eppure tutto
si traduce in un’incredibile cocciutaggine contro la sorte avversa, soprattutto in nome di quelli che, improvvisamente, non ci sono più.
Dopo
ogni terremoto c’è un furioso rovistare della mente individuale e
collettiva alla ricerca di un colpevole. Vero è che l’ospedale risulta
inagibile, la scuola pericolante... La magistratura, com’è giusto,
indaga. I Carabinieri, la Polizia, la Guardia di Finanza, i Vigili del
fuoco compiono le necessarie perquisizioni. “La galera ci vuole, la pena
di morte!”, dice qualcuno tra i denti. I funzionari “competenti”
buttano la croce su impresari caduti dal pero, e questi sugli
amministratori…
La
verità è che di norma non vi si pensa, ma nelle situazioni di emergenza
occorre quasi sempre un commissario. Perché? Perché nessun “normale”
amministratore può governare le spinte e le controspinte che vengono
scatenate da un evento sismico.
Per
esempio, gli esperti dicono che, quando si tratterà di ricostruire
Amatrice, bisognerà stabilire che non esistono aumenti di prezzo “in
corso d’opera”. Cioè: se tu mi sottoponi un preventivo di 100 mila euro
per ricostruire un edificio terremotato, ma poi – durante lo svolgimento
dei lavori (“in corso d’opera” appunto) – scopri per una qualsiasi
ragione che avevi sottostimato i costi, non potrai in nessun caso
venirmi a chiedere un aumento della parcella, perché questi saranno
allora i tuoi rischi d’intrapresa.
Come
se fosse facile. In Irpinia, dopo il sisma del novembre 1980, i costi
della ricostruzione, in effetti, subirono una sorta di esplosione “in
corso d’opera”. Indro Montanelli riassunse così la vicenda: «L'uso di
50-60mila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto nelle
nebbie... quel terremoto non aveva trasformato solo una regione
d'Italia, ma addirittura una classe politica» (vedi art. su Wikipedia).
Per
comprendere quella travagliatissima ricostruzione, bisognerebbe rifare
la conta dei morti ammazzati, e sono tanti, troppi. Ma bisognerebbe
anche capire, per esempio, quale ruolo svolse, nella vicenda, il
sequestro dell’assessore napoletano Ciro Cirillo compiuto nel 1981 dalla
“colonna” partenopea delle BR capeggiata da Giovanni Senzani, non senza
contiguità con la Nuova Camorra Organizzata di “don” Raffaele Cutolo (vedi art. Wikipedia).
Sicché dire “porto delle nebbie” è ancor poco: la sciagura leghista
nasce di lì, perché la scandalosa asimmetria tra le due ricostruzioni,
quella del Friuli e quella dell’Irpinia, sedimentandosi nell’inconscio
collettivo del Paese erose infine una faglia enorme nelle fondamenta
della Repubblica.
La lezione che ci resta di quell’epoca oscura è che da parte dello Stato e dei cittadini si deve contrastare alla radice
e con la massima determinazione possibile ogni forma di criminalità
organizzata che puntasse a insinuarsi negli “affari” della
ricostruzione.
Il
Friuli fu gestito in una prima fase da un “Commissario straordinario”,
Giuseppe Zamberletti, e poi da una “Commissione speciale” della Regione,
presieduta dall’ing. Angelo Ermano, un socialista, un galantuomo, un ex
deportato, un tipo per lo più dimenticato che mi è capitato di
conoscere: era mio zio paterno. Con il quale ho avuto tante discussioni,
anche animate, e potrei parlarne lungamente. Ma qui mi preme ricordare
una sola cosa.
Dev’essere
stato il 1986 quando, con una strana scintilla nello sguardo, mi disse
che “il segreto della ricostruzione in Friuli” fu l’aver minuziosamente
rilevato e collazionato le stime dei danni, casa per casa, comune per
comune, “prima – sta’ attento: prima! – prima di aprire la saracinesca della Cassa Depositi e Prestiti, e ciò affinché a ciascun Municipio venisse erogata direttamente la somma che gli spettava in proporzionale rapporto alla ripartizione del tutto”.
Traduco:
la “Commissione speciale” del Friuli Venezia-Giulia fidava
evidentemente sul fatto che, nei piccoli e medi comuni colpiti dal
sisma, il controllo sociale avrebbe fatto il resto: “Perché lì, poi,
tutti sanno tutto di tutti e ognuno sta molto attento al contributo
pubblico che riceve lui stesso, ma ancor più attento all’entità del
contributo che viene a ricevere il suo vicino di casa”.
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