venerdì 2 settembre 2016

Ancora una volta per la prima volta il terremoto…

Non riesco a pensare

Sono giorni, questi, di sentimenti eclatanti. E di
nera malinconia. Il terremoto. Ancora il terremoto.
Ancora una volta per la prima volta il terremoto…

di Andrea Ermano

Nel 1976 bussò ai muri delle nostre case in Friuli e non avevamo vent’anni. Nel 1980 andammo tutti in Irpinia al seguito dell’appello lanciato dal Presidente Pertini. Di quello che abbiamo visto e sentito di fronte alle macerie di Gemona, nelle frazioni di Trasaghis oppure a Conza e a Morra De Sanctis non serve qui parlare. Giornali, televisioni e web trabocca­no di opinioni, immagini, testimonianze, grida di rabbia-paura-di­sperazione in presa diretta. I funerali, martedì ad Amatrice, hanno già parlato per tutti.
    Che cos’è la forza d’animo?
    Possiamo guardare la nostra casa sbrecciata, la nostra casa da demolire, o la nostra casa distrutta… e pensare a come ricostruirla? No, non par possibile. Soprattutto se sotto quelle pietre è scomparsa una persona cara. Ma “essere di paese”, vivere in un in una piccola cittadina, e ancor più nelle frazioni, vuol dire proprio questo: che i morti, uno per uno, hanno uno spazio personale negli affetti di molti dei sopravvissuti. Eppure, nonostante questo lutto che ci percuote – o forse proprio in quanto parte integrante di esso – c’è una volontà che tutto si ricostruisca “dove e come era”.
    Altrimenti sarebbe il tradimento, l’oblio.
    E poi ancora la rabbia, la furia, e poi ancora la spossante tristezza, ma anche la paura per le scosse che si susseguono a decine: eppure tutto si traduce in un’incredibile cocciutaggine contro la sorte avversa, soprattutto in nome di quelli che, improvvisamente, non ci sono più.

Dopo ogni terremoto c’è un furioso rovistare della mente individuale e collettiva alla ricerca di un colpevole. Vero è che l’ospedale risulta inagibile, la scuola pericolante... La magistratura, com’è giusto, indaga. I Carabinieri, la Polizia, la Guardia di Finanza, i Vigili del fuoco compiono le necessarie perquisizioni. “La galera ci vuole, la pena di morte!”, dice qualcuno tra i denti. I funzionari “competenti” buttano la croce su impresari caduti dal pero, e questi sugli amministratori…
    La verità è che di norma non vi si pensa, ma nelle situazioni di emergenza occorre quasi sempre un commissario. Perché? Perché nessun “normale” amministratore può governare le spinte e le controspinte che vengono scatenate da un evento sismico.
    Per esempio, gli esperti dicono che, quando si tratterà di ricostruire Amatrice, bisognerà stabilire che non esistono aumenti di prezzo “in corso d’opera”. Cioè: se tu mi sottoponi un preventivo di 100 mila euro per ricostruire un edificio terremotato, ma poi – durante lo svolgimento dei lavori (“in corso d’opera” appunto) – scopri per una qualsiasi ragione che avevi sottostimato i costi, non potrai in nessun caso venirmi a chiedere un aumento della parcella, perché questi saranno allora i tuoi rischi d’intrapresa.
    Come se fosse facile. In Irpinia, dopo il sisma del novembre 1980, i costi della ricostruzione, in effetti, subirono una sorta di esplosione “in corso d’opera”. Indro Montanelli riassunse così la vicenda: «L'uso di 50-60mila miliardi stanziati per l'Irpinia rimase un porto nelle nebbie... quel terremoto non aveva trasformato solo una regione d'Italia, ma addirittura una classe politica» (vedi art. su Wikipedia).
    Per comprendere quella travagliatissima ricostruzione, bisognerebbe rifare la conta dei morti ammazzati, e sono tanti, troppi. Ma bisognerebbe anche capire, per esempio, quale ruolo svolse, nella vicenda, il sequestro dell’assessore napoletano Ciro Cirillo compiuto nel 1981 dalla “colonna” partenopea delle BR capeggiata da Giovanni Senzani, non senza contiguità con la Nuova Camorra Organizzata di “don” Raffaele Cutolo (vedi art. Wikipedia). Sicché dire “porto delle nebbie” è ancor poco: la sciagura leghista nasce di lì, perché la scandalosa asimmetria tra le due ricostruzioni, quella del Friuli e quella dell’Irpinia, sedimentandosi nell’inconscio collettivo del Paese erose infine una faglia enorme nelle fondamenta della Repubblica.
    La lezione che ci resta di quell’epoca oscura è che da parte dello Stato e dei cittadini si deve contrastare alla radice e con la massima determinazione possibile ogni forma di criminalità organizzata che puntasse a insinuarsi negli “affari” della ricostruzione.

Il Friuli fu gestito in una prima fase da un “Commissario straordinario”, Giuseppe Zamberletti, e poi da una “Commissione speciale” della Regione, presieduta dall’ing. Angelo Ermano, un socialista, un galantuomo, un ex deportato, un tipo per lo più dimenticato che mi è capitato di conoscere: era mio zio paterno. Con il quale ho avuto tante discussioni, anche animate, e potrei parlarne lungamente. Ma qui mi preme ricordare una sola cosa.
    Dev’essere stato il 1986 quando, con una strana scintilla nello sguardo, mi disse che “il segreto della ricostruzione in Friuli” fu l’aver minuziosamente rilevato e collazionato le stime dei danni, casa per casa, comune per comune, “prima – sta’ attento: prima! – prima di aprire la saracinesca della Cassa Depositi e Prestiti, e ciò affinché a ciascun Municipio venisse erogata direttamente la somma che gli spettava in proporzionale rapporto alla ripartizione del tutto”.
    Traduco: la “Commissione speciale” del Friuli Venezia-Giulia fidava evidentemente sul fatto che, nei piccoli e medi comuni colpiti dal sisma, il controllo sociale avrebbe fatto il resto: “Perché lì, poi, tutti sanno tutto di tutti e ognuno sta molto attento al contributo pubblico che riceve lui stesso, ma ancor più attento all’entità del contributo che viene a ricevere il suo vicino di casa”.

Ecco, è tutto. Davvero non so se questi “pensieri” possano fornire qualche piccolo aiuto alla forza d’animo che servirà nell’opera di ricostruzione delle zone colpite dal sisma del 24 di agosto. Sarò sincero: in questo momento non riesco a pensare a niente.

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