Il riformatore (1509-1564)
E Calvino creò la puntualità
Venne spesso denigrato ma cambiò la cultura occidentale: l’abolizione delle festività cattoliche diede benzina all’economia, le «leggi contro il lusso» affrontarono le diseguaglianze sociali. Per molti aspetti fu più importante dello stesso Lutero
Emanuel de Witte (1617-1692), L’Oude Kerk di Amsterdam (1661, olio su tela), Amsterdam, Stedelijk Museum
Colpisce nella vita di Giovanni Calvino l’assoluta precarietà esistenziale. Emanuele Fiume, nella straordinaria biografia, Calvino. Il Riformatore profugo (di
imminente pubblicazione per i tipi della Salerno), mette in grande
evidenza questa sua caratteristica. Martin Lutero e Huldrich Zwingli, fa
osservare Fiume, passarono entrambi gran parte della loro vita «a non
più di qualche decina di chilometri dai rispettivi villaggi natii».
Calvino, invece, fu l’unico tra i grandi della Riforma ad aver vissuto
per la maggior parte della sua esistenza — «e per la quasi totalità
della sua vita attiva», sottolinea Fiume — da esule. Ginevra non fu la
sua patria e, fino a pochi anni dalla sua morte, Calvino vi dimorò come
straniero immigrato, «con il permesso di soggiorno che gli veniva
rinnovato di sei mesi in sei mesi». Forse fu per questo, prosegue lo
storico, che fornì «una motivazione spirituale e vocazionale» a un gran
numero di «profughi per ragione di fede»; così come fu l’unico che vide
nella formazione di questo genere di profughi uno «strumento di
diffusione della Riforma a livello continentale» e di tessitura di una
«rete di contatti teologici e politici che risulterà fondamentale per
gli sviluppi internazionali del protestantesimo».
Fiume si interroga sulla demonizzazione di cui Calvino è
stato fatto oggetto per secoli («eresiarca per i cattolici,
intollerante per gli illuministi, inventore del capitalismo per i
marxisti»). Ad integrazione delle opere di tre studiosi italiani
novecenteschi — Renato Freschi, Giovanni Calvino (Corticelli); Adolfo Omodeo, Giovanni Calvino e la Riforma in Ginevra, opera curata postuma da Benedetto Croce (Laterza); Giorgio Tourn, Giovanni Calvino. Il riformatore di Ginevra (Claudiana») — offre un saggio dal quale, per sua stessa dichiarazione, non emanano «né olezzo di incenso, né puzza di zolfo».
Calvino,
Jehan Cauvin venne alla luce, secondogenito di un notaio, il 10 luglio
1509, a Noyon in Piccardia. La sua prima biografia «autorizzata»,
scritta dall’allievo e amico Teodoro di Beza, racconta con qualche
vaghezza — come già mise in evidenza Jean Cadier in Calvino (Claudiana) — che fu a Parigi all’età di dodici anni. Alister McGrath, in Giovanni Calvino. Il Riformatore e la sua influenza sulla cultura occidentale
(Claudiana), ha approfondito la questione del «beneficio ecclesiastico»
che gli fu assegnato in quegli anni giovanili senza però dare eccessivo
rilievo alla borsa di studio offertagli dalla Chiesa.
Il futuro riformatore fu poi al Collège de Montaigu dove
aveva studiato trent’anni prima Erasmo da Rotterdam e che, dopo di lui,
avrebbe avuto tra i suoi allievi Ignazio di Loyola. A proposito di
Erasmo va ricordato che — come ha messo in risalto McGrath — il primo
libro del ventitreenne Calvino (un commento al De clementia di Seneca
pubblicato, a spese dell’autore, nel 1532) fu un’aperta sfida
all’edizione critica erasmiana dello stesso testo, data alle stampe
appena quindici anni prima. Una sfida che lo stesso Fiume considera
«quantomeno eccessiva». Questo libro di Calvino, polemico nei confronti
di Erasmo da Rotterdam, fu un fiasco, «l’unico fiasco editoriale» di
colui che fu «uno degli autori più letti nel corso del XVI secolo».
Tema centrale del saggio di Fiume è la ricostruzione di
come la Francia (e così gran parte dell’Europa occidentale) fu percorsa
da «fremiti di Riforma religiosa» ben prima dell’entrata in scena di
Lutero. Calvino entrò in contatto con simpatizzanti della Riforma (tra i
quali suo cugino Pierre Robert, detto Olivetano) da giovanissimo, in un
periodo che trascorse tra Orléans e Bourges. L’incontro più importante
con un riformatore fu senza dubbio quello con il rettore della Sorbona
Nicola Cop, alla cui prolusione dell’anno accademico 1533, Calvino diede
un apporto notevole (probabilmente ne fu il ghost writer).
Quel discorso, che sostanzialmente sposava le tesi di Lutero, causò
un’aspra reazione del re di Francia Francesco I. Reazione che costrinse
Cop e Calvino a fuggire da Parigi e, sulla loro scia, portò
all’incriminazione di una cinquantina di persone.
La tensione con l’autorità francese era destinata a crescere: l’anno successivo (1534), nella notte tra il 17 e il 18 ottobre, a Parigi, Tours, Blois, Rouen e Orléans furono affissi dei placard (manifesti)
contro «i grandi, insopportabili e orribili abusi della messa papale». A
riprova di quanto fosse articolata e tentacolare la rete cospirativa,
due copie di quel manifesto che stroncava la messa tradizionale furono
ritrovate nell’anticamera della stanza da letto del re nel castello di
Amboise. Una era appesa alla porta d’ingresso alla stanza, l’altra,
piegata, nel vaso in cui il sovrano riponeva il suo fazzoletto.
Francesco I, grande protettore della Chiesa di Roma, capì al volo la
gravità dell’avvertimento e per ritorsione mandò al rogo un discreto
numero di evangelici, primo tra tutti Barthélemy Milon. Fiume mette in
risalto come Calvino prese subito la distanze da quei ribelli e tenne a
esibire, nei loro confronti, un «profondo disprezzo». Per lui il
rispetto dell’autorità restava fondamentale.
Quando, nel corso delle sue peregrinazioni,
Calvino giunse a Ginevra, si imbatté nell’autorità di Guillaume Farel
che aveva vent’anni più di lui ed era stato collaboratore, a Meaux, del
vescovo riformatore Guillaume Briçonnet. Dal 1530 Ginevra era governata
da un Consiglio cittadino. Nel 1534 arrivò il domenicano Guy Furby che
accusò Farel di essere «un pupazzo» in mano ai nemici della Chiesa
cattolica, in particolare quelli di Berna, città che aveva aderito alla
Riforma. Il risultato dell’azione di Furby fu tuttavia opposto a quello
sperato: Ginevra si schierò sempre più dalla parte di Berna. Nell’estate
del 1535, dopo una predica di Farel, la città si rivoltò contro la
Chiesa di Roma e un’importante reliquia, un presunto frammento del
cervello di San Pietro, venne gettata nel Rodano. A quel punto il clero
lasciò in tutta fretta la città e il Consiglio incamerò i beni
ecclesiastici.
È la rottura. Ha inizio una lunga stagione repubblicana in
cui Ginevra sarà alleata della Confederazione svizzera nella quale,
però, entrerà solo nel 1815. Nel settembre del 1536 Calvino inizia il
suo ministero nei panni di «lettore della Scrittura». Ma dai documenti
trovati da Fiume emerge che anche lui è mal tollerato dalla città: lo
pagano in ritardo, malvolentieri e lo definiscono «ille gallus», quel
francese. Lui reagisce con arroganza. Un difetto che viene alla luce in
occasione di una sua polemica con il riformatore alsaziano Martin Bucer,
che lo tratta invece con dolcezza. Farel, il pastore cieco Jean Corauld
ma soprattutto Calvino si battono da quel momento per una presa di
distanze di Ginevra da Berna e per una ricucitura del rapporto con la
Francia. Calvino sostiene pubblicamente che il Consiglio della città è
ispirato dal diavolo. Corauld definisce i membri del Consiglio
«ubriaconi» e viene arrestato. Calvino e Farel sono costretti a
emigrare. Strana e per certi versi misteriosa congiura.
Dopo qualche peregrinazione, nel
1538 Calvino arriva a Strasburgo che ha come riferimento spirituale il
testé citato Bucer, che lo accoglie con sé senza dar peso alle polemiche
di cui s’è detto. Bucer già nel 1521 s’è avvicinato a Lutero, ha
sposato una suora e nel 1523 è stato scomunicato. È una figura
importante dell’Europa riformatrice: Enrico VIII lo consulta al momento
del divorzio con Caterina d’Aragona. Calvino lo aiuta nella costruzione
del progetto di convivenza delle diverse anime del protestantesimo: nel
rispetto dei grandi teologi del Medioevo e nel riferimento costante alla
figura di Paolo di Tarso. Su spinta dell’imperatore Carlo V tra il 1540
e il 1541 si svolgono colloqui tra protestanti e cattolici per una
pacificazione che restituisca serenità alla Chiesa. Papa Paolo III e
Martin Lutero però sono diffidenti, Calvino se ne tiene ai margini e
l’insuccesso dell’iniziativa brucia Bucer.
È in questo periodo, 1540, che
Calvino decide di prender moglie (una vedova), perché, scrive Fiume,
«anche ragioni di immagine richiedevano che i ministri riformati fossero
sposati». Ma il rapporto con la sposa — nove anni — fu sostanzialmente
casto. L’annotazione alla «castità» del matrimonio di Calvino da parte
di Teodoro di Beza ha provocato allusioni, anche in tempi recenti, a una
sua possibile omosessualità. In proposito si è fatta menzione di un suo
ruolo di imputato a un processo per sodomia in Francia. Ma si tratta di
un caso di omonimia. Per giunta imperfetta. E comunque Calvino ai tempi
di quel caso giudiziario non poteva essere in Francia. Inoltre, scrive
Fiume, «se è vero che il temperamento dello schivo teologo non ci sembra
caratterizzato da incontenibili istinti sessuali come poteva esserlo
quello di Enrico VIII o Filippo d’Assia, è altrettanto vero che nella
sua predicazione i rapporti sessuali tra coniugi costituiscono una parte
fondamentale del matrimonio». Nel 1541, nonostante la città di
Strasburgo da due anni gli avesse concesso la cittadinanza, decide di
tornare a Ginevra dove la cittadinanza l’avrebbe ottenuta solo diciotto
anni dopo. Sente che Ginevra è e ancor più sarà la città della sua
rivoluzione...
Nel 1545 Ginevra è sconvolta da
un’epidemia di peste e Calvino — che è uno strenuo fautore della
persecuzione degli «untori» nonché della caccia alle streghe — ne
approfitta per sostituire numerosi pastori deceduti a causa del morbo
con altri a lui fedeli. Nasce in quel clima, peraltro di progressivo
distacco dal luteranesimo, l’homo calvinisticus di cui ha parlato lo storico francese Emile-Guillaume Léonard nella sua monumentale Storia del protestantesimo (il
Saggiatore). Unico passo falso la condanna al rogo del teologo
antitrinitario spagnolo Michele Serveto (1553) che sarebbe costata a
Calvino un marchio d’infamia. Ma Fiume lo assolve, almeno in parte.
Perché? Calvino avrebbe potuto denunciare Serveto dal 1547 e non lo fa.
Non ci è pervenuto nessun dato storiografico che attesti il
compiacimento di Calvino per quell’uccisione. Serveto, poi, non fu
condannato da un tribunale ecclesiastico, bensì da uno civile. Per di
più, nella Ginevra della Riforma, fu l’unico mandato a morte. Ragion per
cui, anche se fosse provato un coinvolgimento di Calvino nella
decisione di mandare Serveto al rogo, la sua responsabilità, secondo
l’autore, non sarebbe così schiacciante come l’hanno giudicata i critici
della Riforma ginevrina.
Ma la rivoluzione di Calvino fu
molto importante. L’abolizione delle festività cattoliche, mette in
evidenza Fiume, offrì la disponibilità di un mese e mezzo di giorni
lavorativi in più che «costituì un investimento di peso per l’economia
familiare e sociale». Le sue «leggi contro il lusso» andrebbero
ristudiate ancora oggi dal momento che seppero coniugare moderna
efficienza e guerra alle sperequazioni sociali.
Nel libro L’ordine del tempo (Claudiana)
lo storico svizzero Max Engammare dimostra come persino la puntualità
sia un’invenzione del XVI secolo venuta fuori dalla Ginevra riformata
dove iniziarono a diffondersi gli orologi pubblici e «il calvinismo
reimpostò il rapporto tra la spiritualità e lo scorrere (o l’incalzare)
del tempo». Calvino parlò di «uso responsabile» del tempo e impose la
clessidra sui pulpiti per verificare la durata dei sermoni. Riformatore?
In realtà Calvino fu un rivoluzionario sotto molti aspetti più
importante dello stesso Lutero.
28 maggio 2017