L’Europa cambia pelle, riappaiono i muri, gli egoismi nazionali sono di nuovo all’attacco
Penny Byrne (1965), Fukushima Symphony (2011, porcellana, mixed media)
«Le
democrazie industriali si trovano davanti a una doppia temibile sfida
che ha origine dall’indebolimento degli Stati nazionali: il jihadismo
dall’esterno, il populismo dall’interno. Diverse per genesi, identità e
pericolosità, entrambe le minacce possono fiaccare in maniera strategica
l’Occidente, e hanno bisogno di risposte urgenti capaci di respingerle
e, in ultima istanza, batterle». Non appaiono certo tranquillizzanti le
parole che Maurizio Molinari usa nel suo libro Il ritorno delle tribù
(Rizzoli) per descrivere l’orizzonte che abbiamo davanti a noi. In
questa epoca difficile sono effettivamente a rischio sia i valori della
libera convivenza, attaccati in modo efferato dal terrorismo islamico,
sia la stabilità di società costruite nel segno di quella integrazione
indicata come un nemico dai movimenti anti-sistema.
Per
vincere questa battaglia l’unico metodo, osserva il direttore della
«Stampa», è «combattere il jihadismo come se il populismo non esistesse e
rispondere al jihadismo come se il populismo non vi fosse». Le «due
emergenze parallele» devono infatti essere affrontate in modo separato
«perché in un caso si tratta di ridisegnare la sicurezza collettiva e
nell’altro di riprogettare la prosperità collettiva». È un discorso
convincente. Senza dimenticare che la non completa percezione della
gravità di quella minaccia (che viene analizzata collegando tra loro i
più sanguinosi episodi in una stessa trama) è una delle ragioni del
grande malessere delle opinioni pubbliche. In questo senso le due
emergenze sono anche la stessa faccia della medaglia: un’Europa più
efficiente nel combattere il terrorismo, per esempio, è sicuramente
un’Europa meno lontana dai cittadini e meno sensibile alla propaganda
dei suoi contestatori.
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