lunedì 5 agosto 2013

Il metodo etico in Aristotele


Continuiamo il nostro cammino tra i confini e le immense praterie della RETORICA e dell’ETICA della RETORICA, argomento del 2013, con questa lexio di Giuseppe Mirabella che ci avvicina all’ottica aristotelica sull’ETICA.

Redazione Secem

                                              ( Lorenzo Barberis i castelli dell'utopia)

di Giuseppe Mirabella

Appunti di filosofia tra etica e storia

Quale è il metodo di Aristotele per bene comprendere i problemi, le questioni, i fenomeni? Questa domanda posta in tal modo, a tutta prima, può sembrare banale, vaga, ingenua. Sarà utile allora circoscrivere l’ambito di ricerca e la terminologia adottata da Aristotele nella sua ricerca filosofica che qui ci interessa. O più semplicemente chiarire cos’è un metodo in filosofia: via e discussione (hodos e dialeghestai)1 o una “scatola cinese” in cui la giustificazione di una tesi filosofica è metafilosofia all’interno della filosofia stessa2. In realtà il filosofare di Aristotele parte dalle teorie “storiche” della conoscenza che lo hanno preceduto nell’indagine. Anche, come nota C. Shields, “to consider the endoxa, the reputable or entrenched opinions.”3 Cosa distingue l’endoxa, l’opinione autorevole, da tutte le altre opinioni? La faccenda della retorica, del “parlare”, riguarda opinioni. Prendiamo ciò come un dato che fino ad Aristotele (e oltre naturalmente, fino alla moderna filosofia analitica4) era certo. L’opinione autorevole è, per dirla con i filosofi husserliani, una “riduzione fenomenologica”, un mettere “fuori circuito”5. L’endoxa è un principio largamente accettato perché proveniente dall’autorevolezza della phronesis6. Perché la phronesis, che con il tomismo diventerà prudentia? Perché Aristotele definisce la politica la scienza “più autorevole e architettonica” (EN 1094a25-28), intesa come filosofia al più alto grado, o se si vuole saggezza pratica, e finalizzata al conseguimento del bene. (Ci si riferisca anche ai Topici 100b21-2). Il metodo aristotelico pone, stabilisce, i fenomeni, le manifestazioni ma anche i “fatti osservati”7 (phainomena), ciò che è o appare vero; solleva i problemi, stabilisce, solleva le aporie (aporiai); prova le endoxa, comprova al meglio, al più alto grado, tutte le opinioni autorevoli. Il passo dell’Etica a Nicomaco del libro settimo preso in considerazione tratta dei vizi, della mancanza di autocontrollo (o incontinenza) e della bestialità. Si potrebbe richiamare alla mente il libero arbitrio sintetizzandolo con la celebre frase di Pico della Mirandola nel libro Heptaplus (1488), “l’uomo può degenerare a bruto oppure innalzarsi ad angelo”. Partiamo proprio dalla frase di Pico. Esistono due opposti, la brutalità, bestialità, e l’angelicità, lo spartano ‘Uomo divino’. Oppure dalle parole che Omero, nell’Iliade, mette in bocca a Priamo ovvero che Ettore “non sembrava figlio d’uomo mortale, ma d’un dio”. Connessa al libero arbitrio, la responsabilità è al centro di un dibattito alquanto acceso tra i “deterministi” i quali sostengono che le azioni sono causa di fattori antecedenti su cui non si ha controllo e la libertà metafisica non esiste e i “compatibilisti” che cercano di confutare il concetto di azione causalmente determinata insistendo sul possesso della libertà individuale e delle capacità di giudizio.8 Sembra rivivere dopo 24 secoli il fervido dibattito espresso nelle pagine delle Etiche aristoteliche, certo, con altri mezzi epistemici e antropologici e contesti mutevoli e ad un tempo eterni, e, tra il filosofo antico Aristotele e l’ultimo ‘guru’ della filosofia contemporanea Rorty, si potrebbe citare San Bonaventura (II Sent., d.3., p.1, a.2., q.2, ad1): “La nobiltà [della persona umana] non è una cosa accidentale che viene aggiunta alla natura, ma appartiene alla sua essenza.” (Vedremo come il procedere per opposti mostri il fianco alla vaghezza delle asserzioni. Non c’è uomo tutto bestiale o tutto dio.) Il fenomeno non è altro che la “passione” o “affezione”, come può essere la mancanza di autocontrollo: “il temperante è capace di dominarsi”, “l’intemperante non si domina”. L’entrata nel problema allora è quella sollevata da Aristotele, ovvero “come sia possibile che uno, pur giudicando correttamente, non si domini”. Aristotele avanza per tesi e controtesi:

– “Certuni non ammettono che ciò sia possibile, se si ha scienza”.

– “Socrate […] riteneva che nessuno agisce contro il meglio, quando lo ha riconosciuto, ma che lo fa per ignoranza.”

– “Ora […] si deve indagare […] quale tipo di ignoranza si verifichi.”

E così via. Aristotele risponde alle varie “sfumature” del problema, che, con un termine contemporaneo avente dignità filosofica, potremmo definirle borderline9, con una serie di obiezioni, confutando ad esempio gli argomenti dei Sofisti oppure sposando la tesi di Sofocle. Di seguito tenteremo di impostare la questione: esiste una Etica o sono tante le etiche? Quali sono le preoccupazioni di Aristotele?

L’etica tutta è un’aporia. L’impraticabilità di un discorso universale sull’etica viene risaltato in vari luoghi dell’opera aristotelica, appunto perché la ricerca della convinzione attraverso gli argomenti è intesa come puro e semplice “tentativo”, perché quel che interessa allo Stagirita è la “chiarezza” delle asserzioni (EE, 1216b26-35), non la verità, e perché non c’è un etica riconosciuta come valida, vera, giustificata: Wittgenstein afferma che “Dove si incontrano effettivamente due principî che non si possono riconciliare l’uno con l’altro, là ciascuno dichiara che l’altro è folle ed eretico.”10 Poi se “la conoscenza umana è una costruzione sociale”11 e per quieto vivere si può – meglio – si deve “fare appello solo a ragioni pragmatiche, cioè all’utilità di quell’idea e di quella prassi in un certo contesto sociale e agli interessi materiali dei gruppi che le sostengono”12 si può concludere che il duplice aspetto dell’Etica come “Ethos-modo di vivere” e come “Scienza pratica dell’agire umano libero verso il fine onesto”, o finanche la virtù, subiscono l’influenza dei contesti e delle costruzioni che ivi si fanno funzionalmente alla società o comunità.

L’etica compiuta è un sorite. Budapest, 1942. Giorgio è un trentaduenne incaricato d’affari, commercia in bestiame da macellazione, lavora per il suo Governo, è iscritto al Partito Nazionale Fascista, anni prima combatté a fianco dei franchisti in Spagna. Nel ’43 non aderisce alla Repubblica Sociale, potrebbe passare dei guai, allora si rifugia nell’ambasciata spagnola di Budapest grazie ad un salvacondotto, premio per i suoi servigi alla corona spagnola contro i comunisti. Intanto girano strane voci, gli ebrei vengono portati via dai nazisti ungheresi, le croci frecciate, in dei campi di “lavoro”, ma la cosa puzza, allora Giorgio diventa Jorge, diplomatico iberico, e che fa?, salva 5200 ebrei, commettendo ogni sorta di inganno, falsificando documenti, millantando cariche e identità. Ipotizziamo una scala numerica dove per 0 si intenda totalmente vizioso e per 10 si intenda totalmente virtuoso. Aristotelicamente parlando, 5 dovrebbe corrispondere alla medietà. Ora quel Jorge lì, che ha coglionato un sacco di gente, ha detto molte bugie, ha attestato il falso, non divenne mai antifascista, come lo si può giudicare? È vero, non si troverà mai in uno scaffale di una biblioteca un libro del tipo “Fenomenologia dell’8 settembre 1943”, “Filosofia ed etica dell’armistizio di Cassibile” ma ciò non impedisce di farsi un’idea su cosa sia l’onore e la virtù di cui parla Aristotele. Certo se il contesto non fosse stato l’Europa del nazifascismo e il fine della fraudolenza di Giorgio Perlasca non fosse stato la salvezza per oltre cinquemila ebrei a rischio deportazione, tutto cambierebbe. Da 9 si passerebbe a 1, da caso di eroicità (Perlasca è Giusto tra le Nazioni) a caso di persona abbietta. Ora, per noi che non siamo eroi, né antieroi, come possiamo “misurare” il grado di virtuosità? Sono tanti e tali i fattori e le etiche, che come dice qualcuno “ogni testa è un mondo”. C’è la deontologia, l’analisi delle conseguenze delle azioni, l’etica delle virtù13. È veramente un mucchio (soròs) di cose! Si potrebbe allora affermare che la memoria delle cose accadute e l’esempio di persone come Perlasca possono essere assimilate all’endoxa, ad una opinione (seguita da una azione) autorevole.

1 Enrico Berti, Invito alla filosofia, Brescia 2011, p.92

2 “[...] la giustificazione è essa stessa un conoscere filosofico, che perciò ha luogo solo d e n t r o la filosofia.” (G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Bari 1951, § 10

3 Christopher Shields, Classical Philosophy a contemporary introduction, London-New York 2003, p. 99

4 “Le correlazioni tra la misura dell’attivazione cerebrale ottenute con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e i resoconti introspettivi riguardanti fenomeni come le emozioni provate durante un compito assegnato dagli sperimentatori potrebbero essere statisticamente malcerte. Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà ritengono che siamo vittime di una vera e propria neuro-mania, ossia l’illusione di spiegare i comportamenti umani più complessi contemplando in quale parte del cervello essi hanno luogo.” Si va verso una nuova versione di frenologia? (Pietro Perconti, Coscienza, Bologna 2011, p. 21)

5 Edith Stein, Introduzione alla filosofia, Roma 1998, p. 48

6 Tema, tra gli altri, sviluppato in Giacomo Samek Lodovici, Il ritorno delle Virtù. Temi salienti della Virtue Ethics, Bologna 2009. Il mondo anglosassone che non è sceso nell’agone “continentali versus analitici” dimostra grande interesse per la filosofia aristotelica.

7 G.E.L. Owen, Tithenai ta phainomena, p. 84, in Julius M. Moravcsik, Aristotle: a collection of critical essays, New York 1967

8 Filippo Santoni De Sio, Responsabilità, http://www.aphex.it , 1 (2010)

9 Elisa Paganini, La vaghezza, Roma 2008, p. 14

10 Ludwig Wittgenstein, Della certezza, Torino 1978 § 611 (ed. or. 1974)

11 Paul A. Boghossian, Paura di conoscere. Contro il relativismo e il costruttivismo, Roma 2006, p.15

12 Annalisa Coliva in Id., Premessa all’edizione italiana, p. 11

13 Mario De Caro, Azione, Bologna 2008, Cap. III

 

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