Convivenza civile Tra dignità e rispetto delle regole
Quando si parla di un argomento, è bene sapere che cosa significano le parole che si usano. Tutti
sappiamo cosa vuol dire “convivenza” -anche se spesso non la pratichiamo come dovremmo- ed il
termine “convivenza” sottende le parole “dignità” e “regole”.
Tutti più o meno sappiamo cosa significano le regole. Io vorrei provare a capire con voi che cosa significhi la parola dignità.
C’è un primo modo per provare a capire che cos’è la dignità, ed è andarlo a vedere sul vocabolario,
cioè fare quella che i tecnici chiamano l’analisi filologica. E’ una cosa interessantissima ma è anche
un po’ noiosa.
Se andiamo ad aprire un vocabolario e ci domandiamo che cosa vuol dire dignità, vediamo che la
persona dignitosa è colei che merita rispetto. Quindi siamo fermi da capo a dodici, perché abbiamo
un significato, ma che cosa in concreto voglia dire, il vocabolario non ce lo spiega esattamente.
Allora vorrei proporvi di cercare di capire che cosa voglia dire la parola dignità, guardando la realtà,
guardando la vita di tutti i giorni, guardando al passato e guardando i giornali.
Cerchiamo di capire che cosa significa, aprendo i giornali. Qualche giorno fa, lo ricordate tutti, c’è
stato il giorno della memoria, e sabato, l’altro ieri, c’è stato un altro giorno della memoria, la
memoria delle “foibe”. Entrambi sono giorni importanti, ma quello su cui vorrei soffermarmi e di
cui i giornali hanno parlato molto, è il 27 gennaio, il giorno della memoria della sterminio, il giorno
in cui sono stati aperti i campi di concentramento.
So che alcuni di voi, magari anche in quest’aula, sono andati a vedere il campo di sterminio di
Auschwitz. Molte scuole romane vi sono andate, e credo che per dipanare il significato della
memoria dobbiamo necessariamente cominciare da lì. Mettiamo da parte tutte le polemiche di chi
ha negato Auschwitz: il presidente della repubblica iraniana, chi vuole fare del revisionismo o chi,
al contrario, vuol mandare in galera coloro che mettono in dubbio o negano lo sterminio.
A me interessa la testimonianza sulla memoria di un uomo che purtroppo è stato ad Auschwitz , ne
è uscito ed ha ritenuto suo dovere testimoniare che cosa ha voluto dire Auschwitz. Poi, non ce l’ha
fatta, ha ceduto e si è ammazzato. Parlo di Primo Levi e del suo splendido libro, “Se questo è un
uomo”, che imporrei a tutti noi di leggere!
In quel libro-testimonianza, Levi ci spiega, con parole molto più semplici di un vocabolario, che
cosa è la distruzione della dignità. Vi cito solo tre episodi rapidissimi: l’arrivo al campo di
sterminio, la vita quotidiana, il fatto di essere trattati come oggetti.
Dice Levi che arrivando al campo di sterminio, la prima mattina, quando si sono risvegliati, sono
stati cacciati con urla e spintoni, hanno messo loro addosso degli stracci, delle scarpe a suola di
legno e li hanno mandati all’aperto a correre nudi con tutto il corredo in mano. Corredo , per modo
di dire, le scarpe di legno e gli stracci. Questa offesa è la demolizione di un uomo. Dice Levi: “Ci
hanno tolto gli abiti, le scarpe, i capelli. Se parleremo non ci ascolteranno, se ci ascoltassero non ci
capirebbero, ci toglieranno anche il nome”.
Poi racconta un altro episodio della vita quotidiana. Una persona. che era arrivata ad Auschwitz
prima di lui, gli dice che bisogna vivere per raccontare, per portare testimonianza, e per vivere
bisogna salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma della civiltà. “Dobbiamo quindi lavarci
la faccia senza sapone, nell’acqua sporca e asciugarci nella giacca”. Questa è la dignità nel campo
di concentramento.
Nell’ultimo episodio, forse il più significativo, Levi racconta come si senta trasformato in oggetto.
Tornando dal lavoro al campo, un kapò, uno dei sorveglianti, afferra il cavo di acciaio di un argano
per scavalcarlo… “Nel frattempo” continua Levi “io l’ho raggiunto, ed Alex scavalcando il cavo si
sporca la mano, che è nera di grasso… e senza odio e senza scherno strofina la mano sulla mia
spalla, il palmo e il dorso, per pulirla.” Questo è un esempio di come l’uomo può essere trasformato
in oggetto. Ecco perché ci ricordiamo della Shoah, della giornata della memoria, e questo vale per
le tante memorie che abbiamo, quella della Shoah e quella delle foibe. Non certo solo per 3
commemorare, o per solidarietà con le vittime o per pietà verso di loro: non è una cerimonia.
Guardiamo al passato per non dimenticare e soprattutto perché non accada mai più.
Ricordando quello che ci dice Primo Levi riguardo ad Auschwitz ed ai campi di sterminio,
comprendiamo cosa vuol dire dignità. Vuol dire rispetto di tutti, rispetto per tutti, perché siamo tutti
uguali, anche gli ebrei, anche i neri, i gialli, i ricchi, i poveri, i barboni, i cristiani, i musulmani, i
cittadini e gli extracomunitari.
Non è una verità così scontata, perché per troppo tempo, e ancora adesso, basta il colore della pelle
e la razza di una persona per considerarla diversa dagli altri, per escluderla dalla scuola, per
escluderla dal lavoro, per mandarla in campo di concentramento. Auschwitz ci ricorda che quando
si incontra un diverso, questo è il primo passo che porta al campo di concentramento. Ricordiamo
un passato in cui la dignità è stata calpestata anche da noi, nella civilissima Europa e nella
civilissima Italia, la culla del Diritto.
Nel 1937 c’era una legge che spiegava che gli ebrei erano diversi dagli altri e quindi non potevano
frequentare le scuole, non potevano praticare le libere professioni, non potevano fare il commercio,
non potevano sposarsi con gli ariani e via discorrendo. E non era mica tanto tempo fa.
Ricordando questo, siamo tutti impegnati a evitare che quel passato ritorni e ci avvaliamo delle
regole: l’art. 3 della Costituzione, che ci dice che siamo tutti uguali e abbiamo pari dignità sociale;
l’art. 1 della Carta Europea dei Diritti, alla quale abbiamo lavorato sia il professor Rodotà che io, lui
molto più a lungo di me e quindi ve ne potrà parlare meglio, in cui il testo si apre dicendo che la
dignità umana è inviolabile, e deve essere rispettata e tutelata. Si parla poi del diritto alla vita, del
diritto all’integrità fisica e psichica della persona, della proibizione della tortura, delle pene o dei
trattamenti degradanti, della proibizione della schiavitù e del lavoro forzato. Sembra l’indice di
quello che si faceva ad Auschwitz.
Ma se ci domandiamo: “E’ solo un problema del passato? Ed è solo un problema di grandi
violazioni della dignità di cui dobbiamo occuparci?” Ecco, io rispondo: “No”, a tutte e due le
domande. E’ un problema di oggi e di domani. Dopo Auschwitz ci siamo detti, indignati a proposito
della dignità: “Mai più!”.
Poi in forme diverse ci siamo trovati davanti il Ruanda e il genocidio etnico, la Cambogia e Pol Pot,
il Darfur e le stragi di non musulmani, e poi, vicinissima a noi, la ex-Iugoslavia e la pulizia etnica.
Grazie alla globalizzazione, vediamo tutto in tempo reale. Inoltre, accanto agli eccidi e ai massacri,
ci troviamo tutti i giorni di fronte alla morte per fame, per AIDS, per mancanza di acqua.
Voi sapete che il livello di povertà è valutato dalla Banca Mondiale. Livello di povertà è quello di
chi vive con meno di due dollari al giorno, e livello di estrema povertà è quello di chi vive con
meno di un dollaro al giorno. Ci sono circa 800 milioni di persone che vivono con meno di un
dollaro al giorno e ci sono più di due miliardi di persone che vivono con meno di due dollari al
giorno. L’immigrazione è dovuta alla dignità di chi, per sopravvivere, per non morire di fame, si
affida alle barche e alle carrette che attraversano il Mediterraneo. Pensiamo anche allo sfruttamento
del lavoro delle donne e dei bambini in Asia, perché noi possiamo avere delle belle felpe o delle
belle scarpe da ginnastica. Quindi non è un problema solo del passato, è un problema attualissimo e
del presente.
Per concludere, vorrei dire che non è solo un problema di grandi avvenimenti, o un problema di
altri, di grandi violazioni, di fatti su cui indignarci perché tanto capitano al di là dell’oceano e
quindi noi li vediamo solo in televisione. E’ un problema quotidiano, di tutti i giorni, di tutti noi.
Perché se leggiamo il giornale, vediamo ad esempio, le notizie recenti su Catania: “La violenza
negli stadi”. Sapete che qualche giorno fa è stato ucciso un agente di pubblica sicurezza che faceva
il suo lavoro davanti allo stadio di Catania. Avete certamente visto dai giornali le scritte ignobili che
esaltano quella morte e prima di quelle, le scritte razziste e gli striscioni razzisti durante le partite di
calcio, gli emblemi nazisti, gli insulti antisemiti, in cui c’è una sola alternativa: se è stupidità
inconsapevole, cioè se chi usa quegli slogan non sa cosa vogliono dire, offende la propria dignità
perché lo fa senza sapere cosa fa; se è delinquenza consapevole, è offesa alla dignità di tutti noi. 4
E ancora: ci scandalizziamo tutti dei mercanti di carne umana che trasportano gli immigrati sulle
barchette che attraversano il Mediterraneo. Ditemi voi se c’è molta differenza tra questo e lo
speculare sulla pelle degli immigrati clandestini affittando un posto letto a cifre paradossali.
Leggevo dai giornali di questi giorni: 28 posti per 3 appartamenti di 150 mq. in totale, per 200 euro
al mese per avere, alcune ore, un letto. Miseria, sporcizia, mancanza di sicurezza, mancanza di
dignità. E questo ci coinvolge tutti, come ci coinvolge tutti un’altra serie di cose. I maltrattamenti e
il mobbing a scuola, ad esempio. La novità dell’uso dei telefonini per filmare le prodezze sessuali a
carico delle nostre compagne di scuola che spesso si risolvono in episodi di gallismo becero e
quanto mai stupido. Oppure, altrettanto, nei confronti di altri soggetti deboli: gli handicappati.
Pensate, per quanto riguarda i diversamente abili, il problema che si è avuto in una scuola di Torino.
E vi assicuro che in questo periodo, stando in carrozzella per una butta caduta - esperienza che non
avevo mai fatto prima - ho cominciato a rendermi conto - e io sono un fortunato perché spero di
starci un mese ancora e non di più – di che cosa vuol dire il mondo visto dalle barriere
architettoniche, visto dalla carrozzella, visto dalla condizione di diversamente abili. E’ un discorso
che ci riguarda tutti e ci fa capire cosa vuol dire quella definizione del vocabolario: la dignità come
rispetto.
Perché è una sfida che possiamo e dobbiamo combattere tutti noi, non solo nel ricordo del passato e
delle grandi cose, ma nella quotidianità delle piccole cose. Abbiamo alcune regole fondamentali per
capire come attuare il rispetto reciproco: l’uguaglianza e la solidarietà. Sono queste due norme
cardine nella nostra Costituzione. Ricordiamo l’art. 3 che dice che siamo tutti uguali e abbiamo pari
dignità sociale e che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che rendono qualcuno meno
uguale di altri.
Prendiamo un solo esempio. Abbiamo una serie di diritti, il primo dei quali è l’inviolabilità del
domicilio. Tutti siamo uguali, tutti abbiamo diritto a un domicilio inviolabile. C’è però un piccolo
particolare: chi è senza casa e dorme sotto i ponti, pur avendo diritto all’inviolabilità del domicilio,
non ha una casa e non ha un domicilio. Ecco allora l’art. 3 della Costituzione che ci impegna a
rimuovere le differenze che impediscono che l’uguaglianza formale diventi anche sostanziale ed
ecco l’art. 2 della Costituzione, l’altra norma fondamentale che declina insieme i diritti e i doveri.
Diritti inviolabili sui quali la Costituzione si fonda e che esprimono la dignità dell’uomo, e doveri di
solidarietà sociale che sono legati ai diritti. Credo che la chiave di volta sia questa.
Vorrei concludere con la testimonianza di una persona che mi ha sempre affascinato come mi ha
affascinato Primo Levi : parlo di Gandhi, il profeta della non violenza. Gandhi diceva: “La vera
fonte dei diritti è il dovere. Se adempiamo i nostri doveri non dovremo andare lontano a cercare i
diritti. Se lasciando i doveri inadempiuti, rincorriamo i diritti, ci sfuggiranno come fuochi fatui.
Quanto più li inseguiamo, tanto più fuggono lontano.”.
Credo che queste due testimonianze, quella di Primo Levi sul rispetto e quella di Gandhi sul
rapporto tra i diritti e i doveri, siano una buona bussola per cercare di declinare dignità e regole in
vista di una convivenza che sia degna di questo nome. Grazie!
La scuola di ecologia Culturale è un luogo di scambio di esperienze e di costruzione di tecniche democratiche e pacifiche per lo sviluppo sostenibile delle società umane e si muove per realizzare iniziative (prevalentemente in partnership) per l’educazione dei giovani (la scuola del territorio e uno dei partner naturali della scuola) e lo sviluppo di un capitale umano di eccellenza che dovrà essere protagonista dello sviluppo culturale ed economico delle società e dei popoli Euro Mediterranei.
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