mercoledì 25 novembre 2015

Le mie signore di Sumpetar

PRESENTAZIONE :

ABBIAMO IL PIACERE DI INVITARTI ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI GABRIELLA EBANO. 
 
 
   
 
 
 
BIBLIOTECA POPOLARE "SALVATORE BARRA"
 
 
 
NE DISCUTE CON L'AUTRICE, TOTI COSTANZO
 
                                 DOMENICA 29 NOVEMBRE 2015    ORE 17,30
                                                    VIA BAIDA ,12 PARTINICO

sabato 21 novembre 2015

25 Novembre giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne


Donne, violenza e cultura patriarcale: superare il dolore è possibile
 

Il 25 novembre è la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, celebrata in Italia dal 2005 e solo da centri antiviolenza e case-rifugio. Poca visibilità per una ricorrenza che ha un compito importante: ricordarci che solo col giusto sostegno - affettivo ed economico - si può dare una speranza alle vittime

di SARA FICOCELLI

E' difficile misurare il dolore. E' difficile stabilire quanto pesa, quanto dura, quanto il suo odore - che è quello della paura - possa essere nauseabondo per chi se lo porta addosso. Ognuno vive la sofferenza in modo diverso. Uno schiaffo può imprimersi nella mente per anni, un livido può non scomparire mai. Per capire a fondo il fenomeno della violenza di genere, perpetrata ovunque nel mondo sulle donne unicamente perché donne, tuttavia, bisogna farlo. Bisogna dare una misura al dolore. Con i numeri, con le cifre, con le testimonianze delle vittime. Perché è solo così che, negli ultimi anni, i centri antiviolenza di tutto il mondo sono riusciti a sensibilizzare la gente: dati alla mano.

La 
giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre, è stata istituita dalle Nazioni Unite nel 1999 ma in Italia viene celebrata solo dal 2005. La ricorrenza serve a mettere da parte, per un giorno, i numeri, invitando la società civile a toccare con mano il problema della violenza di genere e della cultura patriarcale leggendo libri, guardando film, partecipando a dibattiti, a mostre e a eventi a tema. Perché nessun problema culturale può essere davvero risolto se non viene compreso e interiorizzato nel profondo. Se non desta sdegno, commozione, empatia.

Una su tre ha subìto violenza. Nel 2013, in Italia, si sono registrati 179 casi di femminicidio, sette su dieci all'interno del contesto familiare o affettivo. Secondo
 l'ultima indagine Istat 2015, il 31,5% delle italiane ha subìto violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita e sono quindi 6 milioni e 788mila le donne che portano nella mente e sul corpo i segni della violenza. Una su tre.

Stesse percentuali a livello mondiale. Secondo l'
Organizzazione mondiale della sanità, nel mondo il 35% delle donne ha subito una violenza domestica o sessuale nel corso della propria vita, e il dato è talmente allarmante che l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) considera la violenza contro le donne una delle prime cause di morte o invalidità permanente per la popolazione femminile. Il 42% di coloro che hanno subìto violenze fisiche o sessuali da uomini con cui avevano avuto una relazione intima ha riportato gravi danni alla salute. E ancora, il 38% degli omicidi di donne nel mondo vengono commessi da un partner intimo. Ma il femminicidio è solo la punta dell'iceberg.

"Quando una donna subisce violenza - spiega Flavia Bustreo, vice direttore generale del settore Salute della famiglia, delle donne e dei bambini presso l'Oms - le ripercussioni sulla salute con cui dovrà fare i conti negli anni successivi sono molteplici perché non si corrono rischi solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello della salute mentale, per non parlare del fatto che aumenta drasticamente il rischio di contrarre infezioni come l'Hiv. Sono tanti i Paesi del mondo, dalla Tanzania al Bangladesh al Perù, in cui il primo rapporto sessuale di una donna avviene forzatamente. Uno dei fattori su cui dobbiamo fare leva in tutto il mondo, Italia compresa, è l'educazione già in tenera età, facendo sì che i servizi sanitari siano equipaggiati per rispondere alla violenza con cure socio-sanitarie adeguate".

Disparità su tutti i fronti. "Nel nostro Paese non abbiamo ancora raggiunto la parità - spiega Simona Lanzoni, vice presidente di 
Fondazione Pangea Onlus, componente del gruppo per il monitoraggio dell'applicazione della convenzione di Istanbul (Grevio) - né abbiamo sconfitto la violenza. Un esempio per tutti in ambito lavorativo è il fatto che le donne subiscono ancora il "gender pay gap": a parità di responsabilità lavorative, ricevono uno stipendio inferiore rispetto a quello di un uomo. Meno reddito equivale a una inferiore capacità di consumo e di acquisto di beni durevoli, di proprietà, di accesso al credito. Chi subisce violenza e non ha autonomia economica dal compagno, difficilmente riuscirà a liberarsi da una relazione violenta, soprattutto se ci sono figli. Avere un reddito, un lavoro, è una delle condizioni fondamentali per rendersi autonome dalla violenza, per ricominciare a vivere libere e dignitosamente".

Mancanza di fondi e di coordinamento. A una situazione di per sé già difficile si aggiunge il problema della mancanza di fondi a favore delle associazioni femminili, che si occupano di sostenere le vittime e aiutarle a uscire dalla violenza. I centri antiviolenza sono motori, chiavi di cambiamento di una cultura che ancora genera e giustifica la violenza. "Non si può contrastare la violenza maschile - spiega Titti Carrano, presidente 
D. i. Re "Donne in Rete contro la violenza" - senza centri antiviolenza composti da donne, non istituzionali. I finanziamenti sono fondamentali ma è il ruolo politico, culturale e trasformativo dei centri la cosa davvero importante".

La situazione di povertà tuttavia porta questi centri a sopravvivere a stento, costringendo talvolta le operatrici a non poter lavorare come si deve. "Mancano politiche e azioni locali, sia regionali che nazionali, coordinate tra loro sui territori in cooperazione con i centri antiviolenza e le associazioni per i diritti, le forze dell'ordine, i pronto soccorso, i servizi sociali, le scuole. L'austerità in cui versa il Paese di certo non aiuta a realizzare queste sinergie. C'è mancanza di fondi a tutti i livelli, comprese le risorse per le associazioni femminili che si occupano di sostenere le vittime e aiutarle a uscire dalla violenza. Una situazione di povertà che porta a non assicurare le misure necessarie e dovute nel tempo, ovunque sul territorio italiano, come richiesto dalla Convenzione  di Istanbul", continua Lanzoni.

"Noi della rete nazionale de centri antiviolenza - spiega Carrano - abbiamo lavorato in questi mesi a una prima raccolta indipendente di dati sul finanziamento ai 74 centri antiviolenza che costituiscono la nostra rete. In sole sei Regioni è avvenuto un confronto o un reciproco scambio di informazioni fra l'ente locale e le associazioni, eppure è evidente che si tratta di un confronto indispensabile per impostare coerentemente la spesa. Nella stragrande maggioranza delle Regioni, ad oggi novembre 2015 i finanziamenti non sono ancora stati spesi e talvolta non si è provveduto neppure all'impegno delle risorse. Molti uffici regionali preposti a questo compito non hanno sufficiente competenza in materia, e quindi tendono a distribuire le risorse a fruitori non specializzati, senza alcuna esperienza di lavoro sulla violenza contro le donne. Manca completamente una valutazione delle priorità in termini di vantaggio per le donne che subiscono violenza. Una valutazione del genere non può essere fatta senza ascoltare il parere e cercare il consiglio dei centri e delle case che operano già da anni sui territori, e quindi conoscono bene le fragilità e i punti di forza del sistema".

L'autofinanziamento come unica soluzione. Per autofinanziarsi e portare avanti sia la battaglia culturale che i progetti di aiuto alle donne maltrattate, le associazioni italiane si sono ingegnate in tutti i modi possibili negli ultimi anni, e hanno trasformato il 25 novembre in una carrellata di eventi a tema finalizzati alla sensiblizzazione e alla raccolta fondi. Quest'anno si va dalla campagna 
#ConLeDonneXLeDonne, a sostegno dell'associazione nazionale D. i. Re "Donne in Rete contro la violenza", a quella rivolta agli uomini#inbarbaallaviolenza - uomini orgogliosi di metterci la faccia di Fondazione Pangea, al WeWorld Film Festival di Milano, rassegna cinematografica interamente dedicata ai diritti femminili, fino a mostre e spettacoli di teatro, come quello organizzato a Napoli, "Il silenzio delle Stelle", il cui ricavato andrà al Telefono Rosa della città partenopea. Per dare un contributo alla causa è dunque importante partecipare almeno a uno di questi eventi: un piccolo gesto che però può significare molto per chi lavora ogni giorno per convincere una donna a denunciare un marito violento.

Un'accellenza italiana: il festival "La violenza illustrata". In Italia c'è anche un evento di eccezione a livello mondiale, un festival dedicato al tema degli abusi, nato nel 2006 grazie alla 
Casa delle donne per non subire violenza di Bologna. La Violenza Illustrata è l'unico evento del panorama internazionale interamente dedicato alla giornata mondiale contro la violenza sulle donne e quest'anno, partendo dalle illustrazioni di Arianna Vairo e dalla rielaborazione di un famoso titolo di Adrienne Rich, Rinate di donna, parlerà del legame che unisce il pensiero femminista e la pratica dei centri antiviolenza, raccontando la relazione che dal femminismo ha portato ai centri antiviolenza, e il rapporto che per sempre lega una donna vittima di violenza alla donna che la accoglie e la sostiene. Perché è difficile quantificare il dolore, ma con il giusto sostegno è sicuramente possibile superarlo, e ricominciare a vivere.

mercoledì 18 novembre 2015

BUTTANISSIMA SICILIA al Finocchiaro 18 Novembre 2015 Palermo ore 21.00

Un istrione e due fate mascherate da streghe viaggiano dentro gli orrori del sistema dell'autonomia siciliana regalando al pubblico risate a pioggia, ma con un retrogusto amaro. Ah Rosario sei la nostra Croce, anzi crocchetta, anzi ..... un viceré alla Masaniello ....
 

 
BY BY Saro


 





 

sabato 14 novembre 2015

ATTACCO ALL'OCCIDENTE PARIGI 13 NOVEMBRE 2015


Una notte di GUERRA per terrorizzare un occidente capitalista e moralista che fa le sue guerre senza tener conto delle culture, religioni o situazioni territoriali. Fin dalla fine della seconda guerra mondiale, americani e inglesi (pirati per natura e professione imperialista) hanno installato un cane da guardia troppo feroce in medio oriente: ISRAELE.  Lo stato ebreo è stao il primo incubatore di Fondamentalismo e di intolleranza. La cultura piratesca anglosassone ha permesso che reduci e non reduci ebrei si trasferissero, rubando terre e case ai palestinesi sulle rive del Giordano. La guerra in queste terre, da allora, non è mai finita. Ancora oggi si incoraggiano i coloni ebrei a rubare e costruire terre appartenenti ai palestinesi e il mondo si indigna se dei novelli David tirano pietre al Gigante Golia (oggi incarnato dallo Stato di Israele che si incammina verso un NAZISMO di stampo pegiore di quello che la storia ci ha già consegnato e superato), E' di qualche mese fa il pentimento di Tony Bleir sulla guerra in IRAQ e di poco prima la congiura che unisce francesi e americani con i soliti sornioni pirati inglesi, che stanno sempre col piede in due staffe, ad abbattere il dittatore Gheddafi. Risultato: Spazio al califfato, al governo del terrore e a nuove disgrazie. Quando finirà di sbagliare e di essere antistorico questo Occidente governato dalle lobbyes speculative che non hanno come scopo il benessere delle popolazioni, ma l'esatto contrario. Parigi ora chiude le frontiere, ma i vermi li coltivava in seno. OGGI SIAMO TUTTI PARIGI, ma questa non è una guerra tradizionale. E' una guerra asimmetrica che da un lato si diffonde e prende piede nei vuoti causati dalle stupidità e dalle miopie occidentali e dall'altro dal terrore che crea il panico, il caos e scatena i tifosi della MORTE. una ventina di uomini sono più di un commando e per muoversi non erano soli, ma avevano un supporto logistico, che spesso, si nasconde dentro gli uffici dei SERVIZI SEGRETI degli stati in cui questi suicidi fanatici e drogati agiscono. PER QUESTO CI VUOLE UN EUROPA DEI POPOLI e gli attuali governi fuori dalle sale di manovra piene di infiltrati e di spie, di cospiratori e di lobbies. Solo i popoli uniti possono vincere questa battaglia, gli attuali governi non lo possono e non  lo vogliono fare.
Ugo Arioti

mercoledì 11 novembre 2015

nuovi equilibri internazionali nel Mediterraneo delle migrazioni epocali


Mediterraneo: dalla migrazione un mare di pace, studiosi a confronto a Palermo

Due giorni di dibattiti mentre a Malta è in corso il summit mondiale sui migranti, studiosi, esperti e politici si confrontano sui nuovi equilibri internazionali
 

di TULLIO FILIPPONE

Una conferenza per la "Pace e diritti nel Mediterraneo". Mentre a Malta in queste ore oltre 60 rappresentanti di stati europei e africani discutono sulla migrazione nel "Valletta Summit", a Palermo il dipartimento di scienze giuridiche (nei plessi di piazza Bologni e via Maqueda) e l'Aula Consiliare di Palazzo delle Aquile, ospitano una due giorni di dibattiti e incontri che mette in relazione il tema dei diritti dei migranti con quelli della pace, della smilitarizzazione del Mediterraneo  - nel quale la Sicilia riveste un ruolo strategico e militare non irrilevante- e dei cambiamenti climatici, sempre più spesso tra le cause dell'esodo in atto. La conferenza, promossa dalle associazioni Primalepersone e Adif con la collaborazione del Comune e dell'Università di Palermo e il patrocino dell'Anci Sicilia, inizierà il 12 novembre alle 9 nell'Aula Sturzo di piazza Bologni 8 e si concluderà nel pomeriggio del giorno successivo.

Ai dibattiti prenderanno parte, tra gli altri, gli europarlamentari Barbara Spinelli del gruppo Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica (Gue /Ngl), Elly Schlein dei Socialisti e Democratici, Ignazio Corrao e Laura Ferrara del M5S, il sindaco Leoluca Orlando, padre Alex Zanotelli, l'economista ambientale Guido Viale, il direttore scientifico di Kyoto Club Gianni Silvestroni, il costituzionalista Enzo Di Salvatore e un ricco parterre di attivisti ed esponenti del mondo accademico e associativo. "Crediamo che un ruolo fondamentale nel promuovere un mutamento innanzitutto culturale ma anche in grado di avviare progetti e modelli di integrazione concreta nei territori possa  giocarlo l'interazione tra gli enti locali con tutte quelle realtà associative che già operano a favore di una visione alternativa

 dell'Europa delle quote e delle guerre", spiegano gli organizzatori Fulvio Vassallo Paleologo della Clinica legale per i diritti umani (Cledu) e Antonella Leto di Primalepersone che modereranno alcuni incontri. "Per questo intendiamo la conferenza come un punto di partenza nella riflessione comune da sviluppare nel tempo in maniera partecipativa, che sarà tanto più ricco quanto maggiori saranno i contributi, le adesioni e le partecipazioni", concludono.

martedì 10 novembre 2015

Il teatro Politeama Garibaldi in Piazza Castelnuovo alle spalle di Ruggero Settimo


Il teatro Politeama Garibaldi in Piazza Castelnuovo alle spalle di Ruggero Settimo  

“Felicissima Palermo! Città ricca di Storia e Arte e teatri! Cca ci suunu jardini ca profumanu d’ammuri e d’Eternu e ci sunnu cristiani boni e critiani tinti, ma tutti sunnu vistuti a festa nna sta città ca sta nto centro du Munnu!” Don Giuseppe, un mio antenato, luogotenente e amministratore del Marchese di Rudinì, lo diceva sempre al suo amico francese Simon D’Orleans, passeggiando per via Emerico Amari in direzione di piazza Castelnuovo. A un tratto fermò il calesse si alzò in piedi sul cocchio e indicò all’amico la grande struttura che si ergeva davanti a loro. “Vedi Simon, è qui che appari nella mente di Giuseppe Damiani Almeyda, architetto palermitanissimo, l’immagine epica, con le sue raffinate linee di un bellissimo Teatro situato sulla Piazza Ruggero Settimo … “.

Il problema era che ieri come oggi, il comune non aveva tutti i fondi per costruirlo e che qualcuno aveva già messo le mani avanti e lo voleva come centro commerciale piuttosto che luogo dedicato al teatro. Ma la spinta risorgimentale e massonica del nuovo corso garibaldino impose alla città di innalzare un monumento al nuovo che avanzava con le sue aspettative e i suoi voli pindarici. Fu proprio il Marchese di Starabba che fece feconda l’impresa!

“Buongiorno ingegnere, sono Carlo Galland, l’idea di fare un teatro nel cuore della città nuova, mi piace! Noi siamo impegnati nel sostenere l’arte e la cultura in questa città e non verremo meno a questo nostro principio ora che ci sono i disegni e il piano d’arte dell’architetto Damiani. Penso che lo potremmo chiamare: Politeama! Uno spazio di cultura per il teatro e le arti.”

Nel 1869 e 1870 sorgono dei problemi tra il Municipio e l’impresa Galland, ma si decide di proseguire l'opera, eliminando tutti i lavori di abbellimento. Il cantiere inoltre era stato chiuso per qualche tempo per fare delle verifiche sulle condizioni statiche dell’edificio. Essendo stato trovato tutto a perfetta regola d’arte fu riaperto e si proseguì con i lavori. Il teatro era stato progettato come teatro diurno all’aperto, ma fu in un secondo tempo deciso di realizzare una copertura. Nel giugno 1874 fu inaugurato anche se incompleto e ancora privo di copertura, la prima rappresentazione fu I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini. Quest'ultima, considerata per l'epoca opera di grande ingegneria, venne realizzata in metallo dalla Fonderia Oretea nel novembre del 1877. Gli ultimi lavori, di abbellimento, furono realizzati nel 1891 in occasione della grande Esposizione Nazionale che si teneva quell’anno a Palermo. L’inizio del nuovo secolo della tecnologia nella capitale normanna, vide sorgere, sul frontale del tempio costruito dall’impresa Galland, una serie di eroi bronzei di fattura pregevole opera dello scultore Civiletti.

Cavalli e cavalieri, una piccola armata a difesa del Politeama Garibaldi! Sono ancora la, sul frontale del tempio immaginato da una collettività creativa e feconda! Penso che difendono lo spazio della vita dedicato all’uomo nella sua interezza (in corporis Spiritu).

 

Ugo Arioti

lunedì 9 novembre 2015

Myanmar, il trionfo di Aung San Suu Kyi: oltre il 70% nelle elezioni

A Rangoon 44 seggi su 45. La dissidente premio Nobel per la pace avrebbe la maggioranza necessaria per formare il governo e diventare premier. L'attuale partito al potere ammette la sconfitta

 
 

RANGOON - Una vittoria travolgente dopo anni di prigionia e opposizione silenziosa. La premio Nobel per la pace birmana Aung San Suu Kyi si avvia a diventare il primo ministro di Myanmar dopo le prime elezioni libere in 25 anni nel paese asiatico da sempre sottoposto a regime militare. Migliaia di sostenitori dell'icona della resistenza al regime, sono scesi nelle strade. Il Myanmar è in festa. Ma Aung invita ancora alla prudenza sostenendo che "è troppo presto per festeggiare". Il partito di Suu Kyi ha annunciato di aver vinto 44 dei 45 seggi per la camera bassa birmana assegnati a Rangoon. In mattinata lo stesso partito aveva dichiarato di aver conquistato il 70% dei voti.
Se il dato trovasse conferma Suu Kyi avrebbe la maggioranza necessaria per formare il governo e diventare premier. La soglia è del 67% dei voti considerando che alla giunta militare è riservato un 25% dei seggi).Valutazioni di fonte democratica indicano una vittoria con oltre l'80% in diverse aree urbane, mentre attorno al 65% in quelle rurali e in stati etnici, come quelli Mon e Kayin. Nessuna conferma finora dalla commissione elettorale, anche se in giornata sono attesi i primi risultati, ma la Lega nazionale per la democrazia avrebbe conquistato la maggioranza nella maggiore città del paese, Yangon, e in importanti centri, come Mandalay e Bago, roccaforti del partito per l'unione, la solidarietà e lo sviluppo erede del regime militare durato dal 1962 al 2010.

venerdì 6 novembre 2015

Ripartire dalla cultura?

Ripartire dalla cultura?
 
Nel 2013, nonostante la crisi economica, 100 milioni di persone hanno visitato nel nostro paese un museo o un sito. Nel rilanciare il settore non si può che far tesoro di dati come questo. A patto di farlo con un minimo di organizzazione e di serietà.
 

di Stefano Landi
Presidente Sl&a Turismo e Territorio
 
Non è facile ricostruire la storia recente del turismo italiano, e soprattutto non è facile capacitarsi del perché, anche contro il senso comune, le cose vadano come vanno, perché le competenze siano così disorganiche, perché sia così difficile metterci mano in una logica di maggiore efficienza o quanto meno razionalità. Si sente spesso dire in giro che “il nostro futuro è nel turismo, e la cultura è il nostro il petrolio, ma non lo sappiamo sfruttare”. Un luogo comune che sempre più spesso si intreccia con le competenze del ministero per i Beni e le Attività culturali ed il Turismo, che il titolare Dario Franceschini ha definito “il più importante ministero economico italiano.
    La domanda che ci poniamo e a cui cerchiamo di rispondere con la ricerca “Turismo, vent’anni senza”: si può ripartire dalla cultura, per rilanciare il turismo? Proviamo a spiegarlo, ponendo in evidenza statistiche e numeri molto importanti e significativi. Secondo le ultime indagini ufficialmente disponibili, la motivazione culturaleinfluenzerebbe quasi il 40% dei turisti internazionali: nel 2013 in 48 milioni hanno visitato il nostro Paese. Abbiamo quindi 18 milioni di stranieri attratti dalla cultura. Tra i turisti italiani, invece, la motivazione culturale di vacanza in Italia “pesa” per il 24%, su un totale di 55 milioni di viaggiatori 2013, e quindi spiega 13 milioni di turisti domestici. I “turisti culturali” sono pertanto soprattutto stranieri.
    Considerando ancora le ultime indagini disponibili sui vacanzieri (italiani e stranieri in Italia) e in particolare i dati sulla permanenza media e la spesa, si arriva a stimare una spesa complessiva dei turisti culturali pari a 9,3 miliardi, di cui il 60% generata dai turisti stranieri: sono sempre loro, quindi, i più grandi “consumatori” di cultura in vacanza. Applicando i moltiplicatori settoriali diretti e indiretti della produzione dovuta alla domanda turistica si stima che il valore aggiunto generato dalla domanda turistica culturale ammonta a oltre 6,3 miliardi di euro, e l’occupazione sostenuta da questa domanda raggiunge e supera 186 mila unità di lavoro.
    In Italia, nel 2013, nonostante la crisi che ha falcidiato anche queste spese, 100 milioni di persone hanno “effettuato un consumo di bene culturale”, visitando un museo o un sito. Di questi circa 52 milioni erano italiani (70% residenti o escursionisti, 30% turisti pernottanti) e 47 milioni stranieri (42,2 milioni turisti pernottanti, 4,7 milioni invece escursionisti, come i crocieristi). Si valuta che gli italiani siano stati in netto calo, gli stranieri invece in crescita; ma non ci sono dati precisi, perché incredibilmente non vengono rilevati. Di nuovo si verifica che il principale gruppo di “paganti in biglietteria” è costituito dai turisti stranieri

giovedì 5 novembre 2015

Albek, il libro e il mare


Il libro, da terra, guardava l’uomo nero che piangeva e non sapeva più come sfogliarsi più velocemente per dissolvere le nuvole e sciogliere quell’attimo di tremendo magone. Albek lo vide. Vide la scena e si fermò a pensare. Questa era una situazione insolita. Perché l’uomo nero piange? Non ho visto mai una cosa così strana. Sto sognando allora? Ma il libro si chiuse improvvisamente e la finestra dalla quale Albek era entrato nella stanza sparì. Vento, come fosse un uragano. Tempesta. Mare in agitazione. Pericolo. Corri piccolo uomo, pensò lui, e con un balzo tornò in sella alla sua Kawasaki dorata. Un rombo assordante e la polvere divenne nebbia e coprì le orme delle ruote. Lontano, devo andare lontano. Ma dove? Intanto vado, disse tra se e se. Poi si vedrà! Arrivò a un bivio. Da un lato il bosco dall’altro le dune e la spiaggia incantata di Mendrisio. Scelse il mare. Con una virata sterzò verso la sabbia dorata e attraversò il deserto dei suoi pensieri perduti. Tra le dune volavano fogli stampati, pagine di libri mai letti, volantini, strani articoli e foto in bianco e nero. Infine, solo davanti al mare, vide le parole che cavalcavano le onde venirgli incontro e si lasciò cadere per terra senza spavento. Erano parole antiche che non riusciva a capire. Doveva leggerle con il suo cuore, ma quello era restio e non si voleva impegnare. Dovette escogitare un trucco: inscenò un infarto. Il cardiomuscolo ci cascò e cominciò a leggere il destino. A quel punto era già un trapassato.
Ugo Arioti

Salò di Pasolini: la tortura è politica e nella sua peggiore performance si astrae fino a diventare solo dittatura del Nulla (fascismo allo stato puro)


Salò di Pasolini: la tortura è politica e nella sua peggiore performance si astrae fino a diventare solo dittatura del Nulla (fascismo allo stato puro)


Abbiamo rivisto, in questi giorni di decadenza morale e politica del “vecchio Continente” un film di Pier Paolo Pasolini: Salò. È certamente un film problematico e non facile da decifrare. Qualcuno ha detto controverso. Io vedo questo come un aspetto dialettico pasoliniano, lui ci mostra con questo film la faccia nera del Potere assoluto e cieco: il fascismo. Dicevo è, per alcuni, un discusso film di Pasolini “Salò” (1975), costruito sulla base degli scritti del Marchese de Sade “Le 120 giornate di Sodoma (1785)”, che pone domande significative per quanto riguarda l'intersezione tra torture sadiche e sovranità. Il film è diviso in quattro segmenti, fortemente ispirati all’Inferno di Dante.

Salò si concentra su quattro sovrani corrotti dopo la caduta d'Italia fascista di Benito Mussolini nel 1944. Quattro libertini fascisti - il Duca, il Vescovo, il magistrato, il presidente – fanno rapire le persone più belle giovani della città e li fanno portare in una villa, in uno spazio chiuso chiamato 'La Repubblica di Salò', uno stato fantoccio nazista. Da quel momento, la Repubblica di Salò diventa una enclave fascista, da cui non c'è scampo. Comincia così l’abuso estremo, la tortura, e gli omicidi di giovani uomini e donne per il bene della perversa lussuria e il  piacere estremo.

I giovani così diventano, per i quattro “spettri del potere assoluto della dittatura fascista”, creature deboli, destinati al piacere di pochi scellerati “Potenti”. I gerarchi e gli squadristi gridano ai giovani rapiti :<Non aspettatevi di trovare qui la libertà concessa nel mondo esterno. Siete alla portata di qualsiasi “Illegalità” Nessuno sa che siete qui. Per quanto riguarda il mondo, siete già morti.> (Pasolini, 1975)

È un anticipazione della tragedia dell’America latina: i desaparecidos.

I corpi delle vittime giovani diventano luoghi di dolore e di piacere sessuale repressivo, che porta i segni della vendetta sovrana. Il punto di forza del film sta nel mostrarci che l'appello del piacere è inseparabile dal fascino della violenza sovrana. Ricorda i rituali dei sistemi primitivi di crudeltà, Pasolini riesce quasi a fare della parte che mostra la sadica tortura uno spettacolo divertente. Questa festa è, però, illimitata e protetta da una legge illimitata del potere sovrano. Così, ciò che incontriamo in Salò è quello che io chiamo un illimitato 'godimento di crudeltà', che fa della tortura la vendetta di quattro despoti corrotti. Crudeltà severe. Punisce i corpi delle vittime, senza alcuna colpa, mentre il piacere sessuale diventa un'arma di dominio totale.

Considerando che la bellezza fisica diventa un sintomo di vulnerabilità, il sovrano potere politico diventa un potere distruttivo, una forma totale di fascismo.

Allora la tortura, che è considerata ampiamente nella Letteratura e nella speculazione filosofica politica, una forma di pazzia mette a nudo l’essenza del potere assoluto despotico sofista e dei suoi archetipi irrazionali negativi.

La tortura è ampiamente considerata come una forma di pazzia, come un atto 'irrazionale', come una pratica immorale che si limita ad amministrazioni corrotte o sistemi totalitari. Ma questa “Repubblica di Salò” allora è solo un girone dell’inferno? Si. È un teatrino dove si consuma l’ultimo e più scellerato atto del regime fascista.  Salò è un film che fa pensare e che mette in evidenza quanto la mancanza di democrazia e di democrazia dialettica, possibile anche, dove si isolano gli individui e si coltiva la loro egotica brama di potere, può portare a degenerazioni dittatoriali devastanti.

 

Ugo Arioti  

 

 

Bacheca Kalliope Massafra Taranto


 Centro Culturale Kalliope  Massafra (TA)

 Lunedì 9 Novembre alle ore 18.30 presso il Centro Culturale Kalliope (vico de Notaristefani, 6, Massafra) si terrà un incontro dal titolo “Cure omeopatiche e bambini. Quali? Quando?”.

Curare i bambini con l’omeopatia è per molti genitori una consuetudine, altri invece guardano con diffidenza i rimedi omeopatici e non vi ripongono alcuna fiducia.

 Il dibattito è sempre aperto e acceso. Da un lato, si trova chi, grazie ad un’esperienza diretta, sta dalla parte delle cure omeopatiche e le considera una valida alternativa ai farmaci tradizionali, dall’altro c’è chi considera l’omeopatia una pseudoscienza, pertanto incapace di risolvere concretamente problematiche di salute o di alleviare davvero i sintomi di alcune patologie.

All’incontro interverranno il dott. Galante e il dott. Colapietro.

Vi aspettiamo!

 

martedì 3 novembre 2015

Carta dei Diritti in internet, approvata alla Camera la mozione in vista dell'IGF

Il giurista presidente della commissione che l'ha elaborata, Rodotà: "È un grande risultato culturale, politico e simbolico"


Spinoza: “Etica” e “Trattato teologico-politico”

Spinoza: “Etica” e “Trattato teologico-politico”

A cura di 
 
Vita e opere
Baruch de Spinoza nasce ad Amsterdam nel 1632 in una famiglia ebraica emigrata dal Portogallo a causa delle persecuzioni religiose. Baruch studia presso la scuola della comunità della città olandese, affiancando alla sua formazione lo studio del latino, grazie soprattutto al maestro gesuita Francisus van den Enden (1602-1674): si avvicina così ad autori quali Virgilio, Orazio, Cicerone, Seneca, Tacito,Sallustio, Petronio e Marziale. Tra i suoi interessi filosofici principali, si possono indicare la filosofia scolastica e gli autori come Bacone e Cartesio, che rimane un punto di riferimento fondamentale (ed assieme al quale Spinoza è ritenuto oggi uno dei padri del moderno razionalismo).
Il 27 luglio del 1656 accade l’evento determinante della vita di Spinoza: la comunità ebraica di Amsterdam pronuncia solennemente contro il filosofo un atto di scomunica (in ebraico, cherem), probabilmente connesso all’eterodossia del pensiero spinoziano (riassunta nella sua formula Deus sive natura) e alla sua interpretazione filologica della Bibbia. Spinoza si ritira quindi prima presso Leida e poi nei dintorni de L’Aia, dove si guadagna da vivere come ottico e tornitore di lenti. Rifiutata una cattedra presso l’Università di Heidelberg - sia per rifiuto della mondanità che per mantenere la propria libertà intellettuale - Spinoza si spegne nel febbraio del 1677.
L’unica opera pubblicata da Spinoza in vita e a proprio nome sono i Principi della filosofia cartesiana del 1661, cui s’aggiungono i Pensieri metafisici, che approfondiscono i punti di vicinanza e di separazione col pensiero cartesiano. Opera giovanile è il Breve trattato su Dio, l’uomo e la felicità, prima perduto e poi ritrovato verso la metà del XIX secolo e in cui Spinoza anticipa alcune linee-guida dell’Ethica ordine geometrico demonstrata, nota anche come Etica. A partire dai primi anni sessanta Spinoza lavora congiuntamente all’Etica e al Trattato teologico-politico (in latino Tractatus theologico-politicus), che sarà pubblicato anonimo nel 1670 e che costituirà il suo “manifesto” sulla libertà religiosa e di pensiero(e varrà imediatamente condannato dalle autorità religiose cattoliche e protestanti). L’Etica, terminata nel 1674 ma circolata solo in forma manoscritta per evitare nuove condanne, viene pubblicata postuma nel 1677 ad opera dell’amico Jan Rieuswertsz.
 
La filosofia di Spinoza: L’Etica e il Trattato teologico-politico
 
Il “Deus sive Natura” e il determinismo
Il punto cardine della filosofia spinoziana, che si configura come una sintesi tra la metafisica tradizionale e i nuovi orizzonti della Rivoluzione scientifica secentesca, è l’identificazione di carattere panteistico di Dio e natura (Deus sive natura secondo la sua celebre formula nell’Etica) e la concezione di Dio come ordine geometrico del mondo, per cui Dio si identifica, da un punto di vista immanente, con la razionalità dell’universo, che è organizzato in modo ridgidamente deterministico.
Spinoza quindi, rifiutando la visione antropomorfa biblico-cristiana della divinità e impostando una interpretazione del testo sacro basata sull’indagine filologica, individua il compito della filosofia nelcondurre l’uomo alla “somma beatitudine”, ovvero all’identificazione della propria volontà con la necessità universale di Dio.
Il panteismo, il concetto di sostanza, l’esistenza di Dio
Spinoza interpreta esplicitamente la filosofia come via per ottenere la serenità e la beatitudine dell’esistenza: allora anche la sua etica sarà in ultima analisi finalizzata a un’ars vivendi. L’Etica è appunto strutturata secondo un percorso che va dalla dimostrazione dell’esistenza di Dio (prima parte) alla teoria della conoscenza (seconda parte), fino alla teoria degli affetti umani (terzo libro) e agli ultimi due libri, che analizzano i  motivi per cui l’uomo è schiavo delle passioni (quarto libro) e indicano la via per conquistare la vera libertà.
L’Ethica ordine geometrico demonstrata si presenta come un’enciclopedia che tratta i vari problemi filosofici con particolare attenzione nei confronti dell’etica; il suo procedimento è di tipo deduttivo e dipana le spiegazioni secondo definizioni, teoremi e dimostrazioni, cui si aggiungono gli “scolii”, ovvero dei brevi commenti o precisazioni aggiuntive, anche in merito alle obiezioni degli oppositori. L’intero sistema di pensiero metafisico viene desunto da Spinoza dal concetto di sostanza, termine con il quale intende:
ciò che è in sé e per sé si concepisce, vale a dire ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa da cui debba essere formato 1
Si tratta quindi di una realtà autosufficiente e autosussistente che coincide con la divinità e presenta i seguenti attributi:
- è increata, essendo causa di sé;
- è eterna, poiché l’esistenza le è costitutiva;
- è infinita, poiché illimitata;
- è unica, e quindi indivisibile.
Spinoza fa derivare da questi attributi due prove dell’esistenza di Dio, quella ontologica, o “a priori”, secondo la quale “pensare a Dio significa pensare ad una realtà che avendo in sé la propria ragion d’essere non può non esistere” 2, e quella a posteriori, per cui, riflettendo sull’esistenza delle cose, si desume che “le cose o esistono per virtù propria o per mezzo di un ente necessario che avendo in sé la causa del proprio essere è pure la causa degli esseri contingenti” 3.
Il Dio di Spinoza coincide quindi con il mondo o, meglio, con la Natura, unica realtà che tutto comprende e nulla lascia al di fuori di sé. Le sue qualità strutturali sono gli attributi, e quindi una quantità infinita di dimensioni, tra le quali l’uomo può conoscere solamente l’estensione, o materia, e ilpensiero, o coscienza. Estensione e pensiero sono completamente eterogenei e di conseguenza non possono influenzarsi a vicenda: pertanto non vi sarà mai un corpo causa di un’idea o un’idea causa di un corpo. Nonostante questo è pur vero che a moti corporei corrispondono idee e viceversa, poiché il corpo è l’aspetto esteriore della mente e la mente l’aspetto esteriore del corpo. Si tratta quindi di un ordine inteso come rapporto tra diversi aspetti di un unica struttura unitaria, in cui pensiero ed estensione non sono sostanze differenti ma attributi di un’unica Sostanza, di una medesima realtà.
Gli attributi sono poi costituiti a loro volta da modi, ovverossia da concretizzazioni particolari; queste conretizzazioni possono essere infinite, se sono proprietà strutturali di un attributo, oppure particolari, se coincidono con i singoli corpi o le singole idee. Spinoza suddivide così la Natura al suo interno inNatura naturans (o “natura naturante”), intesa come causa primigenia dell’universo (quindi Dio e i suoi attributi), e Natura naturata (o “natura naturata”), intesa come l’insieme dei suoi stessi effetti. È qui evidente che entrambi gli aspetti sono due facce della stessa medaglia, ovvero l’ordine geometrico dell’universo.
 
La teoria dei gradi di conoscenza
La via alla “somma beatitudine” implica per Spinoza la definzione di una teoria della conoscenza, al cui vertice starà la contemplazione filosofica del Dio-Natura. Questo stato di conoscenza totalizzante si raggiunge mediante alcuni gradi successivi: la percezione sensibile, o immaginazione (come quando ci basiamo sulle opinioni “per sentito dire” o “sull’esperienza vaga”); la ragione dimostrativa; la scienza intuitiva delle cose e l’amore di Dio.
- La percezione sensibile o immaginazione è quella conoscenza di primo grado che coglie la realtà in maniera parziale. Si tratta della conoscenza pre-scientifica, che non connette causalmente le realtà ma le percepisce isolatamente ed è quindi errata per la sua inadeguatezza e confusione nel rappresentare le cose. A questo momento corrisponde, dal punto di vista etico, la schiavitù delle passioni, da cui l’uomo, non avendo ancora compreso le leggi che lo governano, si lascia tiranneggiare.
- Le idee comuni fanno invece parte di quella conoscenza di secondo grado che si basa sulla ragione e che conseguentemente fa uso delle idee chiare e distinte espresse dalla scienza. La ragione dimostrativa spinoziana connette gli enti e gli oggetti secondo rapporti causali e necessariamente ordinati. Il suo corrispettivo etico è la vita secondo virtù, in cui l’uomo padroneggia consapevolmente la propria condotta sociale.
- La scienza intuitiva, che rappresenta l’ultimo gradino della conoscenza, si fonda sull’intellettoe coincide con la metafisica stessa della filosofia spinoziana, ossia l’intuizione dell’Uno nel molteplice e del molteplice nell’Uno. La mente supera così le limitazioni del finito e dell’immaginazione, per interpretare il molteplice alla luce dell’intelletto come qualcosa di unitario, necessario ed eterno. L’amore intellettuale di Dio sarà così la conoscenza dell’ordine necessario, che costituisce la sostanza stessa della divinità.
 
Le passioni e la libertà umana
Centro dell’etica spinoziana è la tesi della naturalità dell’uomo, che, in opposizione all’antropologia filosofica tradizionale, sottopone la specie umana alle leggi dell’universo al pari di tutte le altre specie animali, senza quindi costituirne un’eccezione. Non essendo più una creatura privilegiata, l’uomo è sottoposto a quelle regole dell’universo che sono uniche e identiche per tutte le cose; alla base della morale, c’è per Spinoza quella che viene definita “conoscenza adeguata”, ovvero quella conoscenza che, implicando l’idea di Dio, supera la sensibilità e l’immaginazione (che sono forme di conoscenza fallaci e parziali), giunge alle proprietà oggettive dei corpi, e non al modo e alle maniere in cui noi li percepiamo.
Ogni comportamento umano deriva poi, nell’etica spinoziana, da uno sforzo di autoconservazione, oconatus, che ne costituisce l’essenza. Se riferito alla mente si parla di Volontà, se riferito al corpo di Appetito, che può essere cosciente o incosciente. Quando l’Appetito è cosciente diventa Cupidità, da cui seguono la Letizia, che si verifica nel caso di affezione causata dal passaggio da una perfezione minore a una maggiore, e la Tristezza, connessa invece al passaggio da una perfezione superiore a una inferiore. Le passioni, o effetti secondari, derivano da questi affetti primari, da cui muovono anche Bene e Male, identificati da Spinoza in senso relativo come ciò che giova e ciò che non giova al conatusdi autoconservazione.
Lo sforzo di autoconservazione è la comune legge di comportamento degli esseri viventi e si compie nella ricerca dell’utile individuale. Non è quindi possibile sfuggire al determinismo naturale neanche per quanto riguarda la realizzazione personale; nonostante ciò, Spinoza riesce a conciliare libertà e determinismo. In virtù della ragione, l’uomo può manovrare lo sforzo di autoconservazione con idee chiare e atti consapevoli. Quindi, posto che l’azione umana è sempre diretta all’utile, la scelta consiste nel valutare se agire per esso in modo istintivo o in modo razionale secondo una virtù intesa come sforzo di autoconservazione cosciente. Quella spinoziana è insomma un’idea di libertà inserita in ogni caso in un contesto deterministico. La ricerca dell’utile, in ogni caso, è sempre sociale e collettiva, infatti per natura l’uomo secondo ragione sarà sempre spinto all’unione e alla socialità.
Secondo Spinoza, infatti, i beni ricercati comunemente dall’uomo sono vani e lo sono per tre motivi:
- non colmano i bisogni profondi dell’animo;
- sono transeunti ed esteriori;
- generano inquietudine e incatenano la mente, più che apportare benefici.
Spinoza non condanna questa tipologia di beni in sé, ma la loro assolutizzazione, che porta ciascuno di noi a scambiarli per il bene sommo della sua vita. In contrapposizione a questi ordini, l’unico bene che per il filosofo è in grado di curare le inquietudini dell’animo è il metatemporale e il metafinito, che dà una serenità ferma e sicura. Infinito ed eterno si identificano quindi con il Cosmo e la serenità suprema con l’unione di mente e natura.
Per quanto concerne le passioni e l’autocontrollo umano di esse, Spinoza chiarisce da subito che esse non vanno condannate né represse, ma comprese al pari di qualunque altra proprietà umana secondouna geometria delle emozioni mirata a individuare le leggi che regolano la struttura emotiva dell’uomo. L’obiettivo è quello di identificare e rendere predominanti gli affetti e le emozioni positive, al cui vertice sta la condizione di beatitudine e l’amore intellettuale di Dio (amor Dei intellectualis).
 
Stato e religione
Spinoza, in coerenza con gli assunti dell’Etica, espone la sua teoria dello Stato nel Trattato teologico-politico. La visione spinoziana parte dal concetto di stato di natura, nel quale il diritto coincide e dipende dalla potenza. Ovviamente un diritto di forza implica la guerra di tutti contro tutti (come ipotizzato nel Leviatano di Hobbes) e il diritto naturale di ciascuno è reso fittizio da quello degli altri. L’associazione sgorga così dallo stesso diritto di natura, che per la sua conformazione spinge gli uomini a una socialità reciproca finalizzata alla sopravvivenza. L’associazione determina quindi un diritto più forte appartenente a un organo superiore che viene chiamato Governo e con la cui azione può sorgere il diritto comune.
Il diritto dello Stato limita il potere individuale senza annullare il diritto naturale; infatti l’unica differenza che intercorre tra stato di natura e stato associativo è che in quest’ultimo c’è una garanzia di sicurezza (originata proprio dalla cessione del diritto soggettivo al diritto comune) che però non implica l’assenza di una facoltà di giudizio individuale. Il limite di azione dello Stato è dettato dalle leggi, a cui il cittadino si sottomette secondo ragione. Bisogna infatti sottolineare che - a differenza dell’assolutismo di Thomas Hobbes - il filosofo olandese concepisce lo Stato come finalizzato a garantire anzitutto la libertà dei cittadini, con particolare riferimento per la libertà d’espressione e di critica: uno stato tirannico avrà meno possibilità di sopravvivere di uno stato che persegue questi principi di utilità.
Strettamente connesso alla teoria politica spinoziana è il suo concetto di fede, definito sempre nelTrattato teologico-politico e frutto dell’interpretazione filologia della Bibbia che causò a Spinoza non pochi problemi con le autorità. Nell’ipotesi del filosofo, il testo sacro insegna precetti di virtù in merito alla vita pratica, ma non trasmette insegnamenti di verità, rifiutando così sia i precetti dell’auctoritasortodossa sia le posizioni di chi interpreta filosoficamente la Bibbia con la pretesa di rintracciarvi razionalmente un significato recondito. Per tale via, la fede in SPinoza deve basarsi su pochi concetti fondamentali (il primo è ovviamente l’esistenza di Dio, dimostrata nell’Etica) ed ha una finalità squisitamente pratica: l’obbedienza. Fede e filosofia non possono quindi ostacolarsi tra loro, perché si occupano di ambiti diversi (appunto, l’obbedienza e al ricerca della verità), e quindi non ha nemmeno senso porre limiti alla libera speculazione filosofica o alla libertà di pensiero.
1 In tal senso, l’idea spinoziana di “sostanza” porta ancora più in là l’identificazione cartesiana di tre sostanze, e cioè Dio, la res cogitans e la res extensa. Per Spinoza, la sostanza è ciò che è del tutto necessario ed autosufficiente, e solo Dio può avere tali attributi.
2 N. Abbagnano e G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, Torino, Paravia, 1992, p. 222.
3 Ibidem.

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