Il 25 novembre è la
giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne,
celebrata in Italia dal 2005 e solo da centri antiviolenza e case-rifugio. Poca
visibilità per una ricorrenza che ha un compito importante: ricordarci che solo
col giusto sostegno - affettivo ed economico - si può dare una speranza alle
vittime
di
SARA FICOCELLI
E' difficile misurare il dolore. E' difficile stabilire
quanto pesa, quanto dura, quanto il suo odore - che è quello della paura -
possa essere nauseabondo per chi se lo porta addosso. Ognuno vive la sofferenza
in modo diverso. Uno schiaffo può imprimersi nella mente per anni, un livido
può non scomparire mai. Per capire a fondo il fenomeno della violenza di
genere, perpetrata ovunque nel mondo sulle donne unicamente perché donne,
tuttavia, bisogna farlo. Bisogna dare una misura al dolore. Con i numeri, con
le cifre, con le testimonianze delle vittime. Perché è solo così che, negli
ultimi anni, i centri antiviolenza di tutto il mondo sono riusciti a sensibilizzare
la gente: dati alla mano.
La giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre, è stata istituita dalle Nazioni Unite nel 1999 ma in Italia viene celebrata solo dal 2005. La ricorrenza serve a mettere da parte, per un giorno, i numeri, invitando la società civile a toccare con mano il problema della violenza di genere e della cultura patriarcale leggendo libri, guardando film, partecipando a dibattiti, a mostre e a eventi a tema. Perché nessun problema culturale può essere davvero risolto se non viene compreso e interiorizzato nel profondo. Se non desta sdegno, commozione, empatia.
Una su tre ha subìto violenza. Nel 2013, in Italia, si sono registrati 179 casi di femminicidio, sette su dieci all'interno del contesto familiare o affettivo. Secondo l'ultima indagine Istat 2015, il 31,5% delle italiane ha subìto violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita e sono quindi 6 milioni e 788mila le donne che portano nella mente e sul corpo i segni della violenza. Una su tre.
Stesse percentuali a livello mondiale. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, nel mondo il 35% delle donne ha subito una violenza domestica o sessuale nel corso della propria vita, e il dato è talmente allarmante che l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) considera la violenza contro le donne una delle prime cause di morte o invalidità permanente per la popolazione femminile. Il 42% di coloro che hanno subìto violenze fisiche o sessuali da uomini con cui avevano avuto una relazione intima ha riportato gravi danni alla salute. E ancora, il 38% degli omicidi di donne nel mondo vengono commessi da un partner intimo. Ma il femminicidio è solo la punta dell'iceberg.
"Quando una donna subisce violenza - spiega Flavia Bustreo, vice direttore generale del settore Salute della famiglia, delle donne e dei bambini presso l'Oms - le ripercussioni sulla salute con cui dovrà fare i conti negli anni successivi sono molteplici perché non si corrono rischi solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello della salute mentale, per non parlare del fatto che aumenta drasticamente il rischio di contrarre infezioni come l'Hiv. Sono tanti i Paesi del mondo, dalla Tanzania al Bangladesh al Perù, in cui il primo rapporto sessuale di una donna avviene forzatamente. Uno dei fattori su cui dobbiamo fare leva in tutto il mondo, Italia compresa, è l'educazione già in tenera età, facendo sì che i servizi sanitari siano equipaggiati per rispondere alla violenza con cure socio-sanitarie adeguate".
Disparità su tutti i fronti. "Nel nostro Paese non abbiamo ancora raggiunto la parità - spiega Simona Lanzoni, vice presidente di Fondazione Pangea Onlus, componente del gruppo per il monitoraggio dell'applicazione della convenzione di Istanbul (Grevio) - né abbiamo sconfitto la violenza. Un esempio per tutti in ambito lavorativo è il fatto che le donne subiscono ancora il "gender pay gap": a parità di responsabilità lavorative, ricevono uno stipendio inferiore rispetto a quello di un uomo. Meno reddito equivale a una inferiore capacità di consumo e di acquisto di beni durevoli, di proprietà, di accesso al credito. Chi subisce violenza e non ha autonomia economica dal compagno, difficilmente riuscirà a liberarsi da una relazione violenta, soprattutto se ci sono figli. Avere un reddito, un lavoro, è una delle condizioni fondamentali per rendersi autonome dalla violenza, per ricominciare a vivere libere e dignitosamente".
Mancanza di fondi e di coordinamento. A una situazione di per sé già difficile si aggiunge il problema della mancanza di fondi a favore delle associazioni femminili, che si occupano di sostenere le vittime e aiutarle a uscire dalla violenza. I centri antiviolenza sono motori, chiavi di cambiamento di una cultura che ancora genera e giustifica la violenza. "Non si può contrastare la violenza maschile - spiega Titti Carrano, presidente D. i. Re "Donne in Rete contro la violenza" - senza centri antiviolenza composti da donne, non istituzionali. I finanziamenti sono fondamentali ma è il ruolo politico, culturale e trasformativo dei centri la cosa davvero importante".
La situazione di povertà tuttavia porta questi centri a sopravvivere a stento, costringendo talvolta le operatrici a non poter lavorare come si deve. "Mancano politiche e azioni locali, sia regionali che nazionali, coordinate tra loro sui territori in cooperazione con i centri antiviolenza e le associazioni per i diritti, le forze dell'ordine, i pronto soccorso, i servizi sociali, le scuole. L'austerità in cui versa il Paese di certo non aiuta a realizzare queste sinergie. C'è mancanza di fondi a tutti i livelli, comprese le risorse per le associazioni femminili che si occupano di sostenere le vittime e aiutarle a uscire dalla violenza. Una situazione di povertà che porta a non assicurare le misure necessarie e dovute nel tempo, ovunque sul territorio italiano, come richiesto dalla Convenzione di Istanbul", continua Lanzoni.
"Noi della rete nazionale de centri antiviolenza - spiega Carrano - abbiamo lavorato in questi mesi a una prima raccolta indipendente di dati sul finanziamento ai 74 centri antiviolenza che costituiscono la nostra rete. In sole sei Regioni è avvenuto un confronto o un reciproco scambio di informazioni fra l'ente locale e le associazioni, eppure è evidente che si tratta di un confronto indispensabile per impostare coerentemente la spesa. Nella stragrande maggioranza delle Regioni, ad oggi novembre 2015 i finanziamenti non sono ancora stati spesi e talvolta non si è provveduto neppure all'impegno delle risorse. Molti uffici regionali preposti a questo compito non hanno sufficiente competenza in materia, e quindi tendono a distribuire le risorse a fruitori non specializzati, senza alcuna esperienza di lavoro sulla violenza contro le donne. Manca completamente una valutazione delle priorità in termini di vantaggio per le donne che subiscono violenza. Una valutazione del genere non può essere fatta senza ascoltare il parere e cercare il consiglio dei centri e delle case che operano già da anni sui territori, e quindi conoscono bene le fragilità e i punti di forza del sistema".
L'autofinanziamento come unica soluzione. Per autofinanziarsi e portare avanti sia la battaglia culturale che i progetti di aiuto alle donne maltrattate, le associazioni italiane si sono ingegnate in tutti i modi possibili negli ultimi anni, e hanno trasformato il 25 novembre in una carrellata di eventi a tema finalizzati alla sensiblizzazione e alla raccolta fondi. Quest'anno si va dalla campagna #ConLeDonneXLeDonne, a sostegno dell'associazione nazionale D. i. Re "Donne in Rete contro la violenza", a quella rivolta agli uomini#inbarbaallaviolenza - uomini orgogliosi di metterci la faccia di Fondazione Pangea, al WeWorld Film Festival di Milano, rassegna cinematografica interamente dedicata ai diritti femminili, fino a mostre e spettacoli di teatro, come quello organizzato a Napoli, "Il silenzio delle Stelle", il cui ricavato andrà al Telefono Rosa della città partenopea. Per dare un contributo alla causa è dunque importante partecipare almeno a uno di questi eventi: un piccolo gesto che però può significare molto per chi lavora ogni giorno per convincere una donna a denunciare un marito violento.
Un'accellenza italiana: il festival "La violenza illustrata". In Italia c'è anche un evento di eccezione a livello mondiale, un festival dedicato al tema degli abusi, nato nel 2006 grazie alla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna. La Violenza Illustrata è l'unico evento del panorama internazionale interamente dedicato alla giornata mondiale contro la violenza sulle donne e quest'anno, partendo dalle illustrazioni di Arianna Vairo e dalla rielaborazione di un famoso titolo di Adrienne Rich, Rinate di donna, parlerà del legame che unisce il pensiero femminista e la pratica dei centri antiviolenza, raccontando la relazione che dal femminismo ha portato ai centri antiviolenza, e il rapporto che per sempre lega una donna vittima di violenza alla donna che la accoglie e la sostiene. Perché è difficile quantificare il dolore, ma con il giusto sostegno è sicuramente possibile superarlo, e ricominciare a vivere.
La giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre, è stata istituita dalle Nazioni Unite nel 1999 ma in Italia viene celebrata solo dal 2005. La ricorrenza serve a mettere da parte, per un giorno, i numeri, invitando la società civile a toccare con mano il problema della violenza di genere e della cultura patriarcale leggendo libri, guardando film, partecipando a dibattiti, a mostre e a eventi a tema. Perché nessun problema culturale può essere davvero risolto se non viene compreso e interiorizzato nel profondo. Se non desta sdegno, commozione, empatia.
Una su tre ha subìto violenza. Nel 2013, in Italia, si sono registrati 179 casi di femminicidio, sette su dieci all'interno del contesto familiare o affettivo. Secondo l'ultima indagine Istat 2015, il 31,5% delle italiane ha subìto violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita e sono quindi 6 milioni e 788mila le donne che portano nella mente e sul corpo i segni della violenza. Una su tre.
Stesse percentuali a livello mondiale. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, nel mondo il 35% delle donne ha subito una violenza domestica o sessuale nel corso della propria vita, e il dato è talmente allarmante che l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) considera la violenza contro le donne una delle prime cause di morte o invalidità permanente per la popolazione femminile. Il 42% di coloro che hanno subìto violenze fisiche o sessuali da uomini con cui avevano avuto una relazione intima ha riportato gravi danni alla salute. E ancora, il 38% degli omicidi di donne nel mondo vengono commessi da un partner intimo. Ma il femminicidio è solo la punta dell'iceberg.
"Quando una donna subisce violenza - spiega Flavia Bustreo, vice direttore generale del settore Salute della famiglia, delle donne e dei bambini presso l'Oms - le ripercussioni sulla salute con cui dovrà fare i conti negli anni successivi sono molteplici perché non si corrono rischi solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello della salute mentale, per non parlare del fatto che aumenta drasticamente il rischio di contrarre infezioni come l'Hiv. Sono tanti i Paesi del mondo, dalla Tanzania al Bangladesh al Perù, in cui il primo rapporto sessuale di una donna avviene forzatamente. Uno dei fattori su cui dobbiamo fare leva in tutto il mondo, Italia compresa, è l'educazione già in tenera età, facendo sì che i servizi sanitari siano equipaggiati per rispondere alla violenza con cure socio-sanitarie adeguate".
Disparità su tutti i fronti. "Nel nostro Paese non abbiamo ancora raggiunto la parità - spiega Simona Lanzoni, vice presidente di Fondazione Pangea Onlus, componente del gruppo per il monitoraggio dell'applicazione della convenzione di Istanbul (Grevio) - né abbiamo sconfitto la violenza. Un esempio per tutti in ambito lavorativo è il fatto che le donne subiscono ancora il "gender pay gap": a parità di responsabilità lavorative, ricevono uno stipendio inferiore rispetto a quello di un uomo. Meno reddito equivale a una inferiore capacità di consumo e di acquisto di beni durevoli, di proprietà, di accesso al credito. Chi subisce violenza e non ha autonomia economica dal compagno, difficilmente riuscirà a liberarsi da una relazione violenta, soprattutto se ci sono figli. Avere un reddito, un lavoro, è una delle condizioni fondamentali per rendersi autonome dalla violenza, per ricominciare a vivere libere e dignitosamente".
Mancanza di fondi e di coordinamento. A una situazione di per sé già difficile si aggiunge il problema della mancanza di fondi a favore delle associazioni femminili, che si occupano di sostenere le vittime e aiutarle a uscire dalla violenza. I centri antiviolenza sono motori, chiavi di cambiamento di una cultura che ancora genera e giustifica la violenza. "Non si può contrastare la violenza maschile - spiega Titti Carrano, presidente D. i. Re "Donne in Rete contro la violenza" - senza centri antiviolenza composti da donne, non istituzionali. I finanziamenti sono fondamentali ma è il ruolo politico, culturale e trasformativo dei centri la cosa davvero importante".
La situazione di povertà tuttavia porta questi centri a sopravvivere a stento, costringendo talvolta le operatrici a non poter lavorare come si deve. "Mancano politiche e azioni locali, sia regionali che nazionali, coordinate tra loro sui territori in cooperazione con i centri antiviolenza e le associazioni per i diritti, le forze dell'ordine, i pronto soccorso, i servizi sociali, le scuole. L'austerità in cui versa il Paese di certo non aiuta a realizzare queste sinergie. C'è mancanza di fondi a tutti i livelli, comprese le risorse per le associazioni femminili che si occupano di sostenere le vittime e aiutarle a uscire dalla violenza. Una situazione di povertà che porta a non assicurare le misure necessarie e dovute nel tempo, ovunque sul territorio italiano, come richiesto dalla Convenzione di Istanbul", continua Lanzoni.
"Noi della rete nazionale de centri antiviolenza - spiega Carrano - abbiamo lavorato in questi mesi a una prima raccolta indipendente di dati sul finanziamento ai 74 centri antiviolenza che costituiscono la nostra rete. In sole sei Regioni è avvenuto un confronto o un reciproco scambio di informazioni fra l'ente locale e le associazioni, eppure è evidente che si tratta di un confronto indispensabile per impostare coerentemente la spesa. Nella stragrande maggioranza delle Regioni, ad oggi novembre 2015 i finanziamenti non sono ancora stati spesi e talvolta non si è provveduto neppure all'impegno delle risorse. Molti uffici regionali preposti a questo compito non hanno sufficiente competenza in materia, e quindi tendono a distribuire le risorse a fruitori non specializzati, senza alcuna esperienza di lavoro sulla violenza contro le donne. Manca completamente una valutazione delle priorità in termini di vantaggio per le donne che subiscono violenza. Una valutazione del genere non può essere fatta senza ascoltare il parere e cercare il consiglio dei centri e delle case che operano già da anni sui territori, e quindi conoscono bene le fragilità e i punti di forza del sistema".
L'autofinanziamento come unica soluzione. Per autofinanziarsi e portare avanti sia la battaglia culturale che i progetti di aiuto alle donne maltrattate, le associazioni italiane si sono ingegnate in tutti i modi possibili negli ultimi anni, e hanno trasformato il 25 novembre in una carrellata di eventi a tema finalizzati alla sensiblizzazione e alla raccolta fondi. Quest'anno si va dalla campagna #ConLeDonneXLeDonne, a sostegno dell'associazione nazionale D. i. Re "Donne in Rete contro la violenza", a quella rivolta agli uomini#inbarbaallaviolenza - uomini orgogliosi di metterci la faccia di Fondazione Pangea, al WeWorld Film Festival di Milano, rassegna cinematografica interamente dedicata ai diritti femminili, fino a mostre e spettacoli di teatro, come quello organizzato a Napoli, "Il silenzio delle Stelle", il cui ricavato andrà al Telefono Rosa della città partenopea. Per dare un contributo alla causa è dunque importante partecipare almeno a uno di questi eventi: un piccolo gesto che però può significare molto per chi lavora ogni giorno per convincere una donna a denunciare un marito violento.
Un'accellenza italiana: il festival "La violenza illustrata". In Italia c'è anche un evento di eccezione a livello mondiale, un festival dedicato al tema degli abusi, nato nel 2006 grazie alla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna. La Violenza Illustrata è l'unico evento del panorama internazionale interamente dedicato alla giornata mondiale contro la violenza sulle donne e quest'anno, partendo dalle illustrazioni di Arianna Vairo e dalla rielaborazione di un famoso titolo di Adrienne Rich, Rinate di donna, parlerà del legame che unisce il pensiero femminista e la pratica dei centri antiviolenza, raccontando la relazione che dal femminismo ha portato ai centri antiviolenza, e il rapporto che per sempre lega una donna vittima di violenza alla donna che la accoglie e la sostiene. Perché è difficile quantificare il dolore, ma con il giusto sostegno è sicuramente possibile superarlo, e ricominciare a vivere.
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