Ri-Ri-
L'ex leader di Ri-fondazione annuncia che il
Socialismo
democratico europeo – già dichiarato morto e ri-morto
– sia
ora definitivamente ri-ri-morto. Ma per fortuna non è
vero.
di Andrea Ermano
L'ex leader di Rifondazione, Fausto
Bertinotti, nel suo ultimo libro-intervista con Carlo Formenti, Rosso di sera (Editoriale
Jaca Book, Milano, 2015) prende le mosse dal crollo del comunismo sovietico per
dimostrare il simultaneo crollo del socialismo democratico europeo:simul
stabunt, simul cadent.
La caduta del
Muro di Berlino, argomenta Bertinotti, sembravadover
prefigurare un grande futuro per la socialdemocrazia, "regalandole"
(!) il monopolio della rappresentanza dei principi e dei valori della sinistra.
Invece, l'anno 1989, sempre secondo Bertinotti, non avrebbe segnato solo la
fine del comunismo, ma anche quella di tutte le forze che si richiamavano in
varia misura alla tradizione del movimento operaio, socialisti e
socialdemocratici compresi.
Il
libro-intervista meriterebbe una recensione su varie questioni, su cui ci
auguriamo sinceramente di ritornare presto, nel senso che sarebbe bello nei
prossimi mesi potersi dedicare anche a temi un po' leggeri, e non dover
rincorrere solo gli eventi gravi e drammatici di questi giorni di guerra,
eventi che (statene certi) risulterebbero ben più drammatici e gravi senza
l'apporto di ragionevolezza e umanità dei socialisti europei.
Qui dobbiamo
limitarci alla tesi di fondo dell'ex presidente della Camera e cioè che la
socialdemocrazia sarebbe irrevocabilmente defunta. Sarà vero? I socialisti
continuano a essere il secondo gruppo al Parlamento di Strasburgo e formazioni
facenti capo al PSE influiscono in modo determinante sulle politiche dei
governi o delle opposizioni di praticamente tutti i paesi dell'Europa
occidentale nonché di molte altre nazioni del mondo, mentre un bel po' di
socialdemocrazia risuona sia negli atti e nei discorsi di Papa Bergoglio, sia
all'interno del Partito Democratico americano e, con Obama, fin dentro la Casa
Bianca. In particolare c'è un punto di principio sempre più evidente a
chiunque: senza un forte regolatore sociale anche lo "stato di
diritto" e lo stesso "libero mercato" appaiono destinati al
collasso, sicché occorre urgentemente rafforzare gli istituti di governance democratica globale. Willy Brand e
Helmut Schmidt dicevano queste cose tre decenni or sono, ai tempi del
liberalismo "duro e puro" alla Reagan-Thatcher, che oggi certo non
rappresenta più, quanto meno sul piano delle idee, se non ancora su quello
della prassi, il mainstreamdell'Occidente.
Ed ecco dunque che, nonostante essa costituisca un oggetto impossibile, secondo
Bertinotti, privo di fondamento storico, fisico e financo ontologico, la
socialdemocrazia continua a rappresentare una tradizione politica tutto sommato
affidabile per decine di milioni di elettori e per una miriade di forze di
sinistra organizzate su tutto il territorio del nostro continente.
Ma
proprio questo sarebbe un gran male – puntualizza il presidente emerito della
Camera. Sì, questa "persistenza" del caro estinto sarebbe un gran
male in quanto precluderebbe e pregiudicherebbe quel vero rinnovamento
catartico della sinistra nel nostro continente che Bertinotti attende come una
specie di evento "messianico".
Questa
è, dunque, la necessità sulla cui base l'ex leader di Ri-fondazione sente l'esigenza di
affermare, ri-badire e ri-ri-petere che la morte socialista è
assolutamente sicura, ri-sicura, ri-ri-sicura.
Perché – questa la tesi bertinottiana – la socialdemocrazia è potuta esistere
solo grazie a una dialettica tra forme di capitalismo e di comunismo che non ci
sono più. Una volta c'era infatti il capitalismo ancora "tollerante"
nella sua fase proto-industriale e fordista, mentre oggi a esso è subentrato un
capitalismo finanziario globale tendenzialmente totalitario; e c'era inoltre
una concorrenza sistemica dell'Unione Sovietica che, premendo sull'Occidente,
costringeva questi a sviluppare politiche sociali avanzate.
Venendo
meno la tolleranza capitalista e la pressione comunista, la Socialdemocrazia
europea non può più esistere. Sostiene Fausto Bertinotti.
E in Italia? Tutti sappiamo che nel nostro Paese il socialismo è stato
ammazzato "definitivamente" almeno tre volte: 1) da Bava Beccaris nel
1898 quando il generale prese a
cannonate le famiglie operaie in
protesta contro l'aumento del prezzo del pane; 2) poi ancora da Mussolini
durante il famigerato ventennio, a partire dall'incendio dell'Avanti! e dalla rivendicazione dell'assassinio
di Matteotti, 3) poi da ultimo nel 1993 durante "Tangentopoli" quando
Bettino Craxi venne additato al pubblico ludibrio quale principale responsabile
di un malcostume invece assai più antico e diffuso (dopodiché, eliminato il
capro espiatorio, della lotta alla corruzione ci è curati poco o punto).
Ebbene, a ventidue anni da questa terza, a
novantuno dalla seconda e a centodiciassette dalla prima morte
"definitiva" del Psi, c'è da davvero spazientirsi dinnanzi
all'ennesimo "volo del calabrone", dinnanzi ai segni evidenti nella
società italiana, che vanno da un’agguerrita galassia associativa alle diffuse
rivendicazioni sui temi della pace, dei diritti e del lavoro, senza contare che
in un modo o nell'altro, dopo mille peregrinazioni, il primo partito del Paese,
cioè il PD fa parte del PSE.
Dunque, sarà pur vero che il capitalismo finanziario globale cela in sé una
tendenza totalitaria. E non è sbagliato sostenere che nel 1989 insieme all'Urss
e al Muro crollò anche un fattore di concorrenza sistemica in tema di stato
sociale. Tuttavia, non si possono ridurre centocinquant’anni di
Socialdemocrazia europea a una sorta di doppia subalternità, per un verso
rispetto al capitalismo benevolente, per l'altro rispetto a un'Unione sovietica
dapprima soccorrente e infine soccombente.
Andiamo,
la tesi di una subalternità socialdemocratica rispetto all'Urss è un
macroscopico anacronismo. Basti dire che la nostra testata – L'Avvenire dei lavoratori – esisteva già da una ventina d'anni
quando iniziò a pubblicare alcuni testi di Vladimir Ilič Uljanov Lenin. Correva
l'anno fatidico 1917 e L’ADL condivideva allora la battaglia pacifista
zimmerwaldiana con il futuro fondatore dell'URSS, ma alcuni suoi articoli
furono ospitati non senza che la redazione puntualizzasse il proprio
contestuale dissenso rispetto a un certo modo bolscevico di
piegare tutto all'ideologia, senz'alcun rispetto verso la dignità del vero e
dell'avversario politico. Ma lo stesso Lenin non si sarebbe mai nemmeno
lontanamente sognato di autoproclamarsi "ragion d'essere della Socialdemocrazia"
europea.
Quanto
alla "tolleranza" proto-capitalista… questa tesi semplicemente non
tiene conto di una lunga storia di massacri e persecuzioni.
Infine,
Bertinotti sostiene che la socialdemocrazia impedirebbe l'emergere di nuove
posizioni a sinistra. Ma allora non si spiegano per esempio l'ascesa di Jeremy
Corbyn alla guida del Labour britannico e mille altri fermenti
all'interno della famiglia politica socialista, fermenti di cui, si parva licet, viene dato conto da
queste colonne non da ieri, ma durante una lunga storia di lotte non interrotte.
Insomma, senz'alcun dubbio, assistiamo a una crisi profonda della Politica in
quanto tale, ma da ciò non si può far certo discendere che le ispirazioni
ideali e l'azione del socialismo europeo sarebbero assenti dalla vita o dal
dibattito contemporanei. Anzi, è persino possibile che proprio dalla
socialdemocrazia si debba ripartire per riconquistare un lembo minimo di
autonomia collettiva rispetto ai dispositivi mortiferi del tardo capitalismo globalizzato.