mercoledì 16 dicembre 2015

il Socialismo democratico europeo è morto?


Ri-Ri-

 

L'ex leader di Ri-fondazione annuncia che il Socialismo

democratico europeo – già dichiarato morto e ri-morto – sia

ora definitivamente ri-ri-morto. Ma per fortuna non è vero.

 

di Andrea Ermano

 

L'ex leader di Rifondazione, Fausto Bertinotti, nel suo ultimo libro-intervista con Carlo Formenti, Rosso di sera (Editoriale Jaca Book, Milano, 2015) prende le mosse dal crollo del comunismo sovietico per dimostrare il simultaneo crollo del socialismo democratico europeo:simul stabunt, simul cadent.

    La caduta del Muro di Berlino, argomenta Bertinotti, sembravadover prefigurare un grande futuro per la socialdemocrazia, "regalandole" (!) il monopolio della rappresentanza dei principi e dei valori della sinistra. Invece, l'anno 1989, sempre secondo Bertinotti, non avrebbe segnato solo la fine del comunismo, ma anche quella di tutte le forze che si richiamavano in varia misura alla tradizione del movimento operaio, socialisti e socialdemocratici compresi.

    Il libro-intervista meriterebbe una recensione su varie questioni, su cui ci auguriamo sinceramente di ritornare presto, nel senso che sarebbe bello nei prossimi mesi potersi dedicare anche a temi un po' leggeri, e non dover rincorrere solo gli eventi gravi e drammatici di questi giorni di guerra, eventi che (statene certi) risulterebbero ben più drammatici e gravi senza l'apporto di ragionevolezza e umanità dei socialisti europei.

    Qui dobbiamo limitarci alla tesi di fondo dell'ex presidente della Camera e cioè che la socialdemocrazia sarebbe irrevocabilmente defunta. Sarà vero? I socialisti continuano a essere il secondo gruppo al Parlamento di Strasburgo e formazioni facenti capo al PSE influiscono in modo determinante sulle politiche dei governi o delle opposizioni di praticamente tutti i paesi dell'Europa occidentale nonché di molte altre nazioni del mondo, mentre un bel po' di socialdemocrazia risuona sia negli atti e nei discorsi di Papa Bergoglio, sia all'interno del Partito Democratico americano e, con Obama, fin dentro la Casa Bianca. In particolare c'è un punto di principio sempre più evidente a chiunque: senza un forte regolatore sociale anche lo "stato di diritto" e lo stesso "libero mercato" appaiono destinati al collasso, sicché occorre urgentemente rafforzare gli istituti di governance democratica globale. Willy Brand e Helmut Schmidt dicevano queste cose tre decenni or sono, ai tempi del liberalismo "duro e puro" alla Reagan-Thatcher, che oggi certo non rappresenta più, quanto meno sul piano delle idee, se non ancora su quello della prassi, il mainstreamdell'Occidente.

    Ed ecco dunque che, nonostante essa costituisca un oggetto impossibile, secondo Bertinotti, privo di fondamento storico, fisico e financo ontologico, la socialdemocrazia continua a rappresentare una tradizione politica tutto sommato affidabile per decine di milioni di elettori e per una miriade di forze di sinistra organizzate su tutto il territorio del nostro continente.

    Ma proprio questo sarebbe un gran male – puntualizza il presidente emerito della Camera. Sì, questa "persistenza" del caro estinto sarebbe un gran male in quanto precluderebbe e pregiudicherebbe quel vero rinnovamento catartico della sinistra nel nostro continente che Bertinotti attende come una specie di evento "messianico".

    Questa è, dunque, la necessità sulla cui base l'ex leader di Ri-fondazione sente l'esigenza di affermare, ri-badire e ri-ri-petere che la morte socialista è assolutamente sicura, ri-sicura, ri-ri-sicura.

    Perché – questa la tesi bertinottiana – la socialdemocrazia è potuta esistere solo grazie a una dialettica tra forme di capitalismo e di comunismo che non ci sono più. Una volta c'era infatti il capitalismo ancora "tollerante" nella sua fase proto-industriale e fordista, mentre oggi a esso è subentrato un capitalismo finanziario globale tendenzialmente totalitario; e c'era inoltre una concorrenza sistemica dell'Unione Sovietica che, premendo sull'Occidente, costringeva questi a sviluppare politiche sociali avanzate.

    Venendo meno la tolleranza capitalista e la pressione comunista, la Socialdemocrazia europea non può più esistere. Sostiene Fausto Bertinotti.

    E in Italia? Tutti sappiamo che nel nostro Paese il socialismo è stato ammazzato "definitivamente" almeno tre volte: 1) da Bava Beccaris nel 1898 quando il generale prese a cannonate le famiglie operaie in protesta contro l'aumento del prezzo del pane; 2) poi ancora da Mussolini durante il famigerato ventennio, a partire dall'incendio dell'Avanti! e dalla rivendicazione dell'assassinio di Matteotti, 3) poi da ultimo nel 1993 durante "Tangentopoli" quando Bettino Craxi venne additato al pubblico ludibrio quale principale responsabile di un malcostume invece assai più antico e diffuso (dopodiché, eliminato il capro espiatorio, della lotta alla corruzione ci è curati poco o punto).

Ebbene, a ventidue anni da questa terza, a novantuno dalla seconda e a centodiciassette dalla prima morte "definitiva" del Psi, c'è da davvero spazientirsi dinnanzi all'ennesimo "volo del calabrone", dinnanzi ai segni evidenti nella società italiana, che vanno da un’agguerrita galassia associativa alle diffuse rivendicazioni sui temi della pace, dei diritti e del lavoro, senza contare che in un modo o nell'altro, dopo mille peregrinazioni, il primo partito del Paese, cioè il PD fa parte del PSE.

    Dunque, sarà pur vero che il capitalismo finanziario globale cela in sé una tendenza totalitaria. E non è sbagliato sostenere che nel 1989 insieme all'Urss e al Muro crollò anche un fattore di concorrenza sistemica in tema di stato sociale. Tuttavia, non si possono ridurre centocinquant’anni di Socialdemocrazia europea a una sorta di doppia subalternità, per un verso rispetto al capitalismo benevolente, per l'altro rispetto a un'Unione sovietica dapprima soccorrente e infine soccombente.

    Andiamo, la tesi di una subalternità socialdemocratica rispetto all'Urss è un macroscopico anacronismo. Basti dire che la nostra testata – L'Avvenire dei lavoratori – esisteva già da una ventina d'anni quando iniziò a pubblicare alcuni testi di Vladimir Ilič Uljanov Lenin. Correva l'anno fatidico 1917 e L’ADL condivideva allora la battaglia pacifista zimmerwaldiana con il futuro fondatore dell'URSS, ma alcuni suoi articoli furono ospitati non senza che la redazione puntualizzasse il proprio contestuale dissenso rispetto a un certo modo bolscevico di piegare tutto all'ideologia, senz'alcun rispetto verso la dignità del vero e dell'avversario politico. Ma lo stesso Lenin non si sarebbe mai nemmeno lontanamente sognato di autoproclamarsi "ragion d'essere della Socialdemocrazia" europea.

    Quanto alla "tolleranza" proto-capitalista… questa tesi semplicemente non tiene conto di una lunga storia di massacri e persecuzioni.

    Infine, Bertinotti sostiene che la socialdemocrazia impedirebbe l'emergere di nuove posizioni a sinistra. Ma allora non si spiegano per esempio l'ascesa di Jeremy Corbyn alla guida del Labour britannico e mille altri fermenti all'interno della famiglia politica socialista, fermenti di cui, si parva licet, viene dato conto da queste colonne non da ieri, ma durante una lunga storia di lotte non interrotte.

    Insomma, senz'alcun dubbio, assistiamo a una crisi profonda della Politica in quanto tale, ma da ciò non si può far certo discendere che le ispirazioni ideali e l'azione del socialismo europeo sarebbero assenti dalla vita o dal dibattito contemporanei. Anzi, è persino possibile che proprio dalla socialdemocrazia si debba ripartire per riconquistare un lembo minimo di autonomia collettiva rispetto ai dispositivi mortiferi del tardo capitalismo globalizzato.

 

 

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