Ricordi
piccini
Certe volte, la notte,
salivo sul tetto e me ne stavo lassù. Le gru sonnecchianti e stridule sparse
per la murata buia mandavano raggi, luci gialle e bianche.
A qualche chilometro
dalla terrazza di quell’antica casa, il porto, con le sue grandi navi bianche e
la loro fosforescenza, era un lampo magenta sotto il mare e il cielo neri come
la pece.
Stringevo le ginocchia al
petto magro, mentre una brezza leggera accarezzava le mie mani nude scheggiate
dalle pietre e dai rami del bosco dietro la grande casa dei nonni.
Altre notti guardavo le scariche elettriche esplodere nella pianura urbana della conca d’oro, i fulmini sono come vene accecanti che si piantano tra le nubi e, volando come impazziti in un turbine di luce bianca accecante, vanno a morire sulla terra nuda e sulle pietre e sugli alberi e sulle case.
Altre notti guardavo le scariche elettriche esplodere nella pianura urbana della conca d’oro, i fulmini sono come vene accecanti che si piantano tra le nubi e, volando come impazziti in un turbine di luce bianca accecante, vanno a morire sulla terra nuda e sulle pietre e sugli alberi e sulle case.
Certe volte mi rintanavo nel tetto morto
tra brividi di gioia e di paura. Mangiavo grappoli di uva passa appesa alle
assi della copertura. Mangiavo pomodori e fichi secchi. E la paura era un
gioco.
Certe volte, correndo come un capriolo, tra
rocce e sentieri impervi di montagna, catturavo farfalle e coleotteri, senza un
motivo preciso. Libero e incosciente come una forza della natura. Era un tempo
bambino che cresceva insieme a me e impazziva e si sfrenava nelle fantasie di
un piccolo corpo di cervo volante.
Certe volte vedevo un angelo, uno grazioso
e forte, che mi seguiva sorridente e mi accarezzava lieve come un soffio di
vento.
Certe volte …
bello, intenso e limpido.
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