La 'ndrangheta nata al Nord che nessuno voleva vedere
L'inchiesta "Infinito" ha
dimostrato l'esistenza delle mafie nel Settentrione. La sentenza conferma che
non si tratta più di un'invasione. La cultura e i meccanismi criminali si
formano nel territorio come a sud
di ROBERTO SAVIANO
La 'ndrangheta comanda al nord. È
una sentenza storica questa della Cassazione che conferma le condanne e tutto l'impianto accusatorio del processo
Infinito. Quando ne parlai, in prima serata tv, nel novembre del 2010, su Raitre, le mie accuse generarono una reazione
incredibile. Raccontare come la 'ndrangheta comandasse nel nord Italia sembrò
un'accusa insopportabile: ancor più, svelare che la criminalità interloquiva
con tutti i poteri politici. Una bestemmia, per di più pronunciata all'ora di
cena in tv, nella casa di ogni italiano.
Quando, poi, l'inchiesta smentì la
diversità della Lega, che anzi era spesso complice o nel silenzio o nella
connivenza - come si vedrà con il caso Belsito anni dopo - la scoperta scatenò
tutti i pretoriani del governo Berlusconi - e un impegno diretto dell'allora
ministro dell'Interno.
Roberto Maroni si precipitò a smentire in ogni angolo delle tv, cercando di far passare la presenza criminale al nord come una cosa minore, anzi scontata: lo sapevano tutti, e poi la Lega non c'entrava. I professionisti del fango iniziarono a raccogliere firme contro di me che osavo dare "del mafioso al nord". Finì così anche la mia esperienza in Rai: dopo aver raccontato come imprenditoria criminale e politica si saldano in una esponenziale crescita economica corrotta. Ma torniamo alla sentenza. Era il luglio del 2010 quando partì il blitz dell'inchiesta Infinito-Crimine: 154 arresti in Lombardia, altri 156 in Calabria. L'inchiesta della Dda di Milano svelava gli interessi mafiosi nelle Asl, l'infiltrazione nelle istituzioni pubbliche, le prime mire sull'Expo, i subappalti, le estorsioni, le aziende che vengono divorate perché - senza liquidità - si affidano a linee di credito delle 'ndrine. E ancora: la scoperta di una "confederazione" di diversi locali di 'ndrangheta nella struttura definita "Lombardia". Il tentativo del boss Carmelo Novella di rendersi sempre più autonomo rispetto alle 'ndrine calabresi, che dimostra il grado di maturità raggiunto dalla 'ndrangheta al nord, e la sua conseguente eliminazione. Ecco: tutto questo oggi non sono più accuse, ipotesi o condanne di primo o secondo grado. Oggi siamo di fronte a una sentenza di Cassazione e questa sentenza è chiara: l'inchiesta Infinito è confermata, al nord la 'ndrangheta comanda con una sua struttura unitaria. Ecco perché questa sentenza sta alla lotta della mafia come la scoperta dell'atomo alla ricerca fisica.
Roberto Maroni si precipitò a smentire in ogni angolo delle tv, cercando di far passare la presenza criminale al nord come una cosa minore, anzi scontata: lo sapevano tutti, e poi la Lega non c'entrava. I professionisti del fango iniziarono a raccogliere firme contro di me che osavo dare "del mafioso al nord". Finì così anche la mia esperienza in Rai: dopo aver raccontato come imprenditoria criminale e politica si saldano in una esponenziale crescita economica corrotta. Ma torniamo alla sentenza. Era il luglio del 2010 quando partì il blitz dell'inchiesta Infinito-Crimine: 154 arresti in Lombardia, altri 156 in Calabria. L'inchiesta della Dda di Milano svelava gli interessi mafiosi nelle Asl, l'infiltrazione nelle istituzioni pubbliche, le prime mire sull'Expo, i subappalti, le estorsioni, le aziende che vengono divorate perché - senza liquidità - si affidano a linee di credito delle 'ndrine. E ancora: la scoperta di una "confederazione" di diversi locali di 'ndrangheta nella struttura definita "Lombardia". Il tentativo del boss Carmelo Novella di rendersi sempre più autonomo rispetto alle 'ndrine calabresi, che dimostra il grado di maturità raggiunto dalla 'ndrangheta al nord, e la sua conseguente eliminazione. Ecco: tutto questo oggi non sono più accuse, ipotesi o condanne di primo o secondo grado. Oggi siamo di fronte a una sentenza di Cassazione e questa sentenza è chiara: l'inchiesta Infinito è confermata, al nord la 'ndrangheta comanda con una sua struttura unitaria. Ecco perché questa sentenza sta alla lotta della mafia come la scoperta dell'atomo alla ricerca fisica.
I pm Ilda Boccassini, Paolo
Storari e Alessandra Dolci della Dda, insieme con i Carabinieri, la Dia, i Ros
di Milano e la Polizia - questa è un'indagine in cui credette molto il
compianto Antonio Manganelli - hanno compiuto un'operazione complicatissima. E
il ruolo di Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino - all'epoca dei fatti
procuratore a Reggio Calabria e ora a Roma - è stato fondamentale per
permettere l'elaborazione di questa inchiesta doppia: fatta da sud e da nord.
Perché questa sentenza non mostra semplicemente che c'è una presenza mafiosa al
Nord: questo lo sapevamo dagli anni Settanta e a dimostrarlo c'erano già state
diverse sentenze. No, questa sentenza dimostra invece che la presenza della
'ndrangheta non è più frutto di "invasioni", di cellule che vagano e
arrivano ovunque anche al nord.
Dimostra che la Lombardia, e più in generale il nord Italia, sono ormai diventati territorio di mafia. Questa sentenza fa cadere anche l'ultimo finto sillogismo: "Se è vero che tutti i meridionali non sono mafiosi, è vero però che tutti i mafiosi sono meridionali". Non è così: non è più così. I rapporti strutturali con il territorio e i meccanismi scoperti smontano l'idea che si sia trattato di invasione.
Ma suggeriscono, al contrario, la formazione a livello locale di meccanismi e di cultura mafiosa. Di più. L'inchiesta dimostra che l'imprenditoria e una parte delle istituzioni lombarde si connettevano alle organizzazioni criminali per rafforzarsi, per consolidare potere economico. I livelli di responsabilità sono diversi, ovviamente: ma non v'è stata, da parte della politica, una vera scelta di contrasto al segmento economico mafioso.
Dimostra che la Lombardia, e più in generale il nord Italia, sono ormai diventati territorio di mafia. Questa sentenza fa cadere anche l'ultimo finto sillogismo: "Se è vero che tutti i meridionali non sono mafiosi, è vero però che tutti i mafiosi sono meridionali". Non è così: non è più così. I rapporti strutturali con il territorio e i meccanismi scoperti smontano l'idea che si sia trattato di invasione.
Ma suggeriscono, al contrario, la formazione a livello locale di meccanismi e di cultura mafiosa. Di più. L'inchiesta dimostra che l'imprenditoria e una parte delle istituzioni lombarde si connettevano alle organizzazioni criminali per rafforzarsi, per consolidare potere economico. I livelli di responsabilità sono diversi, ovviamente: ma non v'è stata, da parte della politica, una vera scelta di contrasto al segmento economico mafioso.
Per ultimo, andrebbe ricordato
come ha lavorato l'Antimafia di Milano. Su Ilda Boccassini è stata riversata da
anni una caterva senza precedenti di insulti e accuse, esterne e interne. Il pm
non ha mai risposto agli attacchi: lo fa oggi, con questa sentenza storica che
cambia il paese. Intercettazioni, riscontri, pedinamenti. L'inseguimento dei
flussi di
denaro, il ruolo delle banche, gli investimenti sospetti. E poi i traffici, gli
omicidi. Anni, silenziosi, di inchiesta: senza colpi di scena, fughe di
notizie, arresti chiassosamente eccellenti. È così che sono arrivati i
risultati. E ora che cosa diranno coloro che hanno governato e governano la
Lombardia? Quali firme raccoglieranno, quali bugie racconteranno i
professionisti del fango?
Da
oggi è ufficiale: le mafie non riguardano più solo il Sud.
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