Attraverso questa lettura
cercheremo di capire l’importanza della filosofia e l’ermeneutica, che io, per
comodità pratica mentale, faccio partire da Aristotele. Abbiamo scelto come
primo testo base “La metafisica del
bello nell’ermeneutica di Gadamer” di Sabrina Scarpetta. UA
SAPERE MORALE E SAPERE ERMENEUTICO
L’importanza della filosofia
pratica
Una
delle prospettive aperte dall’ermeneutica di Gadamer invoca con sempre maggiore
vigore
l’urgenza di una riflessione sulla ragione pratica di fronte all’evidente venir
meno dei modelli tradizionali di orientamento dell’agire.
Quello
di Gadamer è un valido esempio di discorso filosofico tecnico che non rifiuta
di
misurarsi
con i problemi della vita concreta, e soprattutto che non dimentica l’aspetto
della
saggezza
della vita, come invece mostra di aver dimenticato molta filosofia accademica
dell’attuale
movimento culturale e intellettuale.
Gadamer
si rifà al pensiero di Aristotele, insistendo molto sulla riscoperta
ermeneutica
della
filosofia pratica aristotelica, che definisce un modello esemplare di
razionalità al quale sarebbe più che mai al giorno d'oggi opportuno fare
riferimento.
Il
motivo della ragione pratica è ricorrente e centrale nella stessa misura dei
continui
richiami
di Gadamer all’ideale classico della saggezza pratica e della frónhsij , di
contro ad
un
atteggiamento di prudenza e di sospetto nei confronti della scienza moderna e
della
tecnica,
e ad una critica risoluta, come si è visto, dell’ottimistica ideologia del
progresso;
nella
sua radicale analisi dell’essenza della tecnica, Gadamer è senza dubbio l’erede
più
autorevole
dell’insegnamento heideggeriano. E’ Heidegger, infatti, a impostare il percorso
speculativo
che passa per una travolgente scoperta dell’attualità della filosofia pratica
aristotelica,
dell’idea di πραξισ come movimento originario del vivere umano e della
frónhsij
come lume e sapere orientativo; è evidente, in seguito, l’appropriazione di
tale
pensiero
da parte di Gadamer, che teorizza così il valore esemplare della filosofia
pratica
contrapponendolo
alle aporie in cui la cultura scientifica e tecnica del mondo moderno ha
condotto
la filosofia, costretta a scegliere tra l’arcadia e la tecnofilia, cioè tra una
celebrazione
per così dire museale di valori idealizzati come classici e perenni, ma non più
realmente
vissuti nella storia degli effetti, oppure un vuoto vassallaggio al dominio del
sapere scientifico e tecnico.
Attraverso
la riabilitazione della filosofia pratica e del concetto di frónhsij , Gadamer
vuole
indicare una via da seguire per affrontare i problemi che accompagnano il
cammino
della
finitudine umana verso quell’attitudine divina possibile e raggiungibile
dall’uomo, che altro non è se non la θεορια ; sembrerebbe a questo punto
esserci una incongruenza tra il significato fattuale della filosofia pratica,
la prassi (πραξισ), e il significato meditativo o
contemplativo,
cioè passivo e non attivo, insito nell’idea di teoria (θεορια).
In
realtà teoria e prassi non vengono in contrasto tra loro: come si chiarirà
meglio più
avanti,
per Gadamer ogni prassi significa in fondo ciò che rinvia al di là di essa, e
al di là di
essa
c’è appunto la teoria, che non è una facoltà di cui l’uomo dispone, ma un
qualcosa che
esige
preparazione e formazione (Bildung), e che presuppone, in altre parole, la
riuscita
della
πραξισ: allora, la filosofia pratica altro non è che l’iniziazione necessaria
per pervenire alla suprema attività della θεορια.
Nel
dare rilievo all’importanza dell’idea di filosofia pratica Gadamer non può
prescindere
dalla svolta data ancora una volta da Heidegger contro il concetto idealistico
di
ermeneutica,
nella nuova direzione di un’ermeneutica della fatticità: essa riesce a cogliere
la temporalità e la finitudine dell’uomo di fronte al compimento infinito della
comprensione e della verità, perché il comprendere viene riconosciuto nella
tensione in cui si trova rispetto all’accadere reale.
Specificato
il sapere sotto quest’ottica, Gadamer afferma dunque che nelle scienze dello
spirito
l’essenziale non è l’oggettività, come è, invece, nell’indagine di tipo
scientifico della
realtà,
bensì la relazione preliminare con l’oggetto: questo ideale della
partecipazione viene
ad
integrarsi con l’ideale della conoscenza oggettiva basato sull’etica della
scientificità.
La
partecipazione alle espressioni essenziali dell’esperienza umana, come si sono
configurate
nell’arte e nella storia, è il vero criterio che, nelle scienze dello spirito,
riconosce la ricchezza o la povertà delle stesse teorie.
Interesse
e partecipazione all’esperienza umana esistevano già nel pensiero di
Aristotele,
che
sviluppò la filosofia pratica elevando la prassi umana ad ambito di sapere
autonomo.
Prassi
significa l’insieme delle cose pratiche, ovvero ogni comportamento umano e ogni
istituzione
umana in questo mondo; ma qual è il posto teoretico del sapere e del riflettere
sulla
prassi?
Secondo
Aristotele, tra il sapere e il fare vi è al centro la prassi, oggetto della
filosofia
pratica.
Il suo vero fondamento sta nel fatto che l’uomo ha una posizione centrale e
conduce la propria vita seguendo non l’istinto, ma la ragione, e la virtù
fondamentale che viene dall’essenza dell’uomo è dunque la ragionevolezza
(frónhsij ) che guida il suo agire, cioè la prassi Aristotele stesso si
domandava come la virtù della frónhsij potesse collocarsi
accanto
alla virtù del sapere scientifico e del saper fare tecnico, ma qui basti
accennato
all’impostazione
concettuale di Gadamer, mentre l’analisi delle problematiche verrà
affrontato
più avanti.
L’idea
decisiva, che accomuna sia le scienze dello spirito sia la filosofia pratica è
che in
entrambe
la struttura finita dell’uomo assume una posizione determinante rispetto al
compito infinito del voler sapere. Questo voler sapere trova il suo miglior
agio nella realtà fattuale, ovvero nella realtà costituita di convinzioni, di
valutazioni, di abitudini condivise e
comprensibili
profondamente da tutti, cioè l’insieme di tutto ciò che forma il sistema di
vita.
La
realtà, e tutto ciò che si diviene tramite l’esercizio e l’abitudine è l’ηθοσ,
e Aristotele è il
fondatore
dell’etica perché ha reso determinante questo valore della realtà fattuale.
L’insegnamento
della filosofia pratica viene definito da Aristotele anche politica, e il
passaggio
dall’etica alla politica viene sottolineato dalla continuità concettuale delle
opere
Etica
Nicomachea e Politica.
La
filosofia morale non ha come unico scopo una pura e semplice conoscenza, bensì
un
effettivo
miglioramento dei costumi, che si verifica attraverso le abitudini imposte con
le
leggi.
Le leggi hanno valore educativo perché costringono a prendere le buone
abitudini che predispongono alla virtù, e la scienza che permette di costruire
un sistema legislativo
razionale
ed efficace sarà necessariamente la politica.
Nel
guidare rettamente la volontà dell’uomo assume importanza l’espressione sensus
communis23:
essa non significa solo la capacità generale che tutti gli uomini possiedono,
ma è quel senso che fonda la comunità, e non è un sapere dimostrato, ma
permette di scoprire il verosimile, ovviamente un verosimile non certo inteso
come probabilità, bensì come per lo più, cioè come sapere inteso e condiviso
dalla maggioranza: esso non è un sapere pratico né un sapere teoretico, ma,
come la φρονησισ, è orientato alle situazioni concrete, e deve quindi cogliere
le circostanze nella loro infinita varietà.
Nel
distinguere tra sapere fondato sui principi generali e sapere del concreto
Aristotele
vuole
fare agire anche un motivo positivo, etico: per cogliere e dominare la
situazione
concreta
occorre sussumere il dato sotto l’universale, cioè sotto il fine che ci si
propone, e
questo
presuppone che esista già nell’uomo un certo orientamento della volontà, cioè
un
modo
di essere morale: l’εξισ è infatti l’attitudine dell’anima a essere moralmente
qualificata.
Per
questo la frónhsij è per Aristotele una virtù morale: egli non vede solo una
facoltà
(δυναµισ),
ma una virtù che non solo distingue ciò che si può fare da ciò che non si può
fare, ed è quindi una specie di intelligenza pratica, ma che nel suo saper
distinguere implica e presuppone un atteggiamento morale che distingue ciò che
è moralmente conveniente da ciò che non lo è.
La
filosofia pratica sprona dunque a usare rettamente, tramite la ragione, il
sapere e il
saper
fare di ogni uomo per perseguire dei fini comuni; in questo compito, come si
vedrà tra breve, la filosofia ermeneutica, ancora una volta, svolge un ruolo
centrale, in quanto deve mediare tra il sapere dell’universale teoretico e il
sapere della prassi: l’ermeneutica governa perciò, secondo Gadamer, l’intera
dimensione dell’autocomprensione.
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