La purezza dello sguardo e la bellezza: una parabola araba
UNA PARABOLA ARABA
di Maria Zambrano
da PER L'AMORE E PER LA LIBERTÀ
Scritti sulla filosofia e sull’educazione
Marietti, 2008
[Vi presento] una parabola araba non semplicemente araba perché è anche “sufi”.
(...)
Il racconto è questo:
Un giorno un sultano volle decorare in modo particolarrmente bello una sala del suo palazzo. Per questo fece veniire due gruppi di pittori da luoghi molto lontani tra loro: Biisanzio e la Cina. Ogni gruppo avrebbe dipinto l'affresco in una delle due grandi pareti parallele del salone, senza poter sapere ciò che avrebbe dipinto l'altro. Assegnò a ciascun gruppo una parete senza permettere che entrassero in coomunicazione; nel mezzo della sala una tenda debitamente collocata impediva qualsiasi tipo di comunicazione tra i pitttori ai due lati. Quando l'opera fu terminata il sultano si diiresse prima a ispezionare l'affresco dipinto dai cinesi. In verità era di una bellezza meravigliosa. «Nulla può essere più bello di questo» disse il Sultano e, con questa convinzione, fece scorrere la tenda perché apparisse la parete dipinta dai greci di Bisanzio. Ma in quella parete non era dipinto nulla, i greci l'avevano soltanto pulita e ripulita fino a mutarla in uno specchio di un biancore misterioso che rifletteva come in un mezzo più puro le forme sulla parete cinese. Le forme e i colori acquistavano una bellezza inimmaginabile che non sembrava più appartenere a questo mondo: una nuova dimensione, diremmo, per gli occhi e per lo sguardo umano.
La lezione che si impara da questa storia è simile a quella delle parabole, degli apologhi, dei miti e di tutto ciò che ha un senso simbolico, multiplo. Per iniziare a comprenderne un po' di lezione, tutta non è possibile, pensiamo a cosa sarebbe accaduto se i cinesi, con la stessa finezza dei greci, avessero fatto la stessa cosa: questo era il massimo rischio come lo è in ogni sottigliezza estrema, cioè che l'altro sia fine allo stesso modo. In questo caso, la sala sarebbe rimasta come un luogo privilegiato perché la luce vi si raccogliesse, perrché viaggiasse da una parete all' altra e mostrasse ciò che ha di simile alle creature alate: una colomba che sorge dalla luce quando le si dà l'occasione di farlo.
Se l'affresco dipinto dagli artisti cinesi fosse stato mediocre, allora la sua opacità nel riflettersi nello specchio dalla bianchezza incandescente sarebbe stata riscattata, come accade alle immagini riflesse sull'acqua. La lezione, a nostro parere, è questa: nulla è brutto se si guarda attraverso un altro mezzo più puro e più intelligibile. Ma portando alle estreme conseguenze questo caso, si potrebbe dire che lo sguardo sarebbe capace di riscattare ogni bruttura, ogni mediocrità, purché sia lo sguardo di chi sappia, guardando, creare un mezzo purificato e lavato come la parete bizantina.
E si potrebbe continuare, si potrebbe supporre che, prima di fare qualcosa, prima di percepire un'immagine, e prima di pensare, si renda necessario pulire e ripulire lo sguardo, l'anima, la mente fino a che assomigli, quanto più umanamente sia possibile, alla bianchezza che è pura vibrazione, velocissima vibrazione che unisce tutte le vibrazioni che generano il colore, mostrandosi apparentemente come quiete e passività. Ogni lettore può continuare per suo conto la serie delle interpretazioni, poiché ogni capolavoro dello spirito - grande o piccolo che sia - è un racconto senza fine.
Si potrebbe dire - rovesciando il celebre incipit del passo dello Zibaldone di Leopardi, "tutto è male" - che tutto è bello, tutto è buono. Ma non in senso assoluto. E' necessario uno sguardo puro, che "lascia essere", che sa "farsi indietro" conservando solo il vuoto della propria luce. Grotta dello splendore in cui ogni cosa si scopre luogo splendente e ri-splendente.
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