La scuola di ecologia Culturale è un luogo di scambio di esperienze e di costruzione di tecniche democratiche e pacifiche per lo sviluppo sostenibile delle società umane e si muove per realizzare iniziative (prevalentemente in partnership) per l’educazione dei giovani (la scuola del territorio e uno dei partner naturali della scuola) e lo sviluppo di un capitale umano di eccellenza che dovrà essere protagonista dello sviluppo culturale ed economico delle società e dei popoli Euro Mediterranei.
mercoledì 30 novembre 2016
domenica 27 novembre 2016
il Piumone - Marco Pomar
- Quando potrò venire di nuovo a letto con te?
- Sarà il tempo a deciderlo.
- Ma come fai a stare senza di me? Sono mesi che mi hai accantonato.
- Mi soffochi.
- Prima dicevi che ti scaldavo il cuore.
- Troppo spesso, forse.
- C’è gente che pagherebbe per avermi.
- Verrà il tuo tempo. Devi sapere aspettare.
- È ora che tu mi riprenda.
- Sei pesante!
- Non possiamo restare ancora in freddo.
- È inutile che mi stai di sopra.
- Dopo tanti anni ancora non riesco a scoprirti.
- Tra qualche settimana ti spiegherò.
- Ho saputo aspettare un sacco.
- Allora a tra poco, piumone.
- Lo spero. In questo cassetto si soffoca.
giovedì 24 novembre 2016
È morto Vittorio Sermonti, l'intellettuale che ci fece riscoprire Dante
Aveva 87 anni. Pochi giorni fa il suo ultimo tweet: "Mi prendo un po' di riposo"
di DARIO PAPPALARDOROMA - Vittorio Sermonti, morto questa mattina a 87 anni, aveva incontrato Dante Alighieri molto presto, portandolo con sé come un destino. Aveva imparato ad ascoltare la Divina Commedia da bambino: a dieci anni ascoltava già i canti da suo padre, avvocato di fama di origine pisane. Era nato a Roma il 26 settembre 1929, sesto di sette fratelli, in una famiglia in cui si respiravano la legge e la cultura. Suo padrino di battesimo era stato il giurista Vittorio Emanuele Orlando. Ma a frequentare casa Sermonti c’erano anche personaggi come Luigi Pirandello ed Enrico Cuccia. Dopo gli studi classici, gli esami di latino con Ettore Paratore – compagno di libri era stato Cesare Garboli – nel 1950 il ventenne Vittorio viene assunto come funzionario del Terzo programma radiofonico. Inizia così un altro rapporto che durerà tutta la vita, quello con la radio. Sermonti individua presto le potenzialità della relazione tra scrittura e parlato; la necessità di trovare una strada per far rivivere i classici attraverso la voce.
Negli anni Cinquanta, a Firenze, dove intanto si trasferisce, entra nella redazione di Paragone, la rivista del grande storico dell’arte Roberto Longhi. Dirà: “Ricordo interminabili partite a bocce nella sua villa e conversazioni dove parlava solo lui, con la sigaretta accesa, permanentemente incollata su di un lato della bocca. Era geniale, un difetto che hanno in pochi”. Sulla strada incrocia Pasolini, Gadda, Calvino, Parise, Bassani. Pubblica romanzi: “La bambina Europa” (Sansoni, 1954), “Giorni travestiti da giorni” (Feltrinelli, 1960); “Novella storica su come Pierrot Badini sparasse le sue ultime cartucce” (Garzanti, 1968). Dall’esperienza di vita a Praga, ricaverà “Il tempo fra cane e lupo” (Bompiani, 1980). Si dedica all’insegnamento: al Liceo Tasso di Roma è professore di latino e italiano, a metà degli anni Sessanta. Entra poi nel mondo del teatro: dopo aver insegnato tecnica del verso teatrale all’Accademia Nazionale d’arte drammatica, dirige il Centro Studi del Teatro Stabile di Torino, dal 1975 al 1979. Collabora a vari giornali: dall’Unità al Corriere della sera.
Ma Dante resta la sua passione e la divulgazione il suo obiettivo. Così nel 1986 propone alla Rai di realizzare il suo progetto di letture integrali della Divina Commedia per la radio. Coinvolge nell’impresa il critico Gianfranco Contini e porta a termine le registrazioni di tutta l’opera – più volte replicata – nel 1992. Dal chiuso dello studio di registrazione passa poi agli eventi dal vivo. Migliaia di persone lo seguono a partire dal 1995 nella basilica di San Francesco a Ravenna. Poi il tutto esaurito si sposta ai Mercati di Traiano e al Pantheon di Roma, a Firenze in Santa Croce, a Milano, a Bologna. E all’estero: Regno Unito, Argentina, Cile, Uruguay, Israele Turchia.
Ma non si ferma solo a Dante (le letture sono pubblicate da Giunti in cd e ebook), nel 2007 pubblica per Rizzoli “L’Eneide di Virgilio”; nel 2012 ha tradotto le “Metamorfosi” di Ovidio. Quest’anno era entrato nella cinquina del Premio Strega con il libro autobiografico “Se avessero” (Garzanti), in cui ha raccolto settant’anni di memorie e di storia italiana a partire dal fascismo e dal dopoguerra.
Dal suo matrimonio con Samaritana Rattazzi, sono nati Maria, Pietro e Anna. Dal 1992 era sposato con la scrittrice e poetessa Ludovica Ripa di Meana.
Su Twitter lunedì ha lasciato l’ultimo messaggio: “Cari amici, mi prendo qualche giorno di riposo. I vostri commenti mi faranno compagnia”. Sono già tantissimi.
STORM
KALLIOPE MASSAFRA (TARANTO) | ||
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venerdì 18 novembre 2016
Sciascia si misura con il Vangelo Gli esercizi spirituali del potere: Todo modo
In «Todo modo», pubblicato nel 1974, la decadenza della classe dirigente
ma anche una riflessione profonda sulla natura del messaggio cristiano
di CARLO VULPIO
Gian
Maria Volonté e Renato Salvatori in una scena del film «Todo modo»
(1976), tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia e diretto da Elio Petri
Succede,
ai grandi. E succede con precisione aritmetica a quei grandi che
diventano dei classici quando ancora sono in vita. Com’è accaduto a
Leonardo Sciascia, che con il passare degli anni, e soprattutto dopo la
sua morte, avvenuta nel 1989, non si è mai più liberato della pletora di
sciasciani (e passi) e di sciascisti
(e qui, le cose si complicano, perché dall’esegesi all’arte divinatoria
il passo è breve), che spesso gli hanno fatto dire cose che non ha
detto e non si sono invece accorti di quelle che ha detto, e a volte ha
pure ripetuto con insistenza.
Prendiamo Todo modo, per esempio.
Pier Paolo Pasolini disse che questo è il miglior romanzo di Sciascia. E
in effetti lo è. Non perché lo abbia detto Pasolini, ma perché chi
abbia frequentato Sciascia sine ira ac studio
non può che ritrovarsi a dare lo stesso giudizio. Tutti i libri di
Sciascia sono magnifici per i temi che trattano e per come vengono
trattati: il bene e il male, la libertà e il potere, la legge e la
giustizia, l’uomo e Dio, l’apparenza e la realtà, la verità e la
menzogna, la mafia e l’antimafia, il dubbio e il dogma, l’individuo e lo
Stato, ma Todo modo li contiene
tutti, e dopo quarantadue anni (fu pubblicato da Einaudi nel 1974) ha
la stessa freschezza, non perché sia «attuale» — questo schiacciamento
sulla «attualità» rischia anzi di tradursi in una diminuzione —, ma
perché parla alla nostra coscienza, alla nostra intelligenza, alla
nostra natura miserabile di uomini con la forza di un «classico», cioè
di un’opera originale, imprescindibile, valida sempre, quasi un canone,
da poter quindi essere persino imitabile, ma unica, irripetibile.
Todo modo è la locuzione iniziale della massima di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine dei Gesuiti — Todo modo para buscar y hallar la voluntad divina,
«Qualunque mezzo per cercare e trovare la volontà divina» — ed è lo
scopo dichiarato o quanto meno apparente di don Gaetano, il prete
protagonista del romanzo, che guida gli esercizi spirituali di alti
esponenti della classe dirigente del Paese riuniti in un albergo-eremo
siciliano. Nel quale tutto accade, compresi tre omicidi, anch’essi
apparentemente senza colpevoli, fuorché l’elevazione spirituale dei
partecipanti, descritti come «figli di puttana» costretti da don Gaetano
a recitare il Rosario andando su e giù in fila. Sono ministri,
deputati, professori, artisti, finanzieri, industriali, «quella che si
suole chiamare classe dirigente e che in concreto cosa dirigeva? Una
ragnatela nel vuoto, la propria labile ragnatela. Anche se di fili
d’oro». Il potere come dominio, certo, quel «cummannari è megghiu ca
futtiri» («comandare è meglio che scopare»), proverbio siciliano di
portata universale che Sciascia cita in altre sue opere, ma anche il
potere come trappola per gli stessi suoi detentori, che esercitandolo se
ne inebriano, fino a non riuscire più a farne a meno, come
tossicodipendenti.
Quando, due anni dopo l’uscita del libro di Sciascia, Elio Petri ne trasse il film omonimo,
tutti concordarono che era del personale politico democristiano degli
anni Settanta che si narrava, perché allora la Dc era il partito-Stato,
mentre tutti gli altri, più o meno, se non potevano andare assolti,
erano estranei a questa microfisica del potere tutta
democristiano-cattolica. Vero. Ma anche sbagliato. E infatti il film di
Petri, per quanto ben fatto, non è all’altezza del Todo modo
Sciascia, perché schiaccia un classico sull’attualità del momento e ne
depotenzia la universalità. Perché universale è il messaggio cristiano e
il discorso sul cristianesimo, e dunque sull’uomo e sul suo rapporto
con i suoi simili e con Dio, che pervade il romanzo. Sia quando questo
discorso ricorre ai paradossi: «I preti buoni sono quelli cattivi. La
sopravvivenza e, più che la sopravvivenza, il trionfo della Chiesa nei
secoli, si deve più ai preti cattivi che ai buoni»; sia quando
approfondisce la riflessione sul cristianesimo che crede, sbagliando,
«che Cristo abbia voluto fermare il male», mentre, scrive Sciascia, Gesù
Cristo ha rovesciato questo convincimento, poiché «nella sua vera
essenza, questo è il cristianesimo: che tutto ci è permesso. Delitto,
dolore, morte».
Delitto, dolore, morte non sono soltanto rubriche del codice penale — di cui anche in Todo modo,
come in altri romanzi, si occupa un magistrato supponente e mediocre —,
ma sono anche gli effetti di quel «maneggiare e modellare come cera» la
coscienza altrui, come fa don Gaetano, e come fa, appena ne abbia la
opportunità, chiunque eserciti una qualsiasi forma di potere. Tanto
negli anni del partito-Stato, quanto (e forse anche peggio) nell’era del
web «libero», anzi a «democrazia diretta», che per i suoi «esercizi
spirituali» non ha nemmeno bisogno di organizzare incontri in qualche
appartato albergo-eremo.
Come uscirne? Sciascia, ancora una volta, gioca con le parole, rovescia i concetti, ribalta il senso comune. E invita, anzi istiga il lettore a fare altrettanto. Cummannari?
E se invece fosse la libertà la parola chiave? «La libertà è megghiu ca
futtiri»: non suona meglio, non è persino più efficace? Dice Giovanni
nel suo Vangelo: «La verità vi farà liberi». Ma se rovesciamo anche
queste parole non otteniamo: «La libertà vi farà veri»? Può anche darsi
che non basti. Ma in Todo modo, quando accade che prevalga la libertà, nemmeno don Gaetano può farci niente.
giovedì 17 novembre 2016
Federico Federico
Federico Federico @Ugo Arioti 12/07/2007
Ecco la bestia
Sorge dal mare carica di nomi blasfemi
Come un orso
Come un leone
Come un leopardo
Spalanca la bocca ad offesa del santo Nome
Scaglia la sua lancia
Sul Tabernacolo di Dio
E sui Santi che abitano i Cieli….Anticristo!
Armatevi e difendete la Fede…..
Strillava il fariseo
Seduto sulla cattedra di Pietro,
perverso traghettatore d’anime perse.
Senza sosta sbraitava contro
L’Elfo siciliano!
Il tragediatore romano contro il Signore della Caccia!
Diana rediviva!
Eresia, eretico, elfo…
Ecco la bestia
Sorge dal mare carica di nomi blasfemi
Come un orso
Come un leone
Come un leopardo
Spalanca la bocca ad offesa del santo Nome
Scaglia la sua lancia
Sul Tabernacolo di Dio
Attenti all’inganno degli occhi e del cuore
Terrore
Attonitò sto,
in preghiera e conforto per Voi, popolo di Dio.
Si veste da Messia Imperatore
Si reclama inviato di Dio
Inganno!
Ecco la bestia
Sorge dal mare carica di nomi blasfemi
Come un orso
Come un leone
Come un leopardo
Spalanca la bocca ad offesa del santo Nome.
Assaltate le sue corti e le città e i castelli e le scuole….
Distruggete il malvagio Re.
Ecco la bestia……la…..bestia…
Mentre il fiato mordeva la sua gola
Il grido dei morti saliva
Spasimo e desolazione a Roma
Senza un filo di voce
Senza respiro o vento
Gregorio IX
Morto per Federico!
Scappa a Lione Innoccenzo il IV e, come Pastore,
raccoglie il suo gregge di “pecore amiche e di Fede”!
Scomunica, scomunica per l’imperatore di Roma e del Mondo.
- Rendiamo noto e proclamiamo
che questo Principe è stato rigettato
da Dio
per le sue iniquità e privato
di ogni onore e dignità ……..
Liberiamo per sempre dal giuramento
di fedeltà quelli che erano
legati a lui ……-
Pazzo?
Sicuramente fu anche questo
gridando e giocando con la vita.
Nato da madre accorta d’Altavilla
cresciuto con il sangue e con il latte.
Mai nome si fregiò
di un tal respiro
nel cuore e nel riposo dei miei occhi!
Lo vedo, il mio imperator bambino,
Stupor del Mondo
ed aquila al mattino!
Lo carezzo e lo piango,
nel mio seno di madre,
Sicilia senza pace,
e lo chiamo per rivederlo ancora:
Federico, Federico …
stupor Mundi
in hoc signo!
lunedì 14 novembre 2016
RIFORMO O NON RIFORMO (LA COSTITUZIONE ITALIANA) QUESTO E' IL PROBLEMA
Ebbene, siamo come Amleto,...nutriamo il dubbio estremo dell'essere. Non ci accorgiamo delle cortine fumogene che gli eserciti del SI lanciano sul popolo, quello che per la "vecchia costituzione italiana" era "SOVRANO". Lo fanno, i poteri trasversali e occulti post idealisti e servi delle Banche, per lanciarsi in un attacco per lo sfondamento delle difese che la "MAGNA CARTA" aveva previsto subito dopo la proclamazione della Repubblica,... che nasceva dalla ceneri stitiche e bugiarde del Regno d'Italia.
Essere o non essere per il SI? La Storia, come sempre, non insegna niente. Già con vari colpi di spugna sono riusciti a cancellare e quasi ad eliminare lo Stato Sociale, la tutela per tutti e il diritto al lavoro, sanciti dalla nostra carta costituzionale, poi sono passati all'assalto dei diritti dei lavoratori, ora l'ultimo colpo al fortino dei pesi e contrappesi che difendono la Democrazia, poi dritti verso il nocchiero "Caronte" che ci traghetterà verso la DITTATURA. Il passo è breve. Molti dicono: parlate e mettete a confronto la riforma con i "vecchi e stantii articoli", obsoleti, pesanti, gravi, inutili....gli aggettivi si sprecano per arrivare a dire: MEGLIO CAMBIARE CHE RESTARE FERMI. Io penso che non sia così, e, aggiungo per chiarezza, non sono di quelli che si possono indicare come CONSERVATORI, anzi, mi sono sempre trovato dalla parte PROGRESSISTA del Paese, ma in questo caso la battaglia non è tra il nuovo e il vecchio per andare avanti tutti insieme, no. Oggi, dopo tre colpi di Stato indolore perpetrati dal vecchio massone Napolitano, per cambiare i volti, ma lasciare sempre intatto l'esercito della morte, c'è, al vertice del governo, il pinocchio burattino dei poteri forti che, per vincere le elezioni, è disposto a dilapidare le casse dello Stato, tanto poi con una mano dà e con tre riprende. La Politica non è, come dicono loro (LA CASTA DOMINANTE), un arte difficile.
Vogliono elegersi SACERDOTI DELLA POLITICA, ma sono solo mestieranti, furbetti e ladri. No!, è semplice se si vuole veramente parlare alla Gente e dare risposte di EQUITA', MORALITA', GIUSTIZIA SOCIALE E PROGRESSO ECONOMICO. Senza giustizia sociale non c'è democrazia e libertà. Chi governa con l'inganno non può riformare, può solo aggiustare per se e i suoi amici il sistema. Quindi non è la Politica RIFORMISTA, quella che ci vogliono far bere, ma il veleno per la DEMOCRAZIA ITALIANA già troppo debole e malata. Meditate gente, meditate.....
Essere o non essere per il SI? La Storia, come sempre, non insegna niente. Già con vari colpi di spugna sono riusciti a cancellare e quasi ad eliminare lo Stato Sociale, la tutela per tutti e il diritto al lavoro, sanciti dalla nostra carta costituzionale, poi sono passati all'assalto dei diritti dei lavoratori, ora l'ultimo colpo al fortino dei pesi e contrappesi che difendono la Democrazia, poi dritti verso il nocchiero "Caronte" che ci traghetterà verso la DITTATURA. Il passo è breve. Molti dicono: parlate e mettete a confronto la riforma con i "vecchi e stantii articoli", obsoleti, pesanti, gravi, inutili....gli aggettivi si sprecano per arrivare a dire: MEGLIO CAMBIARE CHE RESTARE FERMI. Io penso che non sia così, e, aggiungo per chiarezza, non sono di quelli che si possono indicare come CONSERVATORI, anzi, mi sono sempre trovato dalla parte PROGRESSISTA del Paese, ma in questo caso la battaglia non è tra il nuovo e il vecchio per andare avanti tutti insieme, no. Oggi, dopo tre colpi di Stato indolore perpetrati dal vecchio massone Napolitano, per cambiare i volti, ma lasciare sempre intatto l'esercito della morte, c'è, al vertice del governo, il pinocchio burattino dei poteri forti che, per vincere le elezioni, è disposto a dilapidare le casse dello Stato, tanto poi con una mano dà e con tre riprende. La Politica non è, come dicono loro (LA CASTA DOMINANTE), un arte difficile.
Vogliono elegersi SACERDOTI DELLA POLITICA, ma sono solo mestieranti, furbetti e ladri. No!, è semplice se si vuole veramente parlare alla Gente e dare risposte di EQUITA', MORALITA', GIUSTIZIA SOCIALE E PROGRESSO ECONOMICO. Senza giustizia sociale non c'è democrazia e libertà. Chi governa con l'inganno non può riformare, può solo aggiustare per se e i suoi amici il sistema. Quindi non è la Politica RIFORMISTA, quella che ci vogliono far bere, ma il veleno per la DEMOCRAZIA ITALIANA già troppo debole e malata. Meditate gente, meditate.....
Ugo Arioti
Il regno dell’omertà e del privilegio Perché in Italia vincono i mediocri
Il regno dell’omertà e del privilegio
Perché in Italia vincono i mediocri
Il nuovo libro di Sergio Rizzo, «La Repubblica dei Brocchi», denuncia
i comportamenti senza vergogna della classe dirigente pubblica e privata
Il dominio esercitato dal ceto dirigente burocratico su un’Italia
bendata che non è in grado di controllarlo. Disegno di Beppe Giacobbe
La Repubblica dei Brocchi
di Sergio Rizzo (Feltrinelli) è un tagliente atto d’accusa nei
confronti della classe dirigente italiana. Spietato. Non risparmia
nessuno. Nemmeno i giornalisti. Nel leggerlo mi è venuto in mente, non
solo per assonanza, un pamphlet pubblicato nella Francia d’inizio secolo
scorso. La République des Camarades, ovvero
dei compari, di Robert de Jouvenel, riproposto in Italia, qualche anno
fa, a cura di Emanuele Bruzzone. Quando la democrazia deperisce nella
ragnatela delle amicizie compiacenti, gli interessi particolari e le
relazioni oscure. Ma il racconto giornalistico di Rizzo è così ricco di
episodi di malcostume o di semplice incoerenza o stupidità da ridurre,
nel confronto, lo scritto sui mali della Terza Repubblica francese alla
mera fisiologia del potere. Nel caso italiano di normale c’è molto,
troppo. La furbizia elevata a dote ostentata della vita sociale, la
facilità con cui si violano le norme senza pagarne mai un dazio in
termini di minore reputazione, la tendenza a sentirsi sempre vittime,
imputando agli altri i mali del Paese. Al punto che lo straordinario
saggio di Rizzo sul declino della classe dirigente (pubblica e privata,
sia ben chiaro) italiana, poteva benissimo avere un altro titolo. I
brocchi hanno talento. Sono inaffondabili. Sono esempi di successo. E a
volte abbiamo la netta sensazione che, alla fine, vincano loro.
Rizzo
ha la freddezza del giornalista e commentatore d’inchiesta, attento al
dettaglio, che non fa sconti, ma non è privo di speranza. Riconosce
le tante qualità del Paese, le molte eccellenze, il capitale sociale
della solidarietà e termina il suo libro con quelli che lui chiama
piccoli consigli. Codici etici, per esempio, che non siano solo foglie
di fico stese sul miope corporativismo italiano. Quello che fa dire ai
tanti che si comportano bene: siamo tutti colleghi, dunque diamoci una
mano. E chiudiamo un occhio, non si sa mai, prima o poi potrebbe
accadere anche a noi. Un impegno autentico nel moralizzare la politica,
magari attuando quell’articolo 49 della Costituzione sulla trasparenza e
la democraticità della vita dei partiti. Oppure accogliendo, quando si
formano le liste per le elezioni di qualsiasi natura, il «piccolo
consiglio» di Gustavo Ghidini, storico fondatore del Movimento
consumatori: dichiarare pendenze penali, situazione patrimoniale,
interessi in conflitto. Proposta tanto semplice da essere caduta sempre
nel vuoto. Del resto l’articolo 54 della Costituzione recita: «I
cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina e onore». Sia l’articolo 49 sia il 54 della
Costituzione del 1948 sono rimasti largamente inattuati. È giusto
riformare, ma forse è anche doveroso attuare.
venerdì 11 novembre 2016
Se ne va un altro poeta della Storia della Gente del '900
Parlare di Leonard Cohen è raccontare la Musica del '900. Più di un semplice cantore o poeta, come Bob Dilan fu uno scrittore che con la musica ci raccontava la Storia della Gente. Lo vogliamo ricordare in questo "giorno orribilis" con l'annuncio dato dal suo Agente su FB:
"È
con profonda tristezza che diamo notizia della morte del poeta,
compositore e artista leggendario Leonard Cohen", ha scritto il suo
agente sulla pagina Facebook ufficiale. "Abbiamo perduto uno dei
visionari più profilici e rispettati del mondo della musica", ha
aggiunto indicando che la cerimonia funebre si svolgerà a Los Angeles in
una data ancora da stabilire. Soltanto pochi mesi fa - era la prima
settimana di agosto - Cohen aveva dovuto dire addio a Marianne Ihlen, la
donna incontrata negli anni Sessanta sull'isola greca di Hydra e che
gli aveva ispirato canzoni come So long, Marianne e Bird on wire: "Ti
ho sempre amata per la tua bellezza e per la tua saggezza - furono le
sue parole - ma non serve che io ti dica di più poiché lo sai già.
Adesso voglio solo augurarti buon viaggio. Addio vecchia amica, amore
infinito. Ci vediamo lungo la strada".
U.A.
giovedì 10 novembre 2016
Le stragi dimenticate: la strage del popolo armeno, perpetrata dai turchi nel 1917
(1917 - Massacro, tortura e crocifissione di migliaia di donne armene da
parte dell'esercito turco - Foto recentemente pubblicata, custodita
nell'Archivio Segreto del Vaticano.)
La notte del 24 aprile 1915 iniziava l’orrendo e sistematico sterminio del popolo armeno nei territori dell’Impero ottomano. L’obiettivo dei Giovani Turchi, organizzazione nazionalista nata all’inizio del XX secolo, era quello di creare uno stato nazionale turco, sul modello dei nuovi paesi europei nati nell’Ottocento. Creare dunque la Turchia e unirla con il mondo turcofono dell’Asia centrale (il Turkestan). Gli armeni, cristiani ed indoeuropei, erano l’ostacolo più evidente da eliminare per portare a termine il sogno nazionalista di un immenso territorio che dal Mediterraneo arrivasse fino allo Xinjiang cinese. Il primo passo era la nascita di un nuovo Paese abitato soltanto da turchi. Le popolazioni cristiane, che per secoli si erano organizzate in diversi millet (le comunità religiose e nazionali) dovevano sparire dal territorio. La definizione “Stato nazionale” prevede un paese linguisticamente e culturalmente omogeneo, con una popolazione composta in larga misura da un unico gruppo etnico e dove le altre popolazioni si limitano a piccole minoranze (l’Italia ne è un esempio). L’idea dei Giovani Turchi era dunque quella di conseguire con la forza le condizioni che la storia non aveva realizzato. Armeni, greci, assiri, le tre più importanti comunità cristiane, erano i primi obiettivi. Inizialmente i Giovani Turchi si servirono anche dei curdi (iranici, ma musulmani) per portare avanti le stragi.
(Chi sono i Giovani Turchi)
Gli armeni erano stati i primi al mondo a dichiarare il Cristianesimo
religione ufficiale del proprio Paese, nell’anno 301. Secondo la
tradizione la fondazione della Chiesa armena viene fatta risalire a
Taddeo e Bartolomeo (due apostoli di Gesù), ma fu solo all’inizio del IV
secolo che San Gregorio Illuminatore battezzò il re armeno Tiridate
III. Da allora il Cristianesimo è diventato il pilastro dell’identità
armena. Religione e cultura furono i segni distintivi degli armeni, per
secoli sotto dominazioni straniere. In ogni casa, anche la più povera,
non mancano mai i libri e nelle biblioteche è possibile scovare antichi
volumi a forma di bottiglia per nasconderli meglio dal furore
distruttivo degli invasori e preservare la propria storia e il proprio
futuro. Prima di convertirsi al Vangelo, Tiridate aveva fatto
rinchiudere San Gregorio in un pozzo sul quale oggi sorge il monastero
di Khor Virap, dal quale è possibile ammirare il Monte Ararat, simbolo
dell’Armenia. Secondo la Bibbia fu proprio sulle alture dell’Ararat che
l’arca di Noè si sarebbe fermata.
Il genocidio del 1915 iniziò però lontano dall’Ararat, a molti chilometri di distanza dall’Armenia storica: a Costantinopoli nella notte del 24 aprile, nelle case degli intellettuali, degli studiosi, dei poeti. Poi, sistematicamente, il massacro andò avanti più a Oriente, nelle terre abitate da millenni dal popolo armeno. Uccidendo gli uomini e deportando i bambini e le donne nel deserto siriano, dove morirono per la fame e per la sete, abbandonati. Ad alcuni bambini vennero inchiodati ai piedi i ferri di cavallo. I beni sequestrati andarono ad arricchire alcune famiglie turche. Fu il Medz Yeghern, il “Grande Male”.
Oggi gran parte dell’Armenia storica si trova in territorio turco. In primo luogo per via del genocidio che annientò le vite di un milione e mezzo di armeni. E poi per il tradimento delle potenze occidentali che nel 1923 firmarono a Losanna un nuovo trattato che annullava quello di Sévres del 1920, che avrebbe dovuto dare vita a un’Armenia indipendente nel territorio dell’Armenia storica, secondo quanto voluto dal presidente americano Woodrow Wilson. Agli armeni non rimase dunque che una piccola porzione di territorio, la Repubblica democratica armena che, entrata a far parte dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni ‘20, ritroverà l’indipendenza solo nel 1991. Nell’Armenia occidentale restarono solo chiese diroccate, monasteri deserti, villaggi abbandonati. La cattedrale di Akhtamar, importantissimo centro della cristianità armena su un’isola del lago di Van, è stata trasformata pochi anni fa in un museo dal governo turco. I nomi stessi di quei luoghi sono monumenti dolorosi di un mondo distrutto dall’odio nazionalista che tuttora continua sistematicamente a negare le proprie responsabilità.
La storiografia ufficiale turca cerca infatti di inserire i massacri all’interno della Prima guerra mondiale, negando un piano specifico di sterminio dell’intera popolazione armena. Il solo nominare la parola “genocidio” in Turchia può costare diversi anni di carcere e il riconoscimento da parte di un paese terzo porta regolarmente alle proteste di Ankara. In realtà la Grande guerra fu solo un’utile circostanza per condurre a termine un progetto ideato molto prima. Il massacro di Adana del 1909 e prima ancora i massacri hamidiani di fine Ottocento ne sono tragiche prove, così come aver accompagnato al genocidio armeno, il genocidio assiro ed il genocidio greco. Oggi anche l’Ararat si trova oltreconfine, in territorio turco. Può essere contemplato da Yerevan, la capitale della Repubblica armena, ma quella frontiera così vicina rimane forse la più imponente testimonianza della tragedia.
La notte del 24 aprile 1915 iniziava l’orrendo e sistematico sterminio del popolo armeno nei territori dell’Impero ottomano. L’obiettivo dei Giovani Turchi, organizzazione nazionalista nata all’inizio del XX secolo, era quello di creare uno stato nazionale turco, sul modello dei nuovi paesi europei nati nell’Ottocento. Creare dunque la Turchia e unirla con il mondo turcofono dell’Asia centrale (il Turkestan). Gli armeni, cristiani ed indoeuropei, erano l’ostacolo più evidente da eliminare per portare a termine il sogno nazionalista di un immenso territorio che dal Mediterraneo arrivasse fino allo Xinjiang cinese. Il primo passo era la nascita di un nuovo Paese abitato soltanto da turchi. Le popolazioni cristiane, che per secoli si erano organizzate in diversi millet (le comunità religiose e nazionali) dovevano sparire dal territorio. La definizione “Stato nazionale” prevede un paese linguisticamente e culturalmente omogeneo, con una popolazione composta in larga misura da un unico gruppo etnico e dove le altre popolazioni si limitano a piccole minoranze (l’Italia ne è un esempio). L’idea dei Giovani Turchi era dunque quella di conseguire con la forza le condizioni che la storia non aveva realizzato. Armeni, greci, assiri, le tre più importanti comunità cristiane, erano i primi obiettivi. Inizialmente i Giovani Turchi si servirono anche dei curdi (iranici, ma musulmani) per portare avanti le stragi.
(Chi sono i Giovani Turchi)
Il genocidio del 1915 iniziò però lontano dall’Ararat, a molti chilometri di distanza dall’Armenia storica: a Costantinopoli nella notte del 24 aprile, nelle case degli intellettuali, degli studiosi, dei poeti. Poi, sistematicamente, il massacro andò avanti più a Oriente, nelle terre abitate da millenni dal popolo armeno. Uccidendo gli uomini e deportando i bambini e le donne nel deserto siriano, dove morirono per la fame e per la sete, abbandonati. Ad alcuni bambini vennero inchiodati ai piedi i ferri di cavallo. I beni sequestrati andarono ad arricchire alcune famiglie turche. Fu il Medz Yeghern, il “Grande Male”.
Oggi gran parte dell’Armenia storica si trova in territorio turco. In primo luogo per via del genocidio che annientò le vite di un milione e mezzo di armeni. E poi per il tradimento delle potenze occidentali che nel 1923 firmarono a Losanna un nuovo trattato che annullava quello di Sévres del 1920, che avrebbe dovuto dare vita a un’Armenia indipendente nel territorio dell’Armenia storica, secondo quanto voluto dal presidente americano Woodrow Wilson. Agli armeni non rimase dunque che una piccola porzione di territorio, la Repubblica democratica armena che, entrata a far parte dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni ‘20, ritroverà l’indipendenza solo nel 1991. Nell’Armenia occidentale restarono solo chiese diroccate, monasteri deserti, villaggi abbandonati. La cattedrale di Akhtamar, importantissimo centro della cristianità armena su un’isola del lago di Van, è stata trasformata pochi anni fa in un museo dal governo turco. I nomi stessi di quei luoghi sono monumenti dolorosi di un mondo distrutto dall’odio nazionalista che tuttora continua sistematicamente a negare le proprie responsabilità.
La storiografia ufficiale turca cerca infatti di inserire i massacri all’interno della Prima guerra mondiale, negando un piano specifico di sterminio dell’intera popolazione armena. Il solo nominare la parola “genocidio” in Turchia può costare diversi anni di carcere e il riconoscimento da parte di un paese terzo porta regolarmente alle proteste di Ankara. In realtà la Grande guerra fu solo un’utile circostanza per condurre a termine un progetto ideato molto prima. Il massacro di Adana del 1909 e prima ancora i massacri hamidiani di fine Ottocento ne sono tragiche prove, così come aver accompagnato al genocidio armeno, il genocidio assiro ed il genocidio greco. Oggi anche l’Ararat si trova oltreconfine, in territorio turco. Può essere contemplato da Yerevan, la capitale della Repubblica armena, ma quella frontiera così vicina rimane forse la più imponente testimonianza della tragedia.
mercoledì 9 novembre 2016
La Commissione per scegliere gli elettori - di Marco Pomar
- Vedi, te l’avevo detto!
- Cosa?
- Che la democrazia è il peggiore dei mali. Sta cosa che uno vale uno, che il voto ha lo stesso peso per tutti, è una stronzata.
- Che vuoi, è il male minore…
- Ma quale male minore? I danni fatti dagli elettori storicamente, sono agghiaccianti!
- E cosa proponi?
- Facciamo una selezione alla base. Una specie di patente per votare. A punti, che puoi perdere strada facendo.
- Ah si? E chi controlla gli elettori? Chi ha diritto di voto?
- Si stabiliscono commissioni locali che si incaricano del rilascio delle patenti di voto. Se eleggi Berlusconi con 61 collegi su 61, alle successive elezioni non puoi votare. Semplice.
- Ma semplice cosa? E non vota più nessuno in Sicilia solo perché la maggioranza ha votato male?
- Ma come, non eri tu che parlavi di male minore? Meglio non fare votare chi fa danno!
- E io che ancora ti ascolto! Lo decidi tu se votare Trump, o Berlusconi, o Grillo, o Renzi, è giusto o sbagliato?
- Non io, la commissione.
- Ancora con questa commissione! E chi la nomina?
- Non la si nomina, viene eletta democraticamente.
- Dagli stessi elettori che vuoi fare fuori, immagino!
- No, certo. Da un gruppo ristretto e selezionato. Quello che in America chiamerebbero I grandi elettori.
- A parte che il significato non è quello, ma chi li seleziona questi grandi elettori che devono poi scegliere gli elettori che votano gli eletti che al mercato mio padre comprò?
- Io.
- Tu?
- Vabbè, qualcuno si deve prendere questa responsabilità. Tanto se va male mi possono sempre sostituire, togliere i punti della patente di voto, esiliare a Filicudi, mettermi nella casa del grande fratello vip. I rimedi si trovano.
- Guarda che è un lavoraccio. Io lo dico per te, devi svegliarti presto, selezionare un sacco di gente, valutare curriculum, ricevere raccomandazioni…
- Mi sento pronto.
- Rimane sempre il dubbio più grande: perché qualcuno dovrebbe sapere cosa è meglio per tutti? E se fossero Trump e Salvini la soluzione?
- Allora, seguimi: al di là di chi viene eletto, per la gran parte delle volte gli elettori non fanno che scegliere il peggio. E allora, dal momento che non si riesce a cambiare i candidati, cambiamo gli elettori! Con tutta evidenza il problema sono loro. Facciamo dei questionari: che vita fai, hai mai letto un libro? Ti piace il Tg4? Ti tagli i capelli come un moicano ma vivi a Brancaccio? I tuoi idoli sono Briatore e la Santanchè? Secondo te sono tutti ladri ma voti l’amico di tuo cognato? Non sei razzista, ma…?
Non voti, mi dispiace. Ma ti pare normale che uno scippatore, un pregiudicato, un tangentista, un corrotto a piede libero, abbiano un potere di voto uguale al mio? Anzi, molto di più, probabilmente, visto il loro seguito…
- Così dividiamo i cittadini tra quelli di serie A e quelli di serie B. Alla faccia della democrazia!
- Perché, secondo te siamo tutti uguali? Non c’è già una divisione nei fatti?
- Ma voi di sinistra non eravate a favore degli ultimi? Cos’è, avete cambiato idea? O lo siete solo quando vi conviene?
- Non sono stato chiaro. La divisione non è in verticale, non è tra poveri e ricchi, tra popolo e borghesia. La vera divisione è orizzontale, tra onesti e disonesti, stupidi e intelligenti, generosi ed egoisti, razzisti e democratici.
- E qua sta l’errore. Non esiste una simile dicotomia, l’onesto a volte è stupido, il generoso può essere disonesto, il furbetto è in agguato, il grigio predomina, la sorpresa è dietro l’angolo.
- Non ti seguo.
- Quante volte, grazie ai social, hai scoperto la vera anima di persone insospettabili? L’intolleranza cosa è, un valore? E tu stesso, con questo bel tentativo di purificazione della razza elettorale, non stai dimostrando una sorta di razzismo snob?
- Vabbè, mi hai convinto. Teniamoci Trump, Salvini e quelli che il popolo sceglie.
- Ecco, bravo. Magari così qualche volta c’è speranza di vincere. Con una commissione apposita mi sa che sarebbe peggio.
- Un’altra soluzione per vincere ci sarebbe…
- Non dirla!
- Votare come loro.
- Lo sapevo. L’hai detta.
- Almeno qualche volta vinco…
- Si, e tifa Juve, a sto punto.
- Non esageriamo.
martedì 8 novembre 2016
Freud e Dio - racconti in pillole - Ugo Arioti
Era il 1938, il padre della moderna psicoanalisi era gravemente
ammalato: un cancro... fu in una notte tormentata dalla bufera del cielo
e del suo animo che sentì bussare alla sua porta. andò ad aprire: era
Dio. Dio!
"Chi è?" chiese Sigmund. "Sono Dio!" rispose la voce." Dio?, se tu sei Dio, ...no, ma che dico,... tu sei un pazzo. Ma, se sei veramente
Dio, " gli urlò, mentre brancolava nel buio cercando di mettere a fuoco
quell'inquietante immagine in doppio petto grigio, fumo di Londra, "se
sei Dio, perchè permetti tutto questo?" " Perchè vi ho donato la libertà
di scegliere il vostro destino." " No, no, non è vero.... menti!,si, ... prima, nel
tempo antico qualcuno ti sfidava..." E il verbo:"Guarda quello che succede ora:
Vi siete sostituiti a me." " Nooooooooo....pazzo....." gridò, impugnando
la sua penna, la sua amica e nemica, il suo alterego....ma il cielo
divenne nero, si spense l'ultima luce a petrolio che illuminava il suo
studio e il decano della moderna psicoanalisi si addormentò per terra.
(Ugo Arioti pensieri e spirito
@1998)
domenica 6 novembre 2016
"l'apologia della sobrietà"
Mujica e "l'apologia della sobrietà": "Chi accumula denaro è un malato. La ricchezza complica la vita"
Intervista all'ex
presidente dell'Uruguay, in Italia per una serie di conferenze. "Il
Nobel per la Pace? Una burla. Usciremo dalla preistoria quando non
circoleranno più armi ed eserciti"
di OMERO CIAI
"NON SPRECATE la vita nel
consumismo, trovate il tempo di vivere per essere felici", ha detto José
'Pepe' Mujica agli studenti che lo hanno incontrato l'altro ieri a
Roma. Ottantuno anni, presidente dell'Uruguay dal 2010 al 2015, Mujica è
in Italia per una serie di conferenze e per promuovere il libro di
Andrés Danza e Ernesto Tulbovitz Una pecora nera al potere.
'Pepe' è diventato famoso in tutto il mondo perché da presidente
rinunciò al 90% del suo stipendio e preferì continuare a risiedere nella
piccola fattoria dove coltiva fiori piuttosto che nel palazzo
presidenziale. In Vaticano è stato ricevuto da Papa Francesco con il
quale condivide gli sforzi diplomatici per la pace in Colombia e per il
Venezuela.
Presidente, cosa si aspetta dal voto americano, teme anche lei una vittoria di Trump?
"Sono molto preoccupato da un'eventuale vittoria di Donald Trump perché il peso degli Stati Uniti nel mondo è tale che i disastri combinati da un presidente americano si possono ripercuotere su tutti noi. Però penso anche che il presidente negli Stati Uniti, per fortuna e per disgrazia, ha in fondo poteri abbastanza limitati".Meno poteri di un presidente dell'Uruguay?
"Sì, e l'abbiamo visto con l'apertura di una indagine dell'Fbi sulla Clinton a pochi giorni dal voto. I contrappesi istituzionali sono un bene per la democrazia, anche se in questo caso negli Stati Uniti in realtà si tratta di organismi, come la Cia o l'Fbi, che nessuno ha eletto. E che si comportano come istituzioni onnipotenti".
Presidente, cosa si aspetta dal voto americano, teme anche lei una vittoria di Trump?
"Sono molto preoccupato da un'eventuale vittoria di Donald Trump perché il peso degli Stati Uniti nel mondo è tale che i disastri combinati da un presidente americano si possono ripercuotere su tutti noi. Però penso anche che il presidente negli Stati Uniti, per fortuna e per disgrazia, ha in fondo poteri abbastanza limitati".Meno poteri di un presidente dell'Uruguay?
"Sì, e l'abbiamo visto con l'apertura di una indagine dell'Fbi sulla Clinton a pochi giorni dal voto. I contrappesi istituzionali sono un bene per la democrazia, anche se in questo caso negli Stati Uniti in realtà si tratta di organismi, come la Cia o l'Fbi, che nessuno ha eletto. E che si comportano come istituzioni onnipotenti".
Lei è diventato un ideale politico
nel mondo perché ha vissuto e vive come la parte più povera dei suoi
concittadini e non come quella più ricca. Pensa di essere una eccezione
nella politica di oggi?
"Sicuramente sono stato un'eccezione anche nel mio Paese. Però la mia è soprattutto una filosofia di vita. Il problema è che viviamo in un mondo nel quale si crede che colui che trionfa debba possedere tanto denaro, avere privilegi, una casa grande, maggiordomi, tanti servitori, vacanze extralusso. Mentre io penso che questo modello vincente sia solo un modo idiota di complicarsi la vita. Penso che chi passa la sua vita a accumulare ricchezza sia malato come un tossicodipende, andrebbe curato".
Diventare sempre più ricchi è una malattia?
"Ho conosciuto dei multimilionari, anche molto anziani. E a molti ho chiesto per quale ragione continuassero a accumulare denaro se tanto poi alla fine avrebbero dovuto lasciarlo qua. La risposta è sempre stata che non potevano farne a meno, come una malattia".
Ha avuto un contraccolpo personale, una forma di depressione, quando ha lasciato il potere. Le è mai successo di pensare: "Peccato, non sono più presidente"?
"Ma no, no. Piuttosto la verità è che alla fine può essere anche un'esperienza deludente. Riesci a ottenere meno di un terzo di tutte le cose che ti eri riproposto di fare. E è molto maggiore il numero dei sogni che finiscono in polvere rispetto a quelli che sei riuscito a realizzare facendo il presidente. Sono anche convinto che la politica non debba essere una professione. È un servizio, una passione. Chi vuole arricchirsi che si dedichi al commercio, alla banca, ma non alla politica. E per una società sana è necessario anche che si ruoti molto di più nelle responsabilità, soprattutto in quelle che implicano la rappresentazione degli interessi di tutti".
Nel corso del suo mandato sono state approvate tre leggi rivoluzionarie anche in America Latina: aborto, matrimoni gay e legalizzazione delle droghe leggere. Cos'altro avrebbe voluto fare e non ha potuto?
"Nel mio Paese c'è ancora una percentuale di indigenti. Minima, ma c'è. E coloro che vivono al di sotto della linea di povertà sono il 9-10% della popolazione. Non è accettabile in Uruguay, un Paese che produce alimenti per un numero di persone pari a dieci volte i suoi abitanti".
Ha detto di essere contrario all'assegnazione di un premio Nobel per la Pace?
"I Nobel vanno assegnati agli scienziati, ai medici. In un mondo come il nostro, dove ci sono guerre da tutte le parti, assegnare il Nobel per la Pace è una presa in giro. Una burla. Noi usciremo dalla preistoria dell'umanità soltanto quando non ci saranno più armi ed eserciti".
Si oppone alla globalizzazione?
"No, non è possibile. Sarebbe come essere contrari al fatto che agli uomini cresce la barba. Ma quella che abbiamo conosciuto finora è soltanto la globalizzazione dei mercati. Che ha come conseguenza la concentrazione di ricchezze sempre maggiori in pochissime mani. E questo è molto pericoloso. Genera una crisi di rappresentatività nelle nostre democrazie perché aumenta il numero degli esclusi. Se vivessimo in maniera saggia, i sette miliardi di persone nel mondo potrebbero avere tutto ciò di cui hanno bisogno. Il problema è che continuiamo a pensare come individui, o al massimo come Stati, e non come specie umana".
Lei è ateo ma condivide molte idee con Papa Francesco, soprattutto la critica della società consumistica e del capitalismo selvaggio.
"La mia idea di felicità è soprattutto anticonsumistica. Hanno voluto convincerci che le cose non durano e ci spingono a cambiare ogni cosa il prima possibile. Sembra che siamo nati solo per consumare e, se non possiamo più farlo, soffriamo la povertà. Ma nella vita è più importante il tempo che possiamo dedicare a ciò che ci piace, ai nostri affetti e alla nostra libertà. E non quello in cui siamo costretti a guadagnare sempre di più per consumare sempre di più. Non faccio nessuna apologia della povertà, ma soltanto della sobrietà".
"Sicuramente sono stato un'eccezione anche nel mio Paese. Però la mia è soprattutto una filosofia di vita. Il problema è che viviamo in un mondo nel quale si crede che colui che trionfa debba possedere tanto denaro, avere privilegi, una casa grande, maggiordomi, tanti servitori, vacanze extralusso. Mentre io penso che questo modello vincente sia solo un modo idiota di complicarsi la vita. Penso che chi passa la sua vita a accumulare ricchezza sia malato come un tossicodipende, andrebbe curato".
Diventare sempre più ricchi è una malattia?
"Ho conosciuto dei multimilionari, anche molto anziani. E a molti ho chiesto per quale ragione continuassero a accumulare denaro se tanto poi alla fine avrebbero dovuto lasciarlo qua. La risposta è sempre stata che non potevano farne a meno, come una malattia".
Ha avuto un contraccolpo personale, una forma di depressione, quando ha lasciato il potere. Le è mai successo di pensare: "Peccato, non sono più presidente"?
"Ma no, no. Piuttosto la verità è che alla fine può essere anche un'esperienza deludente. Riesci a ottenere meno di un terzo di tutte le cose che ti eri riproposto di fare. E è molto maggiore il numero dei sogni che finiscono in polvere rispetto a quelli che sei riuscito a realizzare facendo il presidente. Sono anche convinto che la politica non debba essere una professione. È un servizio, una passione. Chi vuole arricchirsi che si dedichi al commercio, alla banca, ma non alla politica. E per una società sana è necessario anche che si ruoti molto di più nelle responsabilità, soprattutto in quelle che implicano la rappresentazione degli interessi di tutti".
Nel corso del suo mandato sono state approvate tre leggi rivoluzionarie anche in America Latina: aborto, matrimoni gay e legalizzazione delle droghe leggere. Cos'altro avrebbe voluto fare e non ha potuto?
"Nel mio Paese c'è ancora una percentuale di indigenti. Minima, ma c'è. E coloro che vivono al di sotto della linea di povertà sono il 9-10% della popolazione. Non è accettabile in Uruguay, un Paese che produce alimenti per un numero di persone pari a dieci volte i suoi abitanti".
Ha detto di essere contrario all'assegnazione di un premio Nobel per la Pace?
"I Nobel vanno assegnati agli scienziati, ai medici. In un mondo come il nostro, dove ci sono guerre da tutte le parti, assegnare il Nobel per la Pace è una presa in giro. Una burla. Noi usciremo dalla preistoria dell'umanità soltanto quando non ci saranno più armi ed eserciti".
Si oppone alla globalizzazione?
"No, non è possibile. Sarebbe come essere contrari al fatto che agli uomini cresce la barba. Ma quella che abbiamo conosciuto finora è soltanto la globalizzazione dei mercati. Che ha come conseguenza la concentrazione di ricchezze sempre maggiori in pochissime mani. E questo è molto pericoloso. Genera una crisi di rappresentatività nelle nostre democrazie perché aumenta il numero degli esclusi. Se vivessimo in maniera saggia, i sette miliardi di persone nel mondo potrebbero avere tutto ciò di cui hanno bisogno. Il problema è che continuiamo a pensare come individui, o al massimo come Stati, e non come specie umana".
Lei è ateo ma condivide molte idee con Papa Francesco, soprattutto la critica della società consumistica e del capitalismo selvaggio.
"La mia idea di felicità è soprattutto anticonsumistica. Hanno voluto convincerci che le cose non durano e ci spingono a cambiare ogni cosa il prima possibile. Sembra che siamo nati solo per consumare e, se non possiamo più farlo, soffriamo la povertà. Ma nella vita è più importante il tempo che possiamo dedicare a ciò che ci piace, ai nostri affetti e alla nostra libertà. E non quello in cui siamo costretti a guadagnare sempre di più per consumare sempre di più. Non faccio nessuna apologia della povertà, ma soltanto della sobrietà".
venerdì 4 novembre 2016
Col cuore - racconto breve di Maurizio D'Armetta
Col cuore
- Buongiorno
- Buongiorno
- Io cerco...
- È nel posto giusto
- Non ho finito di parlare
- È nel posto giusto comunque
- Ne è sicuro?
- Si,da anni soddisfiamo ogni esigenza dei nostri clienti. La nostra famiglia da generazioni si è sempre occupata di venire incontro ai bis
- Si,si ho capito...ai bisogni dei vostri clienti
- No,volevo dire ai bisnonni dei nostri clienti...scherzo naturalmente...dica pure
- Guardi non le farò perdere tempo e le dirò subito quello che ho di bisogno
- Sono qua,l'ascolto
- Io desidero un cuore
- Mmmm...un cuore dice
- Si,un cuore. È un articolo che non trattate,vero?
- No,assolutamente,abbiamo cuori per tutte le esigenze,misure e soprattutto cuori per tutte le tasche.
- Un cuore da taschino?
-No! egregio,intendo che abbiamo cuori anche economici. Di là c'è un reparto di cuori usati a prezzi vantaggiosi. Venga le faccio vedere.
- La seguo
- Guardi,quei tre cuori sopra lo scaffale a destra. Quelli appartenevano a tre illustri politici. Praticamente inutilizzati. Bisognerebbe soltanto riabilitarli e sono in grado di dare soddisfazioni a lungo termine.
- Ecco,questo è il punto io...vorrei...amare a lungo termine...possibilmente per sempre.
- Mi scusi ma ogni cuore è programmato per amare per sempre,probabilmente lei non ha trovato la persona giusta
- Come faccio a distinguere la persona giusta che dura tre mesi da una persona giusta che duri per sempre?
- Semplice dal novantunesimo giorno capirà che non è quella dei tre mesi...mi perdoni sono un mattacchione
- Io avrei qualche altro aggettivo da attribuirle ma lasciamo perdere...
- Guardi questo cuore...
- Bello è bello
- Nutrito a jukebox sole e fior di fragola...
- Un cuore piuttosto giovane direi
- Giusto,preso ad un quindicenne...Luigi
- Che zona?
- Spiaggia di Rimini...questa è roba che scotta...
- Perché così giovane? cosa è successo?
- Sa come sono i giovani? Luigi tenta di attirare l'attenzione della ragazzina e decide di toccare la boa e al ritorno...
- Il cuore ha ceduto?
- No,uno strappo muscolare e glu glu glu
- Come fa ad essere così cinico?
-Non sono cinico,sono un professionista. Lei sa cosa fa un dottore dopo averle diagnosticato un cancro?
- Cosa?
- Le stesse cose che farebbe dopo averle detto il risultato di una partita di calcio. La morte per lui è appunto...un risultato
Le posso dare in locazione un modello qualsiasi e dopo averlo provato deciderà se acquistarlo o restituirlo
- In locazione? A che pro scusi?
- A che pro? Ma scusi,vuole mettere i benefici di poter mettere alla prova un cuore? La reazione davanti un paesaggio,scostare una tenda e vedere per la prima volta un corpo nudo,il primo sguardo rubato a una fanciulla,un bacio in fronte al proprio figlio,i versi di un poeta che si ama...
- Va bene ho capito,prenoto il cuore del ragazzetto
- A che nome?
- Luigi
- Luigi...
- È venuto a riprenderselo
- Si
- Come ha fatto tutto questo tempo senza
- Ci si abitua a tutto
- Se mi è concesso saperlo...perché è ritornato?
- Mio caro,senza cuore ho dovuto calcolare tutto...sempre
- Calcolare?
- Si, la dove manca il cuore lavora il cervello
Un dolore,una tristezza. Calcolare la durata di un abbraccio,la pressione esercitata di due corpi,la temperatura corporea che si mescola ad un altra temperatura corporea e dover fare una media ponderata per poterla confrontare con una scala di valori precedentemente calcolata
L'inclinazione di uno sguardo,il tempo che occorre per poter definire uno sguardo sfuggente,il numero di battiti di ciglio quando si è nervosi,l'intensità e durata degli spilli in testa prima di pronunciare la fatidica frase "Ti amo" e ancora...calcolare l'attrito delle tue mani a secondo il grado di sudorazione,contare le micro lesioni provocate dai denti all interno delle labbra quando il desiderio ti coglie...tutto...ho dovuto calcolare tutto e adesso sono stanco,rivoglio il mio cuore
- E cosa ne farà?
- Finalmente riposerò e mi lascerò andare. Mi lascerò cullare dalle variabili incalcolabili che questa vita ci offre per poter dire un giorno semplicemente...
"Ti amo col cuore"
- Buongiorno
- Buongiorno
- Io cerco...
- È nel posto giusto
- Non ho finito di parlare
- È nel posto giusto comunque
- Ne è sicuro?
- Si,da anni soddisfiamo ogni esigenza dei nostri clienti. La nostra famiglia da generazioni si è sempre occupata di venire incontro ai bis
- Si,si ho capito...ai bisogni dei vostri clienti
- No,volevo dire ai bisnonni dei nostri clienti...scherzo naturalmente...dica pure
- Guardi non le farò perdere tempo e le dirò subito quello che ho di bisogno
- Sono qua,l'ascolto
- Io desidero un cuore
- Mmmm...un cuore dice
- Si,un cuore. È un articolo che non trattate,vero?
- No,assolutamente,abbiamo cuori per tutte le esigenze,misure e soprattutto cuori per tutte le tasche.
- Un cuore da taschino?
-No! egregio,intendo che abbiamo cuori anche economici. Di là c'è un reparto di cuori usati a prezzi vantaggiosi. Venga le faccio vedere.
- La seguo
- Guardi,quei tre cuori sopra lo scaffale a destra. Quelli appartenevano a tre illustri politici. Praticamente inutilizzati. Bisognerebbe soltanto riabilitarli e sono in grado di dare soddisfazioni a lungo termine.
- Ecco,questo è il punto io...vorrei...amare a lungo termine...possibilmente per sempre.
- Mi scusi ma ogni cuore è programmato per amare per sempre,probabilmente lei non ha trovato la persona giusta
- Come faccio a distinguere la persona giusta che dura tre mesi da una persona giusta che duri per sempre?
- Semplice dal novantunesimo giorno capirà che non è quella dei tre mesi...mi perdoni sono un mattacchione
- Io avrei qualche altro aggettivo da attribuirle ma lasciamo perdere...
- Guardi questo cuore...
- Bello è bello
- Nutrito a jukebox sole e fior di fragola...
- Un cuore piuttosto giovane direi
- Giusto,preso ad un quindicenne...Luigi
- Che zona?
- Spiaggia di Rimini...questa è roba che scotta...
- Perché così giovane? cosa è successo?
- Sa come sono i giovani? Luigi tenta di attirare l'attenzione della ragazzina e decide di toccare la boa e al ritorno...
- Il cuore ha ceduto?
- No,uno strappo muscolare e glu glu glu
- Come fa ad essere così cinico?
-Non sono cinico,sono un professionista. Lei sa cosa fa un dottore dopo averle diagnosticato un cancro?
- Cosa?
- Le stesse cose che farebbe dopo averle detto il risultato di una partita di calcio. La morte per lui è appunto...un risultato
Le posso dare in locazione un modello qualsiasi e dopo averlo provato deciderà se acquistarlo o restituirlo
- In locazione? A che pro scusi?
- A che pro? Ma scusi,vuole mettere i benefici di poter mettere alla prova un cuore? La reazione davanti un paesaggio,scostare una tenda e vedere per la prima volta un corpo nudo,il primo sguardo rubato a una fanciulla,un bacio in fronte al proprio figlio,i versi di un poeta che si ama...
- Va bene ho capito,prenoto il cuore del ragazzetto
- A che nome?
- Luigi
- Luigi...
- È venuto a riprenderselo
- Si
- Come ha fatto tutto questo tempo senza
- Ci si abitua a tutto
- Se mi è concesso saperlo...perché è ritornato?
- Mio caro,senza cuore ho dovuto calcolare tutto...sempre
- Calcolare?
- Si, la dove manca il cuore lavora il cervello
Un dolore,una tristezza. Calcolare la durata di un abbraccio,la pressione esercitata di due corpi,la temperatura corporea che si mescola ad un altra temperatura corporea e dover fare una media ponderata per poterla confrontare con una scala di valori precedentemente calcolata
L'inclinazione di uno sguardo,il tempo che occorre per poter definire uno sguardo sfuggente,il numero di battiti di ciglio quando si è nervosi,l'intensità e durata degli spilli in testa prima di pronunciare la fatidica frase "Ti amo" e ancora...calcolare l'attrito delle tue mani a secondo il grado di sudorazione,contare le micro lesioni provocate dai denti all interno delle labbra quando il desiderio ti coglie...tutto...ho dovuto calcolare tutto e adesso sono stanco,rivoglio il mio cuore
- E cosa ne farà?
- Finalmente riposerò e mi lascerò andare. Mi lascerò cullare dalle variabili incalcolabili che questa vita ci offre per poter dire un giorno semplicemente...
"Ti amo col cuore"
giovedì 3 novembre 2016
Disegni e appunti raccolti lungo viaggio .....
Stai camminando sul ciglio di un burrone e vedi il bello e il brutto, il bene e il male, e sei pieno di emozioni e di sentimenti, positivi e negativi...prendi appunti, scrivi, immagini e sorridi (Ugo Arioti)...
martedì 1 novembre 2016
editoriale di novembre 2016
La faglia che spacca in due l'Italia e scende come una lama affilata lungo la dorsale appenninica fa tremare l'Italia centrale scuote tutta la Nazione. Siamo solidali con i nostri fratelli delle Marche, dell'Umbriae, del Lazio e dell'Abruzzo che stanno subendo uno dei più tremendi terremoti degli ultimi dieci anni. Dobbiamo, purtroppo, assistere ad un disastro annunciato. Nonostante, si sappia la pericolosità rispetto ad eventi catastrofici come i terremoti di queste zone la prevenzione è pressochè assente. Non si sgretolano solo i monumenti, che non sono stati messi in condizione di resistere,ma anche case ed edifici che dovrebbero essere stati costruiti con criteri antisismici. La magistratura indagherà, forse qualcuno pagherà, ma ancora nella legge di stabilità (finanziaria) attuale il territorio e la difesa di case e luoghi di pregio ambientale e storico non sono presi in seria considerazione. Basti dire che mancano all'appello, visti gli annunci del Governo, almeno 2 miliardi di Euro. Lo Stato aspetta che sia la più lenta magistratura d'Europa a stanare le talpe che bucano il terreno delle amministrazioni pubbliche e i tarli che mangiano sulla pelle della Gente. Si nominerà un altro supercommissario per gli edifici storico artistici e amen. Speriamo che i nostri fratelli del centro Italia colpiti dal terremoto possano avere quello che loro serve per ricostruire un futuro degno di essere vissuto e un economia sostenibile in tempi ragionevoli.
Ugo Arioti
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La solitudine di Israele e la sua maledizione (Ugo Arioti @2024 ) Gli ebrei furono scelti da Dio per essere "la proprietà...
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