Il regno dell’omertà e del privilegio
Perché in Italia vincono i mediocri
Il nuovo libro di Sergio Rizzo, «La Repubblica dei Brocchi», denuncia
i comportamenti senza vergogna della classe dirigente pubblica e privata
Il dominio esercitato dal ceto dirigente burocratico su un’Italia
bendata che non è in grado di controllarlo. Disegno di Beppe Giacobbe
La Repubblica dei Brocchi
di Sergio Rizzo (Feltrinelli) è un tagliente atto d’accusa nei
confronti della classe dirigente italiana. Spietato. Non risparmia
nessuno. Nemmeno i giornalisti. Nel leggerlo mi è venuto in mente, non
solo per assonanza, un pamphlet pubblicato nella Francia d’inizio secolo
scorso. La République des Camarades, ovvero
dei compari, di Robert de Jouvenel, riproposto in Italia, qualche anno
fa, a cura di Emanuele Bruzzone. Quando la democrazia deperisce nella
ragnatela delle amicizie compiacenti, gli interessi particolari e le
relazioni oscure. Ma il racconto giornalistico di Rizzo è così ricco di
episodi di malcostume o di semplice incoerenza o stupidità da ridurre,
nel confronto, lo scritto sui mali della Terza Repubblica francese alla
mera fisiologia del potere. Nel caso italiano di normale c’è molto,
troppo. La furbizia elevata a dote ostentata della vita sociale, la
facilità con cui si violano le norme senza pagarne mai un dazio in
termini di minore reputazione, la tendenza a sentirsi sempre vittime,
imputando agli altri i mali del Paese. Al punto che lo straordinario
saggio di Rizzo sul declino della classe dirigente (pubblica e privata,
sia ben chiaro) italiana, poteva benissimo avere un altro titolo. I
brocchi hanno talento. Sono inaffondabili. Sono esempi di successo. E a
volte abbiamo la netta sensazione che, alla fine, vincano loro.
Rizzo
ha la freddezza del giornalista e commentatore d’inchiesta, attento al
dettaglio, che non fa sconti, ma non è privo di speranza. Riconosce
le tante qualità del Paese, le molte eccellenze, il capitale sociale
della solidarietà e termina il suo libro con quelli che lui chiama
piccoli consigli. Codici etici, per esempio, che non siano solo foglie
di fico stese sul miope corporativismo italiano. Quello che fa dire ai
tanti che si comportano bene: siamo tutti colleghi, dunque diamoci una
mano. E chiudiamo un occhio, non si sa mai, prima o poi potrebbe
accadere anche a noi. Un impegno autentico nel moralizzare la politica,
magari attuando quell’articolo 49 della Costituzione sulla trasparenza e
la democraticità della vita dei partiti. Oppure accogliendo, quando si
formano le liste per le elezioni di qualsiasi natura, il «piccolo
consiglio» di Gustavo Ghidini, storico fondatore del Movimento
consumatori: dichiarare pendenze penali, situazione patrimoniale,
interessi in conflitto. Proposta tanto semplice da essere caduta sempre
nel vuoto. Del resto l’articolo 54 della Costituzione recita: «I
cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina e onore». Sia l’articolo 49 sia il 54 della
Costituzione del 1948 sono rimasti largamente inattuati. È giusto
riformare, ma forse è anche doveroso attuare.
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