mercoledì 23 gennaio 2013

Retorica 3 - La persuasione

La Retorica, l'arte del parlare e del mettere a frutto le proprie esperienze, mentre gli altri sono intenti a seguire il filo del discorso e la fluidità delle immagini che voi rimandate a loro in voce. Colori, sapori, sensazioni e persino il tintinnio delle spade durante un duello all'ultimo sangue. Ricordo di aver letto a mio figlio un tratto dell'Eneide in cui c'è il racconto  di una battaglia e Virgilio, indugiando su particolari e sulla descrizione dei movimenti, ci fa sentire persino il sudore e la forza che un duello mortale tra due uomini produce. Tutto sta nel saper leggere e saper dare il giusto tono alle parole e all'enfasi che stiamo traslando dal foglio alla mente e stiamo mediando attraverso la nostra cognizione del Mondo per affabulare la nostra platea. Gli ascoltatori pendono dalle nostre labra e sono persuasi dalla nostra retorica. Ecco, una parola importante che ci porta dentro il nostro argomento: La Persuasione.
Di seguito un brano della ricercatrice Alissa Peron: 

La persuasione


Cosa significa essere persuaso? quando si riesce a persuadere qualcuno? nell'atto di persuadere ed essere persuasi c'è spazio per la libertà dell'altro? I sofisti antichi e Platone si sono accorti da subito del problema, etico nell'ultimo caso. La retorica è vox media, dipende dall'etica di chi la utilizza, ma in parte è una tecnica indipendente dal contenuto, dunque può persuadere sia di un messaggio vero sia di uno falso; Platone si scaglia contro retori e sofisti che insegnavano retorica perché è arte ambigua; oratoria è meccanismo psicologico di cui non siamo consapevoli sempre, se lo siamo non subiamo le conseguenze di atti oratori. Come prassi la retorica è ineliminabile, solo il fatto di affermare che ci siamo è un atto persuasivo; come teoria è stata discussa, cerca di astrarre i principi che vengono applicati nella realtà e di venderli, così già dall'antichità; siccome non ne siamo consapevoli, la retorica serve a comprendere questi principi così connaturati a noi, e già nel V secolo qualcuno pensa di insegnarli ed emerge il problema etico: lo strumento che viene messo a disposizione è efficace e ci si chiede se debba essere insegnata a persone moralmente corrette; chi non conosce i principi subisce soltanto la retorica, questa smaschera la fragilità della nostra condizione umana, il problema etico è a monte: difficile dire di insegnarla ai moralmente corretti, tutti la usano senza saperlo.
Una riflessione sul potere della parola e sull'idea del peìthein, cioè la valenza della persuasione, è già presente in Omero: si afferma il potere divino della parola nonostante la persuasione non sia una divinità (od VIII), il capace uso della parola dà l'impressione che chi parla sia un dio nella testimonianza di Odisseo: una persona può essere diversa da quella che sembra d'aspetto, e già si afferma che se manca il pensiero la parola è impoverita, non c'è la capacità di comunicazione; è un nesso che rimane fondamentale nella Retorica aristotelica e in autori successivi; avere grazia di parola è in questo passo anche fonte di un prestigio sociale non garantito dall'aspetto, principio democratico. Inoltre alcune formule dell'Iliade fanno pensare alla persuasione come stoltezza del cuore (Il. XVI 840), persuasione più facile per chi è stolto, e al contrario il saggio non si lascia persuadere (vedi Bellerofonte che non si lascia sedurre dalla moglie di Preto). Nei poemi di Omero è frequente il nesso persuasione-obbedienza, espresso in greco dallo stesso verbo all'attivo e al medio con questa differenza: peìtho = persuado, peìthomai = sono persuaso quindi obbedisco; nella sua origine l'azione del persuadere mira ad un'obbedienza, un assenso della mente cui consegue un atto. La persuasione implica un cambio di direzione nelle azioni, che avviene se ci si lascia persuadere. Il verbo epipeìthomai è usato spesso per Patroclo con Achille, nell'Odissea questo verbo esprime l'obbedienza del figlio Telemaco al caro padre; queste formule sono frequenti anche in altri contesti, prima di un passaggio significativo della narrazione. Da quest'aspetto dell'obbedienza scaturisce la domanda sul rispetto della libertà: essa può essere un subire un'autorità o esserne convinto, e l'uso dello stesso verbo in greco mostra che nell'etica greca nel concetto di obbedienza è implicita la convinzione, l'assenso della mente (al padre, a un'autorità che riconosciamo e che ci convince), diverso è obbedire ad un'autorità che non convince (a cui si abbandona il cuore stolto, pensa all'epoca nazista quando si deportavano gli Ebrei eseguendo ordini). La persuasione che implica assenso della mente è un atto di fiducia verso chi consideriamo l'autorità, il riconoscimento di quest'autorità. Conclusione: noi siamo liberi quando tutte le componenti della nostra complessa psiche danno assenso, non una che sovrasta le altre, cosa che perlopiù non avviene, non riusciamo ad essere noi stessi in modo completo ma viviamo a sezioni di noi stessi; subiamo la retorica quando non siamo del tutto padroni di noi stessi, ed è anche questo compito che affidiamo ad essa: aiutarci a conoscere meglio noi stessi.
 

3 commenti:

  1. Interessante. Trovo che la retorica sia la vera radice delle scienze e dell'arte. Si potrebbe parlare della retorica aristotelica?

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  2. la 'persuasione' è la difficilissima consapevolezza dell'uomo che la vita è anche la morte, con tutto ciò che di lacrimevole ne può derivare. La persuasione è possessione di tale cognizione, di tale dolore. La 'rettorica', invece, è la parola, la società che abbellisce e occulta la ‘persuasione’ rendendo gli uomini ciechi e fintamente felici.O no?

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    1. Si, in qualche misura,essere persuasi che siamo il segmento feto-cadavere dovrebbe essere persuasivo, ma e qua sta il nucleo del discorso se la rettorica è quell'arte di nascondere la schena e dare un altro punto di vista, in questo non c'è solo "falsità pro bono", ma c'è anche il modo di uscire dai limiti che la persuasione ci impone e ci rende sin troppo evidenti, al punto da frceli credere inattaccabili. Ma è così?

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