sabato 12 aprile 2014

Mafia delle Banche: l'affaire MPS



Di Davide Iandiorio
Un testimone dell'inchiesta sul crac MPS ha parlato apertamente. E sono dichiarazioni al vetriolo quelle pubblicate in esclusiva da L'Espresso, certamente destinate a rifocillare di polemiche la spinosa vicenda del Monte dei Paschi di Siena che, ricordiamo, ha toccato l'apice nel febbraio 2013, quando Gianluca Baldassarri, capo della finanza MPS, è stato arrestato per associazione a delinquere e truffa, poiché arricchitosi alle spalle di una banca in piena crisi e per la quale il governo Monti fu costretto ad emettere 4,07 miliardi di obbligazioni, pur di evitarne il fallimento totale. Ora il testimone (che ha preferito rimanere anonimo) spiega il funzionamento di questa segreta associazione bancaria senza scrupoli. La "banda del 5 per cento". È così che è stato rinominato questo gruppo di persone, che è finito nelle mire dalla Procura di Siena. Un gruppo composto da una quindicina di persone che, tra il 2009 e il 2011, avrebbe messo mano su decine di miliardi di euro, muovendo oltre 100 milioni al giorno. La sala operativa si trovava in un palazzone a Milano, al cui interno "c'erano tutte le condizioni ideali per disperdere le tracce": nessuna telefonata registrata, nessun badge per entrare e uscire, possibilità di utilizzare il proprio cellulare personale. A dirlo è l'anonimo testimone, che ha fatto parte di questa "banda" e che per questo è stato già ascoltato dagli inquirenti (non risulta tuttavia indagato). A capo della "banda" c'era Gianluca Sanna, ma sopra di lui c'era proprio Baldassarri, considerato un vero "squalo della finanza", unico arrestato degli 11 indagati nello scandalo MPS. Ma Baldassarri non avrebbe agito autonomamente, bensì avrebbe risposto agli ordini dei due vertici più importanti della banca senese: il presidente Giuseppe Mussari e il direttore generale Antonio Vigni.  I 3 pm senesi, Aldo Natalini, Antonio Nastasi e Giuseppe Grosso, non sanno ancora se Mussari e Vigni siano innocenti, complici, o peggio, mandanti, di Baldassarri nella truffa ai bilanci MPS. In altre parole, al momento non è ancora possibile determinare se Baldassarri rispondesse a degli ordini specifici dall'alto, o se il suo arricchirsi lo stipendio (già di suo molto alto) fosse dettato da un'iniziativa personale. Fatto sta che dalla casse della Banca senese sarebbero stati sottratti circa 90 milioni di euro. Il testimone comunque non ha dubbi: "Concordo sulla tesi che Baldassarri non agisse soltanto su iniziativa personale. Forse teneva qualcosa per sé ma non sarà facile dimostrare che i 20 milioni di euro dei suoi depositi siano frutto degli extraprofitti a margine dell'operazione Alexandria". Alexandria è un CDO (Credit Default Obligation) squared da 400 milioni di euro. Fu varato nel novembre 2005 tra MPS, rappresentato da Baldassarri, e il venditore Dresdner Bank, rappresentato da Raffaele Ricci, capo vendite della banca tedesca. Come scrive L'Espresso: "Si rivelerà un asse tossico da manuale". In pratica Alexandria e altri asset simili inizieranno a rovinare i conti MPS, senza tra l'altro che nessuno se ne potesse accorgere, data la complessità (e la segretezza) di queste operazioni. Ma poco importa secondo il testimone: " In MPS vigeva un sistema win-win: si vince e si incassa anche quando l'operazione è un disastro".  Nel 2008 MPS dichiarava di chiudere con 953 milioni di profitti netti. Ovviamente il bilancio non rappresentava la realtà poiché, come detto, i danni provocati dagli asset come Alexandria venivano nascosti. Sempre a detta del testimone: "MPS aveva un magazzino sopravvalutato di parecchie centinaia di milioni per volontà strategica dell'alta dirigenza. Non se ne sono accorti, nell'ordine, sindaci, revisori, Consob, Bankitalia e agenzie di rating". Per non attirare l'attenzione, quindi, bisognava ingrossare il portafoglio della banca. Ecco perché, dal 2009, l'attenzione si sposta sull'area dei titoli governativi. Dato che molti piccoli risparmiatori iniziarono a vendere BTP per paura del default del Paese, la sala operativa incriminata iniziò a comprare bond italiani con rendimento al 6%. Il lavoro della "banda" è meticoloso: "S'incomincia alle 8 di mattina con il briefing. Poi quando si apre alle 9, si deve guardare ogni scatto sui monitor, seguire 3 schermi tv e 2 radio. Ogni notizia può essere importante per comprare a un centesimo di meno o vendere a uno di più, perché si deve vendere, ogni tanto, per sviare la concorrenza". La "banda" lavora così bene che MPS accumula 32 miliardi di titoli governativi, quasi alla pari di Intesa SanPaolo e Unicredit. Ma l'operazione non è sufficiente e il rischio di essere scoperti diventa troppo alto. Bisogna quindi liberarsi di Alexandria.
Mussari, Vigni e Baldassarri trovano allora un accordo con la filiale di Londra della Nomura: l'asset tossico viene ceduto alla banca giapponese, in cambio di 3,5 miliardi di BTP con scadenza 2034, comprati da MPS a prezzi sopra mercato. Ma anche qui i movimenti anomali e ambigui aumentano i sospetti sull'operato dei vertici incriminati. Poco importa. E' da questo momento che tutti gli inquisiti avrebbero massimizzato i profitti personali a danno dei conti MPS, tenendo all'oscuro gli organi di controllo interni e la vigilanza di Bankitalia. Addirittura Mussari sarà premiato con la poltrona di presidente dell'ABI (Associazione Bancaria Italiana) a giugno del 2010.
Ma il 28 luglio 2011 qualcosa si rompe. Uno della "banda" decide di svelare la dannosa associazione e invia una lettera anonima alla Consob dove si fanno i nomi di Baldassarri, Mussari, Vigni e di tutte le persone coinvolte in queste operazioni rischiose e personalistiche, compiute ai danni del Monte. È l'inizio della fine. A marzo 2012 arriva l'ispezione di Bankitalia e si palesa una situazione drammatica. Quella che all'epoca è considerata una delle banche più forti e solide d'Italia, in realtà ha 4,69 miliardi di debiti, complice anche l'acquisto per 10 miliardi di euro della banca Antonveneta, nel maggio 2008, alla vigilia dello scoppio della crisi economica e bancaria. MPS necessita di un nuovo piano di riassetto (4.600 licenziamenti e 400 filiali chiuse entro il 2015) e procede a nominare il nuovo presidente, Alessandro Profumo. È per la drammaticità della situazione che allora Mario Monti decide di intervenire con i famosi Monti-bond, emessi in concomitanza con l'arresto di Baldassari, nel febbraio 2013. E ora si attende che il processo faccia maggiore chiarezza.




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