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Egli anzi, nella seconda metà dell’Ottocento, ha
    tracciato la via ad altri come Salvatore
    Salomone Marino e accolto nel suo tempo consensi vivissimi tra cui
    quelli di Luigi Capuana, che
    trovò materiale per le fiabe nel suo repertorio, Giovanni Verga, che trasse anche ispirazione per le “tinte
    schiette” e particolari usanze del suo mondo di umili e perfino per argomenti
    specifici d’alcune novelle come Guerra di Santi, dalla preziosa
    documentazione a cui Pitrè lavorò tutta la vita. 
Come il conterraneo Abate Meli, divenne medico
    di professione e venne, grazie ad essa, a contatto con i ceti più umili e
    col mondo dei marinai e dei contadini tra cui, spinto da passioni per gli
    studi storici e filologici, raccolse per primo i Canti popolari siciliani
    attinti anche dalla voce della madre che egli dice “era la mia Biblioteca
    delle tradizioni popolari siciliane”, dedicandole appunto la sua prima
    opera. 
Nel 1882 fondò l'Archivio per lo studio delle
    tradizioni popolari e nel 1894 pubblicò una fondamentale Bibliografia delle
    tradizioni popolari italiane.   
Alla sua memoria fu intitolato il Museo
    Antropologico Etnografico siciliano a Palermo che egli stesso aveva fondato. 
     
La sua Opera 
Giuseppe Pitrè fu formidabile nel raccogliere e
    catalogare gli ultimi bagliori del mondo popolare siciliano e non solo.
    Prima che radio e televisione pareggiassero o quasi le differenze
    culturali. Come hanno ben notato gli studiosi di etnoantropologia Giuseppe
    Pitrè si accostò a quel mondo, che non era il su,o con sguardo di
    antropologo e con rispetto filiale. 
La Sicilia, la sua storia, il popolo e i
    contadini  siciliani, i loro usi e costumi, i canti, i racconti, i
    proverbi, le feste e quant'altro proveniva da quel mondo fu messo sotto
    osservazione, ne furono tratte le corrispondenze e quindi le somiglianze o
    le evidenti differenze con le tradizioni di altri luoghi. 
Tutta la ricerca fu eseguita da Giuseppe Pitrè e
    dai suoi collaboratori secondo i canoni degli studi demologici, cioè
    traendoli dalla viva realtà, dalla viva voce dei popolani e dei contadini. 
Questa sua fatica confluì nei due volumi tra il
    ‘70 e il ’71 di quella Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane,
    pubblicata poi in venticinque volumi fra il 1871 e il 1913, comprendente
    nelle sue sezioni oltre ai canti, d’amore, di protesta, legati alle
    stagioni e culture, giochi, proverbi, filastrocche, fiabe, feste etc.,
    anche medicina popolare, leggende, il costume nella famiglia, nella casa,
    nella vita del popolo siciliano, le pratiche tradizionali dell'agricoltura,
    le usanze religiose o superstiziose, tutte le manifestazioni
    della cultura orale siciliana e i racconti dei cantastorie. 
Ma ci fu un limite nella selezione delle varie
    tradizioni, furono scartate quelle sconce, quelle sguaiate, quelle erotiche
    che pur erano un filone importante e fiorente nel panorama di tutte le tradizioni.
    Giuseppe Pitrè e tanti altri studiosi di tradizioni popolari italiani
    ebbero ripulsione a riportarle, come se la loro considerazione potesse
    nuocere a tutta l'impalcatura delle tradizioni popolari stesse, suonasse
    cioè come mancanza di rispetto verso la"patria" Sicilia o la
    "patria"di ogni singola regione. 
Ci sono ancora nel cuore di Giuseppe Pitrè idee
    romantiche nei confronti delle tradizioni popolari, mentre nel 
    pensiero suo più lucido vi è una concezione evoluzionistica delle culture,
    nel senso che primitivo si contrappone a moderno come popolare a colto.
    Questo atteggiamento nei confronti delle tradizioni popolari viene
    dall'Europa e innanzitutto dai F.lli Grimm per i quali le fiabe erano
    "miti decaduti" provenienti dall'India preistorica degli
    Arii.  Questi due studiosi tedeschi intravidero nei racconti popolari
    "i frantumi di una antica religione della razza, custodita dai volghi,
    da far risorgere nel giorno glorioso in cui, cacciato Napoleone, si
    risvegliasse la coscienza germanica"(I. Calvino, Fiabe italiane, p.x).
    Con queste premesse era arduo raccogliere e pubblicare collezioni di raccolte
    di tradizione erotiche. 
Ne sperimentò qualcosa il tedesco Federico Salamone
    Krauss, direttore di Anthropophyteia, rivista di tradizioni erotiche, che
    venne denunciato e tradotto avanti il Tribunale di Berlino(Raffaele Corso,
    Estratto dalla rivista di Antropologia, vol.XIX,Fasc.I-II). E' indubbio che
    Giuseppe Pitrè e il suo illustre collega Salvatore Salomone Marino
    raccolsero anche queste tradizioni, ma solo recentemente sono stati
    pubblicati gli indovinelli sconci del primo e i racconti faceti del
    secondo.  
In effetti le fiabe e i racconti popolari hanno
    interessato tutte le persone di tutte le età e di tutte le classi o ceti
    sociali, rozze, raffinate, colte e incolte. I racconti popolari, da
    millenni, circolano per le varie culture e sottoculture e qualche volta
    hanno trovato dei grandi interpreti-narratori. 
Come sostiene il Cocchiara, l’opera del Pitrè
    presenta due aspetti, uno storico e l’altro poetico, rivelando “un’umanità
    viva e vibrante ”per cui egli era
    convinto che era giunto il tempo di studiare con amore e pazienza le memorie
    e le tradizioni, per custodirle.  Da questo nacque anche la
    creazione del Museo Etnografico, dove raccogliere tutti i materiali e gli
    oggetti pazientemente ricercati per la Sicilia, che come detto
    nell'introduzione, oggi porta il suo nome, ed è ospitato nella palazzina
    cinese, all’interno del Parco della Favorita a Palermo. 
Nel 1890 fu chiamato ad insegnare demopsicologia
    (come lui era solito chiamare il folklore), quando già aveva acquistato
    fama e apprezzamenti nell’élite culturale del tempo. Già nel 1884 aveva,
    infatti, pubblicato la Bibliografia delle tradizioni popolari in Italia,
    intrattenendo rapporti con i più importanti studiosi specialmente della
    scuola toscana. 
Instancabile studioso, innamorato della sua
    terra, scrisse anche Palermo cento e
    più anni fa, prezioso ed introvabile volume, e saggi su Meli, su Goethe a Palermo, sulla Divina Commedia,
    raccogliendo anche novelle popolari toscane. 
La collaborazione con Salvatore Salomone Marino andò oltre, con Lui fondò nel 1880,
    dirigendola fino al 1906, la più importante rivista di studi sul folklore
    del tempo, "Archivio per lo
    studio delle tradizioni popolari", ed intrattenne una fitta
    corrispondenza con studiosi di tutto il mondo. Queste lettere sono oggi
    conservate in una sezione del museo etnografico di Palermo e ad esse
    continuano a rivolgere attenzione come fonti preziose gli studiosi
    contemporanei d'antropologia. 
Per i suoi meriti e la sua fama fu nominato Senatore del Regno il 30 dicembre del 1914, quando anche in
    America venivano tradotte e pubblicate le sue opere per le Edizioni Crane,
    specialmente i proverbi e le fiabe, la cui radice comune a tanti popoli
    egli aveva esaltato rivendicando in una lettera ad Ernesto Monaci la loro
    ricchezza linguistica con queste parole: "Che bellezza, amico mio!
    Bisogna capire e sentire il dialetto siciliano per capire e sentire la
    squisitezza delle fiabe che sono riuscito a cogliere di bocca ad una tra le
    mie varie narratrici”. 
Da sottolineare le  belle pagine dedicate
    alle storie dì Giufà
    (personaggio da lui inventato) e alle feste popolari siciliane, di cui
    piene di poesia sono quelle del Natale e dei Morti.  
Dopo la morte del Pitrè (1916), per anni le collezioni
    rimasero inaccessibili al pubblico, fino a quando, nel 1935, Giuseppe Cocchiara
    riorganizzò e trasferì il museo in una delle dipendenze della Casina Cinese nel parco della Favorita. | 
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