Marco Fabio Quintiliano, oratore romano del I° Secolo rivolgendosi agli oratori forensi, li ammoniva: Consiglio che chi sta per parlare osservi attentamente che cosa, davanti a chi, per chi, contro chi, in che tempo, in che luogo, in quale situazione, di quale atmosfera tenendo conto debba pronunziare l'orazione: quali sentimenti è verosimile che il giudice nutra prima che cominciamo e subito dopo, che cosa desideriamo o cerchiamo di scongiurare. Quintiliano era un maestro nell’arte oratoria tanto che era stipendiato dal “FISCO IMPERIALE”. Si preoccupava di stabilire alcune regole fisse del discorso, arringa o relazione di un oratore che deve sostenere una causa. In ragione di questo l’oratore deve considerare, prima di aprire bocca, per chi lo fa e quali sono i suoi fini e a che arbitrato o platea si riferisce e descrive la sua discussione l’oggetto della sua oratoria. D'altro canto, già i primi retori attivi in Grecia nel V sec. a.C. usavano impostare e pianificare le loro locuzioni partendo da uno schema base formato da domande di questo tipo: Quid? - Quis? - Ubi? - Cur? - Quomodo? - Quando? - Quibus auxiliis? Si tratta, come si vede, di una serie di quesiti che funzionavano come caselle vuote che il relatore avrebbe dovuto riempire prima di intraprendere la stesura del suo testo base. A più di duemila anni di distanza, tale strategia può risultare ancora utile per la preparazione di una relazione che risponda ai caratteri della chiarezza e della pertinenza al tema proposto. Una relazione, insomma, che abbia ben definiti contenuti, scopi, oggetto e modi da impiegare in una determinata circostanza, in un determinato contesto ed al cospetto di un interlocutore o di un gruppo di interlocutori determinati. Non a caso il giornalismo odierno è in gran parte impostato su domande del tutto similari: quelle che vengono definite negli studi anglosassoni come Wh-questions: What? (Che cosa?) - Who? (Chi?) - Where? (Dove?) - Why? (Perché?) - How? (Come?) - When? (Quando).
Questa, in retorica, è la “INVENTIO”. La preparazione di un discorso che ha un fine, come un arringa o un comizio. Ma anche come la difesa di un principio piuttosto che una scoperta scientifica o una legge fisica. L’uomo da più di duemila anni si è dato delle regole per la costruzione di un discorso che “tende a”. A queste regole occorre aggiungerne una, la più importante, l’etica.
Vorremmo che chi fa un comizio non usasse termini sofistici per ammaliare le folle, ma, concretamente, descrivesse il modello che intende percorrere con onestà intellettuale e secondo il “logos” in cui siamo( le regole della democrazia e la carta costituzionale) per migliorare le condizioni di chi ha intenzione di dargli il suo sostegno. Più Empedocle e meno Gorgia, ma pochissimi seguono questa regola aurea oggi e noi tutti dovremmo fare di più per pretendere che tolgano i termini “virtuali” e le “bugie elettorali” dai loro discorsi e usino la chiarezza e la sincerità, pur in considerazione di chi li ascolta e dove si vuole andare( Where?), perché, come e quando, della dialettica di Platone.
U.A.
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