Non esiste una definizione univoca della bellezza: bello è qualcosa che
attrae, che colpisce, che spinge a soffermare lo sguardo senza reprimere un
senso di meraviglia, addirittura di estasi.
“Ciò che è bello
è buono“, scrive Platone.
“La bellezza è
la verità, la verità è la bellezza“, dichiara nei suoi versi John Keats.
Difficile stabilire cosa sia realmente la bellezza: essa potrebbe essere
definita come “una proprietà
dei corpi”, proprietà che viene studiata da sempre e che ancora non si è
riusciti a comprendere appieno, né a definire in modo univoco.
Da tempo immemorabile filosofi, letterati ed artisti si sono interrogati
sul concetto di bellezza femminile ed hanno coniato moltissimi aforismi.
Per lo scrittore latino Seneca, la vera bellezza risiede nell’armonia e
nella proporzione: “Una bella donna non è colei di cui si lodano le gambe o le braccia, ma
quella il cui aspetto complessivo è di tale bellezza da togliere la possibilità
di ammirare le singole parti”.
Con Seneca concorda il poeta inglese del Settecento Alexander Pope:
“Non è un labbro
o un occhio quello che chiamiamo bellezza, ma la forza globale e il risultato
finale di tutte le parti”.
Il drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, invece, pone l’accento sulla
relatività della bellezza femminile: “Che cos’é la bellezza? Una convenzione, una moneta
che ha corso solo in un dato tempo e in un dato luogo”.
Altri pensatori ne sottolineano il carattere fugace ed effimero:
“La bellezza è
ciò che cogliamo mentre sta passando” ( Muriel Barbery).
“La bellezza è
una visitatrice che viene senza preavviso, muta forma per un’ora, per un
giorno, talvolta per più tempo; svapora ad un alito, dilegua da capo”( Rosamond Lehmann).
“Quando
riusciamo a vedere la bellezza, essa è sempre perduta” ( Mario Soldati).
“Passa la
bellezza, come profumo all’aria, e il suo ricordo sarà un rimpianto” ( A. Bazzero).
Di opinione completamente diversa é Oscar Wilde: “La bellezza è l’unica cosa contro cui la forza del
tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si
succedono l’una sull’altra, ma ciò che é bello é una gioia per tutte le
stagioni, ed un possesso per tutta l’eternità”.
In molti, poi, concordano su una verità inconfutabile: la bellezza è nel
corpo, ma non è riducibile al corpo. A tale proposito si può citare Mahatma
Gandhi: “La vera
bellezza, dopo tutto, consiste nella purezza del cuore” o le parole di un autore
anonimo: “La bellezza di
una donna non è nei vestiti che indossa, nel suo fisico o nel modo di
pettinarsi. La bellezza di una donna deve potersi leggere nei suoi occhi,
perché è negli occhi che si trova la porta del cuore… il luogo in cui risiede
l’amore”.
Definire la bellezza in tutte le sue infinite sfaccettature é quasi
impossibile, ma un dato é assolutamente inconfutabile: la bellezza è qualcosa
che genera piacere in chi la possiede e in chi la osserva.
Da sempre le donne hanno desiderato essere belle, ma di certo mai come
oggi.
Nella società odierna, infatti, si è affermato un vero e proprio culto
del corpo e la bellezza esteriore sembra essere più importante delle qualità
morali ed intellettive: una vera e propria ossessione, un obiettivo da
raggiungere a tutti i costi, ricorrendo, se necessario, a lifting, ritocchi
vari, fino a veri e propri interventi chirurgici per assottigliare alcune parti
o riempirne altre.
Ma il mito della bellezza non è certo una prerogativa esclusiva della
nostra epoca, se oltre un secolo e mezzo fa il filosofo francese Paul Valéry
affermava: “Definire il
bello è facile: è ciò che fa disperare”.
Raggiungere e mantenere la tanto agognata bellezza, infatti, è spesso una
lotta disperata: è per questo che a volte essere belli significa anche essere
disperati.
L’ideale corporeo è spesso innaturale e quindi difficile da raggiungere;
nel corso della storia le donne si sono dovute sacrificare ed hanno sofferto
per raggiungerlo.
Da sempre esse sono intervenute sul proprio corpo in modo anche violento,
sottoponendosi a vere e proprie torture pur di rientrare nei modelli estetici
del momento: dai busti di stecche di balena, usati dalle donne del Settecento e
Ottocento per strizzarsi le membra fino a spezzarsi le costole pur di avere un
vitino di vespa, ai vertiginosi tacchi a spillo di epoca più recente indossati
per rendere le gambe più lunghe e slanciate.
“Un piedino
piccolo su una donna è molto bello” recitava l’antica tradizione cinese: il che
portò milioni di genitori a rompere l’arco del piede delle proprie figlie per
poi costringerlo in una bendatura strettissima al fine di ottenere quella
particolare e “aggraziata” andatura.
Se le donne cinesi si bendavano i piedi per impedirne la crescita, quelle
giapponesi si coloravano artificialmente il volto con polvere di riso per
renderlo bianchissimo e le dame del Settecento usavano mettere finti nei e
coloravano di rosso acceso gli zigomi per esaltare la loro bellezza.
Data l’estrema difficoltà di definire la bellezza, concetto non assoluto
ed estremamente mutevole, si può concludere con l’affermazione del celebre
artista Munari: “Se volete
sapere qualcosa di più sulla bellezza, che cos’è esattamente, consultate una
storia dell’arte e vedrete che ogni epoca ha le sue veneri e che queste veneri,
messe assieme e confrontate fuori dalle loro epoche, sono una famiglia di
mostri. Non è bello quel che è bello, disse il rospo alla rospa, ma è bello
quel che piace”.
Mentre tutto cambia, una sola certezza resta: la bellezza, declinata
negli infiniti aspetti di ogni donna, è sempre stata e continuerà ad essere
cruccio e arma di seduzione del sesso femminile.
Alice Caroli
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