Con la vittoria di Syriza rinasce una speranza che l'Europa possa diventare, strappandola dalle mani dei banchieri tedesco-ebreo-americani e alle multinazionali, la nazione dei POPOLI EUROPEI e MEDITERRANEI. Accogliamo questa notizia aspettando le mosse di questa RIVOLUZIONE PACIFICA che parte dalla GRECIA.
ATENE - Davide ha battuto Golia, che sia vero o meno poco importa: questa festa
la sinistra radicale ellenica la aspettava da sempre, da quando esiste. E fa
impressione vedere nella piazza del centro invasa da Syriza, proprio lì in
mezzo, l'ufficio del Pasok, il partito socialista; sta dentro un mini container
utilizzato durante la campagna elettorale, serrato con il lucchetto. Con un
pennarello rosso qualcuno ha scritto, beffardo, "chiuso una volta per
tutte".
E' una vittoria nella vittoria: interna al grande e piccolo mondo della litigiosa sinistra greca e però incastonata nel ben più importante quadro europeo. "Qualcosa di catartico", dice Pietro, 26 anni, studente del Politecnico. Le parole più gettonate sono state "dignità" e "speranza", Alexis Tsipras le ripeteva da mesi ad ogni comizio, in ogni intervista. Per far diventare Syriza il primo partito bisognava rivolgersi a tutti quanti, non ai soliti irriducibili della sinistra. Missione compiuta, anche se una volta avuta la certezza del primato dentro al tendone del quartier generale è partita la compilation della propria storia: i canti della Resistenza, contro la dittatura dei Colonnelli, di militanza ("Ti vedevo stanco e triste - eri felice solo durante i cortei", recita il testo tradotto di "Niente va perduto" ), "Bella ciao" e "Bandiera Rossa", la versione locale di "Fischia il vento". Conditi da qualche lacrima, soprattutto dei "grandi".
A farla da padrone sono stati, manco a dirlo, gli italiani. Sono arrivati in 400 nei giorni scorsi, tanto che il quotidiano Epohi scherzava: "Syriza? Aiuta il turismo". Per un'ora buona il microfono da "vj" è stato in mano loro. Difficile capire cosa ne abbiano pensato i padroni di casa, un po' sbalorditi di fronte a cotanta immedesimazione nei panni altrui. Poi sono arrivati i saluti dei tedeschi della Linke, dei movimenti latinoamericani e, soprattutto, degli spagnoli di Podemos, in testa ai sondaggi nel loro paese. Un altro coro della piazza? "Syriza, Podemos, venceremos!". Se non è una riscoperta del vecchio internazionalismo, poco ci manca.
La sbornia identitaria è finita proprio con l'arrivo di Tsipras. Accolto con le bombolette da stadio e una musica in stile di Rocky. "Ci tocca un lavoro duro. La decisione del popolo è di voltare pagina, il popolo ha emesso la propria sentenza sull'austerità. La Troika è il passato", sono state le sue prime parole. Per poi aggiungere, con una prudente mano tesa alla Ue: "Troveremo con l'Europa una nuova soluzione per far uscire la Grecia dal circolo vizioso dell'austerità e per far tornare a crescere l'Europa. La Grecia presenterà ora nuove proposte, un nuovo piano radicale per i prossimi 4 anni".
Alla fine il risultato vero e proprio - vittoria, ok: ma con quale percentuale? Con quanti seggi ottenuti? - è passato in secondo piano. Dovevano arrivare primi, ce l'hanno fatta. Al domani ci si penserà, domani appunto.
E' una vittoria nella vittoria: interna al grande e piccolo mondo della litigiosa sinistra greca e però incastonata nel ben più importante quadro europeo. "Qualcosa di catartico", dice Pietro, 26 anni, studente del Politecnico. Le parole più gettonate sono state "dignità" e "speranza", Alexis Tsipras le ripeteva da mesi ad ogni comizio, in ogni intervista. Per far diventare Syriza il primo partito bisognava rivolgersi a tutti quanti, non ai soliti irriducibili della sinistra. Missione compiuta, anche se una volta avuta la certezza del primato dentro al tendone del quartier generale è partita la compilation della propria storia: i canti della Resistenza, contro la dittatura dei Colonnelli, di militanza ("Ti vedevo stanco e triste - eri felice solo durante i cortei", recita il testo tradotto di "Niente va perduto" ), "Bella ciao" e "Bandiera Rossa", la versione locale di "Fischia il vento". Conditi da qualche lacrima, soprattutto dei "grandi".
A farla da padrone sono stati, manco a dirlo, gli italiani. Sono arrivati in 400 nei giorni scorsi, tanto che il quotidiano Epohi scherzava: "Syriza? Aiuta il turismo". Per un'ora buona il microfono da "vj" è stato in mano loro. Difficile capire cosa ne abbiano pensato i padroni di casa, un po' sbalorditi di fronte a cotanta immedesimazione nei panni altrui. Poi sono arrivati i saluti dei tedeschi della Linke, dei movimenti latinoamericani e, soprattutto, degli spagnoli di Podemos, in testa ai sondaggi nel loro paese. Un altro coro della piazza? "Syriza, Podemos, venceremos!". Se non è una riscoperta del vecchio internazionalismo, poco ci manca.
La sbornia identitaria è finita proprio con l'arrivo di Tsipras. Accolto con le bombolette da stadio e una musica in stile di Rocky. "Ci tocca un lavoro duro. La decisione del popolo è di voltare pagina, il popolo ha emesso la propria sentenza sull'austerità. La Troika è il passato", sono state le sue prime parole. Per poi aggiungere, con una prudente mano tesa alla Ue: "Troveremo con l'Europa una nuova soluzione per far uscire la Grecia dal circolo vizioso dell'austerità e per far tornare a crescere l'Europa. La Grecia presenterà ora nuove proposte, un nuovo piano radicale per i prossimi 4 anni".
Alla fine il risultato vero e proprio - vittoria, ok: ma con quale percentuale? Con quanti seggi ottenuti? - è passato in secondo piano. Dovevano arrivare primi, ce l'hanno fatta. Al domani ci si penserà, domani appunto.
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