lunedì 19 gennaio 2015

Filosofia della differenza e rovesciamento del platonismo


Nel raccontare e scrivere della filosofia contemporanea e dei grandi interrogativi, non abbiamo potuto evitare “l’inciampo”, siamo precipitati nell’ontologia Deluziana e nel post platonismo di Foucault. Questo libro di Monia Andreani è stato lo scivolo che ci ha condotto all’etica e alla politica tradotti dalla maieutica della riflessione e dal valore e articolazione sinottica delle differenze.

Ugo Arioti



Monia Andreani: Il terzo incluso. Filosofia della differenza e rovesciamento del platonismo.

È possibile emancipare la filosofia dal suo statuto disciplinare e dalla settorializzazione dei suoi domini d’indagine, per attingere al flusso vitale da cui si è posseduti quando si viene “chiamati” alla riflessione? Il libro di Monia Andreani attualizza tale possibilità nel testo - ovvero nel contenuto della tesi “forte” sostenuta dall’autrice - e attraverso il testo nel suo farsi rappresentazione dell’esperienza di pensiero. La rappresentazione costituisce non solo una modalità ma uno snodo concettuale che traccia lo sviluppo di tutta l’argomentazione, conducendoci in un’immersione nella storia della metafisica.

La tesi dell’autrice è condensata nel titolo che articola un chiasmo tra due versanti. Da una parte, viene intessuta la trama della “filosofia della differenza” intesa come piano comune su cui si stagliano tre personalità eminenti della filosofia francese contemporanea, ovvero Deleuze, Derrida e Foucault. Dall’altra, “Il libro intende mostrare che Deleuze, Derrida e Foucault non si limitano a lavorare per una fine della metafisica attraverso il rovesciamento del platonismo, ma assumono alcuni elementi aporetici del pensiero platonico […] e li radicalizzano in una nuova interpretazione” (p.12). I filosofi della differenza innescano un rapporto con il testo platonico che si emancipa dall’indagine filologica e si lancia in un corpo a corpo con l’autorità teoretica che si trova all’origine della metafisica, scandagliandola archeologicamente. Si profila così – riprendendo Bergson - la possibilità di superare l’impasse della questione sull’autenticità dell’origine e di accostarsi alle sorgenti dell’indagine filosofica per interrogarsi non più sui Greci ma con i Greci.

I tre capitoli in cui è strutturato il testo promuovono una maieutica della riflessione che s’incarna nel concetto di differenza e ne dispiega la portata, giungendo a sancire l’inscindibilità di ontologia ed etica. “È infatti il terzo, come elemento a se stante rispetto al due della divisione, il punto centrale di articolazione del concetto di differenza. […]Il Terzo che emerge dalla lettura rovesciamento di Platone compiuta dai filosofi della differenza, ha una caratterizzazione espressamente ontologica, perché in esso trova spazio il concetto di differenza come divenire della differenza, flusso evenemenziale dell’essere […]E questo Terzo ha anche un carattere etico perché, soprattutto con la riflessione foucaultiana, si evidenzia in esso la possibilità di una trasformazione interiore del soggetto in relazione al rapporto tra modi di soggettivazione operanti in una certa epoca e la soggettività individuale” (p. 13).

Il primo capitolo entra nelle pieghe dei dialoghi platonici attraverso la decostruzione intrapresa da Derrida, per reperire l’innescarsi del simulacro nelle tracce testuali caratterizzate da un’ambivalenza semantica irriducibile alla logica binaria. La torsione semantica impressa da Derrida al concetto di differenza fa leva sull’esempio paradigmatico della scrittura come Pharmakon, attraverso cui si gioca la strategia della decostruzione che, individuando nel simulacro “quell’elemento che s’inserisce come terzo in una situazione equilibrata” (p. 31), “sale fino alla vetta della teoria platonica per entrare fino al cuore del metodo dialettico e della conformazione ontologica” (p. 38). Risalendo il sistema di opposizioni del pensiero platonico, Derrida rileva le connotazioni di “luogo, spazio, regione/materia” assunte dalla Khora platonica, introdotta come terzo genere tra modo delle idee e realtà sensibile. Si traccia così il renversement del platonismo che investe lo statuto del simulacro e ne promuove l’insorgere comeévénement, su cui s’innesta l’operazione di déplacement compiuta da Deleuze. Quest’ultimo interviene sulla e nella dialettica platonica, introducendo un elemento fisico che fa stagliare il concetto di differenza dalle coordinate dello spatium “quale teatro di ogni metamorfosi o cambiamento, di ogni divenire” (p. 97). Il discorso di Derrida e quello di Deleuze s’intrecciano nella dinamica di una spirale che, attraverso la contiguità terminologica dei concetti forgiati, procede ad una genealogia progressiva dei paradigmi concettuali della filosofia. In quest’ottica emerge la potenza delle metafore platoniche, nelle quali il mito non si riduce a semplice modalità espositiva ma attinge alla rappresentazione dei parametri etici in base ai quali sono riplasmate le questioni ontologiche. La Chôra ne è l’esempio paradigmatico poiché “sfugge alla funzionalità dialettica, sfugge alla rappresentazione dialettica familiare” costituita dal rapporto tra il padre (eidos) e il figlio (fenomeno). Rispetto a questo rapporto duale e patrilineare l’elemento femminile rappresentato dalla Chôra è funzionale ma estraneo a livello teoretico (p. 99).

Nel secondo capitolo, viene messo “in risalto il tema della differenza sviluppata come terzo elemento tra i dualismi metafisici attraverso l’articolazione del concetto di vita”. Monia Andreani ramifica il bagaglio concettuale del pensiero deleuziano per sottolineare, in polemica con il “personalismo” critico di Alain Badiou, che “invece di nominare la riflessione deleuziana ontologia vitalista, è più opportuno parlare di vitalismo ontologico. Infatti nello spazio ontologico deleuzeano il concetto di vita prende il posto principale”. Attraverso il concetto di vita, condensato nell’intraducibilità dell’espressione une vie, il pensiero critico deleuzeano sviluppato a partire dalle prospettive di analisi sui testi platonici aperte da Nietzsche e assunte da Heidegger e indirizzato all’oltrepassamento della metafisica, si specifica come ontologia dell’immanenza. A tale proposito Deleuze riprende proficuamente anche il concetto bergsoniano dell’élan vital. “Una vita è l’espressione forte dell’immanenza, è l’immanenza stessa, che si scopre come amore per la terra, per la superficie, per gli elementi di connessione tra dentro e fuori, per la pelle come termine terzo, per una non separazione tra organico e inorganico, nel piano d’immanenza. […]Non è nella suddivisione prettamente duale che si apre tra individuale e universale che si situa questo evento terzo che è l’avvento di una vita singolare” (p. 149). La prospettiva introdotta dal piano d’immanenza si dipana come possibilità di pensare l’esperienza reale, evitando l’errore kantiano di portare le condizioni dell’esperienza sensibile oltre il condizionato. Il piano d’immanenza è l’orizzonte in cui il vissuto emerge come una ferita attraverso cui la virtualità si attualizza nell’esperire dell’individuo. 
L’ontologia deleuzeana fa appello a Nietzsche e alla riflessione sulla coscienza impersonale inaugurata da Sartre, per fendere il centro nevralgico del pensiero metafisico costituito dallo statuto del soggetto. Attraverso la terminologia della fisica, mutuata dal pensiero di Simondon, il soggetto viene ripensato nei termini di un’eterogenesi in divenire che fa spatium all’individuo, inteso come espressione di una vitalità impersonale che s’incarna nelle pieghe dell’essere, fatte dei movimenti dispiegati dagliévénements. “Da un punto di vista teorico il dopoguerra ha segnato l’impossibilità di pensare alla vita senza misurarsi con la questione connessa alla biopolitica in quanto politica che si occupa espressamente della gestione della vita. […] L’approccio deleuzeano si situa nell’alveo del più complesso rapporto di carattere ontologico tra virtuale e attuale che inserisce la vita organica ed inorganica nel rigore del pensiero dell’essere come radicalmente immanente. La vita per Deleuze è neutra non nel senso di un’astrazione o generalizzazione, è neutra perché sta altrove rispetto alla concettualizzazione di soggetto e oggetto, ad ogni soggettivizzazione o oggettivizzazione di soggetto e oggetto, ad ogni soggettivizzazione o oggettivizzazione dell’agire rispetto ad essa” (p. 152).

Il terzo capitolo legge nell’ontologia del vitalismo deleuzeano la germinazione del discorso etico che si sviluppa a partire da un’etologia del divenire animale, improntata sull’operatività del concetto – debitore dell’esperienza di Artaud - di Corpo senza Organi. “Lo spazio dell’etologia è quello in cui è possibile decifrare i movimenti di velocità e di lentezza che caratterizzano le concatenazioni dell’espressione della vita impersonale, le possibilità di vita in gergo propriamente deleuzeano. E possibilità di vita non significa qualcosa che si potrebbe ravvisare subito come una scelta volontaria del soggetto, un atto da portare a termine come potrebbe essere una scelta professionale, ma significa, uno spazio di concatenazione dell’espressione della vita impersonale. […] L’etologia non è una morale ma è un’etica nel senso spinoziano, etica della pura immanenza, etica delle possibilità di vita”. Monia Andreani sviluppa la tesi secondo cui la riflessione di Deleuze fornisce i parametri ontologici per pensare l’etologia come etica, fornendo a Foucault il versante in cui innestare il tema dell’ontologia critica. Anche Foucault infatti persegue l’oltrepassamento del dualismo, affidando alla critica dell’ontologia il compito di emancipare il soggetto dall’opposizione tra interiorizzazione e normalizzazione di sapere, potere e moralità. “L’ontologia critica è basata sulla tematica del soggetto umano inteso in senso antropologico piuttosto che in senso metafisico quale soggetto di verità o in senso gnoseologico e critico”.Foucault riprende dai testi di Deleuze e Guattari l’interesse per il legame tra la questione dell’essere e le forme di soggettivizzazione, distinguendosi da Deleuze per la priorità riconosciuta alla dimensione etico-politica assunta nei legami rilevati tra verità, soggetto e potere. In particolare, negli ultimi studi - dedicati all’analisi delle pratiche di soggettivizzazione nell’antichità - Foucault riprende dal pensiero di Deleuze la centralità della questione del doppio implicita nel pensiero critico, inteso come disposizione del soggetto ad interrogarsi sulle condizioni di possibilità della soggettività stessa. “Il pensiero stesso, attaccato al proprio impensato in modo imprescindibile, è alla stessa stregua dell’uomo, un doppio, un raddoppiamento dicotomico, ripiegato in sé come oggetto problematico per i pensatori coraggiosi”. La prospettiva di Foucault si specifica così nel senso di “un’analitica della finitudine” pronta “a scovare tutte le situazioni in cui il doppio si mostrava o veniva celato nei diversi paradigmi di verità dei saperi disciplinari cresciuti intorno all’uomo” (p. 215).

La panoramica appena condotta sottolinea le tesi contenutistiche sostenute dall’autrice, ma il percorso intessuto da Monia Andreani non si limita ad articolare gli snodi concettuali che modulano i legami tra gli autori. In controluce si disegna un ulteriore chiasmo: quello tra la trama della filosofia come possibilità dell’esperienza di pensiero e la storia della metafisica come istituzione e messa in crisi della dualità tra soggetto ed oggetto del pensiero. Derrida introduce sulla soglia della scrittura come modalità strutturale che segna la nascita disciplinare della filosofia e plasma la norma del pensiero dialettico. La forma linguistica non è semplice contenitore ma catalizzatore dell’interrogazione sulla materia in cui s’incarna la prospettiva dell’ontologia.

Attraverso la riflessione derridiana si ritaglia lo spazio incolmabile della terzietà che permette il rapporto semiotico. In tale spazio s’inserisce il lavoro di Deleuze sulla logica degli Stoici da cui emerge il carattere di événement proprio di un “incorporeo” che agisce tra mondo e linguaggio. Deleuze ritrova nelle dinamiche del senso la definizione dei parametri del pensiero. “Nel corso della tradizione metafisica tra buon senso e senso comune vi è stato un legame molto particolare segnato dal fatto che ciascuno dei due costituiva l’altra metà dell’ortodossia di pensiero. […] La manifestazione della filosofia per Deleuze è il paradosso e non il buon senso, la filosofia tenta di pensare il non pensabile creando un paradosso che è il suo pensiero più alto” (pp. 90-91). Il pensiero diviene messa in scena della riflessione e che ci offre la possibilità di trovare in ogni contemporaneità lo spazio per pensare il confronto con l’autorità della tradizione, poiché “Deleuze si pone l’obiettivo di liberare la differenza, imbrigliata nella gogna dell’immagine metafisica, attraverso un percorso di rovesciamento del teatro filosofico.[…] Dentro questo teatro, grande gioco di personalità della metafisica da Platone a Kant, passando per Descartes, s’impone la regia deleuzeana che sovverte l’immagine di pensiero, costituita attraverso la rappresentazione concettuale classica. Mimetizzando la rappresentazione attraverso un sovvertimento interno al processo logico della rappresentazione, Deleuze mostra la maschera che c’è dietro ad ogni filosofo, per creare così i suoi personaggi concettuali, per dare un sommovimento alla storia del pensiero occidentale” (pp. 107-108).

Il renversement operato sui testi platonici, fornisce come un crinale - immanente e non trascendente, orizzontale e non verticale – dal quale sporgerci per vedere i “mille piani” della storia della filosofia, aperti dal piano d’immanenza deleuzeano. Quest’ultimo non è un’ulteriore griglia interpretativa ma piuttosto una condizione di senso che agisce come un “taglio nel caos”. “I primi filosofi, come scrivono Deleuze e Guattari, hanno instaurato un piano-setaccio che hanno chiamato Logos, di cui la ragione non è che un concetto. Di piani d’immanenza ce ne sono molti e si susseguono non nel senso di un superamento, quanto nel senso di una molteplicità di tagli spaziali, di possibilità di creazione di concetti. […]Nell’orizzonte costituito dal piano d’immanenza, il movimento è infinito pur non assumendo le caratteristiche spazio-temporali. Pertanto orientarsi nel pensiero non è porre un soggetto di fronte a un oggetto – dove soggetto e oggetto non possono essere che concetti – non è prendere una posizione di fronte ad un pensiero, ma è propriamente un muoversi del pensiero stesso” (pp. 124-125). Partendo da tale riconoscimento, “Deleuze s’impegna a cercare un modo del pensiero che non sia connesso con la rappresentazione metafisica, ma che abbia il senso forte e pieno dell’immanenza assoluta, della virtualità, e abbia quindi la possibilità di cogliere questi strani oggetti dell’essere che sono le singolarità preindividuali” (p. 143). Deleuze libera le potenzialità dell’interrogazione ontologica sottolineando che “per seguire con il pensiero il mondo delle singolarità occorre uscire dalle strade battute ed immergersi nella vastità di un pensiero che non ha coordinate fisse, perché ha perso i punti fermi di soggettivo e oggettivo trasformandosi nel mondo dell’On e del "si" impersonale, un vasto e profondo mare dalle cui profondità si può risalire solo con gli occhi arrossati” (p. 145).


Le problematiche gnoseologiche non restano però sul piano teoretico, ma rivelano la loro incidenza propriamente etica e politica attraverso il tournant platonicien ripreso da Foucault: “La scelta che secondo Foucault rimane aperta per un’interrogazione filosofica è quella di optare per una filosofia critica che sia una filosofia analitica della verità oppure per un pensiero critico tout court che prenda la forma di un’ontologia storica di noi stessi, di un’ontologia dell’attuale. […] Foucault scrive che l’obiettivo dell’ontologia storica di noi stessi è quello di rispondere a tutte le domande relative alla costruzione del soggetto dal lato del sapere, da quello del potere e da quello della costruzione morale” (p. 219). Sostenendo che “la filosofia, a partire da Platone, è una filosofia teatrale, di proscenio, fondata sulla scelta morale di definire una verità a fondamento del reale” (p. 24), Monia Andreani innesta il secondo versante del rilievo in sottotraccia nel suo excursus argomentativo: il pensiero considerato nell’articolazione tra rappresentazione ed esperienza di pensiero. La prima opzione è quella del soggetto della metafisica, un soggetto che si sceglie come verità che garantisce la determinazione della realtà. La seconda è quella di una soggettività che vivendosi come differenza dall’opposizione duale, salvaguardi lo spazio - terzo – di un rapporto irriducibile con l’alterità.

 

1 commento:

  1. La differenza vista come superamento della metafisica, ma anche come un reversibile e dialogato rapporto di crescita del post platonico.

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