"Encerrados" è un viaggio per immagini nelle
carceri latinoamericane. Una discesa all'inferno da cui emerge l'umanità dei
detenuti: anche i più pericolosi
di ROBERTO
SAVIANO
Encerrados
non è un libro sulle carceri; è un libro sulla libertà perduta, sulla libertà
mai avuta. Se nell'immediato non riuscite a percepire la differenza, è perché
magari avrete avuto una vita felice e per voi carcere e assenza di libertà sono
concetti che coincidono. Eppure la differenza esiste, ed è tutt'altro che
sottile.
Valerio Bispuri ha fotografato prigionieri, ha fotografato celle, ma il suo obiettivo era su altro. Era sulla mancanza di libertà che spesso precede e segue la vita di chi finisce in prigione. La mancanza di libertà, e quindi di scelta, è ciò che ha condannato le migliaia di detenuti che Bispuri ha raccolto con il suo obiettivo. Le carceri in cui è entrato in Argentina, Cile, Uruguay, Brasile, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela sono tra le più pericolose del continente latino. Lurigancho è il carcere più grande del Sudamerica, si trova a Lima, in Perù, e qui Bispuri ha trascorso lungo tempo. Ospita diecimila detenuti, è una città nella città e in un paese che in questo momento è il primo produttore di coca entrare in questo luogo significa sbirciare nelle viscere dell'inferno. Poi è andato a Penitenciaria, a Santiago del Cile, il carcere più vecchio del continente, costruito agli inizi del Novecento. Qui ha visto e fotografato detenuti ricavare spade da tubature arrugginite in vecchi bagni.
Valerio Bispuri ha fotografato prigionieri, ha fotografato celle, ma il suo obiettivo era su altro. Era sulla mancanza di libertà che spesso precede e segue la vita di chi finisce in prigione. La mancanza di libertà, e quindi di scelta, è ciò che ha condannato le migliaia di detenuti che Bispuri ha raccolto con il suo obiettivo. Le carceri in cui è entrato in Argentina, Cile, Uruguay, Brasile, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela sono tra le più pericolose del continente latino. Lurigancho è il carcere più grande del Sudamerica, si trova a Lima, in Perù, e qui Bispuri ha trascorso lungo tempo. Ospita diecimila detenuti, è una città nella città e in un paese che in questo momento è il primo produttore di coca entrare in questo luogo significa sbirciare nelle viscere dell'inferno. Poi è andato a Penitenciaria, a Santiago del Cile, il carcere più vecchio del continente, costruito agli inizi del Novecento. Qui ha visto e fotografato detenuti ricavare spade da tubature arrugginite in vecchi bagni.
Poi
è stato a Villa Devoto, in Argentina, una delle carceri più pericolose del
Sudamerica, proprio dentro la città di Buenos Aires. Poi a Los Teques, a
Caracas, in Venezuela, un carcere paradossale ma non per il Sudamerica, lì
tutti i detenuti sono armati di coltelli, pistole e hanno una sorta di codice
per cui quando un capo esce di prigione sparano sul muro come per festeggiare.
A Bogotà, in Colombia, ha visitato Combita, il carcere dove sono rinchiusi ex
guerriglieri delle Farc.
Quelle di Bispuri sono fotografie di città, carceri formicai, carceri dove chiunque è condannato, poliziotti e detenuti. Carceri dove il detenuto sa che la differenza tra lo stare dentro e lo stare fuori è minima, sostanziale certo per fare affari, ma minima sul piano del disagio, della disperazione, finanche del diritto. Dal momento che si è armati, dal carcere in Venezuela si potrebbe forse persino scappare, ma per cosa? Per finire di nuovo dentro? O ammazzati da un rivale? Il carcere infondo dà regole e spesso sospende vendette.
Il primo reato che riempie le carceri sudamericane è il primo reato che riempie le carceri americane, ed è il primo reato che riempie le carceri europee: la droga. In paesi in cui i cartelli criminali sono fortissimi, a testimoniare quanto la repressione e il proibizionismo non siano stati la strada giusta, quanto le politiche repressive siano state fallimentari. Poi ci sono le truffe, ma prima delle truffe omicidi, stupri, furti. Bispuri è stato anche in carceri femminili. Ha trovato e fotografato storie di donne che hanno ucciso i mariti, spesso ubriachi, per difendersi o semplicemente per stordirli, ma hanno esagerato con i colpi. Madri che hanno ucciso i propri figli. Figli drogati, figli violenti o figli innocenti e a essere ubriache e drogate erano loro.
Eppure ciò che colpisce, in tutto questo bianco e in tutto questo nero, è forse la mancanza di disperazione finale, ciò che mi ha sempre colpito sono le percentuali di suicidi in questi inferni, percentuali bassissime se paragonate a quelle dei suicidi nelle carceri nordamericane ed europee. Nessuno si uccide in Sudamerica. E Bispuri, in fondo, è riuscito con il suo talento di fotografo a raccontare queste vite fatte di resistenza alla morte. Resistenza che spesso diventa indolenza - guardate i volti! - , questi uomini e queste donne non sembrano voler insorgere, sembrano piuttosto resistere come legni, come stalattiti. Pelle, calli, gocce di sudore e ancora gocce di sudore.
Nel carcere di Mendoza, Valerio Bispuri chiede di poter entrare nel Padiglione 5, dove sono reclusi i detenuti argentini più pericolosi, dove nemmeno le guardie vanno più, loro si fermano e lasciano a distanza cibo, detersivi e lenzuola. Bispuri chiede di entrare: ottiene il permesso da direttore e guardie, ma gli fanno firmare un documento in cui c'è scritto che si assume tutta la responsabilità di quella decisione. Valerio entra da solo, nessuno lo accompagna. Entra e gli tremano le gambe. C'erano novanta detenuti, i più feroci di tutti ma a lui non è torto un capello. Non solo, lo accolgono commossi, gli indicano cosa fotografare e gli chiedono di documentare le terribili condizioni in cui erano costretti a scontare la loro pena, in cui erano lasciati sopravvivere. Lo accompagnano poi all'uscita e si fanno promettere che avrebbe pubblicato quelle foto.
E Valerio Bispuri lo ha fatto, le ha esposte, e così agli occhi degli argentini, grazie a lui e ad Amnesty International, finalmente il Padiglione 5 ha smesso di essere la gabbia delle bestie feroci ed è diventato uno scempio, una vergogna, segno, testimonianza di disumanità, ma non dei detenuti, piuttosto dello Stato. Criminali responsabili di delitti violenti che vivono in un crimine che è più grande di tutti i loro messi insieme, perché è un crimine di Stato. La prigione che diventa tortura, come del resto avviene anche nella maggioranza delle carceri italiane, nel silenzio e nell'indifferenza generali. Dopo la pubblicazione di queste foto, il Padiglione 5 del carcere di Mendoza è stato chiuso. Non è stato chiuso perché ha denunciato l'abiezione di quel luogo, molti argentini volevano che quei detenuti soffrissero le peggiori pene possibili. È stato chiuso perché Bispuri ha mostrato l'orma umana in quelle persone e quando riconosci te stesso nell'altro, il peggiore altro possibile, forse riesci a capire che la sua umiliazione è la tua. Questo, e molto più, può la fotografia, arte maggiore, sguardo sul mondo.
Quelle di Bispuri sono fotografie di città, carceri formicai, carceri dove chiunque è condannato, poliziotti e detenuti. Carceri dove il detenuto sa che la differenza tra lo stare dentro e lo stare fuori è minima, sostanziale certo per fare affari, ma minima sul piano del disagio, della disperazione, finanche del diritto. Dal momento che si è armati, dal carcere in Venezuela si potrebbe forse persino scappare, ma per cosa? Per finire di nuovo dentro? O ammazzati da un rivale? Il carcere infondo dà regole e spesso sospende vendette.
Il primo reato che riempie le carceri sudamericane è il primo reato che riempie le carceri americane, ed è il primo reato che riempie le carceri europee: la droga. In paesi in cui i cartelli criminali sono fortissimi, a testimoniare quanto la repressione e il proibizionismo non siano stati la strada giusta, quanto le politiche repressive siano state fallimentari. Poi ci sono le truffe, ma prima delle truffe omicidi, stupri, furti. Bispuri è stato anche in carceri femminili. Ha trovato e fotografato storie di donne che hanno ucciso i mariti, spesso ubriachi, per difendersi o semplicemente per stordirli, ma hanno esagerato con i colpi. Madri che hanno ucciso i propri figli. Figli drogati, figli violenti o figli innocenti e a essere ubriache e drogate erano loro.
Eppure ciò che colpisce, in tutto questo bianco e in tutto questo nero, è forse la mancanza di disperazione finale, ciò che mi ha sempre colpito sono le percentuali di suicidi in questi inferni, percentuali bassissime se paragonate a quelle dei suicidi nelle carceri nordamericane ed europee. Nessuno si uccide in Sudamerica. E Bispuri, in fondo, è riuscito con il suo talento di fotografo a raccontare queste vite fatte di resistenza alla morte. Resistenza che spesso diventa indolenza - guardate i volti! - , questi uomini e queste donne non sembrano voler insorgere, sembrano piuttosto resistere come legni, come stalattiti. Pelle, calli, gocce di sudore e ancora gocce di sudore.
Nel carcere di Mendoza, Valerio Bispuri chiede di poter entrare nel Padiglione 5, dove sono reclusi i detenuti argentini più pericolosi, dove nemmeno le guardie vanno più, loro si fermano e lasciano a distanza cibo, detersivi e lenzuola. Bispuri chiede di entrare: ottiene il permesso da direttore e guardie, ma gli fanno firmare un documento in cui c'è scritto che si assume tutta la responsabilità di quella decisione. Valerio entra da solo, nessuno lo accompagna. Entra e gli tremano le gambe. C'erano novanta detenuti, i più feroci di tutti ma a lui non è torto un capello. Non solo, lo accolgono commossi, gli indicano cosa fotografare e gli chiedono di documentare le terribili condizioni in cui erano costretti a scontare la loro pena, in cui erano lasciati sopravvivere. Lo accompagnano poi all'uscita e si fanno promettere che avrebbe pubblicato quelle foto.
E Valerio Bispuri lo ha fatto, le ha esposte, e così agli occhi degli argentini, grazie a lui e ad Amnesty International, finalmente il Padiglione 5 ha smesso di essere la gabbia delle bestie feroci ed è diventato uno scempio, una vergogna, segno, testimonianza di disumanità, ma non dei detenuti, piuttosto dello Stato. Criminali responsabili di delitti violenti che vivono in un crimine che è più grande di tutti i loro messi insieme, perché è un crimine di Stato. La prigione che diventa tortura, come del resto avviene anche nella maggioranza delle carceri italiane, nel silenzio e nell'indifferenza generali. Dopo la pubblicazione di queste foto, il Padiglione 5 del carcere di Mendoza è stato chiuso. Non è stato chiuso perché ha denunciato l'abiezione di quel luogo, molti argentini volevano che quei detenuti soffrissero le peggiori pene possibili. È stato chiuso perché Bispuri ha mostrato l'orma umana in quelle persone e quando riconosci te stesso nell'altro, il peggiore altro possibile, forse riesci a capire che la sua umiliazione è la tua. Questo, e molto più, può la fotografia, arte maggiore, sguardo sul mondo.
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