Ricorre ad Aprile di quest'anno il centenario dalla morte dello studioso palermitano che sperimentò per primo la psicologia del popolo (demopsicologia), la scienza che studia le manifestazioni, le tradizioni e la cultura popolari. Ho avuto la fortuna di partecipare e seguire, quando "Palermo" e le sue Istituzioni politiche e amministrative, "animate" dal Professor Aurelio Rigoli, allievo del Cocchiara, già preside della Facoltà di Lettere di Palermo che studiò e raccolse l'immane e immensa opera del Pitrè, davano luogo al Premio Internazionale annuale "PITRE' e SALAMONE MARINO", che ha visto per decenni Palermo capitale mondiale delle Tradizioni Popolari. Oggi, grazie al Professore Rigoli, esiste una Fondazione che si occupa, internazionalmente, di Cultura e Tradizioni Popolari: Il Centro Internazionale di Etnostoria. Nello splendido complesso di palazzo Steri alla Marina, sede del Rettorato è stata realizzata dal Centro Internazionale di Etnostoria, di cui Aurelio Rigoli è Presidente, la Biblioteca "Vittorietti" che raccoglie saggi e raccolte provenienti da tutto il Mondo. Grazie alla stima e agli insegnamenti dell'amico Rigoli, dal gennaio di quest'anno sono stato nominato Direttore scientifico, proprio nell'anno del centenario dalla morte dello scienziato palermitano, tra i più conosciuti nel Mondo, Giuseppe Pitrè. Al Pitrè, naturalmente, dedicheremo per quest'anno, molti articoli e studi, aspettando con fiducia che Palermo si risvegli e celebri uno dei suoi più grandi figli!
Ugo Arioti
Giuseppe Pitrè
(Palermo 21/12/1841 - 10/04/1916) |
||
Studioso italiano del folclore
e di tradizioni popolari. Medico e scrittore scrisse i primi studi
scientifici sulla cultura popolare italiana e curò
le prime raccolte di letteratura italiana orale, dando avvio a studi etnografici
sul territorio italiano. Fondatore in Sicilia della
"demologia" da lui battezzata "demopsicologia"
(psicologia del popolo), ossia la scienza che studia le manifestazioni, le
tradizioni e la cultura del popolo, che insegnò
all'Università di Palermo. A Giuseppe Pitrè, il più importante
raccoglitore e studioso di tradizioni popolari, la Sicilia deve essere grata
perché - come ha sottolineato Giuseppe Cocchiara, già preside della Facoltà
di Lettere di Palermo - la sua opera monumentale
resta pietra miliare per la ricchezza e la vastità di
informazioni nel campo del folklore, in cui nessuno ha raccolto, come e
quanto lo scrittore palermitano
|
||
.
|
||
Egli anzi, nella seconda metà dell’Ottocento, ha
tracciato la via ad altri come Salvatore
Salomone Marino e accolto nel suo tempo consensi vivissimi tra cui quelli
di Luigi Capuana, che trovò
materiale per le fiabe nel suo repertorio, Giovanni Verga, che trasse anche ispirazione per le “tinte schiette” e particolari usanze
del suo mondo di umili e perfino per argomenti specifici d’alcune novelle
come Guerra di Santi, dalla
preziosa documentazione a cui Pitrè lavorò tutta la vita.
Come il conterraneo Abate
Meli, divenne medico di professione e venne, grazie ad essa, a contatto
con i ceti più umili e col mondo dei marinai e dei contadini tra cui spinto
da passioni per gli studi storici e filologici raccolse per prima i Canti
popolari siciliani attinti anche dalla voce della madre che egli dice “era la
mia Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”, dedicandole appunto la
sua prima opera.
Nel 1882 fondò l'Archivio per lo studio delle tradizioni
popolari e nel 1894 pubblicò una fondamentale Bibliografia delle
tradizioni popolari italiane.
Alla sua memoria fu intitolato il Museo Antropologico
Etnografico siciliano a Palermo che egli stesso aveva fondato.
La sua Opera
Giuseppe
Pitrè fu formidabile nel raccogliere e catalogare gli ultimi bagliori del
mondo popolare siciliano e non solo siciliano. Prima che radio e televisione
pareggiassero o quasi le differenze culturali. Come hanno ben notato gli
studiosi di etnoantropologia Giuseppe Pitrè si accostò a quel mondo che non
era il suo con sguardo di antropologo e quasi con rispetto di figliolo.
La
Sicilia, la sua storia, il popolo e i contadini siciliani, i loro usi e
costumi, i canti, i racconti, i proverbi, le feste e quant'altro proveniva da
quel mondo fu messo sotto osservazione, ne furono tratte le corrispondenze e
quindi le somiglianze o le evidenti differenze con le tradizioni di altri
luoghi.
Tutta la ricerca fu eseguita da Giuseppe Pitrè e dai suoi collaboratori secondo i canoni degli studi demologici, cioè traendoli dalla viva realtà, dalla viva voce dei popolani e dei contadini analfabeti. Questa sua fatica confluì nei due volumi tra il ‘70 e il ’71 di quella Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, pubblicata poi in venticinque volumi fra il 1871 e il 1913, comprendente nelle sue sezioni oltre ai canti, d’amore, di protesta, legati alle stagioni e culture, giochi, proverbi, filastrocche, fiabe, feste etc., anche medicina popolare, leggende, il costume nella famiglia, nella casa, nella vita del popolo siciliano, le pratiche tradizionali dell'agricoltura, le usanze religiose o superstiziose, tutte le manifestazioni della cultura orale siciliana e i racconti dei cantastorie.
Ma
ci fu un limite nella selezione delle varie tradizioni, furono scartate
quelle sconce, quelle sguaiate, quelle erotiche che pur erano un filone
importante e fiorente nel panorama di tutte le tradizioni. Giuseppe Pitrè e
tanti altri studiosi di tradizioni popolari italiani ebbero ripulsione a
riportarle, come se la loro considerazione potesse nuocere a tutta
l'impalcatura delle tradizioni popolari stesse, suonasse cioè come mancanza
di rispetto verso la"patria" Sicilia o la "patria"di ogni
singola regione.
Ci
sono ancora nel cuore di Giuseppe Pitrè idee romantiche nei confronti delle
tradizioni popolari, mentre nel pensiero suo più lucido vi è una
concezione evoluzionistica delle culture, nel senso che primitivo si
contrappone a moderno come popolare a colto. Questo atteggiamento nei
confronti delle tradizioni popolari viene dall'Europa e innanzitutto dai
F.lli Grimm per i quali le fiabe erano "miti decaduti" provenienti
dall'India preistorica degli Arii. Questi due studiosi tedeschi
intravidero nei racconti popolari "i frantumi di una antica religione
della razza, custodita dai volghi, da far risorgere nel giorno glorioso in
cui, cacciato Napoleone, si risvegliasse la coscienza germanica"(I.
Calvino, Fiabe italiane, p.x). Con queste premesse era arduo raccogliere e
pubblicare collezioni di raccolte di tradizione erotiche.
Ne
sperimentò qualcosa il tedesco Federico Salamone Krauss, direttore di
Anthropophyteia, rivista di tradizioni erotiche, che venne denunciato e
tradotto avanti il Tribunale di Berlino(Raffaele Corso, Estratto dalla
rivista di Antropologia, vol.XIX,Fasc.I-II). E' indubbio che Giuseppe Pitrè e
il suo illustre collega Salvatore Salomone Marino raccolsero anche queste
tradizioni, ma solo recentemente sono stati pubblicati gli indovinelli sconci
del primo e i racconti faceti del secondo.
In
effetti le fiabe e i racconti popolari hanno interessato tutte le persone di
tutte le età e di tutte le classi o ceti sociali, rozze, raffinate, colte e
incolte. I racconti popolari, da millenni, circolano per le varie culture e
sottoculture e qualche volta hanno trovato dei grandi
interpreti-narratori.
Quando ciò è successo, cioè quando un racconto viene ottimamente performato esso entra a far parte viva di quel racconto-tipo come variante, e da variante condiziona in qualche modo per l'appresso tutti gli altri interpreti-narratori del racconto-tipo. La storiella, la trama del racconto continua a vivere e a trasformarsi anche se negli ultimi secoli è stata quasi cristallizzata dall'avvento della scrittura. Per nondimeno autori letterari che avevano ripreso le fiabe, prima dei fratelli Grimm, mai e poi mai le avevano raccontate come se fossero destinate soltanto ai piccoli. Giovanbattista Basile e Charles Perrault non si rivolgevano solo ai piccoli, ma anche ai grandi.
Il
Pitrè pare a volte consideri i racconti popolari come narrativa per bambini
come era usuale nelle classi colte (Aurora Milillo, prefazione a Fiabe
Novelle e Racconti popolari siciliani di Giuseppe Pitrè). C'è appunto il
precedente delle "Fiabe del focolare" dei F.lli Grimm, un libro di
narrativa per ragazzi scolarizzati. Giuseppe Pitrè nella scelta-filtro dei
racconti si fa guidare dal "senso comune". Scarta le sconce, ma non
disdegna quelle che presentano i costumi del popolo e dei contadini in
maniera paludata. Ha repulsione per la sconcezza sguaiata, ma non può fare a
meno di presentare dei racconti che alludono blandamente, come apprezza
l'ironia, l'arguzia e l'intelligenza dei popolani. Ma sempre racconti di
villani sono quelli che va raccogliendo, di gente che vive ai margini,
oppressa dai bisogni e che se riesce a sopravvivere lo deve a un
profondo attaccamento alla vita.
Come
sostiene il Cocchiara, l’opera del
Pitrè presenta due aspetti, uno storico e l’altro poetico, rivelando “un’umanità viva e vibrante” per cui
egli era convinto che era giunto il tempo di studiare con amore e pazienza le
memorie e le tradizioni, per custodirle. Da questo nacque anche la
creazione del Museo Etnografico, dove raccogliere tutti i materiali e gli
oggetti pazientemente ricercati per la Sicilia, che come detto
nell'introduzione, oggi porta il suo nome, ed è ospitato nella palazzina
cinese, all’interno del Parco della Favorita a Palermo.
Nel
1990 fu chiamato ad insegnare demopsicologia (come lui era solito chiamare il
folklore), quando già aveva acquistato fama e apprezzamenti nell’élite
culturale del tempo. Già nel 1894 aveva, infatti, pubblicato la Bibliografia delle tradizioni popolari in
Italia, intrattenendo rapporti con i più importanti studiosi specialmente
della scuola toscana.
Instancabile studioso, innamorato della sua terra, scrisse anche Palermo cento e più anni fa, prezioso ed introvabile volume, e saggi su Meli, su Goethe a Palermo, sulla Divina Commedia, raccogliendo anche novelle popolari toscane.
La
collaborazione con Salvatore Salomone Marino andò oltre, col Lui fondò nel
1880, dirigendola fino al 1906, la più importante rivista di studi sul
folklore del tempo, "Archivio per lo studio delle tradizioni
popolari", ed
intrattenne una fitta corrispondenza con studiosi di tutto il mondo. Queste
lettere sono oggi conservate in una sezione del museo etnografico di Palermo
e ad esse continuano a rivolgere attenzione come fonti preziose gli studiosi
contemporanei d'antropologia.
Per
i suoi meriti e la sua fama fu nominato Senatore del Regno il 30 dicembre del
1914, quando anche in America venivano tradotte e pubblicate le sue opere per
le Edizioni Crane, specialmente i proverbi e le fiabe, la cui radice comune a
tanti popoli egli aveva esaltato rivendicando in una lettera ad Ernesto Monaci la loro ricchezza
linguistica con queste parole: "Che
bellezza, amico mio! Bisogna capire e sentire il dialetto siciliano per
capire e sentire la squisitezza delle fiabe che sono riuscito a cogliere di
bocca ad una tra le mie varie narratrici”.
Da
sottolineare le belle pagine dedicate alle storie dì Giufà (personaggio
da lui inventato) e alle feste popolari siciliane, di cui piene di poesia
sono quelle del Natale e dei Morti.
Cosa successe?
La
prima edizione delle Fiabe ebbe subito dei riconoscimenti
internazionali, ma fu accolta inizialmente dal disprezzo e dallo scandalo di
letterati e uomini rispettabili locali (Aurora Milillo, ibidem).
"Il dottor Pitrè ha pubblicato quattro
volumi di porcherie" scrisse allora la Gazzetta di Palermo.
Lo
rammentava lo stesso Pitrè in una lettera del 1914, dove parlava anche
dell'indignazione di clienti rispettabili che gli chiedevano come si fosse
persuaso a pubblicare "quelle storie" dal momento che gli erano
affidate in cura le loro figlie (Raffaele Corso, Reviviscenze. Studi di
tradizioni popolari italiane, p.4).
|
sarebbe importante e giusto commemorare il Pitrè
RispondiEliminaCertamente. Noi lo riteniamo un dovere etico e morale del popolo palermitano e dei suoi organi amministrativi
Elimina