domenica 16 gennaio 2022

Musica e musicisti e compositori barocchi di Palermo, la capitale guglielmina del Regno di Sicilia

 

Musica e musicisti e compositori barocchi di Palermo, la capitale guglielmina del Regno di Sicilia

Vincenzo Amato

Nacque in Ciminna il 6 gennaio 1629 da Giandomenico e Laura Amato, persone di onesta ed onorata condizione.

Da giovinetto entrò nel seminario arcivescovile di Palermo e, finito il corso degli studi, ottenne la laurea in sacra Teologia. Ma non fu per questo che egli si rese celebre e fece onore al suo paese. Iniziato negli ordini sacri si diede con tutto l’animo allo studio della musica secondando la sua naturale inclinazione, e in questo studio riusci espertissimo. Infatti nel 1656 pubblicò in Palermo alcuni lavori pregevolissimi, che sono giunti sino a noi:

1. Sacri concerti a 2, 3, 4 e 5 voci, con una messa a 3 e a 4 voci. Libro I. Opera I. Pan. apud Bisagnium 1656.

2. Messa e salmi di Vespro e Compieta a 4 e 5 voci. Libro I. Op. II. Ibid. 1656.

Oltracciò, mise in canto a recitativo piu o meno allungato, secondo il senso delle parole che esprime con forza e con verità, la Passione scritta da S. Matteo e quella da S. Giovanni, che si cantano ancora in tutte le chiese di Sicilia; lo stile e semplice e assai devoto, allorché si eseguisce solo quello che vi ha notato l’autore.

A Roma fu riguardato come un capolavoro di canto sacro, e l'Abate Vito Amico, nel suo Dizionario topografico narra che, pochi anni prima della rivoluzione francese, gli fu richiesta dall’Abbate Zeril, ex-gesuita palermitano, che allora trovavasi stabilito a Mayenne, città della Francia, la musica di Amato del Vangelo secondo S. Matteo e che, eseguita sotto la sua direzione dai preti francesi, piacque moltissimo, come gliene scrisse lo stesso Zeril con sue note. Per questi meriti, nell’anno 1665, fu eletto maestro di cappella nella cattedrale di Palermo, ove espresse armonici concerti, uditi sempre con piacere e con lode dal pubblico.

Egli diede un grande impulso alla musica sacra nel secolo XVII, e fece sentire in Palermo le sue Passioni piu di mezzo secolo prima, che il celebre Giov. Sebastiano Bach, nel 1729, facesse eseguire, per la prima volta a Lipsia, la sua Passione secondo S. Matteo.

Mori in Palermo il 29 luglio 1670 nella giovane età di 42 anni. Ebbe solenni esequie, alle quali intervennero il corpo di tutti i musici, il capitolo e il clero della cattedrale, e fu sepolto nella chiesa di S. Ninfa dei chierici regolari addetti al servizio degli infermi, ora detta dei Crociferi, menzionato dal Mongitore nella Biblioteca Sicula.





Sigismondo D’India

Sigismondo d’India (Palermo, 1582 circa – Modena, 19 aprile 1629)



Egli fu un considerevole compositore, contemporaneo a Claudio Monteverdi. Scrisse musiche di vario genere molto apprezzate al suo tempo.

Nacque probabilmente a Palermo nel 1582, ma i dettagli sulla sua vita sono sconosciuti fino a circa il 1600.

Non si conosce nulla della sua prima formazione musicale tranne ciò che lui stesso scrive nella prefazione alle Musiche, 1609: “…insino dalla fanciullezza mi procurai di conversare con huomini intelligenti della Musica, et da suoi dotti discorsi imparare ciò, che desideravo sapere sì del comporre a più voci, come del cantar solo.“.

Durante il primo decennio del Seicento, egli viaggiò per l’Italia in lungo e in largo, incontrando altri compositori, acquisendo i favori dei principi alle cui corti si presentava e assorbendo gli stili musicali degli artisti che incontrava. Il suo fu un periodo di transizione nella storia della musica; lo stile polifonico del tardo Rinascimento dava luogo alla monodia del primo barocco.

Sigismondo d’India acquisì in maniera molto efficace le novità stilistiche trovate in giro per l’Italia: gli espressivi madrigali di Luca Marenzio, le grandi opere polifonichedella Scuola veneziana, la polifonia conservatrice della Scuola romana, il tentativo di recuperare la musica della classicità greca con la monodia e lo sviluppo della nuova forma musicale che sfocerà nell’opera lirica. È noto che egli fu a Firenze, dove nacque la prima opera lirica, e quindi a Mantova dove operava Claudio Monteverdi. Nel 1610 fu anche a Napoli, a Parma ed a Piacenza. Nel 1611 fu invitato a Torino alla corte del Duca di Savoia dove rimase fino al 1623. Questo fu il periodo più importante della sua carriera di compositore, in cui mise in atto tutto quanto aveva appreso nel suo girovagare dal 1600 al 1610.

Lasciata Torino, apparentemente a causa di intrighi politici, andò a Modena e quindi a Roma; sembra comunque che sia morto a Modena, stando all’indicazione di un documento ritrovato in questa città indirizzato agli “Heredi del Sig. Cavaliero d’India” suggerisce il giorno 19 aprile 1629 come termine ante quem per la data di morte.

Esistono anche notizie circa un invito da parte di Massimiliano I in Baviera ma probabilmente Sigismondo d’India morì prima di potervisi recare.

Sigismondo d’India si cimentò in tutte le forme musicali in voga al suo tempo, quali monodie, madrigali e mottetti.

Le sue monodie, la maggior parte delle sue opere, erano di diverso tipo: arie, lamentazioni, madrigali in stile monodico ed altri ancora.

La musica di d’India è stilisticamente simile a quella di Monteverdi dello stesso periodo: cromatismi espressivi, dissonanze risolte in maniera insolita ed un profondo senso drammatico. Alcune lunghe monodie assomigliano a scene d’opera, anche se d’India non scrisse mai qualcosa che potesse chiamarsi opera.

Alcuni lavori della sua ultima produzione hanno la caratteristica di assommare in essi quasi tutti gli stili, dei più famosi compositori italiani, in un solo pezzo.

Nella prefazione alle citate Le musiche da cantar solo… (Milano 1606) Sigismondo d’India, prende le distanze da quegli autori che creavano composizioni monotone e afferma: “…ritrovai che si poteva comporre nella vera maniera con intervalli non ordinarij, passando con più novità possibili da una consonanza all’altra, secondo la varietà de i sensi delle parole, et che per questo mezo i canti havrebbono maggior affetto, et maggior forza nel mover gli affetti dell’animo di quello, c’havessero potuto operare, se fossero tutte state composte ad un modo con ordinarij movimenti…”

Drammi in musica

  • La Zalizura dramma in musica testo di Filippo San Martino di Agliè (Torino 1611-1612 o 1618 o 1623)

  • La caccia favola pastorale (Torino 1620)

Madrigali

  • Primo libro de’ madrigali a 5 voci (Milano 1606)

  • Secondo libro de’ madrigali a 5 voci (Venezia 1611)

  • Terzo libro de’ madrigali a 5 voci con il suo basso continuato (Venezia 1615)

  • Quarto libro de’ madrigali a 5 voci (Venezia 1616)

  • Quinto libro de’ madrigali a 5 voci (Venezia 1616)

  •  ? Del Sesto libro de’ madrigali a 5 voci ? non è stata trovata voce in diversi cataloghi, si può considerare forse perduto.

  • Settimo libro de’ madrigali a 5 voci (Roma 1624)

  • Ottavo libro de’ madrigali a 5 voci con basso contuinuo (Roma 1624)

Composizioni vocali

  • Villanelle alla napoletana a 3 voci libro I (Napoli 1608)

  • Le musiche da cantar solo nel clavicordo, chitarrone, arpa doppia (Milano 1609)

  • Secondo libro delle villanelle alla napolitana a 3-4 voci (Napoli 1612)

  • Le musiche a 2 voci (Milano 1615)

  • Le musiche…Libro III a 1 e 2 voci (Milano 1618)

  • Le musiche e balli a 4 voci con basso continuo (Venezia 1621)

  • Le musiche a 1 et 2 voci libro IV (Venezia 1621)

  • Le musiche a 1 voce Libro V (Venezia 1623)

Composizioni sacre

  • S. Eustachio dramma sacro, libretto di Filippo San Martino di Agliè (Roma 1625)

  • Liber secundus sacrorum concentuum 3-4 voci (Venezia 1610)

  • Liber primus motectorum a 4 voci col basso seguente (Venezia 1627)

  • La Missa Dominae clamavi ad Te 1626 (in manoscritto)


https://it.wikipedia.org/wiki/Sigismondo_d%27India



Francesco Mamiliano Pistocchi

 PISTOCCHI, Francesco Antonio Mamiliano (detto il Pistocchino o il Pistocco). – Figlio di Giovanni, violinista cesenate, nacque a Palermo nel 1659.


L’assunzione del padre nella cappella musicale di S. Petronio, il 9 settembre 1661, attesta il trasferimento o il ritorno della famiglia a Bologna. Istruito dal padre nella composizione e nel canto, Pistocchi manifestò un precocissimo talento musicale. A otto anni licenziò un libro di Capricci puerili variamente composti e passeggiati in 40 modi […] per suonarsi nel clavicembalo, arpa, violino et altri stromenti «sopra un basso d’un balletto» (cioè sul tema del ‘ballo di Mantova’; Bologna, Giacomo Monti, 1667), dedicato al gonfaloniere di giustizia e agli Anziani della città di Bologna; l’avviso al lettore riferisce prodezze antecedenti: a tre anni il bambino aveva incantato «nelle publiche accademie […] coi suoi canti», e a cinque era stato ammirato dal principe ereditario di Toscana, il futuro Cosimo III, e da molti porporati che l’avevano ascoltato nelle chiese di Bologna o in privato. Nel maggio 1670 cantò in alcune funzioni in S. Petronio; nel settembre successivo il padre interruppe il proprio servizio, forse per lavorare altrove insieme con il ragazzo.

Ai primi del 1674 i due presentarono una supplica ai fabbriceri della basilica: Giovanni per «esser rimesso nel suo posto di violino e tenore» e Francesco Antonio per «essere ammesso per soprano»; il 14 febbraio furono accolti, rispettivamente con due e sei ducatoni mensili. A libro paga nel 1675 e nel 1676, già nel maggio 1675 erano però «cassati e licenziati» per un’assenza non permessa, coincidente con un’esibizione nel teatro di S. Stefano a Ferrara (il giovane vi fece furore nel Caligula delirante di Giovanni Maria Pagliardi: lo si desume da un sonetto in suo onore, Avvertimento a’ Numi dell’Adria; in van der Linden, 2011, p. 59). Nel 1677 furono impiegati a Modena nella cappella di Francesco II d’Este. Nel 1681 Francesco Antonio fu impiegato a Venezia nella cappella di S. Marco; al più tardi l’anno dopo debuttò come operista nel teatro di S. Moisè (Gli amori fatali, rielaborazione di un anonimo Leandro già dato alla Riva delle Zattere nel 1679, e forse anche Il Girello, «rappresentato con figurine di cera»: G.C. Bonlini, Le glorie della poesia e della musica, Venezia [1730], pp. 95 s.). Non oltre tale altezza cronologica va collocato il graduale passaggio al registro di contralto (che non impedì il regolare progresso della carriera) e l’inizio dell’intima amicizia con Giuseppe Torelli e Giacomo Antonio Perti (che gli diede «qualche direzione» di contrappunto e che fu da lui stimato «sopra ogn’altro per il s. Agostino della musica»: Bologna, Museo della musica, K.44.1.91.2 e P.146.195).

Dal 1686 al 1695 fu al servizio del duca di Parma, Ranuccio II Farnese.

Se già nei Capricci puerili vantava di farne parte, nello stesso periodo fu aggregato all’Accademia Filarmonica di Bologna, nella classe dei cantori il 12 giugno 1687 e in quella dei compositori il 25 giugno 1692.

Solo dopo un decennio poté esercitare uffici accademici – principe nel 1708 e 1710, consigliere nel 1701, 1705 e 1715, censore nel 1707 e 1711 –, ma provvide immediatamente, anche da lontano e per tutta la vita, alle musiche di messa e vespro eseguite ogni anno in S. Giovanni in Monte in onore del patrono, sant’Antonio da Padova:  Nel 1719 la sua presentazione di «virtuosi quesiti» portò l’Accademia a istituire il ruolo, poi mantenuto, dei due definitori perpetuiincaricati di dirimere questioni teoriche.

Morto Ranuccio II (1694) e di lì a poco licenziata quasi per intero la cappella di S. Petronio, nel 1696 Pistocchi e Torelli presero servizio alla corte del margravio Giorgio Federico II di Brandeburgo-Ansbach, dove il cantante compose e interpretò lavori di vario genere (la pastorale Il Narciso, libretto di Apostolo Zeno, 1697: Georg Friedrich Händel ne trasse abbondanti prestiti musicali, dal 1705 al 1748; l’oratorio Maria Vergine addolorata, 1698; l’opera Le pazzie d’amore e dell’interesse, 1699). Nel maggio 1697 furono invitati a Berlino da Sofia Carlotta di Brunswick-Luneburgo, elettrice del Brandeburgo e dedicataria del Narciso: vi si trattennero fino ai primi dell’anno successivo. Al soggiorno si lega la pubblicazione degli Scherzi musicali offerti da Pistocchi all’elettore Federico III di Brandeburgo (il futuro re in Prussia): sei cantate e due duetti italiani, due ariette tedesche e due airs francesi (l’autore dichiara di aver imitato in questi ultimi «lo stile gratioso dell’incomparabile Monsieur de Lully»); l’edizione nota (Amsterdam, Estienne Roger, s.a. [ma 1698]; ed. moderna a cura di A. Béjar Bartolo, Lucca 2015) è la probabile contraffazione di una stampa anteriore dell’editore bolognese Marino Silvani: non è dato di sapere se il contenuto coincida con la perduta raccolta di Cantate op. I (recte II?), registrata nel 1734 in un inventario dello stesso editore. Nel carnevale 1699 Pistocchi cantò di nuovo al S. Giovanni Grisostomo di Venezia (Faramondo e Il ripudio d’Ottavia di Pollarolo; nello stesso periodo vi furono trattative con i teatri di Milano e Piacenza). Ancora con Torelli e da Ansbach, sul finire del 1699 passò a Vienna alla corte dell’imperatore Leopoldo I e nel febbraio 1700 vi diede un «trattenimento» carnevalesco, Le risa di Democrito (il libretto di Nicolò Minato risaliva a trent’anni prima); l’imperatore, musicista esperto, ammirò Pistocchi anche per l’abilità nel comporre madrigali in stile antico (segnatamente quello con incipit«Gran Dio, ah, voi languite»). Nel maggio successivo i due erano di ritorno ad Ansbach per ottenere la licenza di partire: eseguita in settembre una nuova cantata di Pistocchi (La pace tra l’armi), poterono infine rientrare in Italia. La fama oltremontana del cantante è confermata dalla menzione che ne fa il libretto dell’opera Der angenehme Betrug oder Der Carneval von Venedig (Amburgo 1707, musica di Reinhard Keiser, atto II, scena 6), dov’è citato insieme con Margherita Salicola, Francesco Ballarini e Pollarolo.

Il 25 febbraio 1701 Pistocchi e Torelli furono assunti nella ristabilita cappella di S. Petronio, sotto il magistero di Perti, e collocati alla testa del coro e dell’orchestra, ben pagati per singola funzione e con posizione semipermanente. Pistocchi compose nuove partiture per la basilica, come il «mottetto per [la festa di] s. Petronio a 8, con due cori di strumenti» del quale diede anticipazioni a Perti nel 1703 (Bologna, Museo della musica, P.146.5). Rientrato in Italia, il castrato puntò inoltre a individuare un erede e a costituire intorno a sé una famiglia tramite adozioni.

Una satira diffusa a Venezia nel 1704 informa del declino vocale del cantante (Bologna, Museo della musica, H.63, c. 96: l’articolazione del suo trillo è paragonata allo scuotimento di un sacco di noci). Ritiratosi dalle scene, Pistocchi continuò per oltre un lustro a esibirsi nelle chiese e nei palazzi patrizi, perlopiù a Bologna (per esempio, in funzioni dell’Arciconfraternita di S. Maria della Morte; a palazzo Albergati, dove nel 1706 prese parte alla serenata Amore e amante di Pirro Albergati Capacelli, «accompagnata da quasi cento istromenti»; e a palazzo Ranuzzi, dove nel 1709 cantò a una festa per Cristiano VI re di Danimarca), nonché a Novara (dove nel 1711 partecipò come cantante e compositore alle feste per la traslazione delle reliquie di s. Gaudenzio). Diede quindi alle stampe un’«opera terza» di Duetti e terzetti (Bologna, Silvani, 1707; ed. moderna a cura di A. Béjar Bartolo, Lucca 2015), dedicata all’elettore palatino Giovanni Guglielmo, e nel 1710 compose l’atto II di un’ultima opera teatrale per il teatro Pubblico di Reggio (I rivali generosi, in collaborazione con Monari e Giovanni Maria Capelli). Nel contempo si affermò come capofila della scuola di canto bolognese e come uno dei massimi didatti vocali dell’epoca; ebbe per allievi, tra gli altri, Gaetano Berenstadt, Antonio Maria Bernacchi, Annibale Pio Fabri, Giovanni Battista Minelli, Antonio Pasi, Domenico Tempesti e Andrea Guerri (Ferdinando de’ Medici glielo affidò di persona).

Ricevuti gli ordini sacri nel 1709, nel 1714 fu nominato cappellano d’onore dall’elettore palatino e nel 1715 entrò nella casa forlivese della Congregazione dell’Oratorio di s. Filippo Neri. Lì ebbe a disposizione mezzi e spazi per proseguire l’attività di musicista (facendosi anche, nel 1718-19, intero carico di un nuovo organo costruito da Francesco Traeri), ma abbandonò poi la casa religiosa e tornò a Bologna.

Nel testamento rogato l’11 gennaio 1725 (Busi, 1891, pp. 182-185) Pistocchi distribuì due clavicembali, molti libri di musica, ritratti di Giovanni Paolo Colonna e Legrenzi, poco altro mobilio di casa e un capitale di 4000 ducati presso i banchi di Venezia. Morì a Bologna il 13 maggio 1726 (risiedeva nella parrocchia di S. Maria Maggiore) e fu tumulato nella chiesa filippina di S. Maria di Galliera.

Tra quanti conobbero Pistocchi e ne tramandarono le virtù, Pierfrancesco Tosi lo definì «musico il più insigne de’ nostri e di tutti i tempi, il di cui nome si è reso immortale per essere stato egli l’unico inventore d’un gusto finito e inimitabile, e per aver insegnato a tutti le bellezze dell’arte senza offendere le misure del tempo» (Opinioni de’ cantori antichi e moderni, Bologna 1723, p. 65), mentre Giambattista Martini scrisse d’aver avuto anch’egli «la bella sorte di venir instruito nel canto, tanto necessario a chi vuole applicarsi a comporre in musica, dal celebratissimo cantante don Francesco Pistocchi, uno de’ più celebri professori che abbia veduto il fine del passato e il principio del secol corrente» (Storia della musica, III, Bologna 1781, p. 437). Le lettere di Pistocchi attestano l’autorità del musicista e uno spirito critico traboccante di vivacità e sarcasmo. Un suo ritratto senile è nel Museo della musica di Bologna; fu egli stesso committente di pitture e sculture di pregio (per esempio, di Felice Torelli, fratello di Giuseppe, e di Giuseppe Mazza).

Le composizioni di Pistocchi non altrimenti destinate nel testamento, «tutte cose all’antica», furono «stimate a peso, per vedere se si può ricavare qualche cosa di più della carta» (cit. in Busi, 1891, p. 185).


di Francesco Lora

http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-antonio-mamiliano-pistocchi_(Dizionario-Biografico)/


ALESSANDRO SCARLATTI



Il compositore di musica barocca Alessandro Scarlatti nasce a Palermo nel 1660.
Per gli storiografi del XIX secolo Scarlatti fu uno dei fondatori della scuola musicale napoletana, ovvero il maggiore compositore d'opera italiano tra la fine del XVII secolo e l'inizio del XVIII.

La sua vita si snoda tra Roma e Napoli, oltre ad alcune brevi soste a Venezia e Firenze.
A soli dodici anni inizia la sua prima formazione musicale a Roma sotto la guida del compositore Giacomo Carissimi.

Nel dicembre 1678 fu nominato maestro di cappella della Chiesa di S. Giacomo degli Incurabili (oggi S. Giacomo in Augusta).

Un mese più tardi ottenne la sua prima importante commissione in veste di compositore.

L'anno successivo completa la prima opera, Gli Equivoci del Sembiante, messa in scena a Roma.

Intorno a quegli anni il clima romano non è tra i più favorevoli per i compositori di opere con il divieto imposto da Papa Innocente XII alle rappresentazioni pubbliche dell'opera.

Per questo motivo Scarlatti si trova costretto a lasciare Roma per stabilirsi a Napoli dove è assunto come maestro presso la cappella del vicerè di Spagna.

A Napoli il compositore può avvalersi di importanti cantanti come la soprano Giulietta Zuffi e i castrati Paolucci e Brunswich.

Scarlatti resta al servizio della corte di Napoli per diciotto anni componendo ben trentadue opere, con una media circa di tre nuove opere all'anno.

Lo stile di Scarlatti andò evolvendosi verso la fine del XVII secolo per adeguarsi al gusto teatrale corrente. Pur conservando una scrittura fondata sul contrappunto tra voci e strumenti, le sue arie diventano più estese, e presentano sempre più spesso accompagnamenti affidati alle parti strumentali piuttosto che al solo basso continuo, come invece usava agli inizi della sua attività.

il virtuosismo richiesto ai cantanti nella sua musica, più che sfoggio di mere abilità tecniche, richiede maggiore espressività e attenzione al testo scritto.

Purtroppo con lo svolgersi della guerra di successione spagnola, la situazione a Napoli diventa difficile tanto che lo Scarlatti si trova costretto a lasciare Napoli per stabilirsi a servizio del Granduca Ferdinando II de' Medici a Firenze.

Tra i due però non c'è intesa in quanto il Granduca considera la musica dello Scarlatti troppo complessa, tanto da sentirsi costretto a lasciare Firenze per tornare a Roma dal suo precedente mecenate, il Cardinale Ottoboni.

Francesco Scarlatti

Francesco Antonio Nicola Scarlatti (Palermo, 5 dicembre 1666 – Dublino, gennaio genn. 1741 circa)  fratello minore del celebre Alessandro e zio dell’altrettanto famoso Domenico.


Francesco visse sempre sotto l’ombra dei suoi parenti molto più noti, Alessandro e Domenico Scarlatti. Tuttavia egli fu un abile musicista e ricevette parecchie nomine.

Dopo aver studiato musica presso i conservatori napoletani, il 17 febbraio 1684 fu nominato violinista della Corte Reale Napoletana, potendo quindi lavorare accanto al fratello Alessandro, che in quel periodo era stato nominato maestro di cappella. Nel 1690 sposò Rosalinda Albano, la quale nel 1706 morì dopo avergli dato cinque figli.

Nel febbraio del 1691 tornò in Sicilia, dove prestò servizio per 24 anni come maestro di cappella a Palermo. In questo periodo fu attivo anche come compositore: nel 1703 diede al Convento dell’Immacolata Concezione un dialogo a cinque voci e l’oratorio La profetessa guerriera, tra il 1699 e il 1710 all’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso di Roma altri due oratori e nel 1711ad Aversa rappresentò Lo Petracchio scremmetore, una commedia in dialetto napoletano. Nel 1715, nonostante il pieno appoggio da parte di Johann Joseph Fux, fu respinta la sua richiesta di diventare vice-maestro di cappella presso la Corte Imperiale di Vienna.



Ignazio Pollice

Ignazio Pollice (anche Pullicì) (1684-1705) è stato un italiano compositore barocco dell’epoca, da Palermo .


Egli è famoso soprattutto per il suo L’innocenza pentita: o vero la Santa Rosalia, che ha inaugurato il Teatro Santa Cecilia a Palermo nel 1693. (1)

Pochi dettagli biografici della vita di Pollice sono disponibili, ma alcune  delle sue prestazioni sono note. Era un rappresentante della scuola napoletana ed ha composto in un periodo dominato da Alessandro Scarlatti, che era anche di Palermo.

Pulici ha coposto  musica sia sacra che  profana, tra cui l’oratorio La vita rediviva nell’inventione di Santa Croce (1705), il dialogo Assalone ribelle e Scalae Jacob (1684 e il 1700, rispettivamente), e l’opera Isabella ovvero il Principe ermafrodito (1685), il dramma sacro l’innocenza pentita o vero la Santa Rosalia, il libretto era di Vincenzo Giattino.

(1) Il Teatro S. Cecilia fu fondato nel 1693 vicino alla Fieravecchia ad opera dell’Unione dei Musici. Nacque per le rappresentazioni dell’Opera. Si presentava con numerose logge e platee. Esso fu inaugurato con la rappresentazione della tragedia sacra “L’innocenza penitente” di Vincenzo Gattino, opera dedicata a S. Rosalia con le musiche di Ignazio Pulici.

Anche il Teatro S. Cecilia fu danneggiato dal terremoto del 1726 e restò chiuso fino al 1737, anno in cui fu riaperto dopo la fase di ristrutturazione.

Fu il principale teatro palermitano fino al 1809, anno in cui fu edificato il Teatro Carolino. Il suo interno fu demolito nel 1906.

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Ugo Arioti ricerche


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