Travaglio: "Palermo? Credo che esiga
la verità sulla mafia" (da: repubblica.it)
la verità sulla mafia" (da: repubblica.it)
Il giornalista porta
al Golden di Palermo il suo recital in cui racconta la trattativa, le stragi,
la città che cambia
di ENRICO BELLAVIA
La logica, è sufficiente quella, a sentire Marco Travaglio.
Basta e avanza a spiegare il ventennio contrassegnato dal vizio d'origine della
trattativa tra Stato e mafia, il patto che mise fine alle bombe del '92 e del
'93 e preparò una nuova stagione di convivenza pacifica tra Cosa nostra e chi
doveva contrastarla. Travaglio viene a Palermo, qui dove tutto è cominciato, a
raccontare questo tempo con il suo "E' stato la mafia", insieme a
Isabella Ferrari, stasera sul palcodel Golden.
Obietteranno che è presto, bisogna aspettare le sentenze.
"Di sentenze ce ne sono già un paio: che la trattativa è esistita è un dato di fatto, chi ne siano i responsabili è acclarato. Se sia un reato è materia per giudici. Altro che presto, è tardi".
La trattativa, dice chi l'ha ammessa, obbediva a una nobile ragion di Stato: evitare altro sangue.
"Chi trattava aveva le mani insanguinate, il tritolo era già esploso. Fu una resa, non un negoziato. I protagonisti dubito che andranno in galera e non mi interessa. Basterebbe che venissero fuori a spiegare che quel che hanno fatto lo hanno fatto a fin di bene e che sia la gente a decidere. Io credo che la verità li marchierebbe di infamia nei libri di storia".
La trattativa per Riina era il fine delle bombe, per quella parte dello Stato che scese a patti, fu la conseguenza. Tutto qui?
"Io parto dal summit dell'Ennese del 1991, quando dentro Cosa nostra si iniziò a parlare delle stragi e di secessione. Di quelle deliberazioni filtrò più di una notizia, ci furono allarmi e obliqui messaggi. Segno che quella fu una decisione partecipata e condivisa. Qualcuno disse a Riina: vai avanti".
Ma poi, nel 1993, Riina fu catturato. Il patto fu tradito?
"La stagione delle stragi si concluse nel '94, Cosa nostra tornò all'antico ma chi doveva pagare le cambiali continuò a farlo".
Riina fu sacrificato in nome della ragion di mafia?
"In qualche modo sì. Ma io me lo immagino dentro la sua cella a spuntare il papello ogni qual volta il Parlamento ha dato corso alle sue richieste. Così come Vito Ciancimino, quando non è servito più, è stato potato, ma non dimentichiamo che della strage di via d'Amelio e della responsabilità dei Graviano non sapevamo nulla".
Tutto il piano ebbe un suggeritore?
"Fu un piano con numerosi soggetti in campo insieme con Cosa nostra che poi si sono prodigati per depistare e tenere sepolti i segreti, pagando sempre il prezzo di quel patto".
L'ammorbidimento del carcere duro?
"Il 41 bis fu la prima cambiale, poi seguirono altri provvedimenti, dall'abolizione dell'ergastolo allo scudo fiscale".
Lei è ha prestato fede a Massimo Ciancimino, si è ricreduto?
"Non ho mai creduto che fosse un santo, ma che abbia fornito delle verità e documenti autentici con un unico falso. Quello che gli è capitato lo considero un suicidio giudiziario indotto. Quando si è spinto troppo in là gli è stato detto: ritrattare non puoi, allora sputtanati. E lui lo ha fatto. D'altro canto, se il papello non esiste come hanno fatto a rispondere punto su punto a quel che Cosa nostra desiderava?".
Quando si esaurisce quella lista, quel papello?
"Fin quando quel ceto politico che ha traccheggiato vent'anni fa determinerà scelte del Paese, la trattativa va avanti".
Il patto tiene?
"Tengono i ricatti incrociati. Ho ancora nelle orecchie le parole di Gherardo Colombo a Giuseppe D'Avanzo: le convergenze sulla giustizia sono il frutto di ricatti".
Storia d'oggi, insomma, non archeologia?
"Storia attuale anche per le innumerevoli analogie che legano la stagione del 1992 a quella presente".
Si riferisce ai nuovi propositi stragisti di Riina?
"Certo e spero che anche questo evento sia l'occasione per saggiare il grado di con-sapevolezza della città rispetto al pericolo che corre Nino Di Matteo che deve subire un procedimento disciplinare per un'intervista aRepubblicanella quale non violò alcun segreto".
Ha dubbi sulla consapevolezza della città?
"L'ho vista cambiare, l'ho vista esigere la verità ben al di là del dato giudiziario".
Consapevole fino al punto di fiutare certo professionismo antimafia, per dirla con Sciascia?
"Sciascia sbagliò bersaglio ma individuò un rischio. Credo che i siciliani siano attrezzati per riconoscere l'antimafia parolaia e i sepolcri imbiancati".
Consapevolezza e cambiamento politico non segnano sempre lo stesso tempo...
"Anche in Sicilia qualcosa sta cambiando. Mi pare presto per dare un giudizio su Crocetta ma è fin troppo ovvio dire che non è assimilabile a Cuffaro o Lombardo. Al netto di certe trovate istrioniche o di certe ingenuità. La speranza è un po' svanita anche perché carica di aspettative. Lo attendiamo alla prova dei fatti".
Tanto più che un suo amico come Antonio Ingroia andrà a lavorare con lui. Lo trova normale?
"Credo sia un bene se va a mettere pulizia in qualche carrozzone mangiasoldi. Pur capendo le ragioni personali, rimango convinto che un magistrato bravo debba rimanere a fare il magistrato".
Diffida dei giudici in politica?
"No, credo che i diritti civili debbano essere tolti ai criminali non ai magistrati".
L'esperienza politica di Ingroia però non è stata esaltante...
"Ha sbagliato i tempi. Ma rimane intatto lo slancio ideale che ha messo in quel progetto. Sarebbe stato utile in un Parlamento nel quale il centrosinistra si sta autodistruggendo e dare una mano ai grillini che peccano di ingenuità".
E della capacità di tradurre in politica il consenso, come per la legge elettorale?
"Se non ci fossero loro a colmare un poco del vuoto di opposizione andrebbe anche peggio. Di cazzate ne hanno fatte ma sul no a indulto e amnistia li ho apprezzati".
Però le carceri scoppiano...
"Le si svuota abolendo leggi frutto di demagogia e populismo. Amnistia e indulto perpetuano l'idea di impunità".
Ne usciremo?
"Con il ricambio del ceto politico. Con gente non più ricattabile in nome di quella trattativa. Capace davvero di toccare i patrimoni mafiosi anziché vendere le spiagge. Qui non possiamo aspettare che arrivi o il becchino o una retata. Perché neppure le retate bastano".
Obietteranno che è presto, bisogna aspettare le sentenze.
"Di sentenze ce ne sono già un paio: che la trattativa è esistita è un dato di fatto, chi ne siano i responsabili è acclarato. Se sia un reato è materia per giudici. Altro che presto, è tardi".
La trattativa, dice chi l'ha ammessa, obbediva a una nobile ragion di Stato: evitare altro sangue.
"Chi trattava aveva le mani insanguinate, il tritolo era già esploso. Fu una resa, non un negoziato. I protagonisti dubito che andranno in galera e non mi interessa. Basterebbe che venissero fuori a spiegare che quel che hanno fatto lo hanno fatto a fin di bene e che sia la gente a decidere. Io credo che la verità li marchierebbe di infamia nei libri di storia".
La trattativa per Riina era il fine delle bombe, per quella parte dello Stato che scese a patti, fu la conseguenza. Tutto qui?
"Io parto dal summit dell'Ennese del 1991, quando dentro Cosa nostra si iniziò a parlare delle stragi e di secessione. Di quelle deliberazioni filtrò più di una notizia, ci furono allarmi e obliqui messaggi. Segno che quella fu una decisione partecipata e condivisa. Qualcuno disse a Riina: vai avanti".
Ma poi, nel 1993, Riina fu catturato. Il patto fu tradito?
"La stagione delle stragi si concluse nel '94, Cosa nostra tornò all'antico ma chi doveva pagare le cambiali continuò a farlo".
Riina fu sacrificato in nome della ragion di mafia?
"In qualche modo sì. Ma io me lo immagino dentro la sua cella a spuntare il papello ogni qual volta il Parlamento ha dato corso alle sue richieste. Così come Vito Ciancimino, quando non è servito più, è stato potato, ma non dimentichiamo che della strage di via d'Amelio e della responsabilità dei Graviano non sapevamo nulla".
Tutto il piano ebbe un suggeritore?
"Fu un piano con numerosi soggetti in campo insieme con Cosa nostra che poi si sono prodigati per depistare e tenere sepolti i segreti, pagando sempre il prezzo di quel patto".
L'ammorbidimento del carcere duro?
"Il 41 bis fu la prima cambiale, poi seguirono altri provvedimenti, dall'abolizione dell'ergastolo allo scudo fiscale".
Lei è ha prestato fede a Massimo Ciancimino, si è ricreduto?
"Non ho mai creduto che fosse un santo, ma che abbia fornito delle verità e documenti autentici con un unico falso. Quello che gli è capitato lo considero un suicidio giudiziario indotto. Quando si è spinto troppo in là gli è stato detto: ritrattare non puoi, allora sputtanati. E lui lo ha fatto. D'altro canto, se il papello non esiste come hanno fatto a rispondere punto su punto a quel che Cosa nostra desiderava?".
Quando si esaurisce quella lista, quel papello?
"Fin quando quel ceto politico che ha traccheggiato vent'anni fa determinerà scelte del Paese, la trattativa va avanti".
Il patto tiene?
"Tengono i ricatti incrociati. Ho ancora nelle orecchie le parole di Gherardo Colombo a Giuseppe D'Avanzo: le convergenze sulla giustizia sono il frutto di ricatti".
Storia d'oggi, insomma, non archeologia?
"Storia attuale anche per le innumerevoli analogie che legano la stagione del 1992 a quella presente".
Si riferisce ai nuovi propositi stragisti di Riina?
"Certo e spero che anche questo evento sia l'occasione per saggiare il grado di con-sapevolezza della città rispetto al pericolo che corre Nino Di Matteo che deve subire un procedimento disciplinare per un'intervista aRepubblicanella quale non violò alcun segreto".
Ha dubbi sulla consapevolezza della città?
"L'ho vista cambiare, l'ho vista esigere la verità ben al di là del dato giudiziario".
Consapevole fino al punto di fiutare certo professionismo antimafia, per dirla con Sciascia?
"Sciascia sbagliò bersaglio ma individuò un rischio. Credo che i siciliani siano attrezzati per riconoscere l'antimafia parolaia e i sepolcri imbiancati".
Consapevolezza e cambiamento politico non segnano sempre lo stesso tempo...
"Anche in Sicilia qualcosa sta cambiando. Mi pare presto per dare un giudizio su Crocetta ma è fin troppo ovvio dire che non è assimilabile a Cuffaro o Lombardo. Al netto di certe trovate istrioniche o di certe ingenuità. La speranza è un po' svanita anche perché carica di aspettative. Lo attendiamo alla prova dei fatti".
Tanto più che un suo amico come Antonio Ingroia andrà a lavorare con lui. Lo trova normale?
"Credo sia un bene se va a mettere pulizia in qualche carrozzone mangiasoldi. Pur capendo le ragioni personali, rimango convinto che un magistrato bravo debba rimanere a fare il magistrato".
Diffida dei giudici in politica?
"No, credo che i diritti civili debbano essere tolti ai criminali non ai magistrati".
L'esperienza politica di Ingroia però non è stata esaltante...
"Ha sbagliato i tempi. Ma rimane intatto lo slancio ideale che ha messo in quel progetto. Sarebbe stato utile in un Parlamento nel quale il centrosinistra si sta autodistruggendo e dare una mano ai grillini che peccano di ingenuità".
E della capacità di tradurre in politica il consenso, come per la legge elettorale?
"Se non ci fossero loro a colmare un poco del vuoto di opposizione andrebbe anche peggio. Di cazzate ne hanno fatte ma sul no a indulto e amnistia li ho apprezzati".
Però le carceri scoppiano...
"Le si svuota abolendo leggi frutto di demagogia e populismo. Amnistia e indulto perpetuano l'idea di impunità".
Ne usciremo?
"Con il ricambio del ceto politico. Con gente non più ricattabile in nome di quella trattativa. Capace davvero di toccare i patrimoni mafiosi anziché vendere le spiagge. Qui non possiamo aspettare che arrivi o il becchino o una retata. Perché neppure le retate bastano".
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