Inchiesta
Cerchiamo di capire come funziona la macchina dell'accoglienza in Italia, sappiamo che ci sono profughi di serie A e di serie B, sappiamo che un fiume di denaro si muove dietro le quinte e che entro il 2020 saranno più di tre milioni di individui quelli in fuga dalla fame e da situazioni di imraticabilità civile dei loro Paesi e ......
Chi specula sui profughi
Un miliardo e 300 milioni: è quello
che ha speso finora lo Stato per assistere le persone fuggite da Libia e
Tunisia. Un fiume di denaro senza controllo. Che si è trasformato in business
per albergatori, coop spregiudicate e truffatori
di Michele
Sasso e Francesca Sironi ( L'Espresso @2012)
Erano affamati e disperati, un'ondata umana in fuga dalla rivoluzione in
Tunisia e dalla guerra in Libia: fra marzo e settembre dello scorso anno
l'esodo ha portato sulle nostre coste 60 mila persone. Profughi, accolti come
tali dall'Italia o emigrati in fretta nel resto d'Europa: solo 21 mila sono
rimasti a carico della Protezione civile. Ma l'assistenza a questo popolo senza
patria è stata gestita nel caos, dando vita a una serie di raggiri e truffe.
Con un costo complessivo impressionante: la spesa totale entro la fine
dell'anno sarà di un miliardo e 300 milioni di euro. In pratica: 20 mila euro a
testa per ogni uomo, donna o bambino approdato nel nostro Paese. Ma i soldi non
sono andati a loro: questa pioggia di milioni ha alimentato un suk, arricchendo
affaristi d'ogni risma, albergatori spregiudicati, cooperative senza scrupoli.
Per ogni profugo lo Stato sborsa fino a 46 euro al giorno, senza verificare le
condizioni in cui viene ospitato: in un appartamento di 35 metri quadrati
nell'estrema periferia romana ne sono stati accatastati dieci, garantendo un
reddito di oltre 12 mila euro al mese.
IN NOME DELL'EMERGENZA. Ancora una volta emergenza è
diventata la parola magica per scavalcare procedure e controlli. Gli enti
locali hanno latitato, tutto si è svolto per trattative privata: un mercato a
chi si accaparrava più profughi. E il peggio deve ancora arrivare. I fondi
finiranno a gennaio: se il governo non troverà una soluzione, i rifugiati si
ritroveranno in mezzo alla strada. In Italia sono rimaste famiglie africane e
asiatiche che lavoravano in Libia sotto il regime di Gheddafi. La prima ondata,
composta soprattutto da giovani tunisini, ha preso la strada della Francia
grazie al permesso umanitario voluto dall'allora ministro Roberto Maroni. Ma
quando Parigi ha chiuso le frontiere, lo stesso Maroni ha varato una strategia federalista:
ogni regione ha dovuto accogliere un numero di profughi proporzionale ai suoi
abitanti (vedi grafico a pag. 39). A coordinare tutto è la Protezione civile,
che da Roma ha incaricato le prefetture locali o gli assessorati regionali come
responsabili del piano di accoglienza. Ma, nella fretta, non ci sono state
regole per stabilire chi potesse ospitare i profughi e come dovessero essere
trattati. Così l'assistenza si è trasformata in un affare: bastava una sola
telefonata per venire accreditati come "struttura d'accoglienza" e
accaparrarsi 1.200 euro al mese per ogni persona. Una manna per centinaia di
alberghi vuoti, ex agriturismi, case-vacanze disabitate, residence di periferia
e colonie fatiscenti.
IL MERCATO DEI RIFUGIATI. Dalle Alpi a Gioia Tauro, gli
imprenditori del turismo hanno puntato sui rifugiati. A spese dello Stato. Le
convenzioni non sono mai un problema: vengono firmate direttamente con i
privati, nella più assoluta opacità. Grazie a questo piano, ad esempio, 116
profughi sono stati spediti, in pantaloncini e ciabatte, dalla Sicilia alla Val
Camonica, a 1.800 metri di altezza. I proprietari del residence Le Baite di
Montecampione non sono stati i soli a fiutare l'affare. Anche nella vicina Val
Palot un politico locale dell'Idv, Antonio Colosimo, ne ha ospitati 14 nella
sua casa-vacanze, immersa in un bosco: completamente isolati per mesi, non
potevano far altro che cercare funghi. I più furbi hanno trattato anche sul
prezzo. La direttiva ufficiale, che stabilisce un rimborso di 40 euro al giorno
per il vitto e l'alloggio (gli altri 6 euro dovrebbero essere destinati
all'assistenza), è arrivata solo a maggio. Nel frattempo, la maggior parte dei
privati aveva già ottenuto di più. Gli albergatori napoletani sono riusciti a
strappare una diaria di 43 euro a testa. Non male, se si considera che in 22
alberghi sono ospitate, ancora oggi, più di mille persone. «La domanda
turistica al momento degli sbarchi era piuttosto bassa», ammette Salvatore
Naldi, presidente della Federalberghi locale. La Protezione civile prometteva
che sarebbero state strutture temporanee. Non è andata così: solo all'Hotel
Cavour, in piazza Garibaldi, di fronte alla Stazione centrale, dormono tutt'ora
88 nordafricani. Le stanze, tanto, erano vuote: i viaggiatori si tengono alla
larga, a causa dell'enorme cantiere che occupa tutta la piazza. Ma grazie ai
rifugiati i proprietari sono riusciti lo stesso a chiudere la stagione: hanno
incassato quasi 2 milioni di euro.
I richiedenti asilo però non sono turisti, ma persone che hanno bisogno di
integrarsi. La legge prevede che ci siano servizi di mediazione culturale, che
sono rimasti spesso un miraggio o sono stati appaltati a casaccio:«A Napoli
sono spuntate in pochi mesi decine di associazioni mai sentite nominare», denuncia
Jamal Qadorrah, responsabile immigrazione della Cgil Campania: «Ogni
albergatore poteva affidare i servizi a chi voleva, nonostante ci sia un albo
regionale degli enti competenti. Tutti, puntualmente, ignorati». Non solo. «A
luglio di quest'anno abbiamo organizzato un incontro fra il Comune e gli
albergatori», racconta Mohamed Saady, sindacalista della Cisl: «Diverse
strutture non avevano ancora un mediatore». Ed era passato più di un anno
dall'inizio dell'emergenza.
I FURBETTI DEL MONASTERO. Il business dei nuovi arrivati
non ha lasciato indifferenti nemmeno i professionisti della solidarietà.
Cooperative come Domus Caritatis, che gestisce otto comunità solo a Roma. Anche
i suoi centri sono finiti nel mirino di Save The Children e del garante dell'infanzia
e dell'adolescenza del Lazio. Dopo numerose segnalazioni l'ong è andata a
controllare 14 strutture della capitale che si fanno rimborsare 80 euro al
giorno per l'accoglienza di minori stranieri non accompagnati. Il risultato è
un rapporto inquietante, presentato a maggio alla Protezione civile e al
Viminale, che "l'Espresso" ha esaminato. Si parla di
sovraffollamento, ma soprattutto di senzatetto quarantenni fatti passare per
ragazzini scappati dalla Libia. Durante l'indagine sono stati intervistati 145
profughi. «Più di cento erano palesemente maggiorenni», denuncia l'autrice del
rapporto, Viviana Valastro: «Quelli che avevo di fronte a me erano adulti.
Altro che diciassettenni. Non posso sbagliarmi». Non solo. «Molti di loro erano
in Italia da tempo, non da pochi mesi. Alcuni arrivavano dagli scontri di
Rosarno».
Doppia truffa insomma: sull'età e sulla provenienza, per avere un rimborso più
che maggiorato e intascare milioni di euro. Tutto questo da parte di una
cooperativa strettamente legata all'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento
e di San Trifone e a La Cascina, la grande coop della ristorazione che tre anni
fa è stata al centro di un'inchiesta per il tentativo di entrare nella gestione
dei cpt. Save The Children non è stata la sola a denunciare la situazione
romana. Anche il presidente della commissione capitolina per la sicurezza,
Fabrizio Santori, esponente del Pdl, ha dovuto occuparsi di Domus Caritatis. La
cooperativa infatti gestiva una comunità che dava grossi problemi al vicinato,
da cui arrivavano continue proteste. Santori l'ha visitata e si è trovato
davanti ad alloggi di 35 metri quadri abitati da 10 persone. Peggio che in un
carcere. Eppure gli appartamentini di via Arzana, a metà strada fra Roma e
Fiumicino, più vicini all'aeroporto che alla città, permettevano di incassare
più di 12 mila euro al mese.
Save The Children ha calcolato che in strutture di questo tipo, nella capitale,
vivono quasi 950 persone. Dati incerti, perché solo cinque cooperative hanno
accettato di fornirli. Domus Caritatis, dalla sua sede all'abbazia trappista
delle Tre Fontane, non ha voluto dare alcuna informazione. Il dossier dell'ong
internazionale descrive un caos assoluto: mancanza di responsabili, nessun
servizio di orientamento e accompagnamento legale, strutture inadeguate.
ACCOGLIENZA ALLA MILANESE. Al Nord la situazione non
cambia. A Milano si registrano casi come quello della ex scuola di via
Saponaro, gestito dalla Fondazione Fratelli di San Francesco d'Assisi, che ha
accolto 150 rifugiati. Ospitati in una comunità per la cura dei senzatetto,
l'accoglienza dei minori e degli ex carcerati: 400 persone, con esigenze
diverse, costrette a vivere sotto lo stesso tetto in una vecchia scuola. «Le
condizioni sono orribili: 10-12 letti per ogni camerata. E pieni di pidocchi e
pulci», racconta un ragazzo ancora ospite. Le stanze sono inadatte perché
costruite per ospitare alunni, non profughi, né tantomeno clochard che vivono
in strada. «Un contenitore della marginalità sociale dove sono frequenti le
risse: nigeriani contro kosovari, ghanesi contro marocchini e la lista dei
ricoverati in ospedale si allunga ogni giorno», racconta chi è entrato tra
quelle mura. Anche il personale è ridotto al minimo con pochi mediatori
culturali (che spesso sono ex ospiti che non disdegnano le maniere forti per
mantenere l'ordine), un solo assistente sociale e una psicologa per dieci ore
alla settimana. Troppo poche per chi ha conosciuto gli orrori della guerra, le
botte della polizia libica e porta sulla propria pelle i segni delle violenze.
Anche i disturbi psichici abbondano, insieme all'alcolismo dilagante.
A sette chilometri dai frati, 440 profughi hanno trovato alloggio a
Pieve Emanuele, estrema periferia Sud di Milano. Qui sono stati ospitati nel
residence Ripamonti, di proprietà del gruppo Fondiaria Sai, appena passata
sotto il controllo di Unipol ma all'epoca saldamente in mano a Salvatore
Ligresti. I clienti abituali dell'albergo sono poliziotti, guardie del vicino
carcere di Opera o postini, che non bastano a riempire i 4 mila posti letto
dell'albergo. Grazie all'emergenza però nelle settimane di massimo afflusso
sono entrati nelle casse di Fonsai oltre 600 mila euro al mese. Vacanze forzate
in alloggi confortevoli (le camere sono dotate anche di tivù satellitare) ma dove
sono mancati completamente i corsi per imparare l'italiano o l'assistenza
legale e psicologica. «Si poteva trovare una sistemazione più modesta e
investire in altri sussidi» dice, banalmente, un ragazzo del Ghana. Oggi a
Pieve Emanuele sono rimasti in 80. Ma nel frattempo al residence sono andati
quasi sette milioni di euro.
PER UN PIATTO DI RISO. Lo Stato ha speso per
l'emergenza 797 milioni di euro nel 2011 e altri 495 milioni nel 2012. Solo una
parte è servita per l'accoglienza: centinaia di milioni di euro sono finiti in
tendopoli, spostamenti, trasferte, rimborsi agli uffici di coordinamento. Fondi
di cui si è persa la traccia. E sì che proprio per il buon uso dei soldi
pubblici era stato istituito un "Gruppo di monitoraggio e assistenza",
con il compito di visitare le strutture e segnalare i casi critici. Ma della
task force degli ispettori dopo pochi mesi non si è saputo più nulla. «Noi
facevamo parte del progetto ma da ottobre 2011 non siamo più stati convocati.
Considerando che è partito ad agosto, il gruppo è durato meno di tre mesi»,
spiega a "l'Espresso" Laura Boldrini, portavoce dell'Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: «È mancato completamente il
controllo da parte delle regioni e delle prefetture». La Corte dei conti della
Calabria è andata oltre: ha messo nero su bianco che le convenzioni
sottoscritte nella regione sono illegittime, perché non sono state sottoposte
al controllo preventivo della Corte, obbligatorio anche nell'emergenza. Non
solo. I giudici contabili di Catanzaro definiscono "immotivata" la
diaria: 46 euro al giorno sono troppi. E pensare che in provincia di Latina
sono riusciti a intascarseli quasi tutti spendendo solo 5 euro al giorno, per
garantire a 75 profughi un misero piatto di riso. I cinque avidi gestori della
cooperativa Fantasie sono stati arrestati dai carabinieri di Roccagorna.
Insospettiti dall'aumento di stranieri in paese, i militari sono arrivati ad un
casolare dove hanno trovato 46 persone alloggiate in 70 metri quadri.
Nonostante il blitz la cooperativa ha continuato a ricevere i contributi della
Regione Lazio per altri sei mesi: una truffa da 400 mila euro. Con le stesse
risorse Aurelio Livraghi, volontario della Caritas di Magenta, in provincia di
Milano, è riuscito a fare tutt'altro. «Milioni di italiani vivono con 1.200
euro al mese, perché loro no?». Osservazione semplice. Di un pensionato, che ha
dedicato ai 35 profughi arrivati in paese le sue giornate. Persone oggi
indipendenti: pagano un affitto, fanno la spesa, quattro di loro hanno già un
lavoro. Recitano anche in teatro. Una vita normale: altro che emergenza. E
quando finiranno i fondi? «Potranno andare avanti almeno un po' perché sono
riuscito a fargli mettere da parte dei risparmi». Non era difficile, sarebbe
bastato un minimo di organizzazione. E di umanità.