Non
poteva fare a meno di pensare alla telefonata ricevuta al mattino, dopo anni di
silenzio, dal padre vecchio, lontano e fuori dalla possibilità di essere ancora
considerato un padre effettivo. Per lui, che lo aveva amato come tutti i
bambini e poi ripudiato, quando il suo comportamento nei confronti della madre
era diventato, ai suoi occhi di adolescente, troppo violento, questa
paternità era rimasta legata solo all’anagrafe e, pur soffrendo l’abbandono che
soffrono i figli, lo aveva stigmatizzato e quasi catalogato come un dolore
“morto”, da tenere rigorosamente ibernato.
Per
la verità, anche per ragioni pratiche, aveva continuato a sentirlo e, raramente (quando gli era stato possibile, visto che abitava a milleecinquecento chilometri di distanza dalla sua base)
a visitarlo, ma la speranza di ricreare un rapporto “semplicemente umano e
civile” con lui si era infranta sullo scoglio della sua memoria e della sua
realtà di padre profugo, anzi un genitore autoproclamatosi esule, come andava
ripetendo sempre. diceva che lo aveva dovuto fare per salvare la faccia onorata, non degli altri componenti della casa,
ma la sua (la sua immagine pubblica!); così, il vecchio, aveva abbandonato la barca quando credeva potesse
affondare….Ormai la sua verità era soltanto sua e non ci poteva essere nessun
riscontro con quelle del resto della famiglia che si era messa all’opera per
sanare le falle che lui aveva lasciato e, con grande fatica, aveva rimesso la barca in mare affrontando
le tempeste della Natura e i tranelli del capitano disertore.
“
Ora che ricordo”- pensò- “ Non è venuto neanche al mio matrimonio
perché lo potevano imbarazzare gli sguardi e il parlare dei parenti. E’ strana
la vita, ora si preoccupa del mio possibile divorzio! Mah!”
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