Musica
e musicisti e compositori barocchi di Palermo, la capitale
guglielmina del Regno di Sicilia
Vincenzo
Amato
Nacque
in Ciminna il 6 gennaio 1629 da Giandomenico e Laura Amato, persone
di onesta ed onorata condizione.
Da
giovinetto entrò nel seminario arcivescovile di Palermo e, finito il
corso degli studi, ottenne la laurea in sacra Teologia. Ma non fu per
questo che egli si rese celebre e fece onore al suo paese. Iniziato
negli ordini sacri si diede con tutto l’animo allo studio della
musica secondando la sua naturale inclinazione, e in questo studio
riusci espertissimo. Infatti nel 1656 pubblicò in Palermo alcuni
lavori pregevolissimi, che sono giunti sino a noi:
1.
Sacri concerti a 2, 3, 4 e 5 voci, con una messa a 3 e a 4 voci.
Libro I. Opera I. Pan. apud Bisagnium 1656.
2.
Messa e salmi di Vespro e Compieta a 4 e 5 voci. Libro I. Op. II.
Ibid. 1656.
Oltracciò,
mise in canto a recitativo piu o meno allungato, secondo il senso
delle parole che esprime con forza e con verità, la Passione
scritta da S. Matteo e quella da S. Giovanni, che si
cantano ancora in tutte le chiese di Sicilia; lo stile e semplice e
assai devoto, allorché si eseguisce solo quello che vi ha notato
l’autore.
A
Roma fu riguardato come un capolavoro di canto sacro, e l'Abate Vito
Amico, nel suo Dizionario topografico narra che, pochi anni prima
della rivoluzione francese, gli fu richiesta dall’Abbate Zeril,
ex-gesuita palermitano, che allora trovavasi stabilito a Mayenne,
città della Francia, la musica di Amato del Vangelo secondo S.
Matteo e che, eseguita sotto la sua direzione dai preti francesi,
piacque moltissimo, come gliene scrisse lo stesso Zeril con sue note.
Per questi meriti, nell’anno 1665, fu eletto maestro di cappella
nella cattedrale di Palermo, ove espresse armonici concerti, uditi
sempre con piacere e con lode dal pubblico.
Egli
diede un grande impulso alla musica sacra nel secolo XVII, e fece
sentire in Palermo le sue Passioni piu di mezzo secolo prima, che il
celebre Giov. Sebastiano Bach, nel 1729, facesse eseguire, per la
prima volta a Lipsia, la sua Passione secondo S. Matteo.
Mori
in Palermo il 29 luglio 1670 nella giovane età di 42 anni. Ebbe
solenni esequie, alle quali intervennero il corpo di tutti i musici,
il capitolo e il clero della cattedrale, e fu sepolto nella chiesa di
S. Ninfa dei chierici regolari addetti al servizio degli infermi, ora
detta dei Crociferi, menzionato dal Mongitore nella Biblioteca
Sicula.
Sigismondo
D’India
Sigismondo d’India
(Palermo, 1582 circa – Modena, 19 aprile 1629)
Egli
fu un considerevole compositore, contemporaneo a Claudio Monteverdi.
Scrisse musiche di vario genere molto apprezzate al suo tempo.
Nacque
probabilmente a Palermo nel 1582, ma i dettagli sulla sua vita sono
sconosciuti fino a circa il 1600.
Non
si conosce nulla della sua prima formazione musicale tranne ciò che
lui stesso scrive nella prefazione alle Musiche, 1609:
“…insino dalla fanciullezza mi procurai di conversare con
huomini intelligenti della Musica, et da suoi dotti discorsi imparare
ciò, che desideravo sapere sì del comporre a più voci, come del
cantar solo.“.
Durante
il primo decennio del Seicento, egli viaggiò per l’Italia in lungo
e in largo, incontrando altri compositori, acquisendo i favori dei
principi alle cui corti si presentava e assorbendo gli stili musicali
degli artisti che incontrava. Il suo fu un periodo di transizione
nella storia della musica; lo stile polifonico del tardo Rinascimento
dava luogo alla monodia del primo barocco.
Sigismondo
d’India acquisì in maniera molto efficace le novità stilistiche
trovate in giro per l’Italia: gli espressivi madrigali di Luca
Marenzio, le grandi opere polifonichedella Scuola veneziana,
la polifonia conservatrice della Scuola romana, il tentativo
di recuperare la musica della classicità greca con la monodia e lo
sviluppo della nuova forma musicale che sfocerà nell’opera lirica.
È noto che egli fu a Firenze, dove nacque la prima opera lirica, e
quindi a Mantova dove operava Claudio Monteverdi. Nel 1610 fu anche a
Napoli, a Parma ed a Piacenza. Nel 1611 fu invitato a Torino alla
corte del Duca di Savoia dove rimase fino al 1623. Questo fu il
periodo più importante della sua carriera di compositore, in cui
mise in atto tutto quanto aveva appreso nel suo girovagare dal 1600
al 1610.
Lasciata
Torino, apparentemente a causa di intrighi politici, andò a Modena e
quindi a Roma; sembra comunque che sia morto a Modena, stando
all’indicazione di un documento ritrovato in questa città
indirizzato agli “Heredi del Sig. Cavaliero d’India”
suggerisce il giorno 19 aprile 1629 come termine ante quem per
la data di morte.
Esistono
anche notizie circa un invito da parte di Massimiliano I in Baviera
ma probabilmente Sigismondo d’India morì prima di potervisi
recare.
Sigismondo
d’India si cimentò in tutte le forme musicali in voga al suo
tempo, quali monodie, madrigali e mottetti.
Le
sue monodie, la maggior parte delle sue opere, erano di diverso tipo:
arie, lamentazioni, madrigali in stile monodico ed altri ancora.
La
musica di d’India è stilisticamente simile a quella di Monteverdi
dello stesso periodo: cromatismi espressivi, dissonanze risolte in
maniera insolita ed un profondo senso drammatico. Alcune lunghe
monodie assomigliano a scene d’opera, anche se d’India non
scrisse mai qualcosa che potesse chiamarsi opera.
Alcuni
lavori della sua ultima produzione hanno la caratteristica di
assommare in essi quasi tutti gli stili, dei più famosi compositori
italiani, in un solo pezzo.
Nella
prefazione alle citate Le musiche da cantar solo… (Milano
1606) Sigismondo d’India, prende le distanze da quegli autori che
creavano composizioni monotone e afferma: “…ritrovai che si
poteva comporre nella vera maniera con intervalli non ordinarij,
passando con più novità possibili da una consonanza all’altra,
secondo la varietà de i sensi delle parole, et che per questo mezo i
canti havrebbono maggior affetto, et maggior forza nel mover gli
affetti dell’animo di quello, c’havessero potuto operare, se
fossero tutte state composte ad un modo con ordinarij movimenti…”
Drammi
in musica
Madrigali
Primo
libro de’ madrigali a 5 voci (Milano 1606)
Secondo
libro de’ madrigali a 5 voci (Venezia 1611)
Terzo
libro de’ madrigali a 5 voci con il suo basso continuato
(Venezia 1615)
Quarto
libro de’ madrigali a 5 voci (Venezia 1616)
Quinto
libro de’ madrigali a 5 voci (Venezia 1616)
?
Del Sesto libro de’ madrigali a 5 voci ? non è stata
trovata voce in diversi cataloghi, si può considerare forse
perduto.
Settimo
libro de’ madrigali a 5 voci (Roma 1624)
Ottavo
libro de’ madrigali a 5 voci con basso contuinuo (Roma 1624)
Composizioni
vocali
Villanelle
alla napoletana a 3 voci libro I (Napoli 1608)
Le
musiche da cantar solo nel clavicordo, chitarrone, arpa doppia
(Milano 1609)
Secondo
libro delle villanelle alla napolitana a 3-4 voci (Napoli 1612)
Le
musiche a 2 voci (Milano 1615)
Le
musiche…Libro III a 1 e 2 voci (Milano 1618)
Le
musiche e balli a 4 voci con basso continuo (Venezia 1621)
Le
musiche a 1 et 2 voci libro IV (Venezia 1621)
Le
musiche a 1 voce Libro V (Venezia 1623)
Composizioni
sacre
S.
Eustachio dramma sacro, libretto di Filippo San Martino di Agliè
(Roma 1625)
Liber
secundus sacrorum concentuum 3-4 voci (Venezia 1610)
Liber
primus motectorum a 4 voci col basso seguente (Venezia 1627)
La
Missa Dominae clamavi ad Te 1626 (in manoscritto)
https://it.wikipedia.org/wiki/Sigismondo_d%27India
Francesco
Mamiliano Pistocchi
PISTOCCHI,
Francesco Antonio Mamiliano (detto il Pistocchino o il
Pistocco). – Figlio di Giovanni, violinista cesenate, nacque a
Palermo nel 1659.
L’assunzione del padre nella cappella musicale
di S. Petronio, il 9 settembre 1661, attesta il trasferimento o il
ritorno della famiglia a Bologna. Istruito dal padre nella
composizione e nel canto, Pistocchi manifestò un precocissimo
talento musicale. A otto anni licenziò un libro di Capricci
puerili variamente composti e passeggiati in 40 modi […] per
suonarsi nel clavicembalo, arpa, violino et altri stromenti
«sopra un basso d’un balletto» (cioè sul tema del ‘ballo di
Mantova’; Bologna, Giacomo Monti, 1667), dedicato al gonfaloniere
di giustizia e agli Anziani della città di Bologna; l’avviso al
lettore riferisce prodezze antecedenti: a tre anni il bambino aveva
incantato «nelle publiche accademie […] coi suoi canti», e a
cinque era stato ammirato dal principe ereditario di Toscana, il
futuro Cosimo III, e da molti porporati che l’avevano ascoltato
nelle chiese di Bologna o in privato. Nel maggio 1670 cantò in
alcune funzioni in S. Petronio; nel settembre successivo il padre
interruppe il proprio servizio, forse per lavorare altrove insieme
con il ragazzo.
Ai primi del 1674 i due presentarono una supplica
ai fabbriceri della basilica: Giovanni per «esser rimesso nel suo
posto di violino e tenore» e Francesco Antonio per «essere ammesso
per soprano»; il 14 febbraio furono accolti, rispettivamente con due
e sei ducatoni mensili. A libro paga nel 1675 e nel 1676, già nel
maggio 1675 erano però «cassati e licenziati» per un’assenza non
permessa, coincidente con un’esibizione nel teatro di S. Stefano a
Ferrara (il giovane vi fece furore nel Caligula delirante di
Giovanni Maria Pagliardi: lo si desume da un sonetto in suo onore,
Avvertimento a’ Numi dell’Adria; in van der Linden,
2011, p. 59). Nel 1677 furono impiegati a Modena nella cappella di
Francesco II d’Este. Nel 1681 Francesco Antonio fu impiegato a
Venezia nella cappella di S. Marco; al più tardi l’anno dopo
debuttò come operista nel teatro di S. Moisè (Gli amori fatali,
rielaborazione di un anonimo Leandro già dato alla Riva
delle Zattere nel 1679, e forse anche Il Girello,
«rappresentato con figurine di cera»: G.C. Bonlini, Le glorie
della poesia e della musica, Venezia [1730], pp. 95 s.). Non
oltre tale altezza cronologica va collocato il graduale passaggio al
registro di contralto (che non impedì il regolare progresso della
carriera) e l’inizio dell’intima amicizia con Giuseppe Torelli e
Giacomo Antonio Perti (che gli diede «qualche direzione» di
contrappunto e che fu da lui stimato «sopra ogn’altro per il s.
Agostino della musica»: Bologna, Museo della musica, K.44.1.91.2 e
P.146.195).
Dal 1686 al 1695 fu al servizio del duca di Parma,
Ranuccio II Farnese.
Se già nei Capricci puerili vantava di
farne parte, nello stesso periodo fu aggregato all’Accademia
Filarmonica di Bologna, nella classe dei cantori il 12 giugno 1687 e
in quella dei compositori il 25 giugno 1692.
Solo dopo un decennio poté esercitare uffici
accademici – principe nel 1708 e 1710, consigliere nel 1701, 1705 e
1715, censore nel 1707 e 1711 –, ma provvide immediatamente, anche
da lontano e per tutta la vita, alle musiche di messa e vespro
eseguite ogni anno in S. Giovanni in Monte in onore del patrono,
sant’Antonio da Padova: Nel 1719 la sua presentazione di
«virtuosi quesiti» portò l’Accademia a istituire il ruolo, poi
mantenuto, dei due definitori perpetuiincaricati di dirimere
questioni teoriche.
Morto
Ranuccio II (1694) e di lì a poco licenziata quasi per intero la
cappella di S. Petronio, nel 1696 Pistocchi e Torelli presero
servizio alla corte del margravio Giorgio Federico II di
Brandeburgo-Ansbach, dove il cantante compose e interpretò lavori di
vario genere (la pastorale Il Narciso, libretto di Apostolo
Zeno, 1697: Georg Friedrich Händel ne trasse abbondanti prestiti
musicali, dal 1705 al 1748; l’oratorio Maria Vergine
addolorata, 1698; l’opera Le pazzie d’amore e
dell’interesse, 1699). Nel maggio 1697 furono invitati a
Berlino da Sofia Carlotta di Brunswick-Luneburgo, elettrice del
Brandeburgo e dedicataria del Narciso: vi si trattennero
fino ai primi dell’anno successivo. Al soggiorno si lega la
pubblicazione degli Scherzi musicali offerti da Pistocchi
all’elettore Federico III di Brandeburgo (il futuro re in Prussia):
sei cantate e due duetti italiani, due ariette tedesche e due airs
francesi (l’autore dichiara di aver imitato in questi ultimi
«lo stile gratioso dell’incomparabile Monsieur de Lully»);
l’edizione nota (Amsterdam, Estienne Roger, s.a. [ma 1698]; ed.
moderna a cura di A. Béjar Bartolo, Lucca 2015) è la probabile
contraffazione di una stampa anteriore dell’editore bolognese
Marino Silvani: non è dato di sapere se il contenuto coincida con la
perduta raccolta di Cantate op. I (recte II?),
registrata nel 1734 in un inventario dello stesso editore. Nel
carnevale 1699 Pistocchi cantò di nuovo al S. Giovanni Grisostomo di
Venezia (Faramondo e Il ripudio d’Ottavia di
Pollarolo; nello stesso periodo vi furono trattative con i teatri di
Milano e Piacenza). Ancora con Torelli e da Ansbach, sul finire del
1699 passò a Vienna alla corte dell’imperatore Leopoldo I e nel
febbraio 1700 vi diede un «trattenimento» carnevalesco, Le risa
di Democrito (il libretto di Nicolò Minato risaliva a
trent’anni prima); l’imperatore, musicista esperto, ammirò
Pistocchi anche per l’abilità nel comporre madrigali in stile
antico (segnatamente quello con incipit«Gran Dio, ah, voi
languite»). Nel maggio successivo i due erano di ritorno ad Ansbach
per ottenere la licenza di partire: eseguita in settembre una nuova
cantata di Pistocchi (La pace tra l’armi), poterono infine
rientrare in Italia. La fama oltremontana del cantante è confermata
dalla menzione che ne fa il libretto dell’opera Der angenehme
Betrug oder Der Carneval von Venedig (Amburgo 1707, musica di
Reinhard Keiser, atto II, scena 6), dov’è citato insieme con
Margherita Salicola, Francesco Ballarini e Pollarolo.
Il 25 febbraio 1701 Pistocchi e Torelli furono
assunti nella ristabilita cappella di S. Petronio, sotto il magistero
di Perti, e collocati alla testa del coro e dell’orchestra, ben
pagati per singola funzione e con posizione semipermanente. Pistocchi
compose nuove partiture per la basilica, come il «mottetto per [la
festa di] s. Petronio a 8, con due cori di strumenti» del quale
diede anticipazioni a Perti nel 1703 (Bologna, Museo della musica,
P.146.5). Rientrato in Italia, il castrato puntò inoltre a
individuare un erede e a costituire intorno a sé una famiglia
tramite adozioni.
Una satira diffusa a Venezia nel 1704 informa del
declino vocale del cantante (Bologna, Museo della musica, H.63, c.
96: l’articolazione del suo trillo è paragonata allo scuotimento
di un sacco di noci). Ritiratosi dalle scene, Pistocchi continuò per
oltre un lustro a esibirsi nelle chiese e nei palazzi patrizi,
perlopiù a Bologna (per esempio, in funzioni dell’Arciconfraternita
di S. Maria della Morte; a palazzo Albergati, dove nel 1706 prese
parte alla serenata Amore e amante di Pirro Albergati
Capacelli, «accompagnata da quasi cento istromenti»; e a palazzo
Ranuzzi, dove nel 1709 cantò a una festa per Cristiano VI re di
Danimarca), nonché a Novara (dove nel 1711 partecipò come cantante
e compositore alle feste per la traslazione delle reliquie di s.
Gaudenzio). Diede quindi alle stampe un’«opera terza» di Duetti
e terzetti (Bologna, Silvani, 1707; ed. moderna a cura di A.
Béjar Bartolo, Lucca 2015), dedicata all’elettore palatino
Giovanni Guglielmo, e nel 1710 compose l’atto II di un’ultima
opera teatrale per il teatro Pubblico di Reggio (I rivali
generosi, in collaborazione con Monari e Giovanni Maria
Capelli). Nel contempo si affermò come capofila della scuola di
canto bolognese e come uno dei massimi didatti vocali dell’epoca;
ebbe per allievi, tra gli altri, Gaetano Berenstadt, Antonio Maria
Bernacchi, Annibale Pio Fabri, Giovanni Battista Minelli, Antonio
Pasi, Domenico Tempesti e Andrea Guerri (Ferdinando de’ Medici
glielo affidò di persona).
Ricevuti
gli ordini sacri nel 1709, nel 1714 fu nominato cappellano d’onore
dall’elettore palatino e nel 1715 entrò nella casa forlivese della
Congregazione dell’Oratorio di s. Filippo Neri. Lì ebbe a
disposizione mezzi e spazi per proseguire l’attività di musicista
(facendosi anche, nel 1718-19, intero carico di un nuovo organo
costruito da Francesco Traeri), ma abbandonò poi la casa religiosa e
tornò a Bologna.
Nel testamento rogato l’11 gennaio 1725 (Busi,
1891, pp. 182-185) Pistocchi distribuì due clavicembali, molti libri
di musica, ritratti di Giovanni Paolo Colonna e Legrenzi, poco altro
mobilio di casa e un capitale di 4000 ducati presso i banchi di
Venezia. Morì a Bologna il 13 maggio 1726 (risiedeva nella
parrocchia di S. Maria Maggiore) e fu tumulato nella chiesa filippina
di S. Maria di Galliera.
Tra quanti conobbero Pistocchi e ne tramandarono
le virtù, Pierfrancesco Tosi lo definì «musico il più insigne de’
nostri e di tutti i tempi, il di cui nome si è reso immortale per
essere stato egli l’unico inventore d’un gusto finito e
inimitabile, e per aver insegnato a tutti le bellezze dell’arte
senza offendere le misure del tempo» (Opinioni de’ cantori
antichi e moderni, Bologna 1723, p. 65), mentre Giambattista
Martini scrisse d’aver avuto anch’egli «la bella sorte di venir
instruito nel canto, tanto necessario a chi vuole applicarsi a
comporre in musica, dal celebratissimo cantante don Francesco
Pistocchi, uno de’ più celebri professori che abbia veduto il fine
del passato e il principio del secol corrente» (Storia della
musica, III, Bologna 1781, p. 437). Le lettere di Pistocchi
attestano l’autorità del musicista e uno spirito critico
traboccante di vivacità e sarcasmo. Un suo ritratto senile è nel
Museo della musica di Bologna; fu egli stesso committente di pitture
e sculture di pregio (per esempio, di Felice Torelli, fratello di
Giuseppe, e di Giuseppe Mazza).
Le composizioni di Pistocchi non altrimenti
destinate nel testamento, «tutte cose all’antica», furono
«stimate a peso, per vedere se si può ricavare qualche cosa di più
della carta» (cit. in Busi, 1891, p. 185).
di Francesco Lora
http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-antonio-mamiliano-pistocchi_(Dizionario-Biografico)/
ALESSANDRO
SCARLATTI
Il
compositore di musica barocca Alessandro Scarlatti
nasce a Palermo nel 1660.
Per gli storiografi del XIX secolo
Scarlatti fu uno dei fondatori della scuola musicale napoletana,
ovvero il maggiore compositore d'opera italiano tra la fine del XVII
secolo e l'inizio del XVIII.
La
sua vita si snoda tra Roma e Napoli, oltre ad alcune brevi soste a
Venezia e Firenze.
A soli dodici anni inizia la sua prima
formazione musicale a Roma sotto la guida del compositore Giacomo
Carissimi.
Nel
dicembre 1678 fu nominato maestro di cappella della Chiesa di S.
Giacomo degli Incurabili (oggi S. Giacomo in Augusta).
Un
mese più tardi ottenne la sua prima importante commissione in veste
di compositore.
L'anno
successivo completa la prima opera, Gli Equivoci del Sembiante, messa
in scena a Roma.
Intorno
a quegli anni il clima romano non è tra i più favorevoli per i
compositori di opere con il divieto imposto da Papa Innocente XII
alle rappresentazioni pubbliche dell'opera.
Per
questo motivo Scarlatti si trova costretto a lasciare Roma per
stabilirsi a Napoli dove è assunto come maestro presso la cappella
del vicerè di Spagna.
A
Napoli il compositore può avvalersi di importanti cantanti come la
soprano Giulietta Zuffi e i castrati Paolucci e Brunswich.
Scarlatti
resta al servizio della corte di Napoli per diciotto anni componendo
ben trentadue opere, con una media circa di tre nuove opere all'anno.
Lo
stile di Scarlatti andò evolvendosi verso la fine del XVII secolo
per adeguarsi al gusto teatrale corrente. Pur conservando una
scrittura fondata sul contrappunto tra voci e strumenti, le sue arie
diventano più estese, e presentano sempre più spesso
accompagnamenti affidati alle parti strumentali piuttosto che al solo
basso continuo, come invece usava agli inizi della sua attività.
il
virtuosismo richiesto ai cantanti nella sua musica, più che sfoggio
di mere abilità tecniche, richiede maggiore espressività e
attenzione al testo scritto.
Purtroppo
con lo svolgersi della guerra di successione spagnola, la situazione
a Napoli diventa difficile tanto che lo Scarlatti si trova costretto
a lasciare Napoli per stabilirsi a servizio del Granduca Ferdinando
II de' Medici a Firenze.
Tra
i due però non c'è intesa in quanto il Granduca considera la musica
dello Scarlatti troppo complessa, tanto da sentirsi costretto a
lasciare Firenze per tornare a Roma dal suo precedente mecenate, il
Cardinale Ottoboni.
Francesco
Scarlatti
Francesco Antonio Nicola
Scarlatti (Palermo, 5 dicembre 1666 – Dublino, gennaio genn.
1741 circa) fratello minore del celebre Alessandro e zio
dell’altrettanto famoso Domenico.
Francesco visse sempre sotto l’ombra dei suoi
parenti molto più noti, Alessandro e Domenico Scarlatti. Tuttavia
egli fu un abile musicista e ricevette parecchie nomine.
Dopo aver studiato musica presso i conservatori
napoletani, il 17 febbraio 1684 fu nominato violinista della Corte
Reale Napoletana, potendo quindi lavorare accanto al fratello
Alessandro, che in quel periodo era stato nominato maestro di
cappella. Nel 1690 sposò Rosalinda Albano, la quale nel 1706 morì
dopo avergli dato cinque figli.
Nel febbraio del 1691 tornò in Sicilia, dove
prestò servizio per 24 anni come maestro di cappella a Palermo. In
questo periodo fu attivo anche come compositore: nel 1703 diede al
Convento dell’Immacolata Concezione un dialogo a cinque
voci e l’oratorio La profetessa guerriera, tra il 1699 e
il 1710 all’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso di
Roma altri due oratori e nel 1711ad Aversa rappresentò Lo
Petracchio scremmetore, una commedia in dialetto napoletano. Nel
1715, nonostante il pieno appoggio da parte di Johann Joseph Fux, fu
respinta la sua richiesta di diventare vice-maestro di cappella
presso la Corte Imperiale di Vienna.
Ignazio
Pollice
Ignazio Pollice
(anche Pullicì) (1684-1705) è stato un italiano compositore barocco
dell’epoca, da Palermo .
Egli è famoso soprattutto per il suo L’innocenza
pentita: o vero la Santa Rosalia, che ha inaugurato il Teatro
Santa Cecilia a Palermo nel 1693. (1)
Pochi dettagli biografici della vita di Pollice
sono disponibili, ma alcune delle sue prestazioni sono note.
Era un rappresentante della scuola napoletana ed ha composto in
un periodo dominato da Alessandro Scarlatti, che era anche di
Palermo.
Pulici ha coposto musica sia sacra che
profana, tra cui l’oratorio La vita rediviva
nell’inventione di Santa Croce (1705), il dialogo Assalone
ribelle e Scalae Jacob (1684 e il 1700, rispettivamente),
e l’opera Isabella ovvero il Principe ermafrodito (1685), il
dramma sacro l’innocenza pentita o vero la Santa Rosalia, il
libretto era di Vincenzo Giattino.
(1) Il Teatro S. Cecilia
fu fondato nel 1693 vicino alla Fieravecchia ad opera dell’Unione
dei Musici. Nacque per le rappresentazioni dell’Opera. Si
presentava con numerose logge e platee. Esso fu inaugurato con la
rappresentazione della tragedia sacra “L’innocenza penitente”
di Vincenzo Gattino, opera dedicata a S. Rosalia con le musiche di
Ignazio Pulici.
Anche il Teatro S. Cecilia fu danneggiato dal
terremoto del 1726 e restò chiuso fino al 1737, anno in cui fu
riaperto dopo la fase di ristrutturazione.
Fu il principale teatro palermitano fino al 1809,
anno in cui fu edificato il Teatro Carolino. Il suo interno fu
demolito nel 1906.
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Ugo Arioti ricerche