lunedì 6 maggio 2013

La bambina dai capelli ricci

"La narrativa sociale, per me, è un importante modalità per parlare di problemi e di storie che hanno un grande rilievo sociale, ma che, talvolta, per tabù, paure o semplicemente per implicita rassegnazione ad una morale pubblica bigotta e rigida, che lascia ampi spazi alla corruzione dei costumi e non guarda, invece, ai vizi della società per quello che sono, vengono sottaciuti."
Ugo Arioti 
 
Dal romanzo :
La bambina dai capelli ricci
1
Leila , al tempo in cui la conobbi, era una allegra e sbarazzina ragazzetta di dodici anni o qualcosa di più che giocava a fare la donna. Rideva sempre, anche del suo corpo: un bozzolo in evoluzione lenta(lo chiamava così). Andavo al mare con la mia famiglia, in quel lungo litorale saraceno che sembra congiungere il Sud della Sicilia con l’Africa. Marta, mia moglie era amica della mamma di Leila e i nostri ragazzi giocavano spesso insieme in quel lungomare di sabbia finissima come le dune del deserto del Sahara! Sarà che con lo scirocco le creste delle montagne di sabbia che mutano in continuazione seguendo i venti si siano trasferite a San Leone e dintorni! Nelle giornate terse, dopo una pioggia mattutina, tornava il Sole e si intravedeva la costa africana come corresse verso di noi, ma eravamo noi a correre sul litorale giocando a pallone o a tamburello! Leila, esuberante per natura, era attratta dai nostri due ragazzi, qualche anno più grandi di lei, e  non perdeva occasione per avvicinarsi e per mescolarsi ai nostri giochi. Io, il vecchio, alla fine mollavo e mi sdraiavo al sole a leggere un libro o mi tuffavo in mare per rinfrescarmi. Marta e Gisella, la mamma di Leila, invece restavano sotto l’ombrellone a parlare di non so cosa. Discorsi di donne! La particolarità della bambina era la pelle scura, negroide, che contrastava con i suoi genitori ( Yankee come noi). Io e Marta pensavamo seriamente all’epoca, eravamo ancora in grado di riuscire nell’impresa, di allargare la nostra Famiglia con un adozione. Un gesto che non era dettato dalla necessità di essere più numerosi, no. Era il nostro modo per aiutare veramente chi non aveva avuto la stessa fortuna dei nostri. Così non facemmo mai caso al fatto che, sia Gisella che Edoardo, il marito, parlassero di Leila come di una figlia assolutamente legittima. Per noi assolutamente normale. Eppure c’era nell’aria una sorta di chiusura dei due coniugi sull’argomento e una, a nostro avviso inutile perché siamo tutti figli di Dio e dobbiamo cercare di aiutarci e non di fare del male al nostro prossimo, legge fondamentale che datava dalla nascita della pupa la sua esistenza in famigli e stabiliva senza se e senza ma la loro genitorialità. Come fosse uno Stato a parte con una sua Legge. “Fatti loro” concludeva Marta quando prima di addormentarci ricordiamo insieme gli eventi della giornata appena trascorsa, siamo fatti così!
<E ' importante sapere perché ha la pelle nera e i suoi  capelli, nero corvino, sono ricci?> Pensai, avevo in mente un estenuante maratona quasi troppo smaccata di Gisella sulla nascita di Leila , ancora una volta il racconto di lei, confermato dai suoi sguardi e dalle conferme di Edoardo, su come aveva partorito Leila e su quel giorno di gioia in cui le infermiere si fermarono a osservare la luce dei suoi occhi e di quelli, ancora straniti, della neonata che catturavano ogni raggio di luce e ogni ombra. Forse pensavo e, pensando, muovevo la bocca e non mi accorgevo che stavo parlando. Marta se ne accorse e mi stoppò:< Sono le ghiandole sebacee hanno un tono molto più, come dire:  difficile, … il sebo.>  
La guardai come un essere terrestre può guardare un omino verde proveniente da Marte. Cosa voleva dire? < Il sebo? Dici?> confermai come se avessi capito e, in effetti, avevo compreso che stava lanciandomi un messaggio e il senso era, me ne accorsi girandomi verso il paese: arrivano i nostri amici di spiaggia Gisella ed Edoardo con Leila. Mi avvicinai a Marta e le sussurrai all’orecchia:< Tu dici che è figlia loro? E non hanno avuto altri figli?> Per tutta risposta la mia dolce metà mi pose la mano sulla bocca( un segnale perentorio di silenzio). Poi mi guardò negli occhi e mi rispose, saggiamente:< Potrebbero amarla di meno?> <No! Io non ci riuscirei, anzi!>
 
 
 

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